Monster;
Dedicata a Simply, che ha amato
Lei forse più di me.
E ti ringrazio
così, con una modifica e un nuovo episodio,
sperando di non aver
tradito l'idea di Lei che ti eri fatta.
Symphony
of Destruction
Correva
ancora la preda dell'oscurità, senza rendersi conto che
così facendo incrementava solamente la sete del
cacciatore.
La
scia del suo profumo succulento era facile da seguire, in un posto
come quello, che il cacciatore conosceva come le proprie tasche.
Un
bosco di notte è forse il posto peggiore per fuggire.
Un
bosco di notte è forse il posto peggiore per dimenticare.
Ma
il cacciatore, per quanto potesse apparire mostruoso, con i denti
aguzzi e la fame di un cibo che il suo corpo non avrebbe potuto
ingerire, sapeva quanto si stesse illudendo.
Per
quanto il sangue di una preda potesse essere analgesico ed
anestetizzante non faceva dimenticare davvero.
Non
lo aveva fatto per centoquarantacinque anni, e continuava a non farlo.
Soprattutto
da quando quella voce contuava a ricordargli quanto dimenticare fosse
impossibile, soprattutto attraverso il sangue di persone innocenti.
Eppure, nonostante la coscienza gli urlasse di interrompersi, il
cacciatore voleva ancora sentire la sinfonia di una
vita spezzata, per
l'ennesima ultima volta e adesso,
con i canini affondati nel collo purpureo
di una ragazzina di diciassette anni, con il sangue dolce, puro, e
delizioso, lui non faceva che ricordare.
E
ricordare, risvegliava quella voce, che si materializzava magicamente
nella propria testa.
Un
ritmo martellante, come quello del cuore della giovane che ora, solo
dopo il secondo sorso, andava affievolendosi.
Si
staccò dunque dal collo della propria preda,il cacciatore,
il senso di colpa ad
attanagliarlo.
Ma
non per la ragazza in se', che ora stava manipolando con la mente, e
che si stava lentamente riprendendo dallo shock subito.
Il
senso di colpa era per la voce, quella che da un po' di tempo lo faceva
rinsavire dal suo essere mostruoso.
Si
ripulì la bocca con il dorso della mano, il cacciatore,
camminando avanti ed indietro davanti allo sguardo non più
atterrito della ragazza.
"Hai
intenzione di uccidermi." La voce della allettante preda dai capelli
ricci richiamò la sua attenzione.
Non
era stata una domanda, la sua. Inclinò la testa nella notte,
Damon Salvatore, di fronte ad una frase che non si sarebbe aspettato.
Di
solito lo dicevano con atonia, e non lo dicevano e basta, ma lo
chiedevano, come se lui all'improvviso potesse decidere di smettere di
essere ciò che era. Lo
chiedevano come se a lui potesse importare di qualcosa.
A
lui che era senza cuore, senza anima, senza vita.
La
ragazza sanguinava ancora dal collo, ma lievemente, niente di
eccessivamente traumatico.
Lui
aveva
bisogno di distrarsi un po', e la riccia gli era sembrata adatta
ad un tipo di distrazione che non fosse puramente fisico. E forse ci
aveva preso. "La
rassegnazione non è molto saporita", commentò il
suo carnefice, guardandola di sbieco.
Sapeva
benissimo cosa lui fosse ancor prima che le ordinasse di correre.
Sapeva
benissimo cosa le sarebbe accaduto ancor prima di incontrare i suoi
canini.
Sapeva
benissimo cosa non le sarebbe accaduto: salvarsi.
"Non
ho paura di te."
Damon
si avvicinò alla ragazza: aveva dei lineamenti piacevoli,
era formosa, non una di quelle anoressiche che sanno solo di alcool e
droga, insomma. Lei
sapeva di cibo.
Di vino pregiato, invecchiato. Di bourbon di
ottima qualità.
E
per Damon Salvatore quella era una qualità niente male.
"Forse dovrei fartela provare, allora."
