I Giardini dell’Eden.
Track 001: Prologo.
«Claude!»
Middleton era sempre stata una
città molto luminosa, ma di notte, come tutte le città illuminate da una
manciata di stelle e qualche lampione, non poteva che essere avvolta
dall’oscurità, al cui interno si muovevano rapidamente due ragazzi.
«Claude! Fermati, dannazione!» isterò
uno dei due, cercando con molti sforzi e pochi risultati di tenere basso il
tono della voce. La sua ombra sembrava quella di uno scheletro, per quanto era
gracile e faceva visibilmente fatica a stare dietro alla seconda figura.
L’altro, Claude, non diede segno di averlo sentito e
continuò la sua marcia, borbottando sottovoce una lenta litania. Al terzo
richiamo, si decise a voltare la testa in direzione dell’interlocutore, «Code,
sai che odio essere interrotto mentre prego… e questa
sera ci sarà molto da pregare» aggiunse con un ghigno poco rassicurante, senza
fermarsi.
Attraversarono un vicolo da cui sbucava il Liceo di Middleton e Code riusci
finalmente a richiamare a sé un po’ di forza. Scattò in avanti, sbarrando la
strada a Claude, e lo afferrò per il bavero della camicia, sbattendolo al muro.
«Ascoltami, decerebrato di un fratello» esordì in un sibilo.
«Le abbiamo provate tutte –tutte!- ed abbiamo sempre
fallito perché tu ti fai prendere la mano con le tue distorte idee religiose. Middleton è la nostra ultima possibilità, quindi vedi di
rispettare il piano».
Calò il silenzio tra i due, ma durò ben poco; Claude scoppiò
in una fragorosa risata e si liberò dalla debole stretta del fratello minore. «Middleton non è la nostra ultima possibilità, ma è sempre
stata la nostra unica possibilità… dimmi, fratellino, per quale motivo l’hai
lasciata per ultima, pur sapendo che solo qui potevamo aver successo?» lo
canzonò, volutamente malevolo.
Code abbassò per quale istante lo sguardo, risentito, per
poi freddare Claude con un’occhiata omicida.
«Tu cerca di seguire il piano e basta. Sono io la mente, tu
sei solo forza bruta».
[…]
Ron Stoppable venne scosso da un
brivido freddo. L’ennesimo.
Era sveglio da poco più di mezz’ora e ad intervalli sempre
più brevi veniva colto da quel brivido gelato che portava con sé un gran brutto
presentimento.
Stancamente si sfilò la maglia del pigiama per mettersi un
maglioncino caldo; Rufus sgusciò fuori dalle lenzuola
del biondo e squittì qualcosa, annuendo vigorosamente.
Ron sorrise, «sì, hai proprio ragione. Qui ci vuole una muy buena colazione al Bueno Nacho» disse, estraendo dal
cassetto del canterano il cellulare e le chiavi del motorino.
Il pavimento in legno scricchiolò al suo passaggio, mentre
si stiracchiava. Ormai ci aveva fatto l’abitudine ad avere la stanza da letto
in soffitta e quasi gli dispiaceva doverla lasciare la settimana dopo per il
campus universitario.
Si guardò allo specchio e l’immagine riflessa gli restituì
il suo solito sorriso smagliante made in Stoppable. Per qualche secondo prese in considerazione
l’ipotesi di chiamare Kim, poi scosse la testa divertito e, sempre guardandosi
allo specchio, fece una perfetta imitazione dei modi più altezzosi della sua
ragazza.
«Ron! Quante volte te lo devo dire che fare colazione con un
Naco e un Burrito non può
che farti male? Dovresti venire con me e Monique a
prendere un bel frullato di spinaci de-carboidratizzati»
disse in falsetto alla propria immagine riflessa; terminato il breve monologo
scoppiò a ridere, per poi uscire dalla stanza e trottare giù per le scale, non
rendendosi conto di avere ancora addosso solo i boxer che teneva per dormire.
Una giornata come tante per Ron Stoppable.
Forse.