Red
Lemon
Disclaimer:
i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
7
- Ami/Alexander II
Ambientato dopo
Ami/Alexander I e sempre prima della parte 13 di Verso l'alba.
Ami studiava seduta contro lo schienale
del suo
letto, le gambe
raccolte a sorreggere il libro di testo contro le ginocchia. Lo aveva
accolto in casa vestita di un felpa pesante, viola, e di un
paio di pantaloni neri quasi troppo grandi per lei. Quando voglio studiare per molte
ore - gli aveva spiegato serena - mi metto comoda. E
sembrava esserlo lì rannicchiata sopra il materasso, intenta
a
concentrarsi, i piedi rivolti l'uno verso l'altro a cercare calore e le
labbra che, di tanto in tanto, si univano come a dare un bacio. La
cultura del libro le ispirava passione.
Alexander era travolto dallo stesso
sentimento, ma ad accendere i suoi sensi, e
l'immaginazione, era la voglia di farla scivolare lentamente sul letto,
distesa, per sfilarle di dosso i vestiti da sopra la testa e
lungo le gambe. Sempre più giù, fino a lasciarla
solo con
le calze di cotone. Ami sarebbe dovuta apparire innocente in quei due
pezzi sformati e larghi ma, guardando le braccia
sottili che sparivano dentro le maniche spesse, lui riusciva a
immaginare
solo spalle rilassate e seni liberi, un corpo capace di fremere e
agognare fino allo sfinimento - di entrambi.
Prima di alzarsi dalla sedia della
scrivania, si chiese se non fosse il
caso di controllarsi. Ma esisteva forse un motivo valido per rimandare
l'inevitabile?
Nessuno, si rispose. Tanto valeva
muoversi in anticipo, era un premio
che si meritavano tutti e due.
Andò da lei e, sedendosi sul
materasso, non resistette un
momento di più.
«Questo...»
La vista che Ami aveva sul quaderno di
appunti si sfocò:
aveva
socchiuso gli occhi e si ritrovò ad abbassare sempre
più
le palpebre, contro la sua volontà.
«Questo...»
tentò di nuovo.
Il brivido partì da sotto il
suo orecchio e corse lungo il collo,
espandendosi sulla schiena. Diffuse dappertutto una
sorta di bollore sottopelle, chetato solo dall'aria fredda
della stanza. Aveva tenuto il termostato basso di proposito, nel
tentativo di evitare la situazione in cui si stava trovando. Meno
faceva caldo meno gli animi potevano scaldarsi, aveva pensato, sperando
più in un effetto sul proprio corpo che su quello
di lui.
Niente e
nessuno sembrava poter fermare Alexander quando voleva davvero qualcosa.
Allontanò la guancia dalle sue
labbra che,
insistenti,
continuavano a cercarla con baci leggeri, tanto più
invitanti nel loro essere sottilmente delicati.
Stava diventando un libro aperto per
lui, ma era lei a non
aver ancora terminato di leggersi da sola.
«Questo» riuscì a
dire con maggior
controllo, terminando di
deglutire, «si chiama ossessione.»
Seduto accanto a lei, Alexander
inclinò lievemente
la
testa. Strinse gli occhi chiari - quasi verdi in quel momento, un
segnale da temere e agognare - e aprì la bocca
in un sorriso silenzioso. «Sex-obsessed?»
Proprio così: da tre pomeriggi
consecutivi loro due non
facevano altro quando stavano insieme. Era una cosa... Una cosa...
Avvampò. «Non ridere!»
Lui continuò a stringere le labbra
tremanti.
«Scusa.»
Inspirò a fondo. «Well... non è
più un
essere love-obsessed?»
Le guance ardenti smisero di infastidirla. Il
battito accelerato
divenne una parte piacevole di lei. «... sì. Ma io
ti amavo
anche prima.»
Alexander fermò il sorriso alla prima
parte della frase.
«No, ti amo anche mentre noi...
Sì, forse
soprattutto
quando...
No, ma in quei momenti in una maniera nuova, più...
totale.»
Bombardata dal ricordo delle sensazioni, le sembrò di non
avere
più un discorso chiaro in mente. «È per
questo
che mi
confondo.»
«In che modo?»
Il bacio sulla tempia seppe di consolazione e
comprensione. Lei
lasciò scorrere le labbra sulla guancia di lui fino a
trovargli
la bocca e udì i loro respiri che si univano come un suono a
parte, anime che divenivano aria, stretta al petto, l'impulso
a
non smettere. Lasciò scorrere le mani libere dal quaderno
sulle
sue braccia e non seppe più come stringerlo.
