Beyond
this beautiful horizon
lies a dream for you and I…
“L’ho persa, va bene?” sbottai.
“Non posso farci nulla, sono
tornata su quella stramaledetta panchina almeno 80 volte. Non
c’è da nessuna
parte!”
Dall’altra parte del ricevitore mi rispose il silenzio. Per
l’esattezza, il silenzio che precede la tempesta.
“Lizzie, era la prima cosa
che sei riuscita a scrivere in … quanto? Sei mesi? Chi
glielo dice ora al capo?
Ti mandiamo in Finlandia sperando che ti torni l’ispirazione,
ed ecco qua …
ovvio, non puoi farci nulla!”
Già… un totale disastro. A dirla proprio tutta,
la mia vita
era un totale disastro da quando avevo pubblicato il mio primo ( e
unico)
libro.
Appena un anno prima, Lizzie Michaels era la nuova promessa
dell’editoria fantasy inglese. Un solo libro era balzato in
testa alle
classifiche di vendita ed era stato tradotto in più di dieci
lingue. Un successo
mondiale che mi aveva portato in
giro per il mondo e mi aveva fatto perdere il mio fidanzato storico,
stufo di
non sapermi mai a casa.
Da quel momento… il nulla. Le pagine della mia amata
Moleskine
erano più vuote di una città fantasma, e io non
ero più riuscita a scrivere una
parola, una riga, nulla… tanto che il mio editore e il mio
agente versavano
nella più totale disperazione.
Avevo provato a chiudermi in casa, a trascorrere una
settimana in una beauty farm con Amy, la mia migliore amica, uscendone
più
stressata di prima, ma niente da fare. Nulla sembrava funzionare.
Così al mio agente, di origini finlandesi, era venuta la
brillante
idea di spedirmi nella sua casa alla periferia di Helsinki.
Probabilmente i
colori dell’autunno finlandese e la totale immersione nella
natura mi avrebbero
aiutato a ritrovare l’ispirazione perduta.
E stava iniziando a funzionare: in meno di un mese avevo
scritto il prologo del secondo volume della serie, e una bozza di una
canzone
con cui volevo partecipare a un concorso indetto dal mio gruppo
preferito, gli
Anathema. Ma tutto era andato perso insieme alla mia Moleskine, motivo
delle
urla che ora stavano arrivando dall’altra parte del
ricevitore.
Allontanai leggermente il cellulare dall’orecchio.
“Melanie,
non ti agitare, che poi stai male” ridacchiai, ricevendo in
cambio un ulteriore
innalzamento del volume della conversazione. La mia assistente, nel
giro di due
minuti, mi accusò dei seguenti “crimini”:
-
Riluttanza
nell’uso del computer: per quale
strano motivo, nel ventunesimo secolo, non potevo scrivere su un
portatile come
tutti gli scrittori che si rispettano, ostinandomi ad usare ancora dei
dannati
fogli di carta?
-
Totale
incapacità di rispettare le scadenze
-
Sociopatia
e totale insensibilità nei confronti
dei problemi altrui
Beh… di certo alla casa editrice non avevano fatto molto per
migliorare la mia sociopatia. Che poi non era vera e propria
sociopatia,
semplicemente mi trovavo bene per i fatti miei, tutto qui.
Melanie chiuse la chiamata, facendomi piombare di nuovo nel
silenzio che mi aveva accompagnato sin dal mio arrivo in Finlandia.
Avevo adorato la “mia” nuova casa sin dal momento
in cui un
taxi proveniente dall’aereoporto mi aveva depositato di
fronte a un piccolo
cancello di legno bianco.
Una volta aperto, mi trovai davanti a una casa di legno rosa
dall’aria un po’ antica, costruita su una
collinetta. La
adorai immediatamente, sembrava la casa
delle bambole che mi aveva costruito mio nonno da piccola, ma
trasferita nel
mondo reale.
