Prologue
A casa, quello stesso sabato
«Cara, cosa fai
stasera? Stai ancora studiando?» Pigolò Betty
affacciandosi nella mia camera.
«No,
ho finito. Credo che andrò a fare una doccia e poi... magari
vado
a dormire, sono un po' stanca.» Che cosa pietosa. A letto
alle
nove del sabato sera. Mi facevo pena da sola. Purtroppo quella sera
Bianca aveva una cena in famiglia e non poteva muoversi da casa.
«Oh,
capisco.» Betty si ritirò con un sorriso di
circostanza.
Beh, mica poteva lamentarsi? Tutti sognano una figlia educata e docile,
una di quelle che non si ritira alle due di notte ubriaca come una
spugna. No?
Mi alzai dalla scrivania e aprii l'armadio, cercando una tuta da
mettere. No, forse avrei messo il pigiama, visto che il mio cavaliere
quella sera sarebbe stato il letto.
«Vabbè,
vedo dopo.» Presi solo le pantofole e mi diressi in bagno.
Aprii
l'acqua della doccia e preparai l'asciugamano.
«Mh-mh-mh-mh..»
Canticchiavo un motivetto a bocca chiusa, e a tempo di musica mi
sfilavo i vestiti. La maglia e i jeans finirono sulla lavatrice e
controllai la temperatura dell'acqua con le dita prima di togliere
anche la biancheria.
Magari un altro paio di
secondini per riscaldarsi ancora un po'...
«Oh, sei qui.»
La voce di Johnny per poco non mi fece cadere nella vasca dallo
spavento.
Un brivido ghiacciato mi percorse la colonna vertebrale da cima a
fondo, facendomi rizzare ogni pelo del corpo.
«Esci
subito!» Strillai, agitando le mani.
«Perché?»
Ribatté lui, facendo l'esatto opposto: entrò e
chiuse la
porta a chiave. Io dimenticavo sempre di farlo, ero abituata a essere
l'unica a usare quel bagno, perciò bastava chiudere la porta
per
avere la mia privacy.
«Perché ci
sono io in bagno, forse? Mi vedi o oltre che scemo sei pure
cieco?»
«Ti
vedo, ti vedo...» Mormorò, facendo scorrere lo
sguardo sul
mio corpo, cosa che mi provocò un'altra serie di brividi.
Nessun
ragazzo mi aveva mai vista nuda, o perlomeno svestita.
«Ma...
ma... ti sembra normale? Sto per spogliarmi, tu devi uscire
immediatamente!» Non sapevo cos'altro dire. Lui mi
ignorò
totalmente, si avvicinò al
lavandino e si specchiò. La sua espressione compiaciuta
quasi mi
fece pensare che si sarebbe fatto i complimenti da solo per lo
splendido viso. Quando ebbe finito l'esame di ogni poro,
incrociò il
mio sguardo sbigottito dal vetro. Stavo ancora aspettando una risposta.
«Ti ho vista con quel
pigiama orrendo, sai quanto mi cambia vederti nuda...»
Dovevo essere stata una serial killer nella vita precedente per essermi
meritata un fratellastro del genere. Decisi
di fare ugualmente la doccia, tanto prima o poi se ne sarebbe andato,
no? «Fai un favore all'umanità: sparati!»
Spostai la tenda sottile e colorata e la richiusi alle mie spalle.
Tolsi la biancheria con una lentezza degna di una tartaruga in fin di
vita e la appesi al gancetto che reggeva un porta oggetti. Aprimmo e chiudemmo
contemporaneamente l'acqua: io quella della doccia
e Johnny quella del lavandino. Mentre mi insaponavo, indecisa se farlo
lentamente o meno, tesi le orecchie, cercando di capire cosa diamine
stesse facendo. Alla fine glielo
chiesi.
«Sto aspettando che tu finisca per aprire la tenda e vederti
tutta nuda e bagnata. Poi deciderò se abusare di te o meno.»
Lo disse con un tono così serio che rischiai di affogarmi
con l'acqua
che mi scorreva sul viso. Allargai la tenda e cacciai la testa fuori. Stavo per domandargli
di ripetere quando vidi che stava ridendo.
«Credi davvero che
possa farlo?» Mi prese in giro.
«No, perché
non saresti così... così... cattivo.»
Balbettai, incerta.
Lui smise di passarsi la lametta sul viso e mi corresse: «Sbagliato.
