Sirius
Black aveva sempre osservato Mary MacDonald da lontano: quella
vivace, minuta ragazzina del quarto anno, che rideva spesso ed
entrava in Sala Grande mulinando i lunghi capelli castani, in
compagnia delle sue tante amiche.
Gli
erano sempre piaciuti, i suoi grandi occhi verdi da gatta. Gli era
sempre piaciuto il tono squillante e allegro della sua voce, il modo
in cui poteva tramutarsi in un urlo da spaccare i timpani, durante le
partite di Quidditch.
Gli
piaceva la furia che invadeva il suo viso quelle rare volte in cui
Grifondoro perdeva una partita, così come la contentezza nel vedere
la sua Casa che batteva le altre.
Gli
piaceva il modo in cui, durante i banchetti di inizio anno, Mary si
lanciava sul cibo, divorando tutto alla velocità della luce, senza
curarsi delle briciole che sporcavano il suo viso e della panna di
cui si macchiava la sua divisa.
Gli
piaceva vedere Mary che andava in giro canticchiando, agitando la
bacchetta in modo da far svolazzare gli oggetti che trovava a terra,
facendo volare via i cappelli degli altri studenti, solo per
divertimento.
A
Sirius piaceva il sorriso di Mary.
A
Sirius piaceva la risata di Mary.
A
Sirius piacevano gli occhi di Mary.
Sirius
odiò vedere quel sorriso sgretolarsi e ridursi a una linea sottile,
una linea debole e spenta.
Sirius
odiò vedere quella viva risata ridursi a pochi, tristi bisbigli.
Sirius
odiò vedere quegli occhi morire, spegnersi, svuotarsi di tutta la
luce che, al suo sguardo, li aveva resi tanto meravigliosi.
Odiò
vederli sprofondare nell'abisso dell'inquietudine e della paura.
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