1.
Un patto resta
sempre un patto
Era
notte fonda, e un ragazzo guardava il paesaggio di cui poteva godere
stando in
alto, sulla torre del castello. L’enorme distesa verde sotto di lui era
coperta
da un manto così scuro che, se non ci fosse stata la luna quella notte,
non
avrebbe saputo distinguere il limitare tra il parco del castello e la
Foresta
Proibita, e non avrebbe saputo dire dove finiva la distesa di alberi e
iniziava
il cielo.
I suoi
capelli biondi parevano neri quella sera, ma gli occhi color del
ghiaccio non
potevano essere confusi con quelli di nessun altro. Dietro
quell’iceberg si
nascondeva un segreto che il ragazzo mai avrebbe voluto far conoscere a
nessuno. E se si pensava che lui e la sua famiglia fossero i più
cattivi del
mondo magico, ci si sbagliava. Aveva imparato il significato della
pietà e
della compassione. Aveva imparato cosa significava essere un emarginato.
Fece un
fischio, cercando di non pensare al suo passato.
Un gufo
nero, con delle piume bianche, planò sul braccio che aveva alzato a mò
di
sostegno. Sul suo viso si dipinse un piccolo sorriso, che in realtà era
una
specie di ghigno triste. Guardò negli occhi quel gufo così mansueto,
che gli
ricambiò uno sguardo silenzioso e pieno di significato con quegli occhi
azzurri
che gli ricordavano la mamma.
- Non
preoccuparti, Oberon. Tutto andrà bene. –
Il gufo
bubolò. Si strinse a lui, quasi come se volesse abbracciarlo, e
strofinò il
volto sul collo di Scorpius. Si scambiarono un ultimo sguardo, mentre a
Scorpius si stringeva la gola per l’apprensione verso quel gufo, che,
dopo aver
aperto le ali, spiccò il volo, andando
incontro alla notte.
Il
biondino stette ad osservarlo ancora un po’, poi si chiuse nel
mantello.
Insieme al corpo voleva nascondere quelle cicatrici sul suo corpo,
nascondendo
così anche il suo segreto.
Chiunque
avrebbe dato qualsiasi cosa per scoprire il segreto di Scorpius
Hyperion
Malfoy. Nessuno ci sarebbe riuscito.
Almeno
per ora.
Scorpius
sospirò, gettò un ultimo sguardo al silenzio e alla pace che si stava
lasciando
alle spalle, e a quel gufo che ormai non si vedeva più all’orizzonte.
Inspirò
a fondo l’aria gelida della notte, e si tuffò ancora una volta nel
castello, la
sua prigione.
Un
rumore fastidioso, ma così fastidioso che non riusciva a smettere
neanche
quando James si coprì le orecchie con il cuscino su cui aveva dormito
quella
notte, lo costrinse ad aprire gli occhi.
- Ma che
palle!- sbottò lui, cercando tastoni la sveglia. Con un gesto brusco
non la
prese, ma la lasciò cadere per sbaglio a terra. Imprecò per l’ennesima
volta.
Si mise
a sedere e si scompigliò i capelli che già erano ribelli. Sbadigliò, e
non si
premurò di mettere la mano davanti alla bocca.
Il guaio
era serio. Aveva preso in mano le redini di una squadra che non aveva
più vinto
costantemente a Quidditch, lasciando il merito e la gloria ai
Serpeverde. Non
si poteva assolutamente sentire. Nonostante fosse entrato in squadra al
suo
secondo anno, e come Cercatore era stato il migliore degli ultimi
vent’anni, e
avesse preso più boccini di quanto i cercatori di Serpeverde avessero
fatto, la
squadra perdeva in mancanza di buoni Portieri e Cacciatori. Era stanco
di
vedersi sfilare per un soffio la Coppa di Quidditch dalle mani, così
aveva
costretto la squadra a riunirsi per l’allenamento fin dalle cinque del
mattino,
e l’avrebbe fatto almeno due volte a settimana, costringendoli negli
altri
giorni ad allenarsi fino a mezzanotte e, perché no, anche dopo. Peccato
che
neanche lui avesse così tanta voglia di alzarsi presto o finire tardi
con tutte
quelle sedute di allenamento.