La porta si aprì con un leggero cigolio. L’interno
era caldo
e accogliente. Appoggiai le valigie nell’ingresso e mi regalai qualche
minuto per esplorarla. A
destra dell’ingresso c’era una sala adibita a
biblioteca, con un camino e una
quantità di libri tale da far sgretolare per la vergogna la biblioteca del mio
quartiere a Londra. A
sinistra, invece, un salotto con dei divani bianchi dall’aria
comoda, un’immensa
cucina e una sala da pranzo.
Una scala di legno portava al piano superiore, dove c’erano
le due camere da letto. Scelsi la più piccola, con la grande finestra che
affacciava sul bosco, e
tornai giù per prendere le valigie e sistemare la mia roba.
Mi ambientai decisamente in fretta. Dormivo
benissimo, come non mi succedeva da anni,
anche se la prima sera avevo fatto un po’ fatica ad
addormentarmi per
colpa di Amy, che guardando la mia casa
dalla webcam di Skype (ebbene sì, avevo un computer e lo
sapevo usare!) l’aveva
subito bollata come “la casa perfetta per un film
dell’orrore”. Grazie
Amy, ti voglio bene anch’io.
In realtà per me quella era la casa dei sogni. Passavo molto
tempo in biblioteca, e quando il tempo lo permetteva andavo a fare
lunghe
passeggiate in riva al Baltico, fermandomi di tanto in tanto su una
panchina a
prendere degli appunti, o a guardare incantata le oche artiche o gli
scoiattoli
che sembravano popolare tutti gli alberi del quartiere.
Fu proprio durante una di queste mie peregrinazioni
solitarie che lo vidi per la prima volta. Ero seduta su una panchina
riparata
della spiaggia, la mia preferita,
e lui
camminava sulla riva a testa bassa, con le mani in tasca, totalmente
ignaro del
mondo attorno a lui. Vestito completamente di nero, emanava un fascino
che
raramente avevo visto in un uomo, ma nello stesso tempo c’era
in lui qualcosa
che tendeva a respingere chiunque fosse stato tentato di avvicinarlo.
Lo incontrai spesso durante le mie passeggiate per il
quartiere, sempre da solo e immerso nei suoi pensieri. Era diventata una figura
quasi familiare e
spesso mi sorprendevo a immaginare chi fosse, e cosa lo spingesse a
starsene
sempre così solo e pensieroso.
Mai e poi mai avrei immaginato che un simile essere sarebbe
entrato a far parte della mia vita, e soprattutto in questo
modo….
Come piccola, doverosa premessa, devo precisare la mia
assoluta venerazione per una band, gli Anathema, appunto. Quando avevo
letto
del concorso che mi avrebbe permesso di scrivere quella che poi sarebbe
diventata una loro canzone, non stavo più nella pelle.
Le mie parole cantate da Vincent Cavanagh… un sogno.
Scrissi una bozza in meno di mezz’ora, seduta sulla mia
panchina. Per uno scherzo del destino, proprio quello stesso giorno
persi la
mia Moleskine, buona parte del mio prossimo romanzo e LA canzone.
Come avevo detto a Melanie (no, non era affatto una scusa)
passai i giorni successivi a percorrere la spiaggia in lungo e in largo. Sembrava
scomparsa.
Avevo ormai perso le speranze quando, con un nuovo quaderno,
mi incamminai per raggiungere la mia panchina, sperando di riuscire a
ricordare
le parole della canzone.
Ma quella mattina, la mia panchina era occupata. Dall’uomo
misterioso, per la precisione. Non sembrò minimamente
accorgersi della mia
presenza, tutto preso com’era a leggere ….
Accidenti!
“Ehi! Quella è la mia Moleskine!” lo
apostrofai, non troppo
educatamente.
Per tutta risposta, il tipo si voltò verso di me e
alzò un
sopracciglio. Bellissimo viso, obiettivamente, per non parlare dei due
enormi
occhi verdi che ora erano puntati su di me con aria interrogativa e un
tantino
arrogante.
“Scusa?” disse, continuando a fissarmi.
Non potevo sbagliare, era la mia, senz’ombra di dubbio. Nera, con un cuore fucsia
che Sunny, la figlia
di Amy, si era divertita a dipingere sulla copertina. Non poteva essere
che la
mia.
