Capitolo
7.
Quando
la sveglia suonò Samantha la spense con un gesto secco e
nascose la testa sotto il cuscino, gemendo. Per i successivi cinque
minuti provò a cercare qualche ragione per cui avrebbe dovuto
alzarsi così presto, omettendo quella di un serial killer che
stava uccidendo delle giovani donne.
Si
alzò, trascinando i piedi sino al bagno e si legò i
capelli in una crocchia disordinata, buttandosi poi sotto la doccia
cercando di non bagnare i capelli: non aveva il tempo per asciugarli.
Si
vestì piano, con gli occhi chiusi, sentendo il tessuto degli
abiti accarezzarle la pelle lisa e morbida. Quando li riaprì,
si diede un'occhiata allo specchio: sotto quei due pozzi blu c'erano
due pesanti occhiaie, chiaro segno che aveva riposato poco o male. Le
coprì con un velo di fondotinta e si passò una matita
viola sulle palpebre, accompagnata dal mascara.
Si
aggiustò meglio la camicetta che aveva indossato e, dopo aver
afferrato la fondina, pistola, distintivo e una giacca scura in seta,
uscì dalla camera mentre mangiucchiava una barretta ai
cereali: non aveva tempo per fare una colazione degna di essere
chiamata tale.
Quando
scese nell'atrio trovò già tutta la squadra già
pronta, vestita di tutto punto, ad eccezione di Hotch.
«Buongiorno.»,
fece la ragazza, reprimendo a stento uno sbadiglio.
«Buongiorno.»,
le risposero gli altri, chi con più chi con meno enfasi,
dovuta al sonno.
Reid
le accennò un piccolo sorriso e lei ricambiò senza
farsi notare dal resto della squadra.
«Hotch?»,
chiese poi la mora, guardandosi intorno.
«Ha
ricevuto una telefonata.», spiegò Emily, «ci starà
per raggiungere.».
Samantha
annuì, comprensiva, mentre indossava la giacchetta.
Morgan
e Reid iniziarono a chiacchierare del più del meno,
approfittando degli ultimi momenti di relax prima che il lavoro
tornasse ad incombere su di loro, parlando del bisogno impellente di
trovare caffeina, in qualsiasi forma. Avrebbero bevuto con gioia
anche quella brodaglia che in centrale osavano chiamare “caffè”.
«Spero
che con O'Connor sia andato tutto bene.», disse JJ, voltandosi
verso Samantha dopo aver finito una piccola conversazione con Rossi.
«Al
solito, forse addirittura meglio.», disse, scrollando le
spalle, «più che altro sono rimasta colpita dal fatto
che non fosse lui l'S.I.».
«E
di questo ne sei proprio sicura?», chiese Morgan, pentendosi
delle sue parole non appena le pronunciò.
La
ragazza si voltò verso di lui, trafiggendolo con i propri
occhi blu. Se c'era una cosa che non le potevano toccare, era la sua
bravura nel lavoro, perché, di quello ne era certa, lei era
brava.
«Assolutamente.»,
sibilò.
«Scusami,
non volevo.»,
disse subito Morgan, seriamente pentito, muovendo le mani.
«Non
fa niente.»,
grugnì la ventisettenne, quando poi interruppe Hotch nel
gruppo, un'espressione seria e dispiaciuta allo stesso tempo.
«Hanno
trovato una nuova vittima», annunciò.
JJ
si passò una mano sul viso ed Emily scosse il capo,
abbassandolo, mentre tutti gli altri facevano una smorfia.
«Quando
è stata uccisa?»,
domandò Rossi.
«Ieri
sera, alle undici circa.».
«Questo
esclude completamente O'Connor dalla lista dei sospettati.»,
disse Samantha. Nonostante la grande frustrazione per la morte di
un'altra donna, e l'orribile sensazione di occlusione allo stomaco
per il fatto che non avevano altri sospettati – nessuno di
concreto, comunque – si sentiva lievemente soddisfatta di sé
stessa per aver dimostrato di non essersi sbagliata. Emozione che
sfumò nell'arco di tre secondi, sostituita dallo sgomento.
