(every time i die- we'rewolf)
"Spegni quella merda di musica."
"Ma a me piace"
"Spegnila ho detto.Non so nemmeno come cazzo fai a definirla musica,
quella merda. "
Doveva essere un lavoretto facile. Così gli avevano detto,
un lavoretto facile facile. Uno stronzo di nome Bruno, Bruno Medici,
Veronesi o qualche merda di cognome da sfigato. Un Nosferatu che aveva
osato alzare troppo la testa e i capoccia di Milano, Vescovo compreso,
lo volevano morto.
Quello che non gli avevano detto, era che Bruno aveva
più di 400 anni alle spalle e se la cavava piuttosto bene
con la spada. Ed ora erano lì in macchina,imbrattati di
sangue e con un corpo senza vita nel bagagliaio.
A dire la verità quel corpo era senza vita anche
prima, ma vai te a spiegare la differenza tra un non morto in torpore e
un non morto attivo ad un diligente carabiniere del cazzo.
"Ho fame, ho fame."
"Stà zitto, idiota. Fra un pò mangiamo. Intanto
metti via quel fucile, e vedi di non attirare l'attenzione. Porca
troia, giriamo già in una macchina che sembra un mattatoio,
ti pare il caso di sollevare quel cannone fuori dal finestrino?"
Non gli piaceva, Enrico. Non gli era mai piaciuto, ma era nel branco
ormai da troppo tempo. Lunatico schizzato del cazzo. Avrebbe comunque
dovuto farci l'abitudine dato che lui e Gabriella erano gli unici
superstiti del gruppo. Per Gabriella il discorso era diverso. Lei era
come lui. A parte gli occhi rossi, quelli gli mettevano i brividi. E
non aiutava di certo il fatto che al posto della normale pelle umana
avesse del pelo, come di cane, ciuffi che spuntavano qua e
là a chiazze. Raramente le aveva visto il volto o il corpo,
girava sempre avvolta in abiti sporchi e gonne lunghe come le zingare
della metro.
"Fermati al prossimo autogrill." sussurrò da dietro la
gangrel. Pareva che un cane rabbioso avesse appena ringhiato.
"Va bene."
Lo Tzimisce e il Lasombra che li avevano accompagnati quella sera erano
morti.
Uno era un sacerdote di alto rango, e difatti aveva celebrato lui tutti
i preparativi prima della caccia. Renzo, Renato... Bah, tanto quello
stronzo era cenere ormai.
Era stato tra i primi a morire, e nemmeno in maniera troppo elegante.
Quel vecchio stronzo di Bruno gli aveva staccato di netto la testa dal
collo e in pochi secondi dello Tzimisce erano rimasti solo un
mucchietto di polvere e qualche vestito sadomaso sul pavimento. Non se
lo aspettavano, proprio non se lo aspettavano.
La villa non prometteva nulla di buono, un'abitazione enorme fuori
Varese e probabilmente ben sorvegliata, forse da qualche ghoul. La
avevano sorvegliata da giorni, e avevano concluso che al caro Bruno non
piaceva avere compagnia nè ricevere visite, inoltre aveva
installato un antifurto così patetico che perfino una vacca
da due soldi sarebbe stata in grado di disattivarlo.
Così il terzo giorno decisero di agire. Enrico e Gabriele
avevano tirato fuori l'armamentario pesante, e poco prima la truppa
aveva fatto il pieno con una ignara coppetta che aveva deciso di
appartarsi al momento sbagliato in un parco lì vicino.
Disattivato l'antifurto erano entrati nell'atrio da una finestra. Buio
totale, chiaramente (si erano già muniti di torce), e un
silenzio di tomba. Solo quando avevano iniziato a salire su
per le scale Bruno aveva fatto la sua comparsa.
Era sbucato dal nulla quel figlio di puttana, e aveva tranciato di
netto la testa al Dragone brandendo una spadone più grande
di lui, di quelli che si vedono solo nei film del cazzo di Conan il
barbaro.
"Cristo santo!" aveva urlato, e assieme a lui avevano
imprecato gli altri del branco. Enrico era stato il primo a scattare, e
aveva pensato bene di riempire il culo di Bruno di piombo. Peccato che
dopo una fucilata in pieno petto Bruno non si fosse scomposto nemmeno
un pò e avesse mandato a gambe all'aria il malkavian,
scaraventandolo dall'altra parte della sala con un calcio.