“Quella che hai in mano, è la mia
Moleskine” precisai. Stavo
per perdere la pazienza, me lo sentivo.
Il tipo chiuse la moleskine, se la rigirò tra le mani.
“Come
fai ad esserne così sicura?” chiese beffardo .
“Potrebbe tranquillamente essere
la mia”
“Certo, ti ci vedo ad andare in giro con i cuori
fucsia…”
alzai gli occhi al cielo “Per tua informazione, quel cuore
l’ha disegnato Sunny,
la figlia della mia migliore amica.
Potresti cortesemente restituirmela,
ora?” dissi, veramente
scocciata.
“Uff…quanto parli” Sbuffò,
lanciandomi la
Moleskine tra le mani. “Tra l’altro le
storie fantasy nemmeno mi piacciono. I cuori sì,
invece.”
Si alzò dalla panchina, allontanandosi a grandi passi e
lasciandomi
lì come una deficiente, senza nemmeno la
possibilità di mandarlo a quel paese.
Avevo appena incontrato l’unico finlandese maleducato. Bene,
che culo.
Non lo vidi più per parecchio tempo.
I colori caldi
dell’autunno avevano lasciato il posto alla neve, e ormai
passavo la maggior
parte del tempo in casa, andando alla spiaggia solo per brevi
passeggiate. La
mia panchina non c’era più, sicuramente non
l’avrei rivista fino al disgelo
primaverile.
Il mio secondo romanzo era ormai oltre la metà, e avevo
anche sistemato e inviato la canzone per gli Anathema. Il risultato
sarebbe
arrivato a breve, almeno così credevo.
Ma arrivò qualcos’altro.
E arrivò un giorno di dicembre, mentre facevo la spesa al
supermercato vicino casa.
C’era la radio accesa, con il nuovo singolo di una band
locale, a cui non feci più di tanto caso, fino a quando
sentii il testo.
Era la MIA canzone, quella che avevo scritto per gli
Anathema, quella che avrebbe dovuto cantare Vincent.
Diventai verde dalla rabbia. Il tempo di chiedere alla
commessa se sapeva il nome della band, ed ero corsa a casa ad accendere
il
computer, per vedere chi fosse il plagiatore.
Non rimasi più di tanto sorpresa quando vidi due occhi verde
acqua fissarmi dallo schermo.
“Ma brutto….” Esclamai, in una versione
poco censurata.
Già, lui. Il misterioso uomo in nero, che un tempo avevo
perfino trovato affascinante. No,
ok, lo
era ancora. Peccato che il suo fascino fosse del tutto oscurato dalla
sua
supponenza, arroganza e, non ultimo, dal fatto che
si fosse indebitamente appropriato di
qualcosa di mio.
Riascoltai il singolo su Youtube. “Bleeding
hearts”.. beh, il titolo suonava bene, dovevo
dargliene
atto, io non ero stata in grado di trovarne uno. Aveva cambiato
qualcosa, ma le
parole erano indubbiamente le mie. Bella voce, bravi, ma….
Non era Vincent. E
quella canzone doveva essere per lui.
Chiusi il computer, meditando vendetta. Chiaramente Mr.
Ville Hermanni Valo abitava a Munkkiniemi, quindi non sarebbe stato
difficile
incontrarlo e dirgliene quattro.
L’occasione mi venne servita su un piatto d’argento
pochi
giorni dopo. Lo
vidi spuntare a piedi dalla
strada di fronte al supermercato, mentre uscivo con la busta della
spesa in
mano. Mi avvicinai a grandi falcate, di sicuro dovevo avere
un’aria poco
amichevole.
“Tu!” lo apostrofai . “Come ti sei
permesso di usare una MIA
canzone spacciandola per tua?”
Mi guardò come se avesse davanti un buffo, molesto animaletto.
“Di cosa stai parlando?” chiese, di nuovo con quel
dannato
sopracciglio alzato.
“Sto parlando del nuovo singolo della tua band, idiota! Bleeding hearts e bla bla bla!