L’unico
motivo per cui aveva deciso di non scaraventare la sveglia dalla
finestra della
stanzetta era la sua mania di competizione, e la sua smania di gloria.
Non
avrebbe lasciato che qualche altra Casa gli avesse soffiato la Coppa
ancora una
volta, quindi gli sarebbe servita ancora per un bel po’.
Lento
come un bradipo, forse anche di più, si alzò dal letto, accompagnando
quel
gesto con un altro sbadiglio. Non avrebbe dovuto restare sveglio fino a
tardi
la sera prima a fare baldoria, ma, ehi! lui era fatto così. Peccato
solo che la
sua bella ragazza corvonero, Angel Portbell, non fosse lì in quel
momento. A
lui però non era dispiaciuto, dal momento che aveva ottenuto delle
attenzioni
interessanti da un’altra ragazza niente male. Ora che ci ripensava, non
poteva
fare a meno di pensare che Isabella Serinda Malfoy fosse la ragazza più
attraente che avesse mai visto. Era perfetta, con il suo viso ovale,
gli occhi
così chiari da sembrare ghiacciati, le labbra carnose e il naso
leggermente
all’insù. Una massa di capelli morbidi e neri le ricadeva sulle spalle,
che
erano il preludio a un corpo da paura, tanto era magra e, sebbene non
fosse poi
così alta, aveva un portamento che avrebbe fatto invidia a chiunque.
Scosse
la testa. Doveva liberare la mente da quei pensieri. Lui aveva già
Angel, e
l’amava. Senza contare che ad Angel serviva protezione.
Sospirò
e si andò a fare una doccia gelata nel bagno.
Sotto il
getto d’acqua che gli massaggiava la pelle ripensò ad ogni momento
passato con
Angel, a come l’aveva conosciuta, a come era riuscita a rinnegare ogni
cosa pur
di stare con lui.
Sorrise
felice. Ben presto sarebbe riuscita a farla parlare, e così non sarebbe
stata
più schiva, neanche con lui. Il suo sorriso si allargò mentre
rimuginava su
quel piccolo particolare: sarebbe stata sua.
James
uscì dal bagno e indossò la divisa dai colori rosso e oro dei
Grifondoro.
Quanti
ricordi erano legati a quella divisa. Sospirò e uscì dalla stanza.
Scese nel
silenzio le scale che lo portavano alla sala comune, attento a non fare
rumore
per non far svegliare i compagni di Casa.
Quando
mise piede in sala comune, si stupì di trovare Isabella già pronta con
la
divisa , gli stupendi e morbidi capelli neri legati dietro la testa in
un
elegante chignon. Anche vestita sportiva aveva quel non so che di
elegante che
nessuna sarebbe riuscita ad eguagliare. Forse era tutto merito di
quegli occhi
di ghiaccio che anche il cugino aveva ereditato dal padre.
- Come
mai sei già qui?- le chiese.
Isabella
si alzò dal divano, sul quale era seduta, e gli si avvicinò. I colori
dei
Grifondoro erano perfetti su quel corpo snello e atletico tipico dei
Malfoy.
- Potrei
fare a te la stessa domanda, capitano-. Lasciò del tempo prima di
riprendere,
che riempì avvicinandosi a James per dargli un amichevole bacio sulla
guancia.
Accadeva di rado che lei si mostrasse così gentile con uno come lui,
con un
Potter, ma glielo doveva in fondo: era stato lui a volerla in squadra,
in
cambio delle sue prestazioni scolastiche. – E poi, dobbiamo parlare di
quella
pozioncina carina carina…-
- Sono
tutto orecchi- affermò James, posandole una mano su un fianco. La sua
natura di
galantuomo faceva si che non poteva resistere al fascino di una bella
donna.
- E’
quasi pronta, ma manca ancora un ingrediente-
James si
adombrò. – Cosa manca ancora? Ti ho preso tutto quello che serve!-.
Come
dimenticare quelle sere in cui l’adrenalina gli era arrivata fino ai
capelli,
il cuore in gola, e sotto i vestiti tutti gli ingredienti “presi in
prestito”
dal magazzino di pozioni.
Isabella
allargò il sorriso sghembo, così simile a quello di Scorpius da fargli
prudere
le mani. Odiava quando faceva così la saputella.