«Penso...» Scelse un morso
gentile su angolo, per
fermarsi. Ne
ricevette uno con un assaggio che la portò al limite
dell'estasi.
«It's too beautiful»
sospirò, riuscendo
a non ansimare.
Un braccio le prese per intero la schiena.
«Ed è
un male?»
No, erano i suoi
ma
che
potevano aspettare. Si lasciò sdraiare sul letto, contro il
cuscino disteso, e fu lei stessa a tendersi piano verso l'alto,
chiedendosi perché.
Perché aveva una mente con domande e piccole proteste? Le
impedivano di rimanere sempre in quei momenti di benvenuto oblio e
sensi accesi. Lei invece poteva essere solo sensazione e gioirne, amare
anche così, ancora più intensamente.
La risata bassa contro la bocca la
svegliò.
«C'era un ma.»
La ragione non riemerse in tempo per rispondergli.
«Il mio è 'ma... sono
contento'» sorrise
lui. Le
scostò
una ciocca dalla fronte. «Forse più di ogni altra
cosa,
volevo
vederti così. Sentirti così, mentre non volevi
più
pensare a niente stando con me.»
Per l'attesa di troppi mesi lei aveva una sola
scusa.
«Pensavo troppo a
te per non voler pensare.» Sospirò. Con le frasi
romantiche
non
era affatto brava come aveva sempre creduto, era evidente.
«Quello che
volevo dire prima... Lascia perdere.» Premette con le dita
tra i suoi
capelli, invitandolo delicatamente a tornare basso con la testa.
«Te lo ricorderai dopo.»
Forse, ma dopo era dopo.
«Se risolviamo, alla fine non avrai
più niente a
cui
pensare.»
Naturale, ma il suo era un conflitto interiore
frutto di piccoli
fastidi che si sarebbero risolti da soli. Definirlo in quel modo le
fece tirare un sospiro di sollievo. «A volte non sono
intelligente.»
«Che bugia.»
Balzò in alto quando sentì
l'accenno di solletico
ai
fianchi e finì col ritrovarsi seduta. Si lasciò
vincere
anche lei da una risata lieve. «Per una volta che non sono io
a
fermarci...»
«Hai un dubbio, è come se lo
stessi
facendo.»
... Aveva continuato a farglielo sentire?
«No, non... Ami, dimmi solamente cosa
c'è che non
va. Uccidi il tatto, non importa.»
La prima risposta che ebbe in mente - Non c'è un modo
giusto per dirlo
- sembrò dargli ragione sull'ultima concessione. Ma era
assurdo,
lei non aveva bisogno di tatto, solo di riorganizzare le idee. Si
impose un momento di concentrazione assoluta e districò con
successo la matassa. «Sono ossessionata anche io. E mi manca
parlare.»
«Ti manca...?»
Sì, ma alla fine si trattava di due
problemi diversi, forse
consequenziali. «Non sono ancora a mio agio con questo
pensiero fisso
che mi invade ogni volta che tu... Oggi ho cercato di calmare proprio
te. Si può sapere come hai fatto ad avere certe idee con me
vestita così?» Tirò tra le dita un
lembo della
felpa che
utilizzava per i
lavori domestici, il capo più scialbo e comodo del suo
intero
guardaroba. «E questi pantaloni larghi sembrano un
brutto
pigiama.»
«Sì, non ti donano. Ti vedo
meglio
senza.»
Il suo era stato chiaramente un tentativo senza la
minima speranza.
«Perciò non dovevo trovarti
attraente»
sorrise lui, «per non
saltarti addosso e non farti sentire a disagio mentre sfogavi la tua ossessione
assieme a me?»
Faceva bene a riderne, annuì lei. Per la
seconda sensazione
non
si sentiva altrettanto sciocca. «Mi manca
parlarti.» Di tutto quello
che passava loro per la testa, come avevano fatto per mesi e mesi per
passare il tempo, trovandola l'occupazione più soddisfacente
che
potesse esistere per loro due. «Per tanti mesi non abbiamo
fatto altro
e ora sembra che l'unico modo in cui sappiamo stare da soli in una
stessa
stanza è...» Scosse la testa e cercò un
punto di
vista esterno. «Magari deve solo passare qualche
altro
giorno.»
Incerta sulla stima, sollevò un sopracciglio. «Del
tempo.»
Alexander continuò a guardare il muro e
terminò
di pensare. «È vero: non stiamo parlando molto. A
parte
di...»