Perché mi attizzi come un rapanello pallido.»
Schiusi appena le labbra dalla sorpresa, poi strinsi gli occhi. «E
tu come un iguana del Malawi!» Risposi, con una smorfia
disgustata. Ci guardammo in cagnesco per l'ultima volta e io ripresi a
docciarmi, lavando via tutto il bagnoschiuma alla vaniglia.
«Mi passi
l'asciugamano?» Gli dissi una volta ripulita per bene. «È sul
mobile accanto a te.»
Sentii i suoi passi sul pavimento e vidi l'ombra che si avvicinava alla
tenda.
«Allunga la mano e non
ti azzardare ad aprire la tenda.»
«Non ci tengo, te l'ho
detto.» Aprii la tenda quel poco che bastava per prendere
l'asciugamano e tirarlo dentro la doccia.
«Sì,
come no.» Replicai, e lui non disse nulla. L'ombra
restò
davanti alla doccia per qualche istante, poi tornò davanti
allo
specchio. Fanatico
narcisista.
Mi avvolsi nella spugna bianca e uscii, bagnando appena il pavimento di
mattonelle azzurre. Misi il piede sul tappeto e asciugai le gocce
d'acqua.
«Stasera
esci con me.» La buttò lì
così, come se
avesse detto che di lì a poco avrebbe piovuto. Alzai lo
sguardo
e incrociai il suo per un attimo, poi lui tornò ad
aggiustarsi i
capelli.
«È un
ordine? Una minaccia? Un suggerimento?»
Strinsi l'asciugamano all'altezza del seno e mi avvicinai a lui. Johnny
si bagnò la punta dell'indice con l'acqua e si
portò un
capello ribelle dietro l'orecchio. Li aveva tirati indietro, fatto la
barba in modo impeccabile, e beh... l'occhio, che vuole sempre la sua
parte, era parecchio soddisfatto. Perfino il mio, che lo odiava a morte.
«Me
l'ha chiesto tuo padre, visto che non esci mai...»
Spiegò
lui, voltandosi a guardarmi. Io aggrottai la fronte, incredula.
«E si fida a mandarmi
con te? Con TE?» Non c'era bisogno di aggiungere altro, quel "te"
spiegava tutto.
«Solo
tu non ti fidi di me, ragazzina.» Disse, sfiorandomi il mento
con
due dita. Quel contatto delicato durò un nanosecondo,
dopodiché lui girò sui tacchi e uscì
dal bagno,
lasciandomi lì impalata come un baobab.
«Sì,
e ora cosa cavolo mi metto?» Pensai a voce alta, mentre
tornavo
in camera. La risposta era sul mio letto: leggings color argento e
miniabito nero con maniche a pipistrello. Oddiosanto, da dov'era
sbucata fuori quella roba? Ai piedi del letto, c'erano dei sandali neri
col tacco alto che avevo indossato una sola volta in vita mia.
«No, no, ma che roba
è questa?» Dissi alzando i leggings. Odiavo lo
stile anni ottanta.
«Preferivi
quelli rosa shocking?» Il solito impiccione, la solita
presenza
inquietante che aleggiava nella casa. Sembrava un fantasma. Un fantasma
che vedevo solo io.
«No,
preferivo dei jeans normalissimi e anonimi.» Johnny mi
scoccò un'occhiata seccata e prese il suo giubbotto di pelle
dall'armadio.
«Guarda che io sono
quasi pronto, muoviti.»
Sbuffai e infilai velocemente il mini abito e quei leggings alla C-3PO.
Impiegai circa diciotto ore per mettere i sandali, tanto ero nervosa, e
diedi due colpi di spazzola ai capelli, che fermai con una forcina su
un lato. Non mi guardai nemmeno allo specchio. Feci la mia comparsa in
salotto e
tutti si voltarono al ticchettio delle mie scarpe sulle scale.
«Wow, tesoro, sei uno
schianto!» Esclamò Betty estasiata.
«Sapevo che ti
sarebbero andati a meraviglia!»
Certo, era lei l'artefice di quel disastro. Mi sentivo nuda, dalla vita
in giù. Papà mi guardò compiaciuto e
mi
affidò senza problemi a Johnny, che non aveva ancora
proferito
parola. Ero sempre più sconvolta dal comportamento poco
paterno
di mio padre. Non era mai stato eccessivamente protettivo, certo, ma si
fidava troppo e troppo in fretta di Johnny. Betty gli aveva fatto il
lavaggio del cervello? Tutto pur di non contrariarla, vero?
