Questa
fan-fiction partecipava al contest “Nulla
è Reale, Tutto è Lecito”,
indetto da DarkRose86, ma annullato dalla stessa per cause di forza
maggiore. Tra gli iscritti, combattuti tra la possibilità di
contattare una nuova giuria e quella di pubblicare le loro storie, io
sottoscritta cartacciabianca ho optato per la seconda;
perciò, a quasi 9 mesi di distanza dalla data
d’istituzione del contest, pubblico la mia Casus
Belli,
con protagonista uno dei personaggi più caratteristici della
saga.
Autore:
cartacciabianca
Fandom scelto: Assassin’s
Creed II
Titolo della storia:
Casus Belli
Oggetto scelto:
“Il nemico del
tuo nemico è tuo amico.”
Personaggi/pairing:
Bartolomeo d’Alviano, La Volpe, Nuovo Personaggio
Genere:
Storico, Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: Spoiler!,
What If…
Beta-Reading:
sì.
Note
dell’autore: inizialmente mi ero segnata al
Contest con la frase n°17 (Un uomo saggio disse una volta:
“Quando arrivi all’ultima pagina, chiudi il
libro.”)
Il vento della mia ispirazione ha cambiato rotta e ho deciso di
scrivere sulla frase n° 6 (Il nemico del tuo nemico
è tuo amico.)
Un innocuo tributo a Bartolomeo d’Alviano e alle sue gesta
miracolose nelle campagne romane, quando nell’inverno del
’96 – fuori dal gioco – imbraccia la
fedele Bianca per difendere i possedimenti degli Orsini attorno al lago
di Bracciano. In questa turbolenta fine del XV secolo si muovono il mio
Bartolomeo, fedele all’Ordine degli Assassini quanto alla
storia, sua moglie Bartolomea
Orsini – personaggio storico, realmente sposata con
l’Alviano fino alla sua morte – e Gilberto la
Volpe. Un ringraziamento speciale al mio beta-reader per la
pazienza nel sopportare questo genere di “pippe
storiche”.
Breve introduzione alla
storia: Anno Domini 1496. Bartolomeo d’Alviano
combatte per la causa degli Orsini contro le truppe papali di Giovanni
Borgia, che sparpaglia uomini e cannoni attorno alle due città gemelle,
Trevignano e Bracciano, minacciando la quiete del lago. Gentile
Virginio Orsini e Bartolomeo, legati dal matrimonio di
quest’ultimo con la sorella del primo, sono da poco stati
imprigionati a Castel dell’Ovo (Napoli) l’uno come
ostaggio e l’altro per una scomunica del Papa. Bartolomeo,
forse con l’appoggio del Sovrano del Golfo Ferdinando
d’Aragona, fugge dalla rocca , raduna i suoi mercenari e
dichiara battaglia a Juan Borgia, Duca de Gandia, primo cavallo della
scacchiera di Alessandro VI. Tira aria di guerra, tra Bartolomeo e la
moglie si accende un’ultima discussione, prima che
“Mea” Orsini diventi la nuova Casus Belli.
Casus Belli
(Lat. Causa della Guerra)
Rocca
di Bracciano,
10
novembre 1496
Suo
marito entrò gridando. Come sempre.
“…si
era fatto dare quattrocento cavalli, per la
Madonna! Aveva duecento fanti e otto cannoni, porco Demonio! Degli
storpi avrebbero combattuto meglio! A quelli come lui Dio la manda
buona solo perché sanno tenere una forchetta!”
Bartolomeo
d’Alviano, seguito da un timido servo,
andò a spalancare la finestra e se ne fregò
altamente del freddo invernale che fece capolino nella stanza. Si
affacciò dal balcone, tacque un breve istante e poi riprese
da dove aveva interrotto: “Si avvicina il giorno in cui
vedrò pendere la sua carcassa da una torre. Se non lo
impiccano all’Ovo,
me lo rispediscono castrato con un fiocco per
budella…”
“È
vostro cognato che elogiate con tal prestanza,
mio signore?” domandò la padrona di casa
affiancata da un’ancella.
Bartolomeo
voltò un’occhiata alle proprie spalle
inarcando un sopracciglio. Quando vide le due donne sedute al tavolino
da scacchi, scoprì di essersi tradito proprio di fronte alla
moglie, sorella a sua volta dell’uomo contro il quale si era
preso la libertà d’imprecare.