Nello stesso istante dello sparo, era riuscito a vedere Bruno in
faccia. Ne aveva visti anche all'interno del sabbat di Topi, ma ogni
volta che ne vedeva uno nuovo non poteva fare a meno di pensare che era
ancora più ributtante del precedente, la sua faccia sembrava
un opera di picasso vomitata da un cazzo di ratto radioattivo. Un
lebbroso o qualcosa del genere.
Il resto se lo ricordava confuso, avevano iniziato a combattere ma non
era sicuro sulla esatta scaletta degli eventi. Sapeva di certo che la
troietta Lasombra (Sara? Mara? Bah) ad un certo punto aveva iniziato a
fare i suoi giochetti con le ombre, spuntavano tentacoli neri dal
pavimento e lei li scagliava contro Bruno. Chiaramente l'anziano non
aveva gradito la cosa, e dopo essersi divincolato dalla morsa di quei
"cosi" d'ombra le aveva trapassato il petto da parte a parte con la
spada. Lei aveva sputacchiato un pò di sangue e poi si era
accasciata al suolo, mormorando qualcosa del tipo"Gloria alla spada di
Caino".
La cosa lo aveva scosso, davvero. Lo aveva costretto a pensare
seriamente al perché facevano tutto ciò che
stavano facendo. Che poi non è che lui era rimasto
lì immobile per tutto quel tempo.
Stava sforacchiando (o almeno così credeva) quello stronzo
da parte a parte da almeno due minuti buoni, ma senza apparente
risultato. Ricordava che ad un certo punto aveva spezzato la lama del
machete nel costato di quel bastardo ma non si era fermato nemmeno per
un attimo, e aveva iniziato a colpirlo violentemente con
l'elsa, poi con pugni alla testa. Sembrava che i colpi non sortissero
alcun effetto, e dopo un pò infatti le sue nocche erano del
tutto sbucciate e sanguinanti. Gabriella gli si era
avvinghiata e tentava di morderlo e di graffiarlo in faccia,
Enrico continuava a sparare, ma quel figlio di puttana non accennava a
cedere, anzi, lottava con sempre maggior furore, liberandosi dalla
presa di Gabriella. Il loro Ductus, Alessio, era morto. Bruno lo aveva
colpito alla vita con la spada, tranciandolo a metà
come l'ananas della pubblicità del Miracle Blade .
Allora avevano cominciato ad avere paura. Ci aveva provato Stefano, per
ultimo, ad un assalto frontale. Lui aveva sempre rispettato e temuto
Stefano all'interno del branco. Un cazzo di armadio, un negro enorme e
cattivo, pieno di tatuaggi piercing e cicatrici. Aveva portato la sua
arma preferita, una grossa mazza chiodata dotata anche di lame. Era
riuscito a colpire Bruno alla spalla, ma anche quel colpo sembrava non
avergli fatto un cazzo. Un istante dopo, Stefano si ritrovava senza un
braccio: Bruno gliel'aveva staccato. C'era sangue ovunque, ed erano
tutti sporchi. Stefano si era messo a urlare, e loro erano rimasti
sconvolti ad assistere a quella scena: non avevano mai visto Stefano
avere paura.
Il loro compagno aveva provato a scappare, ma nello stesso istante in
cui aveva girato le spalle a Bruno, lui gli aveva mozzato entrambe le
gambe in un sol colpo. In quel preciso momento, lui e Gabriella si
erano guardati negli occhi e avevano iniziato a correre.
Correre a più non posso, sfruttando tutta la
velocità soprannaturale di cui le loro gambe erano capaci.
Avevano sfondato la finestra ed erano schizzati via più
veloci del vento. Dietro di loro, sentivano ancora le urla disperate di
Stefano provenire dalla casa, urla disumane di una bestia sofferente,
ma non si erano fermati.
Si erano fermati solo più tardi, all'uscita dell'autostrada.
Nei loro occhi si leggeva la paura, una paura che anche i mostri
possono sperimentare. Ad un certo punto era ricomparso Enrico, e con
lui aveva il cadavere della Lasombra. Sembrava sconvolto anche lui.
