Aro e il tegamaccio etrusco
- Forse mi manca sognare, ma ricordo solo in modo vago cosa volesse
dire…-
Marcus sospirò e si immerse di nuovo nella lettura de
“I dolori del giovane Werther”. Caius, che aveva
posto per primo la domanda, passeggiava per la stanza accarezzandosi il
mento con aria interrogativa.
- Credo che il mio ultimo ricordo da umano sia stato il sangue che mi
usciva dalle ferite e la lama del gladio che mi squarciava il petto. O
anche il battito del cuore sempre più rado.-
- E non ti ricordi qualcosa di Dora, da umana?-
Caius sorrise e si voltò verso la moglie, che guardava
Sulpicia dipingere una scena primaverile con putti e ninfe.
- Potrei dirti i suoi ricci, o il modo in cui si accaldavano le sue
guance dopo la corsa…-
Le cinse le spalle e si mise a giocare con i suoi capelli.
-…ma la verità è che mi sembra
migliorare secolo dopo secolo.-
Athenodora commentò l’uscita mollandogli una
gomitata nello stomaco.
- Sei sempre così gentile, amore mio.-
- Perché? Tu mi ricordi quando ero umano? O di come eri tu?-
Dora ci pensò un attimo, attorcigliandosi una ciocca di
capelli attorno a un dito.
- Il fiatone dopo una corsa, forse. O anche il tuo odore quanto tornavi
in tenda dopo una battaglia.-
- Cioè ti manca l’ascella pezzata?-
- Possibile che non ti vada mai bene nulla?!-
Sulpicia rise di cuore, e anche Marcus inarcò appena le
labbra. Quando smise di ridere, Sulpicia tornò
all’ala candida di un putto che reggeva una cesta di frutta.
- Io sono d’accordo con Marcus: era bello svegliarsi sentendo
il fresco dell’aria del mattino, stare qualche attimo in
più sotto le coperte prima di calzare i sandali, o godersi
il fresco delle lenzuola di bucato.-
- E tu, fratello?-
Inaspettatamente fino a quel momento Aro era rimasto silenzioso. Stava
fissando un punto non meglio precisato tra la finestra e il soffitto.
- Aro, non c’è nulla che ti manchi di quando eri
umano?-
- Sì, c’è una cosa.-
Aro fece un sospiro nostalgico.
- E cosa, fratello?-
- Il tegamaccio etrusco.-
Era ormai da tre giorni che Aro andava in giro per Palazzo dei Priori
con il pensiero fisso del tegamaccio. Da una chiacchierata informale
tra fratelli era diventato affare di tutta la guardia.
- Avresti dovuto sentire le prugne, che prugne! Ti si scioglievano in
bocca che era un piacere, dolci al punto giusto, con la buccia che
opponeva una minima resistenza prima di sprigionare il suo ripieno
morbido. Eh, adesso hai voglia a trovare delle prugne con lo stesso
sapore: la frutta oggi non sa più di nulla con tutti gli
anticrittogamici e i pesticidi industriali. Quando non sono addirittura
importate dalla Spagna! Ma ti pare che il terreno spagnolo possa
sviluppare la dolcezza giusta?-
Santiago guardò il suo capo con un misto di imbarazzo e
sconcerto.
- Credo…credo di sì?-
- Per non parlare della carne! La vacca etrusca! Non ne nascono
più così tenere, la carne che cede sotto le tue
dita, il sugo corposo e pregno. Ora le allevano in batteria, le vacche!
E tutti quei mangimi malsani, non più l’erba delle
nostre dolci colline…-
- Ma quali mucche! Non mangi più una fetta di carne da
millenni.-
Aro scosse la testa e mise su un’espressione sofferente, come
se l’osservazione di Caius gli avesse trafitto il petto.
- È una questione spirituale, solo chi ha mangiato il vero
tegamaccio sa di cosa sto parlando. E l’olio! Un soffrittino
come quello della mi’ mamma se lo sognano adesso.-
Caius si portò via Santiago prima che il fratello iniziasse
a decantare i pregi delle vecchie pentole di coccio, quelle col
coperchietto traforato che faceva uscire il vapore senza disperdere
l’aroma.
Sulpicia, all’ennesima osservazione su come sua suocera (che
grazie agli Dei era sottoterra da tremila anni) sapeva trasformare un
battuto di prezzemolo e origano nella base per un tripudio di sapori e
avventure culinarie, aveva spedito il maritino a fare una passeggiata
per le vie di Volterra. Aro ciondolò svogliato tra le
botteghe di Alabastro, passò con uno sbadiglio di fronte al
museo delle torture a cui suo fratello Caius teneva
tanto…finché non sentì un odore. Il
suo odorato sopraffino e immortale fu colto da un amarcord improvviso,
e come in trance scese per la strada che arrivava alle mura.
Lì, in un’osteria con alcuni tavolini sulla
strada, vide due ragazze che mangiavano. A dirla tutta, il fatto che ci
fossero due umane di sesso femminile non fu la prima cosa che
notò: il suo cervello gli trasmise un’informazione
più simile a “su quel tavolo, mangiato da due
ragazze, c’è un autentico, perfetto,
indimenticabile tegamaccio”.
Quando le ragazze chiesero il conto, l’oste disse loro che
era già tutto pagato. Insistettero per un attimo, ma
l’uomo era convinto di ciò che diceva. Lasciarono
il locale guardando con la coda dell’occhio un uomo pallido e
bellissimo che fissava con sguardo languido il piatto di tegamaccio
etrusco davanti a sé.
Aro avvicinò il piatto al naso e inspirò
quell’aroma paradisiaco. Se Afton aveva ragione, se davvero
tutti dovevano morire, il suo paradiso sarebbe stato un posto in cui
sua madre aveva aperto un’osteria e Stefan e Vladimir non
avrebbero fatto altro che servigli mestolate di tegamaccio.
Posò il piatto dopo un ultimo, infinito, erotico assaggio
dell’aroma squisito.
Mise sul tavolo una banconota da 500 euro e riprese la strada per
Palazzo dei Priori.
Note: il tegamaccio etrusco (preparazione simile allo stracotto, con
aggiunta di prugne e zafferano) è davvero buono. Saluti da
Volterra by Dragana E OttoNoveTre, che sono sul letto a smaltire gli
effetti del piatto favorito di Aro. Sul comodino c’era, come
misterioso omaggio, un barattolo di effervescente Brioschi, digestivo.
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