«Deve
essere cambiato qualcosa, l'S.I, ha sempre ucciso il mattino, questa
volta di notte»,
notò Rossi.
«Ci
aspettano sulla scena del crimine.», disse ancora Hotch, dopo
aver annuito alla riflessione di David.
«Io
cosa posso fare?»,
domandò Samantha.
«Non
lo so.»,
ammise Hotch. «Anzi,
Reid, Morgan, voi restate in centrale con Sparks, cercate di
perfezionare il profilo, poi chiamate Garcia e ditele di restringere
il campo più che può.».
Morgan
e Reid annuirono, sinceramente sollevati dal fatto che non dovessero
vedere un altro cadavere, per
quanto man mano negli anni diventasse una faccenda di routine ognuno
dei membri della squadra odiava vedere
il corpo privo di vita di una donna, un uomo, o un bambino, gente che
aveva ancora da vivere e che non avrebbe mai potuto più farlo.
«Ci
vediamo al commissariato non appena abbiamo finito di esaminare la
scena del crimine.», disse Hotch, poi si separarono, prendendo
strade diverse.
«La
vittima si chiamava Barbra Oswell, trentadue anni, un figlio di sette
mesi.», disse lo sceriffo Mars non appena Hotch, Prentiss, JJ e
Rossi giunsero sulla scena del crimine.
Emily
si accovacciò accanto al corpo privo di vita della donna,
notando come al solito le mani posate sugli occhi, in posa, e uno
sfogo sul collo che indicava che era stata soffocata.
«È
stata stuprata?», domandò.
«Sì,
post morte, come per le altre.», annuì Jason Mars.
«E
i timpani...».
«Bucati.».
La
donna si alzò.
«Barbra
è stata uccisa esattamente come le altre vittime, l'unica cosa
che cambia è l'ora in cui è stato compiuto l'omicidio».
«Cosa
gli ha fatto cambiare idea?», rifletté ad alta voce
Rossi, facendo scrollare le spalle agli altri.
«C'è
dell'altro, però», disse Mars. «Abbiamo un
testimone».
«Come?»,
domandò stupita JJ, attirando l'attenzione che si era di nuovo
spostata sul corpo esanime di Barbra sullo sceriffo.
Mars
indicò un uomo vicino a una delle macchine della polizia.
«Non
voglio illudervi, non ha visto l'assassino in volto. Passava qui di
fronte per andare a prendere la macchina e ha visto la sagoma di un
uomo chinata sul corpo di Barba a scattare delle fotografie.»
«Foto?»,
domandò ancora Rossi.
Mars
annuì.
«È
stato un omicidio disorganizzato, quindi. Sin ora non aveva mai
rischiato di farsi vedere», disse Hotch.
«Anche
il luogo, se ci pensate.», intervenne JJ. «Ha ucciso
tutte le altre vittime in zone solitarie, dove il rischio di farsi
vedere era ben minore, qui invece siamo in un parcheggio sotto a
numerosi uffici.».
«Era
di fretta, forse il bisogno di uccidere era troppo impellente per
essere soppresso sino al giorno dopo», ipotizzò Emily.
«Che
uffici ci sono qui sopra?», domandò JJ a Jason Mars.
«Sono
studi di moda, per servizi fotografici, sfilate.».
Rossi
prese il cellulare e digitò il numero di Morgan.
**
«Non
è possibile che quel bastardo sia sempre un passo avanti a
noi!», sbottò Samantha, irritata, legandosi i capelli
sciolti in una coda alta dietro la testa e camminando avanti e
indietro per la stanza.
Reid
la osservò mentre si lamentava e, infine, si lasciava cadere
su una sedia girevole con uno sbuffo, le braccia incrociate e un
broncio che la faceva assomigliare terribilmente a una bambina.
Sorrise,
nonostante tutto, a quell'immagine. Samantha si era sempre presentata
come una ragazza composta e seria, concentrata sul lavoro e che
sapeva reprimere i propri sentimenti. Ma Reid sapeva che quella non
era altro che una delle tante facciate di quella giovane, bellissima
quanto pericolosa, donna.
