Quella mattina Merlin aveva provato a seguire il consiglio di Morgana, ma nei suoi occhi riflessi nello specchio non aveva visto niente. La linea alla fermata dell’autobus aveva cominciato a sbiadire, ed entro pochi giorni qualcuno sarebbe venuto a tratteggiarla insieme alle strisce pedonali più in là lungo il viale. Ma, tutto sommato, i suoi muscoli e la sua presenza di spirito erano fermi quando stazionò di fronte all’ufficio di Arthur Pendragon con un quaderno in mano ed una domanda sul programma d’esame che soltanto lui avrebbe potuto chiarire.
Interpretò il mugugno che udì come un permesso ad entrare. Dalla sua scrivania l’altro gli sorrise, ma gli occhi scavati lo fecero tremare ed arrestare sul posto.
“Non avrei mai immaginato di vederti qui, Emrys. Ti credevo troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di me”. Merlin non rispose, improvvisamente intristito. Il suo ginocchio si sforzava di non scattare in avanti verso di lui, o indietro verso la porta, ma in ogni caso tremava.
“Non ti boccerò davvero per le prossime dieci volte che ti presenterai all‘esame, se è questo che stai pensando”.
“Non l’ho pensato”.
“Bene. Allora dimmi cosa non hai capito”.
“Non ha dormito stanotte?”. Arthur lo fissò interdetto, reclinando la schiena all’indietro. “Non ho alcun problema d’insonnia”.
“È preoccupato per qualcosa?”
“Non vedo perché dovrebbe interessarti”. Era la prima volta che lo vedeva senza un sorriso di qualunque tipo sulla faccia. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie, facendolo sentire tutt’ad un tratto molto ignorante. Era stato sempre così aperto, così disponibile a mettergli su un piatto d’argento ogni indulgenza ed ogni nozione. Eppure si sentì minacciato, ignorante e stupido.
“A me… interessa”.
Arthur sollevò la testa verso di lui, coi capelli arruffati. “Non è niente, davvero”.
“Io… dico sul serio”. Arthur gli rivolse un sorriso che era diverso da tutti gli altri, che lo faceva sembrare saggio e tormentato come un Re oppresso dal peso di una decina di strategie politiche e militari non andate a buon fine, dall’imminente caduta del suo regno privato.
“Mia moglie mi tradisce col mio migliore amico”.
Merlin avrebbe ricordato quel momento come in una sorta di nebuloso caos che rende tutto indistinto. Eppure aveva pressoché conficcato i gomiti sulla superficie della scrivania e, protendendosi verso il suo professore, lo aveva baciato.
Non aveva pensato di consolarlo, né di giovargli in qualche modo.
Lo aveva semplicemente baciato, prima di fuggire senza che il suo dubbio sul programma gli fosse stato chiarito.
Arthur non approvava il gesto di Merlin. Aveva il doppio dei suoi anni, e farsela con uno dei suoi studenti per vendicarsi di sua moglie era quanto di più stereotipato avrebbe potuto fare per sentirsi meglio. Durante le lezioni non gli chiedeva più nulla, non lo guardava, manteneva un contegno maturo che faticava a rendere credibile. Il corso sarebbe finito molto presto, ma paradossalmente la constatazione non consolava nessuno dei due. Merlin lo fissava, incapace di fingersi indifferente.
Era nervoso oltre ogni più nera aspettativa.
L’autobus non arrivava mai, rideva in modo isterico per ogni più piccola sciocchezza e le gambe gli formicolavano continuamente. Dannato Pendragon. Ma non giunse alcuna reazione. Merlin capì perché si era sentito tanto minacciato da lui, e si maledì per non essere fuggito -dove?-. Si era immaginato a correre per Londra senza una meta, e si era parso solo molto ridicolo.
Ma quel che non sapeva è che Arthur non aveva parlato di lui a sua moglie. Perché non lo faceva? Lancelot sarebbe venuto a cena a fine mese. E lui aveva baciato un suo studente, maschio per giunta.