Ma
la ragazza provò comunque a stare al suo gioco, ormai era
spacciata. E dopotutto, era pervasa dalla sensazione di conoscere
quell'individuo della notte. "Forse
potresti scegliere un'altra cena."
Il
cacciatore ghignò. "Forse dovrei ordinarti di tacere."
"Forse
dovresti semplicemente uccidermi e smetterla di giocare al gatto
e al topo. Non sarei in grado di correre oltre", commentò la
giovane tossendo e posando le mani sulle ginocchia. Il non muoversi le
bloccava i piedi, non tutto il corpo.
Lui
le si precipitò davanti in un millesimo di secondo, o forse
anche meno, non seppe dirlo con certezza. "Avresti dovuto tenerti in
forma, allora." Disse lui alzandole il viso per il mento usando solo
due dita. "Senti, se devi mangiarmi abbi almeno la gentilezza di non
commentare il mio stato fisico", rispose lei guardando a
forza
gli occhi cerulei di lui.
Vi
lesse un po' di tutto, dalla fame, alla rabbia, alla frustrazione, a
qualcosa che non seppe nemmeno lei decifrare. "Ma probabilmente
é più facile criticare me che farlo con te
stesso."
Cosa
impedì a Damon Salvatore di uccidere quella ragazza, in
quell'esatto momento, fu forse quella frase.
Quella
frase che gli ricordava quella voce, quelle labbra a pronunciarla,
quegli occhi a mimarla.
Quella
frase che gli ricordava Elena.
Se
si trovava lì era a causa sua, di Elena. Perché
il
dubbio, l'incertezza, la fragilità dei suoi sentimenti verso
di
lui lo rendevano pazzo.
Perché
lei, in fondo, non poteva amarlo. Eppure in ogni gesto,
in ogni schiaffo, in ogni frecciatina, in ogni sguardo furente, Damon
vedeva un riflesso di ciò che provava lui nei suoi
confronti.
Elena,
quell'aroma agrodolce che penetra nelle narici, fino a rimanere
intrappolato sottopelle, sempre presente.
Costante
assenza che lo riporta sempre alla sua umanità perduta, alla
sua
vita perduta.
"Come
ti chiami?" Chiese lui, cercando di non domandarsi se in quel
momento Elena gli stesse pensando, se si stesse chiedendo chi sarebbe
morto per mano sua. "Davvero
ti importa?" Damon
sorrise, mordendosi un polso, ancora indeciso sul da farsi. Voleva
farla guarire, ma non voleva trasformarla. Voleva
berla, ma non voleva ucciderla.
"A
dire la verità no. Ma era così, tanto per fare
conversazione."
La
ragazza dai capelli castano rossicci sospirò. Il collo le
doleva terribilmente. Le gambe le dolevano terribilmente. Il fiato era
troppo corto.
Odiava
il suo corpo e quello che il vampiro -ancora stentava a
crederci- le aveva fatto. "Sono Arwen. E sì, mi hanno
chiamato
così per l'elfa del Signore degli Anelli. E sì,
dispiace
anche a me di non somigliarle fisicamente." Incrociò le
braccia
al petto, Arwen, scocciata. "Mi fa male tutto."
Damon
le fu di fronte, e si rese conto che gli occhi della ragazza
dovevano essere verdi, ma non verde bottiglia, di un verde sporco,
impuro.
"Vuoi
che ti uccida?" Chiese, accarezzandole una guancia morbida, intenerito
da quella ragazza così spigolosa.
Arwen
ci pensò su. Era in fuga anche prima di incontrare il
vampiro, anche se al momento le risultava faticoso ricordare in quali
circostanze l'incontro fosse avvenuto.
Era
in fuga da un luogo che voleva troppo da lei, un luogo che la avrebbe
solo portata all'auto-distruzione.
