Vetrine
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prompt: #099, clock
Quell’anno la neve sembrava destinata a non sciogliersi mai. Febbraio
era alle porte quando i fiocchi lasciarono il posto ai primi, timidi raggi di
sole; una mattina Louise era scesa per la colazione annunciando ai fratelli il
suo fidanzamento con Erik; le lezioni di Clara e Fritz erano ricominciate; e
pareva che il signor Drosselmeier avesse già fabbricato
almeno quattro nuovi orologi.
Era,
questo, ciò che forse impensieriva di più la famiglia –
molto più della neve e dei preparativi per le nozze. Era già
successo molte volte che Clara di punto in bianco si precipitasse al negozio
del signor Drosselmeier per dargli una mano con il lavoro,
ma mai spesso quanto quell’inverno. Louise aveva accennato qualcosa sul nipote del signor Drosselmeier,
quel ragazzino coi capelli neri e l’espressione impacciata che di tanto
in tanto si vedeva sfrecciare sotto la neve per le consegne. Fritz era
puntualmente scoppiato a ridere, facendo notare che Clara era troppo poco Louise per pensare di «farsi un fidanzato». I signori si erano
finora limitati a guardarsi senza parlare, ma sulle labbra della mamma sempre
più spesso indugiava un sorriso a metà orgoglioso, a metà triste.
Che Clara
stesse crescendo non c’era alcun dubbio. Tuttavia la si vedeva ancora, in
molte occasioni, fermarsi di fronte alla vetrina dei giocattoli e perdersi in
un mondo di fantasticherie, guardando dal di qua dei vetri il viso dolce di Trudy, la postura altera di Marie, assicurandosi di tanto
in tanto che la gamba del vecchio Pantalone fosse ancora al suo posto. In effetti
guardare i giocattoli sembrava il suo svago maggiore – quando, beninteso,
non la si scopriva a infilarsi il soprabito per «correre dallo zio Drosselmeier, poverino, che ha sempre così tanto da
fare». E per quanto il babbo soffiasse e sbuffasse, a nulla serviva
ricordarle che adesso il signor Drosselmeier aveva in bottega un vero nipote – per contro, a quelle parole la fretta di Clara
aumentava, disperdendosi nella folata della porta che si chiudeva alle sue
spalle.
Febbraio
era alle porte, e il sorriso della mamma assumeva un significato nuovo quando
la ragazzina si ripresentava solo al calar del sole, mentre scendeva il freddo.
Persino Fritz aveva smesso di ridere. Oramai si aggirava per la casa sbuffando
e ripetendo categoricamente ai suoi soldatini che lui, per fortuna, non sarebbe cresciuto mai.
Il signor Drosselmeier stava lavorando a un nuovo orologio. Questo aveva
la forma di un castello delle favole, e non aveva cucù, ma due ballerini
che allo scoccare di ogni ora s’incontravano, si sfioravano e si
lasciavano con un bacio.
«Noi abbiamo molto più tempo, ora,
non è vero?» aveva chiesto Clara ad Hans, all’ombra del
portone, guardando il giocattolaio attraverso la vetrina appannata e ormai
quasi buia.
Hans
le aveva soltanto sorriso, in silenzio. Non diceva mai molto dei suoi anni
incantati; forse perché la vera
magia era iniziata soltanto quando lo
schiaccianoci era scomparso.
Il signor
Drosselmeier lavorava, fingeva di non vedere e
sorrideva tra sé e sé. La neve aveva appena iniziato a sciogliersi.
[ 500 parole ]
Nota: Non so se avete mai sentito
parlare de La favola del Principe
Schiaccianoci. Quanto a me, posso sinceramente dire che questo film
è il primo vero ricordo della mia vita.
In un moto di nostalgia ho voluto tornare a guardarlo dopo tanti, tanti
anni. Mi è parso terribilmente semplice, ingenuo, e ho sorriso al
pensare a quanto mi sembrasse difficile
da capire quando da piccolissima rabbrividivo di fronte agli occhi viola
del Topo Re (nessun cattivo dei cartoni animati mi ha mai fatto altrettanta
paura, mai!). Però la dolcezza – di Hans, soprattutto di Hans –
l’ho ritrovata intatta, così tanto da commuovermi, e da farmi
venire voglia di raccontare e condividere un autentico pezzettino di me.
Sul serio, spero che apprezziate. ♥