Lezioni d'amore

di Floramoss
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-Cosa Stai facendo

-Cosa Stai facendo? - il piccolo Harry se ne stava immobile davanti allo scrittoio. In pigiama e con il segno del cuscino sulla guancia. I capelli sembravano uno spettacolo pirotecnico.

-Cosa ci fai in piedi? Lo sai che ore sono?- Il professor Piton lo interrogò fosco. Non lo aveva nemmeno sentito arrivare. Sbirciò oltre la scrivania. Era scalzo, ovviamente. Perché non voleva imparare le minime regole per restare in buona salute?

-Lo so che ore sono… ma mi sono svegliato e ho visto la luce accesa nello studio e mi sono chiesto perché eri ancora alzato… sei preoccupato?-

Potter era più sveglio di quello che aveva previsto il giorno del suo arrivo ad Hogwarts. Sicuramente questa sensibilità nel leggergli in faccia che sì, era terribilmente preoccupato anche se non doveva darlo a vedere, l’aveva ereditata da Lily. Da James sicuramente no, James era “tagliato giù a fette grosse”.

-Non sono preoccupato Harry-. Bugia. Ma Harry era ancora troppo piccolo per conoscere la verità. Per sapere che il Signore Oscuro stava tornando e che presto la sua vita sarebbe stata nuovamente in pericolo. Severus ne aveva parlato col Preside solo poche ore prima. -Abbiamo ragione di credere che da qualche parte Voldemort sta riunendo i suoi seguaci. Non riusciamo a capire come visto che è privo di un corpo ma è evidente che questo non gli sta impedendo di ordire nel segreto-. Gli Auror non avevano mai smesso di stare in guardia. Per fortuna. O meglio, per buona intuizione di Silente. -Dobbiamo intensificare la sorveglianza. Sebbene qui ad Hogwarts Harry Potter sia al sicuro non dobbiamo permetterci disattenzioni. Harry è affidato a te Severus e questo mi conforta ma non commettere l’errore di voler far tutto da solo se anche solo fiutassi qualcosa che non va.- Come se ci fosse stato bisogno di sottolinearlo… era cosciente della responsabilità di cui si era fatto carico.

-Harry mettiti le ciabatte. Il pavimento è di pietra e fa freddo!- Il piccolo sparì e tornò immediatamente con le ciabatte ai piedi. Quando voleva era ubbidiente, Severus si compiacque di essere riuscito a insegnargli qualcosa, ma durò solo qualche istante: Potter avrebbe dovuto dormire già da ore e non starsene ritto davanti alla sua scrivania, benché con le ciabatte! Aveva già aperto la bocca per dare l’ennesimo ordine della giornata ma qualcosa dentro di lui lo trattenne e invece che spedirlo a letto gli uscì un -Vieni qui-. Le labbra di Harry si curvarono all’insù. Si sedette sulle ginocchia del suo tutore abbandonando la schiena contro le vesti nere. Era morbido il suo Severus. Le ciabatte gli si sfilarono dai piedi, ora a penzoloni, e caddero con un tonfo sul pavimento. Severus se lo strinse un po’ a sé, avvicinò la bocca all’orecchio del bambino e tornò a parlargli, ma sussurrando. -Non mi prendi in giro Potter, lo sai che ti leggo nel pensiero-. Voleva essere una battuta ma un po’ si pentì perché gli aveva davvero letto nel pensiero qualche anno prima per vederci sofferenza e desolazione. Cacciò le immagini di casa Dursley scrollando leggermente la testa ed Harry rise: -Mi fai il solletico coi capelli!-.

-E’ successo qualcosa oggi?-. Non aveva avuto un briciolo di tempo quel giorno tra le lezioni e la riunione straordinaria con Silente e l’Ordine della Fenice. Harry sviò il discorso.

-Che cos’è lo sciroppo di lufflola?1- Guardava i fogli sparpagliati sulla scrivania del professore e vedeva che nessuno era completamente privo di segni rossi e blu.

-E’ una pozione da utilizzare in caso di insonnia persistente Potter, la studierai il terzo anno. A meno che tu non la voglia bere immediatamente-.

-Quando imparerò anch’io queste cose mi farai tutti questi segnacci?-

-Se non ti applicherai nella mia materia puoi starne certo-. Harry si voltò verso il professore e si guardarono un istante.