«Non tornate troppo
presto!» Si raccomandò inutilmente lei,
salutandoci con la mano.
Vivevo in una famiglia di pazzi.
«Dove
andiamo?» Domandai, una volta in auto con Johnny.
«A una festa.»
«Come mai hai deciso di
portarmi con te?»
«Potevo
oppormi?» Mi guardò per un secondo e poi
tornò alla strada.
«Non aspettarti che
badi a te, ovviamente.» Disse, col sopracciglio alzato. Io
non risposi. Cosa potevo mai dire? "Ah
no? Perché sai, la verità è che non
conosco
nessuno e non sono per niente abituata al tuo genere di festini!"
Mi limitai a
scuotere la testa e a pregare che quella serata passasse in fretta.
Alle dieci
meno venti eravamo sotto la casa di un tale Joe.
«Ehi
Joh! Grandissima testa di cazzo, dov'eri finito? Temevo non arrivassi
più!» Sal, il suo migliore amico col nome da salsa
messicana gli si avvicinò e si salutarono con due pacche
sulle
spalle.
«Ciao
anche a te, bellezza.» Mi prese la mano e vi
depositò un
bacio umido, che mi fece rabbrividire ma non nel senso buono della
parola.
«Ehi, aspetta, ma tu
sei sua sorella? La stronza coi mal di testa?»
Esclamò, dopo avermi osservata bene.
Guardai Johnny accigliata. Ah, era così che mi definiva? Ma
bravo!
«Sì,
sono io. E se non ti levi dalle palle la stronza la faccio per
davvero.» Gli passai avanti e mi diressi in casa, dove la
musica
assordante rimbombava sulle pareti. Camminavo distrattamente facendomi
spazio tra la gente quando mi sentii
afferrare per il polso. Johnny mi tirò a sé poco
delicatamente.
«Non salire di sopra e
non rispondere a chi ti dovesse fare qualche proposta strana, e
soprattutto...»
«...non
fare la stronza? È questo che volevi dirmi? Beh, mi
dispiace,
purtroppo ce l'ho scritto nel DNA, così come la
predisposizione
per i mal di testa e l'odio viscerale per i bastardi come
te!»
Strattonai il braccio e mi girai dal lato opposto.
«Vaffanculo, Iz!»
Ce ne andammo ognuno per la sua strada. Un tizio con un vassoio mi mise
davanti un bicchiere contenente un liquido colorato. L'odore pungente
mi fece arricciare il naso ma lo provai, per ripicca - quale ripicca?
-, e lo scolai tutto
in un sorso, tossendo subito dopo. Mi pulii la bocca col dorso della
mano e cercai un angolino tranquillo.
Fui fortemente tentata di salire di sopra, dove tutto sembrava calmo e
silenzioso, ma le parole di Johnny mi rimbombavano nella testa e decisi
di lasciar perdere. Ovunque
mi girassi, coppiette mal assortite si baciavano volgarmente, le loro
mani scorrevano lascive sui reciproci corpi, riempiendo le stanze di
gemiti strozzati e nomi strascicati dai loro stessi sospiri.
«Oh,
oh, oh. Guardate chi c'è... la sorellina di
Casanova.» Mi
sentii afferrare per la spalla e fui costretta a voltarmi. Riconobbi il
proprietario di quella voce e desiderai un altro bicchiere di quella
robaccia azzurrina.
«Oh,
oh, oh. Big Foot.» Il soprannome che gli aveva dato Johnny mi
piaceva. Nonostante la notevole differenza d'aspetto con la creatura
leggendaria, i modi barbari da scimmione e il neurone solitario li
rendevano pressoché identici.
«Come mai ti ha
lasciata sola? Non ha paura che qualcuno abusi di te?» Poi
rise sguaiatamente.
«No,
certo che no! Quello se ne fotte altamente di te! L'ho visto
slinguazzare con una stangona nella stanza accanto... povera piccola
Martins.» Provò a consolarmi con una pacca sulla
spalla che
schivai prontamente.
«Non
è per te questo ambiente, angioletto... tu non saresti
capace
nemmeno di bere un bicchiere di birra.» Rise, insieme ai suoi
amici. Il tizio coi cocktail passò di nuovo. Lo fermai
bruscamente e presi un bicchiere.