E
grazie a quella cosa strana che lui le aveva detto prima, e che lei
riteneva come la propria verità, non voleva muoversi da
lì; non voleva scappare, ma nemmeno restare. Voleva
che tutto terminasse, ma non era certa che fosse perchè
non volesse morire. La sua vita non era poi questo gran ché,
e forse la morte sarebbe stata utile. Indecisa, si convinse a rigirare
la frittata: aveva la sensazione di conoscere quel vampiro da sempre,
dall'infanzia che le era stata rubata troppo precocemente, e questo la
portava a fidarsi più di un assassino che si se' stessa.
"Non
voglio sentire dolore, e voglio che finisca questa cosa. Ma la
morte...sul fatto di morire non lo so. Dovresti saperlo tu, se vuoi
uccidermi o no." Ma
Damon in realtà era nuovamente di fronte allo stesso
dilemma. Ucciderla o non ucciderla?
Sentiva
il suo profumo, aveva il suo sapore sulle labbra, non poteva vivere
senza nutrirsi di lei.
La
voce tornò prepotente, ricordandogli che c'era un altro
modo,
che poteva cambiare, che
poteva essere quell'uomo migliore, Damon.
In
realtà, ciò a cui non poteva rinunciare, non era
il sangue umano.
Era
Elena.
Era
la consapevolezza di non poter essere in un certo modo a spingerlo
a comportarsi come sempre, perchè se avesse provato ma
avesse
fallito sarebbe stato orribile.
Perché
se solo avesse dato la prova definitiva alla ragazza che
lui era quell'uomo migliore, forse lei lo avrebbe amato, e lui avrebbe
ottenuto un pizzico di quella felicità che da un secolo e
mezzo
agognava.
Ma
è sempre stato un po' masochista, Damon, fin da piccolo.
E
infatti si era innamorato sempre della donna sbagliata, perché
in fondo amava soffrire e amava ancor di più
rinchiudersi dentro una gabbia di solitudine che
non
sopportava. Arwen
lo guardava ancora con quell'aria innocente, e lui aveva deciso.
Le
pupille si contrassero, e lei fu soggetta nuovamente al suo volere.
Elena
tornava da casa Salvatore, dopo una seratina romantica con Stefan
che era finita col litigare riguardo la dieta del fratello, cosa che
accadeva ormai sempre più di frequente. Una strana
sensazione
l'aveva attanagliata quando ai limitari del bosco aveva notato una
macchina con i fari accesi e nessuno dentro. Una forza, un legame la
spinse a rallentare esaminando la situazione: tutto di quel luogo le
puzzava di pericolo all'eucalipto. Era
come se l'aura pericolosa di Damon avesse lasciato una traccia, era
come se qualcuno la stesse chiamando.
Un
brivido la percorse, quando si rese conto di invidiare -in parte-
quella preda (certamente una ragazzina).
Ed
accostò, Elena, afferrò dalla borsa la pistola
con dei
proiettili alla verbena o qualcosa di simile che le
aveva dato Stefan e si avviò dentro il bosco seguendo la
scia di una conoscenza onirica non ben definita.
Stefan
le aveva spiegato in lungo e in largo come funzionasse e come lui e
Alaric l'avessero costruita, ma Elena si accorse presto di non
ricordare
assolutamente nulla di quella conversazione. Era
stata per tutta la serata assente finché non si era parlato
di lui, il mostro che ora -nel mezzo del bosco- stava al centro di una
radura, tenendo per le spalle una ragazza che stava immobile a fissarlo.
Damon.
Damon.
Damon.
Aveva
sperato che lui la percepisse, e la smettesse di fare quello che stava
facendo.
Poteva
immaginare le sue mani sporche di sangue.
Poteva
immaginare le sue labbra sporche di sangue.
Poteva
immaginare il suo vampiro svegliarsi, uccidendo l'uomo.
Poteva
immaginare il suo piano assassino prendere forma.
E
mentre premeva il grilletto di quell'arma sconosciuta che non lo
avrebbe ucciso, sentì un altro tassello del loro
rapporto
sgretolarsi.
Ma
avrebbe salvato la ragazza.
Perché
Elena non avrebbe sopportato vederlo uccidere nuovamente, non sapendo
quanto a lui
costasse poi guardarla negli occhi.