L’ho
scritta io quella canzone! Pensi che sia cretina? Pensavi che non me ne
sarei
accorta? Eh?”
“E’ completamente diversa dalla tua”
puntualizzò.
Ok, non valeva nemmeno la pena di discutere, con uno così.
“Senti, quella canzone l’ho scritta per
un’altra band, che
al momento probabilmente sta lavorando sugli arrangiamenti. Quindi,
visto che
il casino l’hai combinato TU, ti consiglio di trovare una
soluzione, e anche in
fretta. Abito nella casa rosa in fondo alla via, quando penserai di
essere in
grado di parlare in modo civile, fatti vivo”.
“Per quale band?” chiese. Oh, forse ero riuscita a
farlo
scendere dal suo piedistallo dorato.
“Per gli Anathema” risposi.
Sulle sue labbra comparve un sorrisino beffardo.
“Credo che il tuo enorme problema sia risolvibile”
ridacchiò
“Vincent è un mio carissimo amico, sistemeremo
tutto. Hai detto la casa rosa,
no? Quella che sembra uscita da un film
dell’orrore?”
Alzai gli occhi al cielo. Anche lui?
“Sì, quella. Visto che la fai così
semplice, cerca di farti
vivo in fretta” e mi allontanai verso casa, arrabbiata come
non mai.
Effettivamente si fece vivo qualche giorno dopo. Ero
sprofondata nella mia poltrona preferita in biblioteca, a rileggere la
bozza
del mio romanzo, quando sentii bussare alla porta.
“Ah, sei tu” mi
scostai dalla porta
per far entrare
Ville.
“Chi pensavi che fosse, Vincent Cavanagh?”
ridacchiò.
“Molto spiritoso, continua pure a mettere il dito nella
piaga, tranquillo” sbuffai, precedendolo in biblioteca.
“E per la cronaca, se hai altre mire, ti comunico che
Vincent è fidanzato, Dawn è una donna
fantastica”.
Lo guardai con aria
di sfida. “Non me ne meraviglio affatto. Scommetto che
è anche molto
intelligente.”
Mi guardò, perplesso. “Sì…
perché?”
“Perché le donne intelligenti sanno scegliere
uomini
speciali. Non mi sorprende che tu sia single,
infatti…” dissi,
con un sorriso angelico.
“Sei sempre così velenosa?” chiese,
punto sul vivo.
“Solo con chi ruba qualcosa a cui tengo” precisai
“Sto
andando a fare un the, posso lasciarti qui o rischio che nel frattempo
copi
tutto quello che ho scritto e lo spacci per tuo?”
Alzò gli occhi al cielo. “Non
sono stronzo come credi tu, ma se vuoi ti
seguo in cucina”
“No, resta buono qui, è meglio. Preparo una tazza
di the
anche per te” sospirai.
“Al cianuro?” ridacchiò.
Risi “Sfortunatamente l’ho finito, per oggi sei
salvo!”
Quando tornai di là, lo trovai seduto sulla poltrona, a
fissare l’ombra della mia giostrina con i cuori sul soffitto.
Scossi la testa.
Davvero gli piacevano le cose a forma di cuore?
“Vuoi rubarmi anche quella?” chiesi, sorridendo.
Per la prima volta mi fece un vero sorriso, non forzato, non
da presa in giro. Un sorriso dolce, di quelli che ti aprono il cuore.
Un
sorriso che, da lui, non mi sarei mai aspettata.
“E’ carina” disse, aiutandomi a sistemare
il vassoio sul
tavolino. “Non mi stupisce che riesci a scrivere
così tanto, qui”
“Riesco a scrivere solo
qui, è diverso” precisai.
Gli raccontai brevemente il motivo che mi aveva portato lì,
e sgranò gli occhi. “Sei quella
Lizzie
Michaels?” chiese.
“In carne e ossa” risposi “ come mai
così stupito?”
“Ho letto il tuo libro” sorrise
“è stata l’unica cosa piacevole
che mi sia capitata nell’ultimo tour in America”.