Diceva che comunque non voleva abbandonare una sua "sorella" a quel
mostro, e che la avrebbe salvata.
Poi avevano rubato quella macchina, il suo proprietario giaceva col
collo spezzato tra i cespugli ai lati della strada. Non ci avevano
giocato, e non avevano nemmeno pensato di nutrirsi con lui. Erano
ancora sotto shock.
Nessuno aveva ancora aperto bocca, fino a quel momento. Non si
guardavano neppure negli occhi.
"Allora mi fermo" disse Michele, imboccando al strada per l'autogrill.
Enrico sbuffò:
"Dovremo pulirci, le vacche potrebbero giustamente insospettirsi se ci
presentiamo così. Sembriamo usciti da un cazzo di film di
Saw."
"Cretino, mica entriamo dentro e ordiniamo un caffè.
Michele, accosta dietro quel camion lì in fondo, dove
è più buio."
Gabriella lo stava facendo arrabbiare. Chi aveva stabilito
che era lei a dare gli ordini, ora? Il ductus era morto, ma sarebbe
stato lui d'ora in poi a comandare quello che rimaneva del
branco. Stupida troia con gli occhi rossi.
Dopo aver accostato, scesero dalla macchina e si incamminarono verso un
boschetto ai lati della strada. Dovevano nutrirsi e discutere.
"Enrico, portaci da mangiare, e alla svelta. Vedi di non combinar
casini, ne abbiamo passate abbastanza per questa notte."
"Da quando sei tu a dare ordini qui, Michele?" Gabriella si era seduta
su un tronco caduto. La luce dei lampioni in lontananza bastava a
rischiarare quel piccolo spiazzo.
"Da quando Alessio è morto, e per diritto di
anzianità sono io ad essere il ductus ora."
"Diritto di anzianità?"
Gabriella ora era in piedi, e i suoi occhi rossi luccicavano nel buio.
"Non mi pare di aver mai sentito stronzate del genere all'interno della
spada di Caino, e penso proprio che la crociata che stiamo portando
avanti sia per andar contro puttanate come il diritto di
anzianità. Parli come una spia della camarilla ."
"Già..." Michele si era fatto avanti, per nulla timoroso, e
si era sistemato la giacca di pelle, accarezzandosi i lunghi capelli
neri. Sorrideva.
"Hai ragione, e credo ci sia solo un modo per risolvere la
cosa da veri sabbat."
Rimasero in silenzio.
Enrico per tutto quel tempo era rimasto in silenzio ad osservare ora
uno, ora l'altro, con crescente preoccupazione. Poi era scattato in
avanti, frapponendosi fra i due.Aveva i grandi occhioni blu spalancati,
come un bambino spaventato.
"Hei, ehi ! Vi sembra il momento di litigare e mettersi a discutere su
queste stronzate? Volete saltarvi alla gola proprio ora? Non capite che
è proprio ciò che LORO vogliono? Vogliono
metterci l'uno contro l'altro, e farci uccidere!"
"Stà zitto idiota, e levati di torno. Questa faccenda non ti
riguarda."
"Ma..."
Uno squillo di cellulare ruppe la tensione.
Enrico senza muoversi tirò fuori di tasca il telefono. Prima
di rispondere, si rivolse ai due sabbat pronti ad azzannarsi.
"Ne riparliamo dopo, non fate cazzate. Questo dev'essere Ettore,
vorrà sapere come è andata. Non fate cazzate."
Enrico fece qualche passo e si allontanò.
Michele e Gabriella ora erano soli, e sul volto di entrambi era dipinto
un ghigno animalesco, minaccioso.
"Allora, come lo vuoi fare? Con un'arma? Mani nude?"
"Direi mani nude, almeno per me. Usa pure tutti i giochetti che conosci
coi tuoi coltelli, non ti serviranno a molto."
"Lo vedremo."
"FERMI!"
Era stato Enrico ad urlare. Spinse i due contendenti dividendoli
ulteriormente.
"Insomma, si può sapere che cazzo ti prende? per caso vuoi
finire anche tu a pezzi?"
"Milano è caduta."
"Cosa?"
"Milano è caduta. Gian Galeazzo ci ha traditi. La Camarilla
ha preso la città."
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