Daudreamers
"Fai della
vita un sogno, e di un sogno una realtà"
(Antonie de
Saint-Exupéry)
Daydreamers
Era strano come il
semplice
guardarlo sapeva renderlo sereno. Una sensazione che lui aveva
così disperatamente cercato ovunque senza mai trovarla. Era
rimasto legato dalle sue paure, dai suoi sensi di colpa, incatenato a
quell’obbligo, a quel rimorso, senza mai riuscire a
sottrarsi.
E poi aveva visto il
suo sorriso...
come ghiaccio al sole, come una palla di neve tenuta in una mano calda.
Il suo cuore era ripartito a battere lento, poi sempre più
veloce e ora, come poteva fermarlo?
Prima un amico, un
esempio,
un’altra persona a cui essere grato, prima qualcuno che aveva
fatto capire al suo senso di colpa di non avere diritto di esistere,
ché se quel vecchiaccio aveva fatto quello che aveva fatto
era
perché gli voleva bene. Era perché lui avesse una
chance,
potesse realizzare quel sogno, così lontano, così
impossibile ai più, ma che ora con lui accanto era vicino
quasi
da poterlo toccare.
E dopo era diventato
un morbido cuscino su cui dormire, una mano a cui aggrapparsi, una
bocca da sfamare non solo di cibo.
I suo occhi infantili,
la sua
risata allegra e poi la grinta che sapeva tirare fuori... il calore che
sapeva trasmettere soltanto con una parola, un gesto naturale che lui a
volte faceva fatica a ricambiare.
La sua testardaggine,
l’irrequietezza, la sua stupidità, quella fame
mostruosa
che lui segretamente si divertiva a saziare. Si divertiva a saziarlo.
Quando se lo trovava
catapultato
sulle spalle e nascondeva in un ringhio la sua gioia, quando quelle
braccia esageratamente lunghe lo avvolgevano e lo riempiva di baci
falsamente non voluti...
Aveva imparato ad
amare ogni attimo
in sua compagnia e allo stesso tempo a temerlo,
perché lo
debilitava, perché a tanto affetto lui, non era di certo
abituato. E si ritrovava così scioccamente a pensare, a
domandarsi come era riuscito quel ragazzino con un buffo cappello di
paglia sulla testa, a far di lui quello che era ora. Forse
più
forte, forse più debole, forse solo un po’
più
folle. Perché gli aveva dato la forza di credere ancora in
quel
sogno... come lui credeva nel suo.
Due sogni
così diversi ma che avevano la stessa matrice, la stessa
pazzia a guidarli.
E di notte,
quelle poche in
cui era sveglio, lo sentiva fantasticare. Lo sentiva ridere e
confessargli che come re ci si vedeva davvero bene, e a sua volta gli
confessava che quel mare, aveva sempre creduto, esistesse solo
affinché lui potesse trovarlo. E poi si dava mentalmente
dell’idiota e si nascondeva con il viso nel fumo bigio
aspettando
la solita lamentela, “perché
il fumo copre l’odore
di buono che hai addosso” .
Lo guardava mangiare
avidamente,
con le briciole sparse sulla faccia, con le mani unte che agguantavano
quasi smaniose il cosciotto di carne, con la risata alternata a qualche
colpo di tosse... era così facile vederlo strozzarsi per
ingordigia.
Magari un giorno
sarebbe cambiato,
avrebbe imparato a usare le posate, avrebbe riso senza sbracarsi come
in preda alle convulsioni, avrebbe saputo baciare senza riempirlo di
saliva in ogni dove, avrebbe capito che non era necessario dirgli ti
voglio bene ogni due per tre, perché lo sapeva
già,
avrebbe finalmente smesso di essere così idiota e quando
questo
sarebbe accaduto, lui avrebbe pregato affinché tornasse come
prima.
Perché se
non era quel capitano,
non avrebbe avuto senso che lui fosse quel cuoco.
Così
all’ ennesimo
colpo di tosse lo rimproverava e si allontanava verso i fornelli. Gli
dava le spalle e sorrideva a denti nascosti.
Lo sentiva ridere
ancora una volta e scuotendo il capo tornava a guardarlo abbuffarsi
come nessun altro.
- Ancora Sanji! -
- Agli ordini,
capitano -
E lo One Piece era
lì, accanto all’All Blue, e li stavano aspettando.
Un bacio di sogni
impossibili,
forse uno spreco di vita, eppure nella sua sconsideratezza, quella che
aveva imparato da Rufy, Sanji sapeva...
Sapeva che essere
sognatori non era poi così sbagliato.
***
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