-Non penserai che farò favoritismi solo perché vivi qui vero? Tra l’altro per allora lo sai che raggiungerai i tuoi compagni nei dormitori della casa che ti verrà assegnata.- Harry fece il broncio.

-Non voglio.-

-Harry non puoi vivere con il tuo professore una volta che lo diventerò. Si creerebbero situazioni poco piacevoli con i tuoi compagni. E poi ti farai degli amici e vedrai che sarai tu a volere i tuoi spazi-. Harry lo guardò interrogativo. Aveva compito da poco 9 anni e Severus usava un linguaggio troppo difficile lo sapeva, lo aveva ripetuto mille volte a Silente che non era adatto a fare il tutore. -Potresti prendertene cura tu Severus. Se lo facciamo vivere ad Hogwarts ovviamente. E al momento non vedo altre soluzioni. Di sicuro non tornerà a Privet Drive-. Erano trascorsi quattro anni ma Piton se lo ricordava come fosse accaduto il giorno prima. Aveva rifiutato all’inizio. Si era opposto con tutto sé stesso. Non amava i bambini e soprattutto non amava quel bambino in particolare. Averne amato la madre non doveva per forza voler dire amare anche lui. E poi crescere un bambino di appena 5 anni e da solo? Non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare. C’era anche il problema, non secondario, che il moccioso doveva andare a scuola, rimanere comunque fra i babbani almeno fino all’età necessaria per entrare ad Hogwarts come studente. -Hai ragione Severus, non possiamo rinchiuderlo qui così anticipatamente. Dovrebbe rimanere nascosto nei tuoi appartamenti e non possiamo negargli le relazioni con i suoi coetanei.- Forse allora l’avrebbe scampata, ma si era illuso. D’accordo con alcuni Auror Silente decise che il giovane Potter avrebbe vissuto ad Hogwarts e frequentato una scuola babbana. Ci sarebbe stato sempre un mago o una strega disponibile ad accompagnarlo e ad andare a prenderlo. Avrebbero utilizzato il camino di casa Weasley per evitare al piccolo una troppo precoce esperienza di smaterializzazione. -Harry ha l’età di Ronald Weasley. Chiederemo ad Arthur di farlo inserire nella stessa classe-.

Un movimento di Harry riportò Piton al presente. -Va bene, allora visto che non hai nulla da raccontarmi e che sei ancora troppo piccolo per correggere compiti adesso torni a letto.- Severus non amava molto l’idea che Harry frequentasse la scuola babbana: era un bambino insicuro e fragile e per questo possibile vittima di quelle cattiverie che i bambini talvolta si regalano senza troppe cortesie. Ne sapeva qualcosa. Però aveva un Weasley per compagno e questo lo confortava: in quella casa superaffollata sicuramente imparavano presto a lottare per la sopravvivenza. Ma il dubbio che Harry potesse subire delle ingiustizie non lo lasciava mai. Quante cose erano cambiate in quei quattro anni.

-Severus?-. Forse il bambino si era deciso a parlare. Il mago lo lasciò continuare con una certa soddisfazione: ormai lo conosceva bene. Harry gli voltava le spalle e con le mani nervosamente sembrava voler rendere ancora più lisci i fogli degli studenti sul piano di lavoro.

-Severus posso chiamarti papà?-. Di nuovo… avevano affrontato già una volta quell’argomento e sinceramente pensava fosse chiuso. Ma era accaduto parecchio tempo prima. Il cuore di Piton saltò comunque un battito: lo scombussolava quel vocabolo rivolto proprio a lui.

-Harry ti ho detto già altre volte che io non sono tuo padre-.

-Lo so ma gli somigli-. A chi? A James Potter? Stavolta Piton sentì lo stomaco arricciarsi. Il ricordo dei Malandrini era sempre e ancora troppo recente. Lui non somigliava nemmeno lontanamente a James, per Merlino! Solo l’idea lo faceva star male. Perché Harry aveva parlato a quel modo? Non poteva confonderlo con James Potter, assolutamente no. Cercando di sfoggiare il tono più sereno possibile disse ad Harry che si sbagliava, che lui e suo padre erano molto diversi. La voce innocente del bambino gli chiarì subito l’equivoco.