«Alla tua salute,
imbecille.» Dissi e ne bevvi velocemente il contenuto. La
gola bruciava da morire ma non tossii.
Kevin e i ragazzi sorrisero e forse mi videro sotto una luce diversa.
Non diedi loro il tempo di replicare. Col bicchiere in mano, mi avviai
nella stanza adiacente.
I Take That cantavano una canzone a me familiare e attorno a me
qualcuno cercava di ballare in modo convincente, per far colpo sugli
altri. In un angolo, notai la chioma scura di Johnny che, come aveva
detto Kevin, stava baciando una bionda dalle gambe chilometriche. Si
può dire che non fossi molto lucida.
Mandai giù un altro bicchiere, stavolta di un liquido
ambrato, e mi diressi a passo spedito e un po' traballante verso
Johnny. Risi da sola pensando a ciò che avrei
detto.
«Ehi, Joh!»
Gli arrivai alle spalle e richiamai la sua attenzione con una
spintarella sul braccio. Lui mi
ignorò sulle prime, poi al mio secondo tentativo si
staccò dalla Barbie e mi fulminò. Non
gli diedi il tempo di parlare.
«Oh, non trovo dei bicchieri puliti, mica su questo c'hai
bevuto
tu? Non voglio beccarmi la tua mononucleosi
senza aver neanche baciato
qualcuno!» Risi e
ottenni l'effetto desiderato. Barbie "disco" guardò
Johnny scioccata e disgustata. Si portò una mano
alle labbra e poi gli stampò cinque dita sulla guancia. «Stronzo! Mi fai
schifo!» E se ne andò via correndo.
Quasi non riconobbi la risata idiota che emisi, vedendola fuggire. Con
la testa che mi girava appena, mi buttai al centro della stanza, in
mezzo a due ragazzi che ballavano, e iniziai a muovermi anch'io. Chiusi
gli occhi e seguii la musica, volteggiando col sorriso sulle labbra.
«Woo-ho,
guarda questa!» Sentii distrattamente qualche fischio e altri
ragazzi mi si accalcarono addosso, rendendo l'aria più calda
e
pesante di quanto non fosse già. Qualcuno fece una battuta e
io
mi unii alle risate generali, anche se non c'era molto da ridere. Poi
mi sentii strattonare, sballottare a destra e a sinistra e infine fui
investita da un'aria gelida che mi fece rabbrividire più
volte.
«Ma
cosa cazzo credi di fare?!» La voce di Johnny giunse attutita
alle
mie orecchie, nelle quali rimbombava ancora la musica martellante della
festa. Intorno a noi c'era silenzio, o perlomeno meno confusione.
Guardai Johnny cercando di metterlo a fuoco. Dio, non mi ero mai
sentita così intontita.
«Mi
rispondi?!» Mi scosse il braccio, rendendo ancora
più precario il mio equilibrio. «Ma sei
ubriaca?» Mormorò, quasi parlando tra
sé. Io cominciai a ridere.
«No,
non sono ubriaca!» Risi ancora e provai a tornare dentro.
Inciampai in un filo d'erba - sempre sostenendo di non essere ubriaca -
e mi preparai all'impatto col suolo con un ululato.
Johnny mi prese al volo e mi portò su una panchina poco
distante.
«Perché non
torni alla festa? Tanto lo sappiamo che non te ne frega niente se
muoio...» Biascicai, mentre lui
mi faceva stendere. Si
abbassò sui talloni per arrivare all'altezza della mia testa
e
serrò le labbra. «Stasera sei la mia palla al
piede e non
posso lasciarti morire, per quanto suoni bene l'idea.» Feci una
smorfia offesa e lui continuò.
«E
visto che hai avuto la geniale idea di sparare stronzate sul mio conto
non ho nemmeno una ragazza da cui tornare, stupida ragazzina
ubriaca.»
«Stai dicendo che ti ho
rovinato la serata?» Ripresi a ridere.
Lui non ebbe il tempo di rispondere. E io non ebbi il tempo di
avvertirlo. Ebbi solo la decenza di salvare il mini abito e la
panchina. Quindi vomitai sulle scarpe di Johnny.
Dopo una serie di imprecazioni snocciolate a voce estremamente alta,
Johnny mi tirò indietro i capelli - anzi, sarebbe il caso di
dire che mi tirò i capelli e basta - e aspettò
che
finissi di vomitare anche l'anima.