“Non
ti avevo vista, Mea”,
farfugliò dopo essersi morso la lingua. Staccandosi dal
balcone andò verso le due dame con passi lenti.
“Stavo riflettendo a voce alta, perdonami.”
“Che
gran giorno, questo”, ridacchiò la
signora Orsini. “Ricevo le lettere di Gentile e scopro che
mio marito pensa.”
Bartolomeo
avvampò.
“Credi
che io non rimpianga di essermi condannato ad una
famiglia d’incapaci?” sillabò nervoso.
“Rammenterai, spero, la fuga incresciosa di Paolo che ci
costò ben due squadre d’armi alle porte di Napoli.
Quella notte i Gonzaga li avevano presi entrambi per il collo come
polli, a lui e al Vitelli! Se tra le fila non c’avessi visto
i miei vecchi uomini, giuro che…”
“Era
un lontano settembre, Bartolomeo, e non è da
te arrampicarti sul passato.”
“No,
infatti”, tagliò l’uomo
bruscamente. “Ma quante volte sarei potuto entrare e uscire
dal porto con quei quattrocento cavalieri che Gentile ha cestinato in
due ore?! Non mi stancherò mai di ripetertelo, moglie: tuo
fratello è un idiota!”
Lei
non si scompose. La sua stirpe, si disse, non lo faceva mai.
Piuttosto approfittò del silenzio venuto a crearsi per
valutare l’idea di confessare o meno al marito le notizie
ricevuto quella mattina. Bartolomeo, nel frattempo, diede le spalle
alla sposa e tornò in balconata. Mentre il volto perdeva un
po’ del troppo colore, con un lento sguardo
catturò il paesaggio circostante e il castello innevato.
Osservò le guardie, attente a non scivolare sul ghiaccio,
passeggiare tra i merli per andare a scaldarsi per un focolare
all’altro.
“Da
quando sei tornato non mi hai parlato di molte
cose”, esordì la dama. “Anzi, non mi hai
parlato affatto”, si corresse fissando un ritratto della
parete. “C’è sempre bisogno di qualcuno
da insultare per conversare con te, Bartolomeo?”
formulò distrattamente, catturata dal volto pallido del
fanciullo raffigurato nel quadro.
L’uomo
sul balcone non mosse nessun muscolo.
“Potresti
dirmi chi ti ha fatto uscire di galera, per
cominciare.”
Dopo
essere miracolosamente evaso dalle prigioni di Castel
dell’Ovo, l’Alviano era entrato in città
qualche giorno prima, scortato da un contingente di mercenari e
vagabondi. Aveva racimolato quegli sfollati con l’intenzione
di difendere i possedimenti cari agli Orsini e salvaguardare
così l’alleanza tra gli Assassini e la famiglia
romana.
Bartolomeo
arricciò le labbra sotto ai baffi e
borbottò qualcosa d’incomprensibile, ma la donna
poté intuire comunque la risposta di suo marito.
“Non il Ferdinando, almeno non lui solo”
pronunciò la signora di Bracciano, alzandosi.
L’ancella, imitandola, le sistemò lo strascico
della gonna e stirò le pieghe del pesante vestito di calda
stoffa blu. “Mio fratello non si è dimostrato
l’abile spadaccino che avresti voluto accanto, ma ha il
nobile cuore degli Orsini e sarà sempre al fianco dei suoi
alleati.” S’interruppe aspettando una qualsiasi
reazione del marito. Cogliendo l’immobilità di
Bartolomeo, però, fu costretta ad avanzare e continuare per
sé: “Come ti ho detto, stamani ho ricevuto le
carte che i suoi carcerieri non lasciavano partire”, disse
congedando l’ancella con un gesto.
L’Alviano
si voltò e rientrò nella
stanza. “Piscia altrove, te” soffiò a
quel servetto incapace che sua moglie gli aveva messo alle calcagna,
camuffando il medesimo sorvegliante.
Il
fragile omuncolo cercò lo sguardo della padrona, che
acconsentì il suo congedo. Dopodiché marito e
moglie rimasero soli.
“Che
racconta quel cane?”
“Ha
confessato.”
“Cosa?
La sua deficienza precoce nell’impugnare una
spada?” ridacchiò l’Alviano.
