La
mattina ha sempre un sapore lieto, quando sai di svegliarti accanto a
qualcuno di straordinario.
Leonardo era fortunato in quel senso. Firenze era ancora avvolta nel
grigiore mattutino, quando ancora le case dovevano assumere colore e
l’aria si doveva riempire del profumo del pane appena
sfornato.
Leonardo si puntellò sul gomito e le lenzuola scivolarono
giù dal suo corpo, dandogli un brivido che gli
ricordò il modo in cui, qualche ora prima, Ezio
l’aveva accarezzato allo stesso modo, prima di prenderlo e
farlo suo. L’artista sorrise.
La sua attenzione poi venne catturata da qualche piccione di passaggio
nel piccolo pezzo di cielo che si vedeva fuori dalla finestra. Sapeva
bene che si dirigevano in quella direzione per raggiungere la
piccionaia, dove alcuni riempivano le ciotole di becchime per quelle
creature. Dopodichè si sentiva il suono delle campane,
annunciando l’inizio del nuovo giorno.
Leonardo calcolava quindi l’orario dal passaggio di quei
piccioni, e di solito era sempre giusto. Le sei del mattino era un
orario strano a cui svegliarsi. Di solito l’artista dormiva
poco, o non dormiva affatto e si ritrovava sempre a fare qualcosa anche
nelle ore più impensabili. Da quando c’era Ezio,
il suo sonno e le sue abitudini alimentari erano drasticamente
cambiate. Pur di accontentare Ezio, ogni tanto si faceva portare fuori
a pranzo e, la notte, quando l’Assassino era impegnato in una
missione, Leonardo lo attendeva alzato, con una tensione che gli
contorceva le budella. Solo quando aveva Ezio accanto a sè
nel suo letto riusciva a rilassarle.
L’ora lieta si trasformò a poco a poco in un
attenta e profonda osservazione di quell’uomo che giaceva
accanto a lui, facendo nascere in Leonardo una sensazione di tenerezza
mai sperimentata prima. Ezio riposava come non mai.
A volte negava persino a se stesso di aver bisogno di un riposo vero e
proprio, ma addormentato com’era, con l’espressione
più rilassata che Leonardo avesse mai visto, era innegabile
che Ezio si stesse godendo il suo sonno.
Stringeva una mano al cuscino e l’altra era nascosta sotto lo
stesso. I capelli, che ribelli gli ricadevano sul viso, gli
incorniciavano le gote rosate. Tutto il suo corpo eburneo
(così bello anche sfregiato dalle cicatrici, che Leonardo
adorava coccolare riempiendole di baci) era piegato in posizione
fetale. Il lenzuolo, complice di certe pieghe che l’artista
definiva in modo entusiasta “pericolosamente
erotiche”, avvolgeva i suoi fianchi, come per trattenere la
sua bellezza. Nessun pennello avrebbe potuto riprodurre in una cornice
quell’immagine così vivida e perfetta e di cui
Leonardo si stava beando.
Le sue labbra infine, gonfie di baci e sussurri pronunciati al suo
compagno, erano stupende. Forse Leonardo aveva ragione nel dire che le
donne procuravano una piccola distrazione. In confronto a quella forma
così deliziosa, poteva anche mandare a monte il lavoro di
una vita. Quindi sfiorò con le dita quella bocca appena
socchiusa, come se accarezzasse i petali di un fiore.
“Buongiorno.” Disse l’artista.
Avrebbe vissuto volentieri altre cento ore liete in quel modo.
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