Già. Negli ultimi grandi discorsi che
avevano fatto avevano
parlato del futuro, del
pericolo del loro presente e del suo passato di battaglie,
tutto da riempire per lui. Appena avevano potuto tuttavia non ne
avevano parlato più: lei non voleva insistere sul fatto che
sarebbe andata ad aiutare le sue amiche se fossero state in pericolo, e
lui probabilmente non voleva sentirglielo dire.
Alexander tornò a guardarla.
«Se non avessimo
tanto da
studiare
per gli
esami e non ci fossero queste battaglie che tu devi...» Si
interruppe. «Se
avessimo più tempo, forse potremmo passare una giornata
intera
insieme. Ma anche se abbiamo solo una mezz'ora di
pausa...» Sorrise. «Sì, manca
anche a me parlarti.»
Stiracchiò le braccia verso l'alto e si sdraiò
sulla
schiena. «Facciamolo ora.»
Ami prese il quaderno che le impediva di allungare
le gambe e lo
appoggiò sul comodino.
Quando si sdraiò accanto a lui, la testa
sullo stesso
cuscino
largo, volle accarezzargli la fronte e tenergli il viso tra le mani.
Era anche colpa sua, si rese conto, se non parlavano più con
la
spensieratezza di un tempo. Provò a spezzare quel circolo
chiuso
col primo pensiero che le venne in mente.
«Ieri, prima di dormire, ho visto un
documentario sui
leoni.» E aveva
desiderato follemente poter discorrere con lui di tutto quello
che
aveva pensato.
«Circondati da felini» rise
piano Alexander,
indicando Ale-chan,
appallottolato su una sedia lontana, addormentato.
«Sì» gli
sfiorò una mano lei.
«C'erano questi
cuccioli
che
giravano intorno ad un leone adulto, maschio. Non ricordo se era lui il
padre, ma il documentario diceva che avrebbero dovuto stare attenti:
anche se quel leone sembrava averli accettati, non
funzionava sempre così. Sai che quando crescono i piccoli
maschi vengono
allontanati? Sono visti come concorrenti dal leone dominante.
Per i leoni esiste solo una
struttura sociale a branchi: un leone, tante leonesse. Ho
pensato... è strano tutto quello che diamo per
scontato su
come debbano
funzionare i rapporti tra gli individui. Saremmo potuti arrivare al
nostro attuale sviluppo, come cultura umana, se funzionassimo ancora in
maniera simile?» Scosse pensierosa la testa. «Senza
una cura dei
piccoli fino all'età adulta, verrebbe a mancare un
supporto fondamentale allo sviluppo della nuova generazione. Se
addirittura ci fosse ancora competizione tra maschi facenti
parte
della stessa famiglia... O tra femmine... È il
nucleo familiare che ci ha aiutato a progredire, no? Due adulti che
si accordano per occuparsi della nuova generazione, riconoscendolo come
loro compito principale. In parte è un accordo e in parte un
impulso. Quale dei due sarà venuto prima?» Aveva
azzardato
una
risposta tra sé.
«L'impulso» commentò
Alexander.
«Qualche primate maschio
deve
averlo avuto per primo milioni di anni fa. Ha funzionato come modello
all'interno di un branco che è progredito numericamente
più di altri, con individui che hanno ereditato la stessa
propensione.»
«Si eredita?» Ci
rifletté di nuovo
assieme a lui.
Alexander annuì per primo.
«È ormonale.
I livelli
di ormoni
possono essere influenzati da fattori genetici. Nella maggior parte dei
nuclei familiari questo impulso poi può trasmettersi anche
come
atteggiamento. Un atteggiamento positivo attecchisce con
successo se ha soddisfatto gli individui nelle loro interazioni
reciproche. Tendono a riprodurlo.»
«È una catena»
concordò lei.
«Ma in tutti i sensi. Un
atteggiamento negativo attecchisce per trauma altrettanto in
profondità. Nella preistoria contava la forza, era
più facile che la sopraffazione violenta venisse
ricompensata
con cibo e sopravvivenza.»
Dopo un momento, Alexander annuì di
nuovo. «Ma
nessuno
rinuncia alla convenienza
nel momento in cui cresce la massa cerebrale. In gruppo i primati
riuscivano in imprese non ottenibili da piccoli nuclei di individui,
con vantaggio di tutti. Saremo nati come animali sociali in quel
momento... Per sopravvivere meglio abbiamo mitigato alcuni istinti
animali e imparato a sopprimere un egoismo istantaneo in favore di una
sicurezza futura.» Rifletté. «Lo stesso
concetto di futuro
deve
essere divenuto più importante solo di fronte ad
un'accresciuta
intelligenza. Meno si è evoluti, meno si
programma.»