“Ha
confessato di aver ceduto la propria in cambio della tua
liberazione.”
Il
sorriso isterico di Bartolomeo sfumò, mentre lui prendeva
faticosamente atto di parole tanto assurde. Dopo ch’ebbe
boccheggiato senza suono due, tre volte, l’uomo
girò i tacchi e tornò ad appoggiarsi al balcone
con entrambe le mani. Si sentì all’improvviso il
pezzo di merda più grande tra tutti quelli che aveva
insultato nella sua vita, ma non volle lo stesso dare alla moglie la
soddisfazione di avergli rivoltato lo stomaco.
“Avrà
patteggiato con i suoi ospiti per spedire
quelle missive e riconquistarsi la mia fiducia”,
spiegò con finta certezza. “Virginio ha mandato al
macello metà del nostro esercito senza averne mai davvero
fatto parte. Uomo di guerra che non fa la guerra, nascosto dietro gli
scudi dei suoi soldati bravo solo sulla
scacchiera…” rimuginò ricordando quel
pessimo guerriero che aveva perso le staffe. “Bhé,
fossero pure le sue ultime volontà, ma non mi
presenterò al funerale di un Condottiero tale solo per
nome!”
Detto
ciò, e senza depositare ulteriori parole, suo marito
tornò in battaglia. Come sempre.
Bracciano,
20
dicembre 1496
Il trafelato messaggero entrò in città dopo una
staffetta di dieci chilometri. Smontò dalla sella e corse
fino alla porta della rocca, dove le guardie, quando lo riconobbero,
gli aprirono una porticina ritagliata nel portone maggiore.
Attraversò l’ampio cortile sotto un cielo stellato
e, attento a non scivolare sul ghiaccio delle gradinate, giunse sulla
soglia degli appartamenti. Bussò e gli venne strappata dalle
mani la missiva urgente che doveva essere recapitata al Protettore di
Bracciano. Si era appena accomodato su una poltroncina imbottita,
quando fu aggredito da un uomo che lo sollevò per la
collottola.
“Cosa significa?!” sbraitò Bartolomeo
strattonando il misso. Nelle mani di Mea, comparsa dietro al marito,
giaceva il telegramma che gli occhi sorpresi della donna rileggevano
per la quarta volta.
“Trevignano è caduta. Ora il Duca de Gandia sta
disponendo i suoi lungo la costa e reclama Bracciano per conto della
Chiesa”, balbettò il messaggero coperto dal sudore
della cavalcata. Non gli era neanche stata offerta dell’acqua.
Bartolomeo sbatté l’omuncolo di nuovo seduto sulla
poltroncina. Dispose le guardie affinché Bracciano non fosse
colta di sorpresa e lasciò a sua moglie le redini della
rocca in caso di rivalsa. Poi volò fuori dalla cittadella
diretto alla caserma. Montato a cavallo, chiamò con
sé una trentina di uomini e si avviò al galoppo
verso la gemella.
Bianca non sarebbe mai stata sazia del sangue spagnolo.
* * *
Alla vigilia del Santo Natale, il vittorioso Bartolomeo che si era
ripreso Trevignano e aveva fatto scappare a gambe levate le armate
pontificie da Cerveteri, rientrò a Bracciano con tutti i
suoi trenta gloriosi mercenari. La cittadella lo accolse con qualche
ammacco nelle mura e una dozzina di cadaveri da seppellire,
perché - glielo disse la proprietaria di una locanda
– quattro cannoni di un contingente papale, nascondendosi sul
confine, avevano aggirato le balaustre e attaccato la rocca, in sua
assenza, due notti prima.
Bartolomeo si separò dagli uomini che facevano baldoria
nella locanda e corse fino alle torri del castello.
L’ancella di sua moglie lo fermò nel salone delle
armi e gli comunicò il lutto.
Bartolomea Orsini, scherzosamente detta Mea per
distinguerla dal marito, era morta nello scontro a fuoco tra i cannoni
Borgia e i cannoni Orsini. La sua donna si era spenta sul Belvedere
della Sentinella mentre organizzava le truppe e dirigeva le azioni di
difesa come un uomo.