Chiese a una coppia di passanti dei fazzoletti e mi aiutò a
pulirmi la bocca. Mi stesi di nuovo e mi massaggiai il cuoio capelluto.
«Mi hai fatto
male...» Mi lamentai, con gli occhi chiusi e una smorfia
disgustata dipinta sul viso.
«Se
non abitassi a casa tua ti avrei lasciata qui da un pezzo, ne sei
consapevole?» Sbraitò mentre si puliva le scarpe
come meglio poteva.
«Che donna fortunata
che sono.»
«Ti ucciderò
appena torni sobria, ragazzina.»
«Smettila di chiamarmi
così!»
Provai a sedermi e mi spostai per non appoggiare i piedi nel vomito.
Johnny buttò l'ennesimo fazzoletto sulla panchina. Estrasse
l'ultimo dal pacchetto e provò a ripulirsi ancora gli
scarponi.
«Dovrei farteli lavare
con la lingua.» Borbottò, senza guardarmi.
«Dovresti,
sì.» Annuii, prendendolo in giro.
«Mi
vendicherò in un altro modo, non preoccuparti.» E
invece mi preoccupai, vedendo la sua espressione seria.
«Andiamo a
casa.»
Sbuffò. Mi alzai barcollante e lui mi passò un
braccio
sotto l'ascella per sostenermi. Mi depositò in auto e
tornò dentro a salutare gli amici.
«Gesù,
quanto puzzi!» Sal e gli altri lo accompagnarono alla
macchina.
Johnny gli tirò un pugno sul braccio e rise.
«Buona fortuna! Ciao,
zuccherino!» Mi salutò con la mano e io lo
ignorai.
«Non
credo che mamma e Graham siano ancora svegli, ma se lo fossero non
fermarti a parlare e fila direttamente in bagno. Se scoprono che sei
ubriaca daranno la colpa a me.» Mi impose lui, mentre metteva
in
moto.
«Ma la colpa è tua.»
Replicai, stizzita.
«Come scusa?»
«Se
non mi avessi lasciata sola e se tu e i tuoi amici non foste
così insopportabilmente stronzi ed egoisti, non sarei
ubriaca. E
comunque non
sono
ubriaca.» Incrociai le braccia al petto come una bambina di
tre anni.
«Pensa
a mamma. Pensa a mamma. Pensa a mamma.» Ripeté
Johnny per
calmarsi. Serrò le dita attorno al volante, fino a far
sbiancare
le nocche. Forse, in tempi non sospetti, sarei risultata vagamente
irritante
persino a me stessa. Lui non era da meno, però. Non potevo
assumermi tutta la colpa, cavolo.
«Sì, bravo,
pensa a mammina...» Alzai gli occhi al cielo, pregando di
arrivare in fretta.
Una volta a casa, feci come mi aveva detto, più che altro
per
evitare questioni varie. Papà e Betty si chiusero finalmente
in
camera e io potei girare tranquillamente per casa. Mangiai qualcosa e
presi un'aspirina, dopodiché andai a farmi una doccia
veloce.
In bagno c'era Johnny.
«Visto
che ti ostini a dormire da me potremmo trasformare la camera degli
ospiti in un bagno. Così non rompi più le
palle.»
Lui chiuse l'acqua della doccia e rispose a tono.
«Sei tu che hai invaso
la mia privacy adesso, Miss
Intimità!»
Osservai la sua ombra dalla tenda e pensai che si vedeva quasi tutto.
Non dovevo fare più la doccia davanti a lui, nel modo
più assoluto!
«Sì,
ma potevi anche far usare il bagno prima a me, visto che sono
ubriaca!» Replicai, con lo spazzolino da denti in bocca.
«Ma tu non sei
ubriaca.» Ecco, usava anche le mie parole contro di me! Che
bastardo.
Sputai nel lavandino e bevvi altra acqua, per sciacquare bene.
Chiudemmo l'acqua insieme.
Quel decerebrato non mi avvertì che stava per uscire. Era
proprio un vichingo senza un briciolo di pudore!
Mi voltai e per poco
non sputai per terra.
«Mo soi sc-»
Provai a dire, con l'acqua in bocca. Mi zittii o avrei vomitato di
nuovo. Aspettai qualche
secondo e lui parlò. «Puoi girarti, mi sono
coperto.»