-Ma io lo so che siete diversi, intendevo che tu somigli a un papà vero.-

Ok, adesso andava meglio… oh per Salazar, cosa aveva detto Potter? No, lui non si comportava come un padre ma come un tutore, c’è differenza. Il padre ama come un padre, il tutore può essere tuttalpiù affezionato… o no? Non sapendo che rispondere visto che il piccolo lo aveva decisamente spiazzato fece schioccare la lingua e annunciò per l’ennesima volta che era ora di tornare a letto. Non vedeva il musetto di Harry ma sapeva che era lì, in attesa di una risposta.

-E’ un discorso lungo da fare, meglio rimandarlo a un altro momento in cui non siamo stanchi e impegnati in faccende-. Un po’ perché lo desiderava e un po’ perché si sentiva in colpa per aver mancato la risposta, decise di portare lui stesso Harry in camera.

-Su andiamo pulce-. Dopo averlo posato a terra lo risollevò senza sforzo ed Harry si allacciò a lui, braccia e gambe. Una volta in camera lo mise a letto.

-Devi ancora dirmi qualcosa vero?-. Il bambino non era tranquillo, glielo dicevano i suoi occhi verdi.

-E’ che allora ho paura di aver sbagliato il compito-. Maledizione i compiti, ecco cosa non aveva fatto! Li correggeva tutti i santissimi giorni ma quel giorno (che non era ancora finito tra l’altro e non ne poteva più) le sue quotidiane corse contro il tempo non erano state sufficienti. Rincuorò il bambino. -Lo guarderò subito-. Spense la luce e andò a prendere il quaderno dei compiti per casa dalla cartella. Aprì subito quello di inglese, Harry sicuramente si riferiva a qualcosa che aveva scritto. E lo vide immediatamente, il titolo all’inizio della pagina, nella calligrafia grande e ancora incerta: Descrivi ai tuoi compagni i tuoi genitori. Preferì sedersi. Sentiva il cuore accelerare. Un cuore che fino a qualche tempo prima aveva creduto fermo. Harry non aveva genitori. Perché quell’idiota di insegnante babbana non se ne era preoccupata prima di assegnargli il compito? Temendo quello che avrebbe potuto leggere e meditando già un intervento punitivo esemplare verso la collega (pensò a questo accostamento con ribrezzo) si preparò a scoprire una pagina intima e delicata, e fino ad allora gelosamente custodita, della vita di Harry Potter. “I miei genitori sono morti quando ero ancora piccolissimo. Quindi non posso descriverli. Cioè posso dire come erano fatti perché ho una fotografia. Ma non ho mai sentito la loro voce. O almeno non me la ricordo. E per questo a volte sono assai triste.” Severus alzò entrambe le sopracciglia, fino a qui se l’era cavata bene, era anche stato bravo, non c’erano neppure errori. Ma quel “sono assai triste” fu un sasso lanciato in un lago: un tonfo sordo e poi cerchi d’acqua che si allargavano portando nel presente cose ormai passate. Non però dimenticate. Continuò la lettura. “Però un papà almeno per fortuna ce l’ho.” Breve pausa per assimilare quell’esordio scritto come se fosse la cosa più normale del mondo. Poi indirizzò nuovamente gli occhi sul foglio. “Si chiama Severus che è un nome strano e non so se a lui piace ma a me sì.” Piaccia Potter, piaccia. Con la grammatica ancora non ci siamo….E il mio nome comunque mi piace. Credo sia appropriato. Proseguì la lettura silenziosa: “Severus è alto, magro, con le spalle grandi però. Le spalle grandi sono belle perché sono forti e quando mi prende in braccio mi sento al sicuro. Severus ha i capelli lunghi lisci e neri, il naso è grande e gli occhi sono scuri scuri ma quando mi guarda scintillano”. Piton si fermò nuovamente perché sentiva salire calore nello stomaco. Una sensazione piacevole, un’emozione a cui non riusciva a dare un nome. Harry vedeva cose che lui stesso negava di vedere. “Severus fa l’insegnante: usa le erbe e a volte anche altre cose” oh bene, adesso mi manderanno i servizi sociali a controllare… “e i suoi studenti hanno una paura pazzesca di lui”. Servizi sociali e tribunale minorile… “però lui non è cattivo, è solo severo del resto si chiama così! Posso dirvi che non è cattivo anzitutto perché profuma di menta e la menta è buonissima. Se fosse cattivo puzzerebbe. Come gli orchi. E poi è buono perché lui mi vuole bene, anche se non me lo dice. Io lo so perché mi dà da