E
non avrebbe rinunciato ai suoi occhi nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Damon
aveva sentito un battito cardiaco avvicinarsi, e dei passi, un respiro,
e un profumo a lui ben noti.
Ma
doveva finire ciò che aveva cominciato, e così,
nonostante lo scoppio, aveva terminato la sua opera.
Poi
aveva sentito un urlo, un urlo di Elena, e poi dolore.
Prima
era stato solo un foro, poi qualcosa gli si era aperto dentro,
lasciando che un liquido bruciante gli si diffondesse direttamente
nelle vene.
Verbena.
Elena. Arwen. Verbena.
Elena.
I
suoi pensieri erano confusi, ed ora lui ed Arwen urlavano insieme e lui
si
contorceva, aspettando che il bruciore si fermasse mentre il veleno
continuava a diffondersi, facendo ardere ogni sua terminazione nervosa. E
poi ad urlare fu Elena, che vide la ragazza
abbassarsi verso Damon, come se non le avesse mai fatto del male. La
luce della luna splendeva su di loro.
"Vattene,
Arwen. Prima che cambi idea." Grugnì contorcendosi il
vampiro, ma guardandola fissa negli occhi. Le pupille gli si strinsero
di nuovo, e lei andò via, scivolando lontana da quel luogo
di distruzione.
Elena
corse da Damon senza esitazione, lanciando uno sguardo furtivo a quella
ragazza. Qualcosa di lei le parlò di loro due, e fu scossa
per un attimo da una stranza sensazione. "Potrai
mai dimenticare quello che ho appena fatto?"
Elena
aveva lasciato cadere la pistola fumante chissà dove,
prendendo il corpo del vampiro fra le braccia e cullandolo.
Non
ricordava che Stefan le avesse detto che avrebbe fatto così
male ad un vampiro.
Non
ricordava che Stefan le avesse detto nulla.
Anzi,
non ricordava affatto Stefan.
"Potremo
mai fuggire da questa situazione?"
Soffiò
il vampiro, lasciandosi cullare, mentre una strana sensazione lo
avvolse, e capì che forse un rapporto per iniziare deve
prima distruggersi.
Elena
si abbassò sul volto di lui, baciandolo con ardore, sentendo
forse un retrogusto di sangue nella sua bocca.
Ma
un bosco di notte è forse il posto peggiore per fuggire.
Un
bosco di notte è forse il posto peggiore per dimenticare.
Angolo
"Autrice":
Rieccomi
con una nuova creazione,
sperando che vi sia piaciuta (:
In
tutta onestà ho solo modificato la Shot pre-esistente, per
adeguarla al "seguito" (che chissà se sarò in
grado di protrarre xD) che troverete fra poco. Non molto letta ed
apprezzata, l'ho riadattata e semplificata, cambiando leggermente lo
stile e le parole usate.
Il titolo è quello di una canzone dei Nightwish, "Symphony
of Destruction", e ogni capitolo avrà il titolo di una
canzone.
Scusate
se sono incredibilmente prolissa, non lo faccio
volontariamente: sono le parole che vengono fuori in questo modo! xD
Simply,
è tutto merito tuo. Ho peggiorato la situazione? O
è carina comunque? Dovevo modificarla un po', sai, causa di
forza maggiore...
Per ora l'ispirazione c'è, e il seguito anche, quindi...beh,
spero davvero che vi piaccia.
Arwen è la mia piccola creatura, non distruggetela, please (:
Consigli, critiche, insulti...sono tutti comunque graditi, davvero!
Commentate, dai! So che in fondo in fondo lo volete... (o
almeno lo spero xD).
Bene, detto ciò, ci rileggiamo (WTF?! xD) presto!
Il titolo del prossimo capitolo è "Angels Falls First",
canzone e album ancora dei Nightwish.
Spero di ritrovarvi "numerosi" (:
-Alexys-
P.S.:Simply, piaciuta la cioccolata? xD
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