Tornai sul lavandino e sputai tutto. Mi pulii la bocca, finalmente
fresca, e mi voltai verso di lui.
«MA
SEI SCEMO?!» Ripetei, stavolta senza liquidi a intralciarmi
la parola.
Johnny non si era coperto. Si stava semplicemente asciugando le cosce e
l'asciugamano per grazia divina gli copriva a malapena anche il resto.
Bastava
scendere un po' più giù e quel lembo di spugna
avrebbe
mostrato tutto ciò che non
volevo vedere.
«Esci fuori.»
Lo spinsi via, seminudo e buono, verso la porta. «Esci subito
fuori!»
Non so come ebbi la meglio sulla sua ovviamente superiore forza e
riuscii a chiudere la porta a chiave. Mi fermai al centro del bagno con
gli occhi sgranati, le guance in fiamme e il cuore che batteva furioso
nel petto.
Va bene, dimentichiamo
l'accaduto.
Mi spogliai in santa pace, feci la doccia e quando uscii avvolta dalla
nube di vapore mi ricordai che non avevo preso il pigiama.
Né
tantomeno la biancheria di ricambio. Mi accasciai sul bordo della
vasca, esausta. Volevo solo dormire e svegliarmi l'indomani senza
quell'idiota vicino.
«E
va bene.» Mi feci coraggio e, dopo essermi avvolta
nell'asciugamano più grande del mondo, andai in camera per
prendere il pigiama. Lui era ancora mezzo nudo, e non perse l'occasione
per starsene un po' zitto.
«Oh, no, ti si vedono i
piedi!» Commentò divertito la mia mise. «Potevi prendere un
burqua, ti avrebbe coperta meno.»
«Invece di infilarli,
potresti gentilmente affogarti con quei pantaloni?»
«Mamma mia, come sei
acida...»
«Un
altro aggettivo per la tua lunga lista.» Constatai,
lievemente
amareggiata. Non mi piaceva il fatto che si facesse un'idea
così
brutta di me, eppure non riuscivo a trattenere la lingua dal parlare in
quel modo. Mi dava troppo fastidio, e di sicuro lui non faceva del suo
meglio per evitare di provocarmi. Quando mi fui vestita mi infilai
sotto le coperte, sospirando.
«Domani
mattina non fare lo zulù come al solito. Se mi svegli ti
castro!» Lo minacciai, memore del risveglio brusco e
indesiderato
della domenica precedente dovuto ai suoi modi da elefante.
«Dopo la
serata che mi hai fatto passare è il minimo che possa fare.»
«È questa la
tua grande vendetta?»
Lui rise, beffardo. «Per chi mi hai
preso?» Ero talmente impegnata a preoccuparmi e
a interpretare quella frase che non risposi.
Si sarebbe davvero vendicato? Pensai alla gravità della
situazione.
Sì, avevo praticamente preso una pala, l'avevo infilata
nella merda e gliel'avevo tirata addosso.
Con la quantità ridicola di neuroni presenti in quella casa,
la
notizia si era probabilmente sparsa a macchia d'olio, e il livello di
merda era aumentato.
Con Kevin presente in quella casa, il livello di merda era salito alle
stelle.
Con le scarpe sporche del mio
vomito con cui era entrato in quella casa, il merdometro
era scoppiato.
Insomma, a giudicare dalla situazione, era più che
ragionevole aspettarsi una vendetta con gli interessi.
E a giudicare dal modo in cui continuavo a trattarlo, avrei dovuto
iniziare a scavarmi la fossa da sola.
Bene, salve!
Rieccomi dopo tanto tempo. Sì, lo so.
Non ho molte scuse stavolta. Ho tanto tempo ma poca ispirazione, che si
concentra su altro (come, per esempio, il gruppo
e la storia
sul vero Johnny che sto scrivendo insieme ad altre dieci ragazze.
L'avevo detto io che questo gruppo sarebbe servito a qualcosa!)
Insomma, comunque sono tornata. Sono senza linea - bastardi non
identificati hanno rubato chilometri e chilometri di cavi del telefono
- ma sto usando quei pochi mb che mi dà la Tim per
aggiornare questa storia.
Spero vi piaccia questo capitolo, perché è
ufficialmente iniziata la guerra.
Fatemi sapere cosa ne pensate (18 recensioni erano troppo belle per
essere vere, vero? ._.)
Un abbraccione,
Sara.
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