Evviva la coerenza. Meno male che aveva detto che le storie
fantasy non gli piacevano…
“Quello che stavo leggendo quel giorno, sulla panchina,
era…”
Annuii. “Un pezzo del mio nuovo romanzo, sì. Dopo
quasi un
anno dal primo, ce l’ho fatta. Questo posto è
magico, a quanto pare.”
Seduti sul grande tappeto peloso davanti al camino, passammo
il pomeriggio a chiacchierare come due vecchi amici. Era una persona
piacevole,
in fondo, se mi sforzavo di dimenticare il
“piccolo” particolare della canzone
rubata.
Mi raccontò di aver avuto anche lui il mio stesso problema,
nell’ultimo anno. Dopo l’ultimo album, dalle
vendite non propriamente
brillanti, aveva seriamente pensato di mollare tutto e smettere di far
musica. Si
era chiuso in un totale isolamento, da cui in effetti non era ancora
uscito
completamente.
“Poi mi è capitata tra le mani la tua Moleskine
… sei stata
un po’ la mia musa” disse, sorridendo.
“Diciamo che la tua musa ti avrebbe volentieri dato un pugno
sul muso, quando ti ha visto mentre la leggevi!” risi.
Ville scoppiò a ridere. “Sai che mi piaci, Lizzie
Michaels?”
Rimasi un po’ interdetta.
“Sì, mi piace il fatto che dici sempre quello che
pensi,
senza curarti minimamente di compiacere gli altri”
Beh, detto da una persona che mi conosceva da così poco, era
effettivamente abbastanza spiazzante.
“Non ci sono abituato” riprese “di solito
le persone fanno
di tutto per compiacermi, dicono che ho un carattere
piuttosto… impossibile”
“Non stento a crederlo…” sorrisi.
“Ecco vedi? Le altre persone direbbero ‘ma noooo,
Ville, tu
non hai un carattere impossibile’, tu
invece…” sorrise.
Alzai le spalle. Forse anch’io avevo un carattere
impossibile, ma ero fatta così. Non ero proprio capace di
dire cose che non
pensavo.
“Ho sentito Vincent” disse, a bruciapelo.
Mi si illuminarono gli occhi. “E..?”
Sorrise dolcemente. “E… a breve lo
saprai”.
E lo seppi circa una settimana dopo, quando rientrando in
casa trovai ad attendermi una busta gialla proveniente da Parigi. All’interno, una
lettera e un cd.
Cara Lizzie,
ho parlato con Ville,
mi dispiace per quello che è successo. Non essere troppo
arrabbiata con lui, è
una persona splendida anche se… a prima vista può
sembrare un
po’ burbero!
Questo sarà il B side
del singolo degli HIM. Esatto, in collaborazione con gli
Anathema… e con te,
ovviamente.
Spero ti piaccia.
Grazie,
Vincent.
Avevo le lacrime agli occhi mentre aprivo la custodia
del cd, su sui era
scritto “Bleeding Hearts
(Lizzie’s song)”.
Ma niente al confronto
dell’effetto che mi fece ascoltare la canzone. La voce dolce, bassa e calda
di Ville si
armonizzava perfettamente con
quella sensuale e
avvolgente di Vincent. Erano
coccole per le orecchie, era perdersi in un mondo dal
quale non avrei mai voluto uscire.
Dovevo rintracciare Ville, dovevo ringraziarlo… no, calma!
Ma
io solo fino a pochi giorni prima volevo ucciderlo!
Non feci in tempo a pensarlo che suonarono alla porta. Non
poteva essere altri che lui, lo sapevo. Andai ad aprire e
istintivamente gli
saltai al collo, ringraziandolo.
Ville quasi cadde all’indietro, ma ricambiò il mio
abbraccio.
“Questa improvvisa dimostrazione d’affetto mi
preoccupa”
ridacchiò “Ho un coltello puntato dietro la
schiena o cosa?”
Risi, sciogliendo l’abbraccio anche se un po’ a
malincuore.