“Potrei preparare io la cena. Oppure potremmo uscire a cena fuori?”.
“Mh”.
“Mi senti, Arthur?”.
“Sì, Gwen”.
“Sicuro di stare bene?”.
“Sì. Scusami, ho da fare”.
Quando ebbe riattaccato Merlin era sulla porta del suo studio, e la scena del giorno prima gli tornò alla mente. “La porta era aperta”, si giustifico.
“Vattene via, per favore”.
“Le faccio così schifo?”. Arthur si pentì per essere stato tanto brusco. Il ragazzo sulla porta era giovane, ed era fragile come appariva. Lo scrutava coi grandi occhi blu con aspettative che non poteva soddisfare, ma lui non voleva ferirlo. “No, ma qualunque cosa provi per me non è reale”. Merlin inaspettatamente, rise.
“Questo sì che è un cliché. Ho la metà dei suoi anni, non sono idiota. Direi che è molto diverso”.
Arthur sgranò gli occhi, protendendosi sulla sedia come se intendesse scrutarlo meglio, a livello molecolare. Poi aveva ricambiato il sorriso sghembo, più tranquillo. “Che non sei idiota è tutto da dimostrare”.
“Molto adulto da parte sua”. Merlin si era avvicinato con le mani in tasca, scompigliandosi poi i capelli neri per prendere tempo, senza sapere che il gesto aveva fatto saltare un battito del cuore del suo professore. Si sentì in grado di mantenere tagliente il suo sarcasmo, un’arma in qualche modo sempre affidabile.
“Vorrei vedere te nei miei panni, ragazzino!”.
“Mmmh, credo sarei vecchio, stupido e cornuto”.
“Molto leale da parte tua!”, ora rideva a crepapelle. “E stai fermo con quelle gambe, mio dio. Mi farai diventare matto”.
“Gambe?”
“Sì, le tue gambe. Non stanno mai ferme”.
“E cosa ne sa lei delle mie gambe?”, ciò che aveva intuito lo aveva fatto sentire improvvisamente sull’orlo di conseguire una misteriosa vittoria. Superò la scrivania, posizionandosi al suo fianco. Si sentiva più sicuro, ancheggiò in una maniera che, a vedersi, gli avrebbe fatto desiderare di sotterrarsi. Arthur tergiversò, preso in fallo.
“Non gongolare, per l’amor del cielo. Il fatto che io mi sia interessato alle tue gambe non sta a significare che ricambierò i tuoi sentimenti infantili”.
“E chi ha parlato di sentimenti?”. Tutt’ad un tratto, coi suoi vent’anni, con le sue gambe sottili e con la sua inquietudine giovanile senza spiegazione, si sentì molto sicuro di sé stesso e con il manico del coltello in mano. “Non ho mai parlato di nessun sentimento”.
“Ho il doppio dei tuoi anni, non sono idiota. Direi che è molto diverso”.
Quella conversazione stava consumando i nervi di Arthur. Quello scimmiottarsi continuo a vicenda, in ogni caso, li faceva sembrare entrambi dei bambini dell’asilo. Merlin si era avvicinato più di quanto avrebbe voluto permettergli.
“E quali sentimenti crede che io provi?”.
“Non lo so. Ora allontanati”. Il ragazzo era in piedi alla sua destra, immobile. Sulle gambe magre i jeans ricadevano trasandati, solo il piccolo petto si muoveva appena sotto la forza del respiro trattenuto. In seguito avrebbe potuto giustificarsi dicendo di essersi voluto vendicare di sua moglie, che il ragazzo aveva detto di non provare niente per lui, che era maggiorenne e che la combinazione dei suoi occhi e delle sue labbra erano state letali per il suo buon senso. Ma erano state solo le sue maledette gambe.
“Vieni a casa mia. Mia moglie non è a casa stasera”.