Villa
Varia’s
Experiments}
Villa
Varia -Italia - un’ afosa giornata estiva
Tutti sapevano che era meglio tenersi
alla larga dalla squadra di assassini scelti della famiglia Vongola,
anche se qualche incauto sventurato che tenta di sfidare la sorte
c’è sempre.
Ma
quello che nessuno sapeva,o si immaginava, che se lasciati a riposo
potevano diventare un pericolo pubblico peggiore del solito e quel giorno
uno di loro ne avrebbe subito le conseguenze.
Villa Varia era
stranamente tranquilla quel giorno.
Non si sentivano,
come solitamente accade, le indignate urla da soprano di uno spadaccino
usato impropriamente come bersaglio per il lancio del bicchiere,
né le inquietanti risatine di un principe fissato con i suoi
coltelli e gli spargimenti di sangue.
Conoscendo gli
inquilini, quel silenzio aveva un che di preoccupante, ma la
spiegazione era molto più semplice di quel che si poteva
pensare e non comprendeva nessun tragico scenario. Molto semplicemente,
anche i migliori combattenti non possono fare nulla contro la calura
estiva…o meglio, quasi tutti.
Infatti,
nonostante tutto, c’era qualcuno che aveva la forza e la
voglia di architettare loschi piani a danno dei propri compagni.
D’altronde bisognerà pur trovare un modo per far
passare il tempo, come ad esempio fare ikebana, far esplodere
accidentalmente la cucina per aver mischiato sostanze adatte
più a un laboratorio chimico che alla zona cottura, darsi
all’allevamento di anatre cannibali…
Ma stiamo
divagando.
Tornando ai
nostri complottatori, che altri non sono che Lussuria e Bel, avevano
appena deciso l’identità della loro nuova vittima.
L’anno
precedente era toccato a Levi, con il “piccolo” incidente della cucina,
anche se in teoria l’intenzione era quella di eliminare gli
orrendi mustacchi di Levi (ma che invece sopravvissero) e non era
previsto che saltasse in aria tutta la stanza. Cosa che era
costata innumerevoli insulti e altrettanti colpi di pistola da parte
del boss che li aveva poi costretti tutti a ricostruire la cucina.
Da
quell’esperienza trassero due conclusioni: la prima, i
mustacchi di Levi sono a prova di esplosione chimica e molto
probabilmente anche nucleare, e la seconda, se volevano conservare la
pellaccia era meglio non giocare più ai
piccoli chimici.
Per questo
avevano deciso di tenere , per cosi dire, un “ basso
profilo” e il ruolo della vittima quest’anno
sarebbe toccato a Squalo.
Il compagno in
questione, del tutto ignaro di quello che gli sarebbe capitato, si
stava occupando della manutenzione della sua spada nella
tranquillità del piccolo dojo della villa, quando venne
colto alla sprovvista da un colpo ben assestato alla nuca che lo fece
crollare sul pavimento in legno.
L’ultima
cosa che vide prima di perdere i sensi furono i ghigni poco
raccomandabili di Lussuria e Bel.
Caricatosi in
spalla lo spadaccino svenuto –si, tramortirlo era parte essenziale del piano – i
due si diressero verso la stanza di Lussuria dove si trovava tutto il
necessario. Tra l’altro l’ingrato compito di
trasportare quel peso morto che rispondeva al nome di Squalo
– e i cui capelli al momento stavano ramazzando il pavimento,
che ne aveva decisamente bisogno – era toccato a Lussuria
dopo che Bel si era rifiutato sostenendo che “
i principi non fanno i facchini“.
Dopo aver
attraversato il giardino che collegava il dojo alla villa, notarono con
sollievo che l’albino non dava segni di ripresa, cosa che, se
fosse successa prima del dovuto, avrebbe decretato la loro dipartita.
Squalo li avrebbe senza dubbio ammazzati, non importa se al momento
fosse disarmato: un modo lo avrebbe trovato di certo. Sempre se prima
fossero sopravvissuti all’onda d’urto provocata
dalle sue fin troppo dotate corde vocali. Di sicuro, se non
avesse intrapeso la via della spada avrebbe sfondato nel mondo della
musica lirica.