Dovevo ammettere che non si stava poi così male, tra le sue
braccia…
Gli dissi della lettera di Vincent, mentre lui mi ascoltava
con un sorrisetto sornione sul viso.
“Quindi? Che ne pensi?” chiese.
“Che… che non ho mai ascoltato qualcosa di
più bello, Ville.
Grazie, davvero.”
Mi guardò perplesso. “Dici
sul serio? Non vuoi più uccidermi?” rise.
Scossi la testa. “Direi che ti sei ampiamente fatto
perdonare”
“Quindi se ti chiedo di uscire con me, non mi butti fuori
dalla
porta a calci?” ridacchiò.
“Uscire con te?” chiesi, perplessa.
“No, in realtà non è un vero e proprio
appuntamento. Hai
detto di voler ascoltare il mio ultimo album, no?”
Annuii. Ero curiosa, sì. Volevo sapere il motivo
dell’insuccesso nelle vendite, Ville non mi sembrava affatto
uno che sul lavoro
prendeva le cose alla leggera… beh, a parte quando
“si ispirava” a lavori
altrui, ecco!
“Quindi andiamo a casa mia, e ti faccio sentire le canzoni
dell’album. Che ne dici?”
Casa di Ville era poco lontana dalla mia, sulla strada che
facevo di tanto di tanto quando tornavo dalla spiaggia.
Casa…beh, definirla
casa era difficile, in effetti.
“Questa…è casa tua?” chiesi,
mentre cercavo di star dietro
ai suoi passi lunghissimi. “ E poi è la mia che
sembra uscita da un film
dell’orrore?”
Ville rise. Casa sua era una torre antica, che mi aveva
anche ispirato la descrizione di un’ambientazione per il mio
romanzo. Ma non
avrei mai creduto fosse abitata… soprattutto non da lui.
“E’ anche infestata, credo”
ridacchiò “Non scendere mai in
cantina da sola, mi raccomando”.
Lo guardai con gli occhi spalancati. “Smettila di fare il
cretino, Ville, grazie!”
L’interno era piuttosto accogliente, nonostante la miriade
di cose strane sparse ovunque. La statua di una santa, tantissimi
animali
impagliati, strumenti musicali ovunque, un… eh? Un manichino
sul divano?
“Sconvolta?”
“Un pochino” risi.
Mi accomodai sul divano accanto all’inquietante manichino,
di cui mi dimenticai completamente appena Ville prese la sua chitarra
acustica.
Non mi stava facendo ascoltare un cd, era un vero e proprio concerto
privato.
E io, (oh Sommi fratelli Cavanagh, perdonatemi), che fino a
quel momento avevo venerato gli Anathema come unici e soli dei, ne
uscii
devastata.
Completamente devastata, tanto che probabilmente se qualcuno
mi avesse chiesto il mio nome nel momento in cui Ville, con un sorriso,
appoggiò la chitarra per terra, non me lo sarei ricordato.
Non era solo la sua voce, era il suo modo di cantare, era…
era lui, accidenti. Quasi quasi
preferivo quando mi faceva venire gli istinti omicidi, piuttosto.
Più tardi, aveva insistito per accompagnarmi a casa. Era la
serata più fredda da quando ero a Helsinki, non nevicava
nemmeno. Un cielo
limpidissimo sovrastava Munkkiniemi, un cielo ghiacciato.
“Se vuoi entra, faccio una cioccolata calda, almeno ti
prepari ad affrontare il ritorno a casa a -30” ridacchiai. In
quel momento, arrivò
un sms. Era Amy. “Tesoro, accendi il computer un secondo? Ti
ho mandato una
mail, è importante…”
“Mi aspetti un attimo?” dissi a Ville
“Devo leggere una
mail, arrivo subito”.
Ma non tornai in cucina. Ville, con le due tazze di
cioccolata in mano, mi
ritrovò a fissare
lo schermo del computer come ipnotizzata, con le lacrime che non
volevano
proprio saperne di restare dov’erano, ovvero
all’interno dei miei dotti
lacrimali.
“Lizzie, cosa….. ehi, che diavolo
succede?”