- Mancano
dei peli…pubici- aggiunse in un sussurro.
- Di
chi?- Quella faccenda iniziava a non piacergli.
- James
Sirius Potter, non essere sciocco! Ovviamente sto parlando di Wilde,
Eric
Wilde, l’ex di tua sorella Lily, o già te ne sei dimenticato?-
James
alzò gli occhi al cielo, contrariato ancora una volta da quella
pozione.
Avrebbe potuto fare una fattura a Wilde, e invece no! Aveva fatto un
patto non
con una Malfoy, ma con un diavolo.
Sospirò.
– Vedrò cosa posso fare…-
Isabella
ridacchiò. – Se riesci a convincermi, potrei provvedere io stessa-
disse,
lasciando intendere malizia nelle sue intenzioni.
James,
se fosse stato più ingenuo, sarebbe arrossito, invece ricambiò lo
stesso
sorrisetto alla fanciulla. – Non provocarmi, Malfoy, potrei non
disporre delle
mie azioni..- le sussurrò pericolosamente, afferrandole i fianchi e
avvicinandola a sé.
Isabella
lo lasciò fare, tenendo mollemente le braccia lungo i fianchi.
- E
allora vedi di procurarmi ciò che mi serve. In fondo, sto facendo un
piacere a
te-
Con
un’espressione trionfante, si voltò e si allontanò dal ragazzo,
precedendolo
verso il buco del ritratto.
- Forza,
capitano. Non vorrai mica fare tardi il tuo primo giorno di lavoro di
quest’anno-
Alchimia.
Ecco la parola che incessantemente vagava per la testa di James Hammer
in quel
momento. Sfogliava svogliatamente un libro di Storia della Magia preso
in
prestito dalla biblioteca il giorno prima, ma in quel momento non gli
interessava molto.
Alzò il
volto a guardare la candela di cera che illuminava il suo letto. Sopra
lo
spartano comodino vicino al letto c’era una foto dei ragazzi del suo
anno di
Corvonero, la sua Casa, che lo salutavano e si facevano i dispetti. Ai
piedi di
questo, una pila di libri della biblioteca di Storia della Magia
minacciava di
cadere per il poco equilibrio. Tutt’attorno al suo letto c’erano quelli
di
altri quattro ragazzi che dormivano beatamente ormai da ore. Era
rimasto il
solo a essere rimasto sveglio in quella notte.
Ciò che
aveva scoperto quell’estate era tutto per lui, come una rivelazione.
Era stato
come aver scoperto per la prima volta di essere un mago, aveva avuto le
stesse
sensazioni. Era riuscito a trasmutare delle cose con il solo volere e
il tocco
della mano. Ricordava solo di essere stato molto arrabbiato quando quel
potere
nuovo si era manifestato.
Si
guardò ancora una volta la mano destra, come ormai faceva già da più di
un
mese.
Sospirò,
chiedendosi se quel babbano si fosse ripreso. E, stranamente, il
Ministero non
era intervenuto, come invece credeva.
Tornò a
sfogliare il libro, cercando di allontanare i pensieri che non voleva
che gli
tornassero alla memoria, cercando accanitamente quel nome. Il nome del
Master.
Chi era quel Master? E dove poteva mai trovarsi? Era inevitabile che
iniziasse
a farsi delle domande. Fino a quel momento, aveva scoperto che i libri
parlavano di un solo alchimista: Nicolas Flames, ovviamente morto da
qualche
decennio, con la distruzione della pietra filosofale per opera di Harry
Potter.
In quel momento ringraziò il Capo Auror con parole un po’ colorite. Se
fosse
stato Flamel il Master, allora era nei guai. Avrebbe dovuto imparare
tutto ciò
che serviva da solo.
La sua
attenzione fu colta da una frase interessante: “Coloro che
di magia non dispongono, non si disperino giacchè neppure
il mago dei maghi ne conosceva l’esistenza. Il Master è colui che può
capire,
colui che può insegnare, colui che può guidare.”
Ancora
una volta, il Master era nominato in un altro libro di Storia della
Magia. Ma
chi mai poteva essere quel Master?
Chiuse
il libro e lesse l’autore. Era intenzionato a mandare un gufo a
chiunque avesse
anche solo accennato il Master nei propri libri. Il nome che lesse lo
colpì:
John Patrick Mason. Aveva già sentito quel nome, ma non ricordava dove.