Ad un certo punto
Bel avvistò Fran dall’altra parte del salone che
stavano attraversando e per richiamare la sua attenzione gli
lanciò contro un paio di coltelli accompagnati da
un’ordine
invito: “Vieni Rana! Ci sarà da divertirsi ushishishi~!
“
***
Squalo si risvegliò annaspando.
Qualcuno gli aveva gettato addosso dell’acqua con
l’intenzione di svegliarlo anche se la quantità
usata faceva pensare più a un tentato omicidio per
annegamento.
Ebbe solo il tempo di accorgersi che non si trovava più
seduto sul pavimento in legno del dojo ma sdraiato su una superficie
molto morbida, con tutta probabilità un letto, quando venne
investito da una brusca domanda ma dalla voce familiare: ”Che
diavolo ci fai nella mia stanza, per di più conciato in
quella maniera?” a cui seguirono, entrando nel suo campo
visivo, un paio di occhi rossi altrettanto familiari.
Ancora mezzo tramortito per la botta alla testa , si alzò a
sedere ascoltando solo la metà di quello che il boss andava
dicendo e gli borbottò in risposta un “me lo
chiedo anch’io”anche se non capiva cosa non andasse
bene nella sua solita divisa.
All’improvviso si ricordò chi l’aveva
tramortito e che, molto probabilmente, lo aveva scaricato li
chissà per quale assurdo motivo.
Si alzò di scattò dal letto urlando rabbioso e
con l’intenzione di marciare fuori dalla stanza in cerca di
vendetta, quindi non si accorse subito di quello che stava realmente
indossando.
Ma quando sentì il freddo del pavimento in marmo sotto i
piedi nudi – nudi? quei disgraziati gli avevano pure fregato
gli stivali! – fu costretto ad abbassare lo sguardo
e constatare che quello che stava indossando non era decisamente la sua
solita divisa.
“ VOOOOOI! Ma io quei due li ammazzooo!”
I due in questione dopo averlo tramortito, avevano fatto sparire i suoi
abiti per sostituirli con un kimono di foggia indubbiamente femminile,
blu scuro mentre l’obi legato in vita era di un verde
sgargiante.
Ma non era finita qui.
Evidentemente non ancora soddisfatti, i nostri due stilisti mancati gli
avevano raccolto i capelli in una lunga treccia legata con un nastro in
tinta col kimono.
Se prima reclamava “solo” vendetta, adesso era
passato alla triade massacri-sangue-e-distruzione, e, con
l’intenzione di mettere in atto i suoi propositi omicidi, si
avviò spedito verso la porta…che non raggiunse
mai perchè dopo pochi passi venne bloccato da qualcosa che
tirava a livello della nuca.
Era Xansus che dopo aver afferrato l’estremità
della treccia, la tirava verso di sé come se fosse una fune
costringendo cosi il suo sottoposto a seguirne il movimento ed
arretrare, se non voleva rimetterci lo scalpo.
Quando l’intera lunghezza della treccia fu arrotolata intorno
alla sua mano e la sua schiena gli aderiva quasi al petto, diede un
leggero strattone alla base dei capelli – come per avere una
presa più salda – e si
abbassò a mormorargli all’orecchio: “
Credi che ti lascerò andare in giro vestito cosi, sotto gli
occhi di tutti gli altri?” Dopo di ché con la mano
rimasta libera gli afferrò il mento facendo così
voltare il viso verso di lui e come un predatore, si avventò
sulle sue labbra e dopo avergli liberato i capelli, scostò
un lembo del kimono suggendo e marchiando quella pelle nivea che man
mano veniva alla luce.
***
I nostri complottatori, che fino a quel momento avevano origliato
dietro la porta per udire le reazioni al loro malefico piano, rimasero
di sale – e anche Fran per una volta diede segno di essere in
possesso di muscoli facciali che consentivano espressioni diverse dal
suo solito atteggiamento apatico – quando le urla di rabbia
si trasformarono in urla di tutt’altro
genere. Si allontanarono, sperando che il loro compagno
avrebbe dimenticato i suoi propositi omicidi nei loro confronti visto
che al momento era alquanto impegnato in ben altre attività,
e lo sarebbe stato per molto,
molto tempo.
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