Morgan
era uscito per andare a recuperare tre bicchieri del cosiddetto caffè
della centrale e loro due erano rimasti per cercare di inquadrare
meglio che potevano l'S.I. e di riuscire a stringere il campo sui
centosessantacinque nomi che aveva mandato loro Garcia.
Reid
si rese conto che Samantha mostrava i propri sentimenti soltanto
quando erano solo lei e lui, sembrava che non riuscisse ad aprirsi.
Si domandò se fosse solo una sua impressione o era realmente
così.
«Lo
prenderemo.», la rassicurò con un piccolo sorriso
consolatorio.
Samantha
annuì, guardandolo nei suoi occhi da cerbiatto.
«Eccomi.»,
disse Morgan, interrompendo quel loro contatto visivo e lasciando
sulla scrivania tre tazze colme di caffè. «Qualche nuova
idea?».
«A
parte il fatto che stavo pensando che questo S.I è
terribilmente irritabile nulla.», disse Samantha, prendendo una
delle tazze e bevendo un sorso della bevanda, reprimendo a stento una
smorfia.
«Gli
altri hanno chiamato?», chiese ancora il bell'uomo di colore,
ricevendo una risposta negativa.
Rimasero
in silenzio alcuni secondi, ognuno perso nei propri ragionamenti.
Reid era appollaiato su una sedia e guardava quasi distrattamente la
bacheca su cui avevano appuntato tutto ciò che sapevano sul
Soggetto Ignoto; Morgan tamburellava le dita su una gamba, cercando
di trovare elementi sufficienti per accorciare la lista dei
sospettati; Samantha, invece, si sentiva inutile: lei non era una
profiler, non era una di loro che, con un'occhiata, sapevano dire lo
shampoo preferito dell'assassino, lei era un'Infiltrata Speciale,
un'attrice, non era abituata a starsene ferma con le mani in mano
cercando di dare una mano su un profilo quando non ne aveva le
capacità.
Il
rumore del cellulare di Morgan che squillava strappò ognuno di
loro dai propri ragionamenti.
«Sì?»,
disse Derek, una volta aver risposto. «Come? Certo, aspetta,
come si chiamano gli studi? Okay, ti facciamo sapere appena
possibile. A tra poco, va bene.». Non aveva attaccato da
nemmeno cinque secondi che subito digitò un altro numero.
«Oracolo
di Quantico ai tuoi servigi!», trillò la voce entusiasta
di Garcia.
«Bambolina,
ho bisogno di un tuo miracolo.», rise Morgan sentendo la voce
dell'amica.
«Era
ora, cioccolatino, credevo ti fosti dimenticato di me», disse
Penelope. Morgan sapeva che aveva montato un bellissimo broncio dopo
aver parlato.
«Vedrò
di farmi perdonare quando torno a casa.», disse ammiccante
Derek mentre Samantha ascoltava la telefonata in viva voce a metà
tra il divertito e lo sbalordito.
Reid
rideva sotto ai baffi.
«Sai,
io sono forte anche al tele...».
«Ciao
Garcia!», la interruppe Reid, parlando ad alta voce, facendo
zittire la donna.
«Oh,
io odio il viva voce!», sbuffò divertita. «Ditemi,
miei uomini, cosa vi serve sapere dall'Oracolo?».
«Devi
fare un controllo incrociato tra la lista che abbiamo di sospettati e
i dipendenti di uno studio fotografico chiamato Stylist», disse
Morgan.
«Beccato!»,
esclamò Garcia nemmeno tre secondi dopo. «Jackson Utah,
trentasette anni, ha divorziato due mesi fa da Patricia Goswald, la
donna si era sottoposta per due interi anni a dei trattamenti per
rimanere incinta».
«Senza
successo, immagino.», commentò Samantha.
«Esatto,
zuccherino! Piacere di sentirti, Samantha!», disse sorridendo
la bionda informatica.