All’improvviso
sbadigliò. Guardò l’orologio, stropicciandosi un occhio. Erano le
cinque.
Chiuse il libro e spense la luce.
E’ meglio dormire un po’.
Tra
qualche ora ho lezione con i Serpeverde, si disse. Non potè far altro che
sghignazzare. Adorava
battibeccare con Scorpius, e sapeva che anche per il biondino era lo
stesso.
Ora come non mai sentiva di essere molto simile al rampollo di casa
Malfoy.
Entrambi custodivano un segreto. Chissà se anche Scorpius avesse
scoperto di
possedere poteri non comuni neanche per i maghi.
Si
rigirò nel letto, cercando di prendere sonno, ma l’agitazione era
tanta. Era
sicuro che quei poteri fossero quelli di puri alchimisti.
Era
deciso a trovare questo Master, e per quello avrebbe mandato l’indomani
una
lettera a Mason. Se questi non gli avesse risposto, avrebbe continuato.
Eppure,
aveva già sentito questo nome.
Mentre
rimuginava a dove avesse potuto sentire quel nome, scivolò in un sonno
leggero
ma tranquillo.
Stesso
nella torre di Corvonero, mentre c’era qualcuno che si addormentava,
c’era
qualcuno che si svegliava di soprassalto.
Emma si
tirò a sedere, con il volto imperlato di sudore, muovendo a destra e a
manca lo
sguardo, in cerca di qualcosa di sbagliato in tutta quella faccenda.
Allungò
una mano e trovò il corpo di Murtagh profondamente addormentato.
Ancora
ansimante per il sonno di prima, Emma si accucciò vicino a Murtagh,
tenendosi
stretta a lui. Nel sonno Murtagh si mosse e le si allontanò.
Così
Emma, per non soffrire per quel gesto, si voltò dall’altra parte.
Inconsciamente Murtagh poteva essersi allontanato da lei, ma scacciò
via quel
pensiero, sperando che si stesse sbagliando. Murtagh non poteva
abbandonarla. Sapeva
che il suo Corvonero, in quel tempo, era molto irrequieto. Venire a
sapere che
sua sorella, Angel, era fidanzata da ormai un anno con James Potter era
stato
un duro colpo. In realtà, Murtagh non aveva mai pensato che Potter
fosse un
vero e proprio rivale, una spina nel fianco, ma erano distanti anni
luce per
“schieramento politico”, diciamo così.
Emma
chiuse gli occhi, e ripensò a tutto quello che fino a quel momento era
successo. Ripensò a quella splendida serata, in cui il cielo limpido
lasciava
guardare chiaramente tutte le stelle, che brillavano in cielo. Ripensò
a quel
bacio sognato, agognato, con Murtagh. Si rivide mentre ricambiava il
suo
sguardo fermo e deciso, e innamorato. E poi ripensò a quella volta in
cui aveva
capito il significato di tutti quei segreti da parte di lui. Era
accaduto tutto
in uno stupido Luna Park, quando ci fu un attentato da parte dei
Resistenti. Le
sembrò di rivivere quei momenti.
Il calore era tanto, e le
fiamme
mangiavano quei muri fatti di cartone. Da qualche parte fuori da quella
stupida
casa dei fantasmi, qualcuno urlava e scappava. Sopra le urla si
sentivano
incantesimi e grida straziate di chi avrebbe voluto che quell’incubo
finisse.
Lei era rinchiusa in una
stanza,
l’aria le mancava, ormai le fiamme ben presto sarebbero avvampate anche
in
quell’unica stanzetta al secondo o terzo piano. Era salita come una
matta su
tutte le scale, dato che non poteva scendere. Aveva pregato solo perché
in quel
momento credette che qualcosa o qualcuno potesse arrivare per aiutarla.
In quella stanza non era
sola. Un
uomo incappucciato, con un mantello nero, sembrava aspettarla. Era
immobile,
incurante del fumo e delle fiamme che stavano arrivando. Era come una
statua.
Emma si soffermò, tossì.
Cercava
aria, ma non la trovava. Si mise la mano sulla bocca, mentre con
l’altra
cercava tremante la bacchetta. Imprecò mentalmente perché non riusciva
a
trovarla.
