Peter posa una mano sul baule,
chiedendosi se anche quello, come i mobili di casa, sia stato
costruito dal padre, a mano.
Scorre con le dita sul legno, fino
alla chiusura. La fa scattare ed apre, con lentezza quasi
esasperante, che tanto stona con il suo solito essere. Ha paura.
Spera.
Per prima nota la busta posata in
cima, con il suo nome vergato in una scrittura nervosa ma elegante,
che riconosce bene. La prende e se la rigira tra le dita,
ritrovandosi a pregare in un mormorio confuso, mischiando le parole e
le lingue.
Pappa
non è religioso. Proprio il contrario. In quanto ad äiti...
non ne hanno mai discusso molto.
L'unica festa religiosa che
hanno mai festeggiato è il Natale, ma per ovvie ragioni.
Un
cappello natalizio attira la sua attenzione e lo afferra, con
delicatezza, come se temesse di fargli male. E' quello con i cornini
da renna, che äiti
obbliga sempre pappa ad usare, a Natale.
Posa la lettera
accanto a sé e avvicina al naso il cappello, sperando di
percepire qualcosa, colpito subito dal profumo dell'ammorbidente che
äiti comprava sempre, perché, diceva...
“E' il migliore, Sve! Non
vedi che gli altri non lasciano le cose tanto morbide? Tocca questa
camicia e dimmi se sembra lavata con il solito ammorbidente!”
Guarda ancora nel baule e nota un
fiocco rosso, carino e femminile, appartenente ad Hanatamago. Blocca
il magone in fondo alla gola, ricordando che era con äiti,
quando è successo.
Posa il fiocco rapidamente, ma non prima di aver fatto una lunga
carezza al collarino, come se il cane potesse tornare a prenderselo
da un momento all'altro.
Ci sono due
maglioni identici, blu scuro, con un motivo invernale ed una grossa
renna sul davanti. Il naso rosso è un grosso pompon ed a Peter
scappa una risatina del tutto simile ad un singhiozzo, mentre gli
torna in mente che anche quella faceva parte della divisa di Natale.
Ne ha uno anche lui, anche se ormai non gli sta più. Prende
quello di äiti e lo indossa, senza pensare.
Ancora
quell'ammorbidente. E cannella, liquirizia, zucchero. Profumo di
Natale. Profumo di äiti.
Schiaccia tra
indice e pollice il naso della renna, facendosi sfuggire un altra
risatina, pensando a quanto fosse ridicolo pappa, con quel maglione.
Ma lo indossava
per äiti, sempre, senza lamentarsi un solo momento. Faceva
ridere äiti, no?
Un
album fotografico lo distoglie dal Natale e lo prende tra le mani,
aprendolo alla prima pagina e cercando di ignorare il fatto che sia
intitolato famiglia.
Famiglia. Non ha mai pensato di averne una, prima dell'adozione. Ha
sempre pensato ai legami famigliari come ad una cosa superflua, un
peso inutile. Avere Arthur come fratello di certo non aveva aiutato
granché.
Non sapeva che
esistessero degli album fotografici. Non che pappa non fosse in
continuazione a fare foto, ma... non pensava le avesse stampate.
Invece ci sono anche quelle un po' mosse, quelle in controluce, come
se cercasse freneticamente di afferrare ogni momento, ogni singola
sensazione, ogni singola risata.
Sotto, una
descrizione. Le scritture si alternano e Peter si ritrova ad
accarezzarle, quella più tondeggiante di Tino, quella nervosa
di Berwald. Pappa, äiti.
“Berwald oggi ha aiutato
Peter a leggere un grosso tomo di economia. A volte sono preoccupato
per il piccolo, si sforza troppo, è solo un bambino, in fondo.
Però i suoi occhi erano molto più luminosi di quanto
sia riuscito a catturare in questa foto, quando ha capito quello che
Berwald si sforzava di semplificare per lui. Sono molto dolci,
insieme. Mi dispiace non essere capace di spiegare altrettanto bene.”
Chiude l'album e
se lo porta al petto, respingendo l'idea di piangere, controllandosi,
perché ora non può. Non è un bambino, è
una Nazione forte, è una Nazione... che ha perso la sua mamma.
Prende un respiro
con la bocca, sentendosi soffocare, ripensando a tutte le volte in
cui l'ha considerato come un rivale, come qualcuno che voleva
rubargli pappa. Quando li ha fatti litigare e quando, vedendolo
triste, si è trattenuto dall'abbracciarlo, sperando che se ne
andasse, che gli lasciasse pappa tutto per sé.
Vorrebbe tornare
indietro ad un momento qualsiasi di quelli e dirgli che non importa
se un po' glielo ruba, perché gli piacciono tanto le sue mani
piccole sul viso, quando ha la febbre, che sono diverse da quelle di
pappa, ma gli piacciono tanto. Gli piacciono i suoi abbracci e i
dolci e la sua mania dell'ordine e il suo accento strano quando parla
inglese e che se vuole che stiano tutti e tre sul divano, stretti
stretti a guardare un film dei Moomin che Peter capisce a tratti, va'
bene e che non farà i capricci perché gli sembra noioso
ma invece non lo pensa davvero.
Un altro respiro.
Un rantolo soffocato. Dieci, venti, tutti uno dopo l'altro, perché
non riesce più a respirare, soffocato da quel profumo che
esiste solo lì, ancora. Che, un giorno, scomparirà del
tutto.