mangiare, mi sistema le coperte e mi legge le storie. Mi corregge anche i compiti visto che è un professore. Mi sgrida qualche volta ma non mi picchia mai. Dove abitiamo noi c’è un lago nero, nero come Severus perché è il suo colore preferito. Anche il verde gli piace ma i suoi vestiti sono sempre neri. Lui mi fa giocare vicino al lago e quel posto a me piace un sacco. Ci sono strani pesci. Ma questo non centra col compito. Severus esiste davvero, non me lo sono inventato come a volte mi dicono i miei compagni perché non l’hanno mai visto. Non mi può accompagnare a scuola perché è sempre pieno di cose da fare. Dove insegna è una specie di vice preside visto che il preside che si chiama Albus ed è un vecchietto simpaticissimo lo chiama 1000 volte al giorno. Se Severus non fosse vivo e vegeto io sarei solo (a parte il mio amico Ron che è l’unico che mi crede). Invece quando vado a casa so che lo trovo lì a correggere i compiti dei suoi studenti che non sono tanto bravi perché si lamenta in continuazione. Allora io gli faccio il solletico così ride. Lui non ride quasi mai, solo io lo faccio ridere e la sua faccia allora è buffa. Perché lui vorrebbe essere sempre serio, ma non ci riesce più come una volta, quando sono arrivato nella sua casa. Questo è il mio papà. E io sono strafelice che lui c’è.” Ci sia… Harry….Severus si accorse di piangere. Se ne accorse dal pizzicore degli occhi e dalle gocce che cadevano sul quaderno sbiadendo l’inchiostro. Si coprì il viso con le mani cercando di trattenersi ma fu inutile. Gli vennero in mente i primi difficilissimi giorni di convivenza, le sue resistenze, i suoi rifiuti. Rivide l’ansia di quei momenti di fronte al figlio di Lily che nei 4 anni precedenti non aveva ricevuto un minimo segno d’affetto: nessuna carezza, o consolazione, o incoraggiamento. Un uccellino impaurito a cui bisognava insegnare a volare. Un’impresa in cui non credeva e di cui non voleva gravarsi. Poi Silente gli ricordò l’impegno che si era preso, doveva proteggere quel bambino. C’era una cerva d’argento a testimoniare che quella era la sua scelta e di conseguenza il suo destino. L’avvenire di Harry Potter dipendeva soprattutto da lui. E ora si rendeva conto di quello che non era stato capace di dare a Lily, finendo così col perderla per sempre. Fiducia. Non si era fidato di lei, non se l’era fatta bastare e aveva cercato altrove la sua rivincita. Harry invece si fidava di lui, lo aveva scritto chiaramente su un quaderno di compiti per casa. Si sentì amato, dopo lunghi anni di purgatorio. Nemmeno Albus er riuscito a farlo sentir così. Con Harry poteva fare pace col mondo, con sé stesso e con chi non c’era più. Si asciugò gli occhi. Quel Severus doveva rimanere all’interno del suo alloggio: nessuno avrebbe dovuto indovinare quanto fosse cambiato in quei lunghi mesi. -Tergeo- e ripulì la pagina impiastricciata. Corresse i pochi errori contenuti nel testo poi ripose il quaderno nella cartella. Ancora coi segni delle lacrime sul viso entrò nella camera di Harry e lo guardò per qualche istante. -Grazie piccolo- mormorò e accostò la porta.

Il mattino dopo Harry era pronto per partire. Tirava vento quel giorno ed era un vento freddo che annunciava l’inverno, quindi si coprì tutto con sciarpa e berretto calato fin sugli occhiali. Aspettava l’auror che lo accompagnasse dai Weasley. Sperava fosse il vecchio Elphias perché gli dava sempre delle cioccorane da tenere in cartella. Piton non lo sapeva, era un loro segretuccio, come gli diceva. -Lui è come tutti i papà, non vuole che ti viziamo…- ecco un’altra cosa che poteva mettere nel compito, se l’era proprio dimenticata! Avvalorava la sua tesi giusto? Severus non aveva fatto accenni al suo tema, forse alla fine non lo aveva nemmeno letto, del resto con tutti quei compiti da correggere ne aveva già abbastanza. Piton si presentò in quel momento con mantello e cappuccio. -Perché ti sei messo il mantello?-

Guardandolo con l’espressione di chi sta facendo una cosa normalissima e scontata Piton gli rispose -Perché oggi a scuola ti accompagno io-. Non c’era il sole fuori, ma per Harry, quel giorno, non ce ne fu bisogno.

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