Non
sapeva cosa lo avesse
svegliato. Si trovava semplicemente lì, sdraiato su un letto
che
sembrava il suo, con la bocca impastata dal sonno e gli occhi
spalancati e secchi dall'insonnia. Aveva provato a riaddormentarsi, ma
non ci era riuscito; una giornata
passata dormendo sarebbe stata migliore di una giornata in tutta quella
merda. Gli piaceva sognare. I sogni erano sempre belli, i sogni lo
trascinavano sempre lontano. Sprofondava in un oceano di
realtà e di vite che gli facevano dimenticare la
sua. A volte sognava semplicemente foreste e spiagge. Altre
volte sognava di essere diverso, di avere una vita diversa,
una vita normale. Con problemi per le ragazze, problemi per la scuola
ed una madre iperprotettiva. Si svegliava, e si ritrovava con problemi
per Whatsername, problemi per la roba ed una madre più fatta
di lui.
Sbuffò pesantemente, la stanza girava ancora vorticosamente
attorno
a lui, il vomito ribolliva ancora nella sua gola. Non era cambiato
niente dalla sera prima, solo la luce.
Serrò la bocca cercando di concentrare lì la
forza di tutti i
muscoli del suo corpo, si aggrappò alla scrivania e si
alzò
piano. Si trascinò fino al bagno, la sua immagine riflessa,
appena
visibile in quello specchio annerito di ruggine e polvere, era
già lì ad aspettarlo. Socchiuse la bocca in un
ghigno frutto dell'amore tra Ira e Disgusto, gli specchi non gli erano
mai piaciuti: distorcono la realtà, distruggono le vite e
portano le persone ad odiarsi. Odiarsi. Anche tu ti odi, sai. E' inutile
che tu faccia tanto il superiore, gli sibilava la sua
mente, o la parte razionale che ne era rimasta.
Strinse i pugni; i suoi polsi sentivano quasi la mancanza di un taglio
profondo e netto.
Non voleva ferire se stesso. Voleva solo mettere a tacere quella
fastidiosa voce così simile alla sua.
Tuffò la testa nel lavandino, sorpreso da un conato
improvviso
che sembrava senza fine; l'odore del vomito ne portava immediatamente
altro.
Non riusciva a reggersi in piedi, come se i suoi succhi gastrici
avessero distrutto tutta l'energia che si nascondeva in lui,
sciogliendola assieme al menu della sera prima, a base di kebab mal
masticato, ramen, birre e sigarette.
I contorni
si facevano sempre più sfocati, i suoi occhi prendevano in
giro
il suo ridicolo tentativo di rimanere in piedi. Alzò
distrattamente lo sguardo, il suo riflesso lo stava fissando, sorrideva
con occhi divertiti.
Non era lui, quello non era lui.
Certo, sì. Era sempre lui, occhiaie viola e livide come
bruciature nascoste da
matita ed eyeliner, barba di qualche giorno, capelli disordinati,
tatuaggi, vestiti neri e catene rugginose; ma era come se il suo volto
non rispondesse più alle sue emozioni, o piuttosto come se
lo
specchio gli mostrasse un individuo con sentimenti del tutto diversi.
Le loro espressioni sembravano le due facce della stessa
maschera, Commedia e Tragedia.
Il fischio nelle sue orecchie cresceva e cresceva.
"Beh? Che cazzo hai da ridere?" sputò, senza pensarci
troppo.
Non poteva essere altro che la solita allucinazione mattutina, un
sintomo dei postumi come un altro.
"Cazzo ho da ridere?
Ma hai visto la tua faccia?"
"Chi sei?"
"Sono quello che ti salverà."
Il sorriso era scemato fino a diventare uno sguardo gentile.
Non sapeva cosa fare.
Avrebbe voluto, avrebbe dovuto
ridere a quella risposta, ma sentiva di potersi fidare. No, non si
poteva fidare di se stesso, ma sentiva che quella di una salvezza era
una promessa, non una presa in giro.
Abbassò lo sguardo. Aprì lentamente l'acqua,
sciacquando la ceramica e bagnandosi viso e collo, cercando di
recuperare quel tanto di lucidità che bastava a vederci
chiaro.
Con l'acqua fredda, l'allucinazione se ne sarebbe dovuta andare, o
almeno sbiadire.
"Vieni." Lanciò un'occhiata allo specchio, vuoto.
Guardò alla sua sinistra; lui stesso si porgeva la mano.
"Andiamo. Vieni a vedere cosa c'è, oltre tutta questa merda."
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