«Piacere
mio.», sorrise la mora, ora in piedi, mentre si scioglieva i
capelli e, dopo aver estratto uno specchietto dalla borsa, si passava
del rossetto sulle labbra sotto gli sguardi confusi dei due uomini,
poi si sbottonò i bottoni della camicetta sino a far
intravedere per bene la scollatura e fece per uscire, nascondendo la
pistola nella borsa.
«Dove
pensi di andare?», fece Morgan inseguendola, allibito,
attaccando il telefono.
«A
fermare e incastrare quel bastardo, ovvio.», disse Samantha,
stupita dal suo comportamento.
«No.»,
si intromise Reid. «Non puoi.».
«È
il mio lavoro.», disse la ragazza, digrignando i denti.
«Non
siamo preparati, non puoi entrare da lui come niente fosse. Non siamo
preparati.», cercò di farla ragionare Derek,
ripetendosi.
Samantha
lo osservò un secondo, gli occhi ridotti a fessure.
«E'
in pieno delirio, mi pare di aver capito», disse Samantha.
«Quell'uomo, sempre che sia lui l'S.I., potrebbe uccidere
qualcun altro questa sera stessa, come facciamo a sapere che
aspetterà altri due giorni?», domandò irritata.
«Non
lo sappiamo. Ma se piomberai nel suo ufficio e cercherai subito di
estorcergli una confessione, o cercare delle prove, può
scoprirlo e noi non possiamo essere lì per aiutarti. E
l'ultima cosa che ci serve è che tu ti faccia ammazzare.»,
disse Reid prendendo i redini della situazione sotto l'occhiata
sbalordita di Morgan e quella innervosita di Samantha.
«Va
bene.», ringhiò alla fine, riallacciandosi la camicetta
e prendendo una salvietta struccante dalla borsa levandosi il
rossetto.
Poco
dopo irruppe nella stanza il resto della squadra, che venne
prontamente informata degli sviluppi.
Emily
chiamò lo studio e, fingendosi interessata agli studi e a
voler fare delle foto, prese un appuntamento con Jackson Utah il
giorno dopo.
«Samantha,
è molto semplice, tu ti fingerei la cliente e...»,
iniziò a spiegare Rossi.
«...inizierò
ad attaccar bottone, parlando della mia famiglia sottolineando che
sono una trentenne single con una figlia a carico e chiedendo della
sua, se è veramente lui, essendo in pieno delirio, cercherà
di aggredirmi. Io devo stare pronta all'eventualità e
chiamarvi con la radio», concluse per lui, snocciolando il
piano.
Rossi
annuì.
Hotch
lanciò un'occhiata all'orologio: si era fatto primo
pomeriggio.
«Andate
a riposarvi, sino a domani non possiamo fare nulla.», disse con
una vena di impazienza nella voce. «Ci vediamo questa sera in
hotel, per la cena.».
**
Erano
le undici quando Reid sentì qualcuno che bussava alla porta
della sua camera. Era salito da poco nella stanza dopo aver
chiacchierato con tutto il resto della squadra sia del caso che di
cose più tranquille, come prendere in giro Morgan per la sua
ultima conquista o chiedendo a JJ di come stavano Will e il piccolo
Henry.
Samantha
aveva partecipato alla conversazione, ma Reid la sentiva più
distante, probabilmente dovuto al fatto che ancora non li conosceva
bene e non voleva far domande a tutti per capire esattamente di cose
stessero parlando. Ogni tanto Spencer si voltava verso di lei e gli
spiegava chi fossero Henry, Will o altre persone citate da loro che
Samantha di certo non poteva conoscere. Ad ogni volta che le parlava
la vedeva sorridere, un sorriso bellissimo, pieno di sincera
riconoscenza.
«Sì?»,
chiese curioso.
«Sono
io... Samantha.», disse la voce suadente della ragazza
dall'altra parte della porta.
Reid
fece girare la chiave e aprì la porta, trovandosela davanti in
tutta la sua bellezza, gli occhi blu che splendevano.
«Ciao.»,
disse lui stupito.
«Ehi.»,
rispose la ragazza. «Ti disturbo?».
Reid
scosse velocemente il capo e si spostò, facendola entrare
nella propria camera.