Gli indicai il computer. Amy
mi comunicava di aver appena ricevuto la partecipazione
di nozze di Craig, il mio ex fidanzato. Si sposava. Lui che considerava
il
matrimonio come una gabbia, che non voleva figli (da me), si sposava
perché la
sua attuale ragazza era incinta. E chiedeva ad Amy come mai la
partecipazione
destinata a me era tornata indietro. Brutto bastardo.
Non lo amavo più, non dopo che mi aveva lasciata durante uno
dei periodi più brutti della mia vita, ma capitemi: il mio
orgoglio era
profondamente ferito. Le
mie erano
lacrime di rabbia.
“Che grandissimo stronzo” commentò
Ville, con il risultato
di farmi piangere ancora di più.
On feci in tempo a dire nulla, che arrivò un altro sms,
sempre di Amy “Mi fai sapere quando l’hai letta? Ti
chiamo”
“Amy, sono
con Ville,
ho letto la mail, sono viva. Domani ti chiamo”
La risposta non tardò ad arrivare “E adesso chi
è Ville?
Cosa mi nascondi?”
Sbuffai, lanciando il cellulare sul divano.
Già, bella domanda. Chi è per me
Ville? Tirai
su col naso, dovevo avere un aspetto a dir poco terrificante, ma non me
ne
importava più di tanto.
“Scusa, non volevo che mi vedessi così”
mormorai, asciugandomi
gli occhi.
Ville mi prese la mano, attirandomi a sé in un abbraccio
dolcissimo.
“Vuoi che me ne vada?” chiese.
Scossi la testa, appoggiandomi al suo petto. No, non volevo
proprio che se ne andasse. Anzi, a dirla proprio tutta, avrei voluto
che mi
tenesse così tra le braccia per sempre.
“No… resteresti qui? Per
favore…” sussurrai.
In fondo era l’unico amico che avessi a Helsinki, anche se
fino a poco tempo prima non l’avrei mai e poi mai considerato
tale.
“Ok” disse, dandomi un bacio leggero sulla fronte.
“Ora vai
di sopra, ti lavi il viso, ti
metti il pigiama e io ti porto su la
cioccolata, ok?”
Sorrisi. Che carino… e chi l’avrebbe mai pensato?
“Devo
anche cantarti
la ninna nanna? Potrei riciclare quella che mi cantava mio padre da
piccolo”
ridacchiò, sedendosi sul letto.
Beh, diciamo che non mi avrebbe fatto schifo…
“No
grazie, basta la
cioccolata” sorrisi. “Come si chiama la ninna nanna
che ti cantava tuo padre?”
“Sininen Uni… significa sogno blu. E’
ancora una delle mie
canzoni preferite, devo fartela sentire, un giorno” disse,
accarezzandomi i
capelli. “A parte gli scherzi…come
stai?” chiese, serio.
“Bene… ho solo l’autostima a pezzi e
l’orgoglio ferito, ma
nessuno è mai morto per una cosa del genere no?”
Ville sorrise, per poi sdraiarsi accanto a me.
“Così
dicono…”
Aprii lentamente gli occhi, colpiti dalla luce del mattino.
Doveva essere piuttosto tardi, d’inverno non albeggiava mai
prima delle nove. Mi
voltai verso Ville e sorrisi. Era ancora
profondamente addormentato accanto a me, rilassato e sereno come un
bambino. Ci
eravamo addormentati abbracciati, la sera prima, mentre mi raccontava
di quello
che gli aveva combinato la sua ex, che già detestavo senza
nemmeno conoscerla. Ripensai
alle parole della lettera di Vincent:
può sembrare burbero, a prima
vista, ma è
una persona speciale. E
aveva
ragione. Ville era davvero speciale, e soprattutto… lo stava
diventando per me.
Scivolai fuori dalle coperte senza far rumore. Volevo
scendere a preparare un caffè e dovevo assolutamente
chiamare Amy, prima che
chiamasse la polizia inglese, quella finlandese e i corpi speciali per
sapere
che fine avessi fatto.