Afferra la busta
e la apre, estraendone la lettera, resistendo, ancora, con quella
speranza, in fondo al cuore, che gli dica che sta arrivando, che non
lo sta lasciando solo, completamente, per sempre...
Mitt lille hjärtegryn,
spero che tutto sarà in
buono stato, quando lo riceverai. Metterò la cassa nell'ultimo
aereo. Dopo sarà troppo tardi.
Vorrei dirti che non devi
piangere, che devi andare avanti ed essere forte... ma come posso, se
non riesco neppure a dare l'esempio? Dovrei farlo, dovrebbe essere il
mio compito, invece non posso. Sembra che tutta la luce se ne sia
andata via.
Sarei un cattivo padre, se ti
dicessi di non piangere.
E' terrificante perdere qualcuno
con cui hai vissuto tutta la tua esistenza. Come perdere un braccio o
una gamba. Come si può fare finta di nulla? Quella persona
diventa parte di te e la sua assenza è come un macigno che
frantuma le ossa, ancora ed ancora, senza sosta. Perché lo
cerchi sempre con lo sguardo per farti approvare, perché ti
accorgi che hai bisogno di lui per andare avanti, per vivere,
semplicemente, continuando a fare quello che hai sempre fatto con
lui.
Anche se non te ne sei mai accorto
prima, ci sono migliaia di piccole cose che non puoi più fare,
perché mancano i particolari, un sorriso o un gesto,
semplicemente il respiro dell'altro. Vuoto, nulla. Soffocante ed
insopportabile.
Camminare per casa, fare le cose
più semplici, diventa terribilmente faticoso. Gli oggetti
restano, a ricordarti che cos'hai perso, tutto quello che formava la
tua vita. Sapere che non ti rivedrò più, che non
riuscirò a salutarti, mio piccolo tesoro, è un dolore
del tutto simile. Vedo anche te, intorno a me. I tuoi giocattoli, i
tuoi abiti invernali, tanti, tantissimi disegni. La nostra famiglia,
quello che non tornerà, neppure se continuo a cercarla
freneticamente, neppure se provo a chiudere tutto in una stanza. E'
frustrante. E' straziante.
Tino mi ha mandato altri oggetti,
prima di morire. Oggetti quotidiani e un milione di lettere che non
credevo neppure di aver spedito. Mi ha mandato tutto e l'ho odiato.
L'ho odiato da morire, mentre assistevo, impotente, alla Catastrofe.
Ricordi, amore, tutto finito sott'acqua, cose che nessuno ricorderà
mai più. Chi si ricorderà della Finlandia? Chi si
ricorderà dell'aurora, dei suoi paesaggi, della neve che
brilla sotto il sole, come un tesoro? Non voglio che dimentichino.
Non è giusto. Che dimentichino me, ma non lui.
Perché?
Sono grato per le lettere, per i
ricordi, anche per l'ultima che mi ha scritto. Ora, quando l'assenza
si fa sempre più pesante, sono felice di averli. Non odiarmi
per quello che ti invio con questa lettera. Ci sono tanti sorrisi,
dietro agli oggetti. Anche lacrime, ma soprattutto la nostra
famiglia, i nostri ricordi, quello che voglio sopravviva.
Il Natale posticipato, i disastri
di Tino, tutti i momenti che, un giorno, ti faranno sorridere di
nuovo, te lo prometto, sarà così. Un giorno tutto
passerà e sorriderai. Forse non domani o la settimana
prossima, ma un giorno.
Non ho avuto tempo per essere il
padre che meritavi, né quello per essere il meglio, per te,
come ho sempre desiderato, fin dal primo giorno. Ma tu sei tutto
quello che un padre potrebbe desiderare.
Peter, sei stato tanto amato, da
entrambi noi. Abbiamo sempre pensato che un giorno saresti stato una
grande Nazione, se non per estensione, per la forza che avevi dentro.
Vorrei abbracciarti un'ultima
volta.
Vorrei dirti che ti voglio bene,
con i tuoi occhi di fronte.
Ma preferisco che tu non veda.
Voglio che ti ricordi di me com'ero, non che la tua ultima immagine
di me sia questa. Spero che saprai perdonarmi.
Devi essere felice, Peter. Con
tutte le tue forze. Noi saremo sempre insieme.
Berwald
Oxestierna Väinämöinen
Quando Francia lo trova, Peter è
rannicchiato in un angolo, scosso dai singhiozzi, con un foglio
stretto al petto. Gli si inginocchia di fronte, cercando di
sciogliere il nodo creato dalle braccia e le gambe, cercando di
guardare il viso del ragazzo, di calmarlo, perché teme che
singhiozzando in quel modo soffochi.
“Che succede, petit?”
“Anche papà è
morto.”
Note dell'autrice
Mitt lille hjärtegryn. sve.
“Mio piccolo *tesoro*” La parola è intraducibile,
significa, a grandi linee “una persona con cui si è
connessi in modo così profondo che sembra di condividere lo
stesso cuore”.
Pappa. sve. “Papà”
Äiti. fin.
“Mamma”
Può interessarvi o meno, ma
Peter è un ragazzo, in questa storia, cresciuto di colpo
proprio a causa della Catastrofe.
Perché Francia? Perché
mi andava di usare “petit”. Non c'è un vero
motivo.
Devo seriamente smetterla di farmi
del male con queste fan fiction. Però spero davvero vi
piaccia, ecco...
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