L'ira di un Dio

di _ Lilac _
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L'ira di un Dio



Impugnava la katana del fratello con presa forte, come se potesse scappare via.
 Fermo, fissavo la sua altrettanta immobilità.
 Già da diversi minuti perdurava questa situazione. Lei era lì dentro, non fisicamente, ma spiritualmente: la sua anima stava lottando, finalmente era giunto il suo momento.
 E io la osservavo, ogni minimo dettaglio, mai avrei potuto perdere la sua performance, come lei non aveva perso la mia, quella volta.
 Ritornai a quel giorno di inizio anno. Volti nuovi varcavano l'ingresso della DWMA ed io ero lì, pronto per il mio spettaccolo. Tutti avrebbero compreso e riconosciuto la mia grandezza, pari quasi a quella di un dio. Che sto dicendo?! Maggiore a quella di qualsiasi dio. Ero il più egocentrico del mondo, certo, ma anche il più forte.
 Eccoli, tutti lì radunati, era giunta l'ora del mio show. "Io sono Black*Star!", urlai cosicchè tutti mi sentissero dalla mia postazione sopra le loro teste. "Supererò dio! Ma non disperate, gente mediocre. E' che io sono troppo tosto per voi!", chiusi gli occhi solo un secondo, fiero delle mie parole, aspettando le loro urla di acclamazione, e l'ingresso si svuotò.
 Un moto di delusione mi invase, ma cosa potevo farci se loro comuni mortali non riuscivano a stare al passo con me? Possibile che fossi nato troppo presto per quell'epoca?
 Clap! Clap! Clap! Sentii il battere di due mani. Forte, deciso.
 Incontrai gli occhi di una ragazza mai vista prima d'ora, blu come il fondo dell'oceano, ma che irradiavano una grande gentilezza d'animo.
 Il rumore si fece più incerto quando mi avvicinai a lei, che balbettò qualche parola congratulandosi con me.
 Allora qualcuno che comprendeva il mio fare da dio c'era! Dopotutto, non erano così indietro come credevo.
 Tsubaki, occhi grandi, scuri, che mi fissavano un po' imbarazzati. Gote rosee, ampie, che rendevano apprezzabile il suo viso. Perfino le labbra erano perfette, o quasi. L'unico di cui si potesse parlare di perfezione ero io! L'illustre sottoscritto!
 Anche in quel momento, seduto di fronte a lei, la stavo osservando.
 Le avevo rivolto solo poche parole e non ero nemmeno certo che le avesse sentite. Ciò che speravo era soltanto che tornasse da me, che concludesse la sua performance da vittoriosa. Perchè lei era degna di vincere e avrebbe vinto, ne ero certo. Anche perchè un fallimento sarebbe significato la mor... No, non dovevo pensarci. Era impossibile che perdesse ed io, lì, ero pronto a sostenerla, a impedire che qualcuno potesse interromperla.
 Nessuno, uomo o bambino, fanciulla o donna, anche un animale che fosse, doveva osare disturbarla o la mia ira sarebbe ricaduta su di loro. L'ira di un Dio.
 
 




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