L’uomo fece un passo in
avanti.
Le si rizzarono tutti i peli
dietro la nuca, mentre un brivido le percorse tutta la schiena. Si
mosse
all’indietro, ma inciampò in qualcosa e cadde.
Il legno sotto ai suoi piedi
cedette, e quella sensazione di vuoto le mise tanta di quell’adrenalina
addosso
che non riuscì a non urlare.
L’uomo si mosse repentino e
la
prese giusto in tempo. La tirò su e la strinse con forza.
Emma ormai era confusa. Era
stata
salvata da chi avrebbe volentieri ucciso gente come lei, e ora lui la
stava
stringendo come se fosse stata la cosa più preziosa e aveva rischiato
di
perderla.
Lo sentì piangere, e
all’improvviso sbiancò più di quanto non avesse fatto prima. Con una
mano alzò
lentamente il cappuccio all’uomo. Rimase paralizzata nel vedere Murtagh.
-
Tu…-. Non aveva neanche la voce per esprimere i suoi pensieri.
Era
rimasta traumatizzata.
Murtagh era un Resistente.
Prima che potesse dire
altro, o
che lui potesse aggiungere qualcosa, un altro essere incappucciato
arrivò a
cavallo di una scopa, tenendone un’altra in mano.
- Cammina, Murtagh! Dobbiamo
andare, qui crolla tutto. Abbiamo vinto! Ora dobbiamo scappare!-
Era la voce di donna, ed
Emma
immaginava chi fosse. Quando la nuova arrivata di fermò dietro Murtagh
e riuscì
a vedere, incrontrò gli occhi e lo sguardo di Emma.
Emma la sentì sospirare.
- Questa non piacerà a lui, spera che la Tassorosso
abbia abbastanza buon senso da fare quello
che le chiederà-
Detto questo, Murtagh la
fece
salire sulla scopa.
Proprio in quel momento si
sentì
un boato dietro di loro. Le fiamme avevano raggiunto il posto dove si
trovavano.
Emma tossì, e aggrappandosi a Murtagh volò con lui e la sorella Angel
fuori da
quell’inferno.
Emma
scosse la testa, allontanando quei ricordi dolorosi, e si rigirò verso
Murtagh.
Aveva un viso molto dolce quando dormiva. Sorrise piano.
Murtagh
mugulò e aprì piano gli occhi.
- Già
sveglia?- le chiese, con la voce impastata di sonno.
Emma gli
sorrise piano e scosse la testa. – Starei a dormire se non fosse che un
brutto
sogno mi ha svegliato-
Sul
voltò di Murtagh lampeggiò un’espressione preoccupata. – E‘ successo
qualcosa?-
Lei
scosse la testa. – Niente, solo un brutto sogno-. Si accucciò accanto a
lui, e
chiuse gli occhi, mentre lui la cingeva con un braccio e la tirava a sé.
La
bionda sentì il respiro di Murtagh diventare sempre più pesante. Capì
che si
era riaddormentato. Appoggiò la testa sul suo petto, e alzò lo sguardo
per
guardarlo meglio. I capelli un po’ lunghetti gli ricadevano sul
cuscino, e le
labbra carnose erano leggermente socchiuse. Il naso era perfetto in
quel viso
stupendo.
Lei
chiuse gli occhi e si crogiolò nei ricordi di lei e Murtagh fino a che
non si
addormentò.
L’ultimo
suo pensiero fu che, se non fosse stato con Murtagh quella volta in cui
lui la
salvò dalle fiamme, se non fosse stata innamorata di lui, in quel
momento non
sarebbe stata nel suo letto a riposare, ma in una tomba a dormire per
sempre.
Guardando
quei ragazzi che si destreggiavano sulle scope come caproni in mezzo a
un prato
per mangiare, James si infuriò. Sentì la rabbia crescere in lui fino a
che,
stanco di quello che aveva visto, urlò alla squadra di planare e starlo
ad
ascoltare.
Un
Cacciatore del terzo anno, un bimbetto un po’ grassoccio, quando
atterrò quasi
cadde dalla scopa. James fece finta di non vedere, chiudendo gli occhi
e tirando
un profondo respiro, per calmarsi.