Quella sera Bartolomeo si chiuse nello studiolo privato di Gentile
senza cenare e non ne uscì fino all’indomani. Al
mattino fece spalancare le porte di Bracciano e appese al collo di un
asino un cartello con su scritto: “lasciatemi
passare perché sono un ambasciatore e reco un messaggio per
il Duca de Gandia”. In allegato, vi pose una
lettera gravida d’insulti che aveva stilato durante la notte.
Napoli,
30
gennaio 1497
Il prete concluse la litania nell’aria ghiacciata del primo
mattino. Benedisse il corpo di Gentile Orsini e si ritirò
dalla cappella prima di tutti. Quando tornò fece un breve
riepilogo della messa appena conclusa, mentre la maggior parte degli
invitati lasciava la Chiesa prima che capitolasse un nuovo acquazzone.
Bartolomeo, seduto nella panca della seconda fila destra,
immaginò di stringere la mano di sua moglie nella propria.
Guardava la salma di suo cognato e viveva il desiderio di cancellare le
ultime frasi scambiate con Mea, il disprezzo sputato sulla sua famiglia
di nobili cuori e l’odio incontrastato per un alleato fedele
come un cane al suo pastore.
“Vitellozzo e Carlo hanno umiliato le truppe papali nel
Cimino. Nonostante le perdite, siamo sempre un passo avanti ai Borgia.
Ed è tutto merito tuo, Bartolomeo.”
Con queste parole la Volpe lodava le imprese dell’Alviano
nella campagna romana. Ma Bartolomeo era ugualmente scettico che una
delicata alleanza con gli Orsini, resa ancor più fragile
dalla morte di Mea, sarebbe bastata per sopraffare i secolari avversari
degli Assassini. Mai come allora si era sentito più
sfiduciato nelle proprie e nelle capacità altrui, senza
contare la mancanza dei mezzi e dei finanziamenti per portare avanti le
colonie romane. L’Ordine stava passano un brutto periodo.
“Se Mea fosse vissuta abbastanza per vedere tutto
questo… credo che ci avrebbe rivoltato contro tutta la sua
famiglia. Non mi avrebbe mai perdonato e non se ne sarebbe mai
pentita.”
“Permettimi di trascinare in causa una delle frasi
più antiche del nostro Mondo”, cominciò
Gilberto sollevandosi il cappuccio sul volto. “Il nemico del
tuo nemico…” s’interruppe apposta.
“…è tuo amico” concluse
l’Alviano con un sospiro. Si alzò e
seguì la Volpe fuori dalla Chiesa, ove, per assistere al
funerale di Gentile Virginio, si erano confusi ai numerosi membri della
famiglia Orsini dei totali sconosciuti. Suo cognato era morto nelle
carceri, avvelenato, e tra gli ospiti della cerimonia Bartolomeo
riconobbe, camuffati da paesani, i suoi assassini: tre spagnoli.
Gilberto si accorse dello sguardo imbestialito dell’amico
giusto in tempo. Lo prese per la cappa e lo trascinò dietro
la chiesa. Si fermarono a parlare nel quadriportico, mentre la salma
partiva su un carro e i cari la seguivano in carrozza.
“Nessuno rivolterà niente contro nessuno,
Bartolomeo”, disse Gilberto stringendo una spalla al fratello
Assassino. “Gli Orsini che conosciamo noi combattono questa
guerra contro i Borgia da molto più tempo e sanno bene che
non possono vincerla da soli, perciò ci penseranno due volte
prima di ripudiare alleati. In quanto alla tua Bartolomea…
mi dispiace che sia andata così, ma il suo sacrificio, come
quello di ognuno di noi, sarà valsa la
libertà.”
Prima di separarsi, si chiesero l’un l’altro che ne
sarebbe stato di loro.
La Volpe disse di avere le zampe
nelle peggio paste di Firenze. Era arrivato in città un
certo monaco domenicano, detto Savonarola, che la gilda dei Ladri stava
tenendo d’occhio già da un po’. Si
sarebbe occupato della faccenda personalmente, ma avrebbe coltivato la
speranza che Ezio tornasse a fargli visita.
Bartolomeo avrebbe presenziato a Roma al fianco di Giorgio di
Santacroce per saldare delle convenevoli, ma momentanee, trattative di
pace con il Papa. Poi il vento sarebbe cambiato, ne era certo, e
l’avrebbe spinto a Firenze per rimettere Piero
de’Medici sul trono della città. Lui e la Volpe si
sarebbero rivisti in quell’occasione.
THE
END
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