Samantha
si guardò un attimo intorno, era uguale alla sua l'unica cosa
diversa erano gli enormi libri poggiati sopra al letto.
«Saggi
sulla criminologia.», spiegò Reid alla sua occhiata
confusa.
Samantha
ne prese uno in mano e lo sfogliò.
«Prima
o poi me ne dovrai prestare uno.», disse con un piccolo
sorriso. «Il vostro lavoro sembra affascinante.».
Reid
annuì, sorridendo.
Samantha
si avvicinò a lui, il suo viso era mutato ed ora era maschera
di dispiacere.
«Mi
spiace per aver perso le staffe, oggi.», mormorò.
«Eri
stressata e stanca, non è colpa tua.», disse subito
Reid.
«Il
fatto è che... Capisci, sono morte già tante donne, e
sapere che quel bastardo forse ne sta uccidendo un'altra in questo
stesso momento...», continuò lei, alternando i suoi
sguardi tra gli occhi da cerbiatto del giovane uomo e il pavimento in
moquette.
«Sono
sicuro che questa notte non ucciderà nessuno. Puoi stare
tranquilla.», la tranquillizzò lui, con voce pacata.
«Come
fai a saperlo?».
«Me
lo sento.».
Samantha
provò a ridacchiare a quell'affermazione, il Dottor Reid che
per una volta non usava statistiche e percentuali per descrivere un
caso ma semplicemente il proprio sesto senso sembrava poco credibile.
«Beh,
spero che tu abbia ragione.», disse.
Si
sedettero intorno al piccolo tavolo a disposizione nella camera,
Samantha si torturava le mani mentre Reid la guardava e osservava le
mille emozioni che sembravano dipinte sul suo volto, le sfumature dei
suoi occhi di zaffiro, i capelli che le accarezzavano le guance per
poi scendere lungo la schiena quasi sino alle scapole.
«Posso
chiederti una cosa?», domandò lei dopo quelle che
sembrarono ora di silenzio scandite solamente dal ticchettio
dell'orologio a muro.
«Certo.».
La
ventisettenne sospirò.
«Credi
che il mio lavoro sia simile a quello di una... puttana?»,
domandò infine, sostenendo lo sguardo di puro stupore del
giovane.
«Che
cosa? No, certo che no!», esclamò lui.
«Davvero?
È solo che... Oggi, quando stavo per andare da Jackson Utah e
mi sono slacciata la camicetta, ho osservato la reazione di Morgan, e
mi sembrava scandalizzato.».
«Sparks...».
«Seriamente,
lo posso capire, dopotutto...».
«Sparks...».
«...non
è facile capire ciò che faccio.»
«Samantha!»,
allungò le mani e le mise un dito sulle labbra, rimanendone
lui stesso più sorpreso dallo slancio che aveva avuto.
La
ragazza lo fissò prima incuriosita, poi sorrise e annuì.
«Il
mio lavoro è, in un certo senso, simile a quello di una
prostituta. Cerco di ammaliare gli uomini con il mio corpo, con la
mia voce, con le mie parole. So che ci sono voci di corridoio che
dicono che vado a letto con ogni uomo con cui ho a che fare durante
le indagini», fece una risata senza gioia. «mi chiamano
la Cacciatrice di Uomini, sai? Ma io non ho mai fatto sesso con
nessuno di loro. Mai. È una cosa troppo disgustosa,
addirittura per me. Io sono una Cacciatrice, ma una
Cacciatrice e basta.».
Reid
la osservò.
«Perché
mi dici queste cose?», domandò poi.
«Non
lo so. Forse perché non voglio che tu pensi certe cose di me,
quando la mia fama arriverà sino ai vostri uffici. Non volevo
che tu mi giudicassi.», disse, scrollando le spalle.
«Non
ti avrei giudicata comunque.».
«Grazie.».
Fu
esattamente come la sera prima, ma questa volta con più
intimità, con più dolcezza, e allo stesso tempo
entrambi erano sempre più aperti l'uno con l'altra.