- E’
chiaro che tutta l’estate, sicuri di essere in squadra, nessuno di voi
si è
dato da fare per migliorare-. Iniziò a camminare su e giù per il campo
davanti
ai suoi giocatori, osservandoli uno a uno e soffermandosi su ognuno di
loro. –
Non credete che abbia scelto voi perché facevate parte della squadra,
ma perché
nessun altro alle selezioni è stato più bravo. Spero solo che stiate
stanchi
perché è presto e il sole non è ancora alto in cielo, ma se adesso non salite in cielo e non date il meglio di
voi, giuro su quant’è vero che Voldemort è morto ucciso da papà, che vi
farò
allenare in tutte le ore in cui non state seguendo i corsi. Non vi
lascerò
nemmeno dormire se necessario!-. Fece una pausa e guardò negli occhi
uno per
uno i suoi giocatori. Uno di loro aveva fatto un passo in avanti, e
vedendo chi
fosse, un ghigno si dipinse sul suo volto. – Sì, Malfoy?-
La
ragazza allargò le labbra in un sorriso perfetto e talmente bianco che
la luce
pareva non provenire dai faretti che correvano tutt’intorno al campo,
bensì da
lei.
-
Capitano, credo che in questo modo non farai altro che mettere
sottopressione i
giocatori. Suggerisco una manovra più soft-
La
ragazza si avvicinò al capitano e si voltò a guardare gli altri. Era
l’unica
donna nella squadra, e lei sapeva anche bene perché. E allora era il
caso di
dare un incentivo a quella squadra.
- Bene,
ragazzi. Avete sentito il capitano, e io aggiungo che se non darete il
meglio
non vi lascerò assistere a me che faccio la doccia-
Il
livello di attenzione aumentò, e come dei fulmini, i ragazzi salirono
in cielo
e ripresero a giocare.
James si
voltò verso di lei, guardandola dritto negli occhi. – Stai dicendo sul
serio?-
chiese, sospettoso.
La
Grifondoro gettò la testa all’indietro e rise. – Certo che no, però
guarda
l’effetto che ha sortito la mia proposta.-
James
guardò verso il campo e vide che realmente i ragazzi si stavano
allenando come
erano soliti fare. Scosse il capo e si voltò di nuovo verso la ragazza.
- Non so
se pentirmi o meno di averti fatto entrare in squadra-
- Beh, è
il minimo che tu possa fare, visto che ho quasi preparato gratis
la pozione verso Wilde. Mi dovevi un favore, e mi hai
pagato. E poiché adoro chi comanda, ti do una mano-
Detto
questo, Bella fece un occhiolino mentre saliva sulla scopa, e dandosi
una
spinta coi piedi, planò con lo sguardo dritto sulla pluffa.
James
scosse la testa. Bella era ciò che si poteva definire una donna decisa,
che sa
cosa vuole. Un po’ invidiava chi stava con lei, anche se, a quanto
aveva
capito, in quel momento non stava con nessuno. Pareva che avesse avuto
una
storia con Edward Greengrass, un ragazzone del loro stesso anno di
Serpeverde.
Avrebbe dovuto farsi spiegare meglio.
-
Capitano, devi allenarti pure tu. La proposta vale anche per te!- gli
urlò
contro Bella, riscuotendolo dai suoi pensieri.
-
Arrivo!- le gridò di rimando, inforcando la scopa e alzandosi piano. Si
disse
che non poteva farsi distrarre così da Bella. Lui stava con Angel.
Scosse
la testa, divertito. Quella ragazza era un genio, ma non avrebbe mai
permesso a
nessuna donna di far parte della sua squadra. Era entrata solo a causa
del
patto. Sospirò tra sé. Un patto resta
sempre un patto.
~
Rupi
Spazio riservato all'autrice:
Questo capitolo nacque qualche settimana
fa, e solo dopo numerose revisioni ha visto la pubblicazione. Già vi
avviso, cari lettori, ci sto mettendo davvero molto in questa storia,
quindi non aspettatevi i capitoli molto presto dalla pubblicazione di
questo, dal momento che devono essere molto curati.
Detto ciò, vi assicuro che cercherò di abbreviare quanto più possibile
i tempi.
Fatemi sapere ciò che pensate, recensite tutti!
Un bacio.
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