cindy allahe
Cindy Allahe was her name.
She believed in dragons
and she loved butterflies.
Probably, if everything had been different, she would have been an artist, a painter
maybe.
And first of all, she
loved her mum. That was Allahe.
Just a little girl who
believed, after that terrible 11th semptember, that all the men are
terrible.
Is she wrong?
I
testi di storia non parlano di lei.
Non penso che mai lo faranno ma la storia di Cindy è una
delle
più tragiche, una di quelle che, spesso, non si vorrebbero
dire
ad alta voce, una di quelle che molti genitori non vorrebbero fare
ascoltare ai propri figli e forse, semplicemente, la storia di Cindy
Allahe è una storia tragica, una storia di vita.
«Ho paura, mama.»
Dalla finestra chiusa, si vide un bagliore, nel mezzo della
notte.
«Allahe, non ti preoccupare, okay?» Le sposto il
boccolo biondo dietro l'orecchio, delicatamente. «Se avrai ancora paura, vieni pure di
là, ma prova a resistere tesoro. Ti ho lasciato anche
Spaffi, visto?»
Un piccolo sorriso si aprì sul volto impaurito della bimba. «Grazie.» La madre si
alzò, raggiungendo la porta. «Mama?»
Eilen si voltò, guardando la figlia. La faceva sognare il
fatto
che la sua bambina avesse solamente paura dei temporali e non di tutto
quello che stava succedendo al di là, fuori da quella casa
colma
di fantasia e principi. In fondo, Allahe era la cosa più
bella
al mondo.
«Ma perchè i temporali sono cattivi?»
«Oh, non lo sono, cucciola mia. I temporali sono qualcosa di
splendido, credimi. Un giorno imparerai ad amarli: starai a guardarli
da una finestra come questa, immobilizzata dalla loro meraviglia. Il
mondo è cattivo, spesso, ma i temporali sono una gioia. Ci
danno
qualcosa di prezioso.»
Allahe si girò sul fianco, guardando un tuono. Chiuse gli
occhi, spiando leggermente. «Tutta
matta.» I temporali la terrorizzavano terribilmente, ma in
fondo,
cosa ci si poteva aspettare da una bimba di soli otto anni?
***
«Torno fra quattro ore, okay?»
«Va bene, mamma.»
«Ma sei sicura che starai bene?» Allahe
annuì,
decisamente esasperata. Non riusciva a capire come mai si preoccupasse
tanto. Cosa poteva succedere? Mica poteva essere rapita dagli alieni, o
almeno non pensava.
«Oh diamine, sono in ritardo.»
Si mise la giacca velocemente, prendendo le chiavi della macchina. «Allahe?
Sean viene fra un'ora per darti un'occhiata, okay? Io sono a casa fra
quattro, così pranziamo. Se hai bisogno, sai dove
chiamarmi.»
Le diede un piccolo bacio sulla fronte, come un piccolo dettaglio
d'amore. Chiuse la porta, velocemente. Un solo minuto dopo la
riaprì, guardando Allahe.
«Niente cioccolata e ti voglio bene, tesoro.»
«Anche io, mamma.» Allahe corse in
cucina, prendendo il barattolo di nutella tra le mani.
Se solo avesse saputo... Se solo avesse saputo quella
cioccolata non l'avrebbe mangiata.
***
Nessuno
era arrivato quel giorno.
Allahe aveva speso tutta la giornata leggendo un libro di Roald Dahl,
perdendosi in quelle meravigliose storie che gli leggeva sempre la sua
mamma, la sera.
Nessuno
era arrivato quel giorno.
Dov'era Sean?
Dov'era la sua mamma? Non stava dimenticando solo il pranzo, ma anche
la cena.
Con la cioccolata quasi finita e un pò di nausea a causa di
tutto quello zucchero, si addormentò, sul divano, con ancora
il
televisore spento.
***
8.40
Il suono della sveglia. Forse
sua mamma era tornata e non l'aveva voluta svegliare.
Corse più velocemente che potè al piano
superiore,
spalancando la porta della camera di sua madre, vedendo il vuoto e il
letto ancora fatto dalla mattina precedente.
Dov'era?
Dov'era la sua mamma?
Accese la televisone, quasi d'urgenza, come se lo sentisse dentro di
sè quel qualcosa di storto. Ci voleva solo mezz'ora di
macchina
da New York. Allora perchè non aveva ancora sentito il
rumore
odioso della loro vecchia macchina grigia? Perchè?!
L'unica cosa che vide veramente quel giorno fu quell'immagine, quelle
torri distrutte, devastate, quelle persone morte. Ora sapeva dov'era la sua mamma.
***
Il
respiro le mancava.
Lei capiva. Aveva sempre capito, anche quando la sua mamma le aveva
detto che papà era in cielo, saltando sulle nuvole spumose
come
la panna, insieme agli angeli. Sapevi che non c'erano nuvole come la
panna ed angeli con le ali.
Sapeva cosa significa la
morte.
Non riusciva più a respirare, camminare, fare qualsiasi
cosa.
Corse giù per le scale con estrema fretta, aprì
la porta
violentemente. Guardò la strada vuota, il silenzio, le poche
persone lontane piangenti e gridò in una maniera in cui non
aveva mai gridato, nel modo in cui, per la prima volta, conobbe la
disperazione. Grido solo: «Mamma.»
***
Camminava distrattamente, quasi senza badare a nulla: i sassi, la
terra, l'asfalto, la pioggia cadente.
«Piccola...»
sussurrò un uomo accanto a lei ma Allahe
proseguì, non guardandolo.
«Hei piccolina, stai bene?»
Alzò lo sguardo, vedendolo sfuocato, ma cogliendo qualche
dettaglio come la barba rossa e gli occhi azzurri. «Ieri mamma è andata al lavoro
e non è più tornata. Nessuno è
arrivato.»
«Il tuo papà?»
«Non ce l'ho.»
«Dove lavora la tua mamma,
piccola?» disse con la voce spenta, pronto a sentire quelle
parole.
«Alle torri gemelli. Sono cadute vero?»
«Si,
piccola. Sono cadute.»
***
Erano un anno che si trovava in quella casa insieme a tanti bambini e
qualche adulto, o forse di più.
Tutto aveva perso la sua importanza, il suo susseguirsi. Le avevano
spiegato che mamma e zio Sean erano morti in quell'attacco di
terrorismo. Non sapeva esattamente cosa era il terrorismo, ma sapeva
che era qualcosa di terribile, qualcosa di cui aver paura. Era quelli
che la spaventavano, non i temporali.
Il signore che l'aveva trovata per strada -Philip- la veniva
a
trovare due volte al mese, portandole una torta alle mele e qualche
gioccattolo. Insieme giocavano a scacchi. Era sempre stata un genio,
lei.
Oltre a Philip, non aveva nessuno. Generalmente non parlava nemmeno con
nessuno. Aveva troppo paura, Allahe.
Una notte, all'incirca un anno dopo l'incidente terroristico, c'era
stato un temporale fortissimo. Allahe lo guardava, abbracciando il suo
peluche Spaffi, vedendo in quei tuoni la sua mamma che la salutava.
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