Man
mano che parlavano Samantha si diceva che stava raccontando a Reid
certe cose – questioni che, addirittura, non aveva mai rivelato
a nessuno – solo perché quel ragazzo sapeva ascoltare ed
era interessato a quello che gli veniva raccontato, piuttosto che
ammettere che le parole le veniva via dalla bocca prima che potesse
decidere il contrario.
Si
sentiva affascinata da lui, dal suo modo di fare ed essere. Dal suo
lato da genio incompreso chiuso nel suo mondo, dalla sua capacità
di non restare mai a corto di argomenti, dal fatto che nonostante
tutto anche lui amava i silenzi ma non erano mai imbarazzanti in sua
presenza. E poi la faceva ridere.
«Come
mai quella catenina?», chiese Reid, notando che la ragazza
stava giocando con la targhetta che teneva al collo.
Samantha
abbassò il capo e sospirò.
«Apparteneva
a mio padre», iniziò a spiegare con voce improvvisamente
roca.
«Oh,
mi spiace, io non dovevo...», iniziò Reid, arrossendo
impacciato per la brutta figura.
«No,
non fa niente, io voglio raccontartelo». Ed era così
dannatamente vero.
Fece
un respiro profondo.
«Come
sai, mio padre è morto quando ero ragazzina. Io sono nata a
Londra, ho vissuto lì sino ai sedici anni. Mio padre, Kyle,
era un generale dell'esercito, mia madre, Adison, era socia di
un'associazione umanitaria. Sin da bambina recitavo...», i suoi
occhi si illuminarono. «Forse è soprattutto grazie alla
recitazione che faccio questo lavoro. A quattordici anni iniziai a
recitare al Queen Theatre, un teatro londinese piuttosto importante.
I miei erano... così orgogliosi di me. Della loro bambina.»,
abbassò il capo.
«A
sedici anni, durante la prima di una nuova rappresentazione teatrale,
un uomo, un cecchino nascosto tra il pubblico, sparò un colpo
e uccise mio padre.», continuò i pugni chiusi talmente
forte da far diventare le nocche bianche. «Un
terrorista.».
Reid
trattenne leggermente il fiato.
«Mio
padre aveva tanti nemici, essendo un generale, ma mai nessuno aveva
provato a...», la voce di Samantha si arrochì.
«Comunque, mia madre era nata a Washington e dopo il funerale,
appena due settimane dopo l'omicidio di mio padre, ci siamo
trasferite qui. Io ho ripreso a recitare, a studiare con più
impegno, mi allenavo quasi quotidianamente al poligono e in difesa
personale... Sapevo cosa volevo fare della mia vita. Sono andata a
studiare a Berkley e sono tornata a D.C. per continuare la
specializzazione a Quantico e anche per mia madre, che ormai si era
ammalata. Ed ora eccomi qui.».
«Questa
targhetta», riprese, una volta resasi conto che si era aperta
sulla propria vita ma non aveva risposto alla domanda di Spencer. «Mi
ricorda ogni giorno perché faccio questo lavoro, perché
sopporto quello che vedo e faccio: è il mio portafortuna.».
Il
ragazzo la guardò.
«Crederai
che sono una stupida.», quasi ridacchiava.
«Non
è assolutamente vero, lo sai.».
Samantha
allungò istintivamente una mano e prese la destra di Reid che
era appoggiata sopra al tavolo.
«Grazie,
Spencer.».
Si
alzò pochi istanti dopo e si avvicinò alla porta, Reid
si affrettò a raggiungerla.
«Buonanotte,
Reid.», disse lei, velocemente, stampandogli un bacio a fior di
labbra su una guancia per poi uscire di corsa dalla stanza.
Poco
dopo, si udì una porta chiudersi. La sua.
Spencer
si toccò la guancia, stupito e incredulo.
Il
suo cervello, per la prima volta in vita sua, non sapeva dargli una
risposta logica a ciò che provava.
Continua...
Non
so perché non ho postato per secoli questa storia, essendo già
finita e archiviata. o.o Non chiedetemelo, quindi.
Somewhere
in my mind prometto che arriverà
presto. Almeno lo spero.
Scusatemi.
D:
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