Guardai il cellulare… cinque chiamate perse, tutte di Amy. Accesi il computer, a
quest’ora doveva essere
sicuramente in ufficio, su Skype. Infatti.
Non feci nemmeno in tempo a prendere le cuffie, che arrivò
la chiamata.
“Si può sapere che fine hai fatto? E si
può sapere anche chi
è Ville?”
Scossi la testa. Altro che preoccupata per me, si stava
arrovellando il cervello per
chi capire
con chi avessi passato la serata! Decisi di stare al suo gioco.
“Ok, ma non urlare, che sta ancora dormendo”
Appunto. L’urlo di Amy mi perforò i timpani.
“E’ lì da teeee?”
“Sì, Amy, e dormiva, fino a due secondi
fa…” tentai di
abbassare la voce.
“Ok, com’è?”
Mi spuntò in faccia un sorrisino assolutamente idiota.
“E’
uno stronzo” ridacchiai “o meglio, sembra la
persona più stronza e
insopportabile del mondo, ma in realtà non lo
è… è perfino…tenero, a
volte”
“Ok, l’abbiamo persa!” rise “
ora voglio i dettagli piccanti,
però! E voglio anche sapere com’è
fisicamente!”
“Non è successo nulla, ha solo dormito con me,
visto che
ieri dopo aver letto la mail ero abbastanza sconvolta”
spiegai “Quanto a com’è
fisicamente….” Le linkai una foto “ora
però ha i capelli più lunghi, e il
pizzetto”
Silenzio. Altro urlo.
“Lizzie! Se
te lo
lasci scappare giuro che vengo lì e….”
Ma non seppi mai cosa voleva dirmi, perché un rumore alle
mie spalle m fece chiudere il laptop alla velocità della
luce.
Ville era appoggiato allo stipite della porta, maglia rosso
scuro con le maniche arrotolate, capelli legati.
Un’apparizione… se
non fosse per il sorrisino da presa per il
culo che non mi era assolutamente mancato.
“Cosa diceva la tua amica?” ridacchiò.
Oddio, da quanto era lì? Sentii le mie guance avvampare. “Ehm…”
borbottai. La complicità della sera
prima era già un lontano ricordo, sembrava.
Ville mi guardò, il sorrisino da presa per il culo si
tramutò
nel sorriso dolce che mi piaceva decisamente di più
“Hey…non volevo metterti in
imbarazzo, scusa” disse, avvicinandosi a me e sfiorandomi una
guancia con la
punta delle dita.
Lo guardai di sottecchi. Ero in imbarazzo? Accidenti, se lo
ero. Trent’anni
suonati e quando c’era
nei paraggi un uomo che mi piaceva diventavo una perfetta idiota.
“Se te lo stai chiedendo, sì…ero
lì da un po’, e sì, ho
sentito buona parte del discorso” ridacchiò.
Feci per dirgli qualcosa (insulti, per la cronaca) ma mi
appoggiò un dito sulle labbra per non farmi parlare.
“La tua amica… Amy, non ha considerato una cosa
però” disse,
facendosi ancora più vicino. “ E se fossi io a non
voler lasciarti scappare?”
Beh… considerato che non avevo voglia di fare altro sin
dalla sera prima, che altro potevo fare se non baciarlo?
Ville approfondì il bacio, per poi sorridere.
“E… com’ era
la storia che le donne intelligenti scelgono uomini
speciali?”
Alzai gli occhi al cielo. “Ville, ti ho semplicemente
baciato, non ti ho giurato amore eterno!” risi.
“Per ora…” disse con un sorrisino che
non prometteva nulla
di buono.
And
there's so many many
thoughts
when I try to go to sleep
but with you I start to feel
a sort of temporary peace…
The
End ?
Note dell'autrice:
E finalmente torno a scrivere qualcosa!
Piccola precisazione: la casa di Lizzie esiste davvero *____*
è questa meraviglia qua, che sarà mia, ho deciso!
http://i51.tinypic.com/xp0pzr.jpg Mi manca giusto un milioncino di
euro, ma sono dettagli insignificanti xD
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