Già. «E più si
è evoluti,
più si guarda al presente immediato con distacco.»
«Sì» disse lui,
perdendosi in un
pensiero grave.
Ami non ebbe bisogno di sentirlo per sapere quale
era. «Forse
sono
ingenua...» Ma piena di fiducia. «Anche se ora non
riesco a immaginare
come sia avere cento o a
duecento anni... sono sicura che considererò ugualmente
importante il presente che
starò vivendo. Forse sarà tutto come un lungo
presente. Non perché ogni
anno sarà come un mero momento per noi, al contrario:
farà parte di quella catena continua che è la
nostra
vita. Non lo danneggeremo pensando che è solo un anno facile
da
dimenticare in altri mille che ci rimangono.»
Lasciò che la
voce
si spegnesse lentamente nella propria gola.
Davanti allo sguardo vacuo di lui, concentrato sul
nulla,
annuì. «Usando il termine 'noi' mi riferivo
soprattutto alle mie compagne. So
che vuoi starmi accanto, ma sarà una scelta che
farai
giorno dopo giorno nei primi tempi. Su queste cose che ti dico...
poniti da
esterno. Studiale per tutto il tempo che vuoi, senza sentirtene
già incluso senza scampo.»
Alexander si riprese un sorriso debole.
«Ami, pensavo ai
vostri nemici,
non a noi. Sono sicuro che il loro caso è diverso: vivere
tanto
li ha danneggiati. ll sorpruso è normale dal loro punto di
vista. Se serve a ottenere quello che
vogliono, lo ritengono accettabile.»
Lei non si permise di concentrarsi sul sollievo: la
smorfia sulle
labbra di lui la spinse a prendergli una mano. Alexander stava
pensando a quando l'avevano fatta sparire per più di
metà
settimana.
«Tu... provi ancora rabbia per quei
giorni, vero?»
Lui aprì il pugno e le
inglobò per intero le
dita. Non rispose.
Mi
dispiace.
Lei si trattenne dall'abbassare la testa e baciargli la mano.
Alexander gliela stringeva piano e con fermezza,
come se potesse
esprimere in quel modo il bisogno che sentiva di tenerla lì.
«Sai...» gli sorrise, trovando
un nuovo pensiero
giusto da condividere. «Non sono mai riuscita a immaginarmi
come fosse essere un ragazzo.»
«Cosa?»
«Essere un ragazzo. Un uomo.»
C'erano sensazioni
che poteva condividere
e comprendere appieno provando a mettersi nei suoi panni, ma,
nonostante tutte le similitudini tra loro, alcune reazioni le
risultavano ancora misteriose. Affascinanti proprio per questo.
«Cosa vuoi dire?»
Lo aveva fatto sorridere, come in un tempo in cui
non avevano mai
conosciuto paura insieme. Era tornata a dire la prima cosa che le era
venuta in mente, giocando coi ragionamenti e aprendoli a lui.
«Questo desiderio di protezione ad
esempio. Anche una
donna può provarlo, ma di solito nei confronti di
qualcuno di più
debole. Come un
bambino, soprattutto, anche se può trattarsi anche di un
compagno adulto nel momento in cui lui è in
difficoltà.
La nostra conformazione fisica in realtà non è
una base
importante in tutto questo? Difendiamo chi è
più piccolo per istinto, per un insito... dovere. Io
difenderei
una persona che non può proteggersi, ma riesco a immaginare
solo
un bambino, non un adulto perché...» In
realtà,
le
riusciva facile immaginare adulti ora che aveva un potere di cui
nessuna persona normale poteva disporre. Dimenticò quel
passaggio. «Non conosco
adulti che abbiano un fisico molto più piccolo del mio. Non
nella proporzione che esiste tra noi due,
per esempio.»
«Ma non sono tutti alti come
me» obiettò
divertito lui.
Esatto, il concetto della differente corporatura
non poteva essere
centrale. «Volevo dire...»
Alexander annuì. «Ho capito.
Beh... Se sei un uomo
ti dicono
fin
da piccolo che tocca a te fare qualcosa... di più. Se gli
altri
piangono, tu devi stare tranquillo. Se qualcuno non sa fare qualcosa,
tu invece devi poterla fare e risolvere il problema.
È una
questione culturale, ma...» Si adagiò sul fianco.
«A volte
penso
che sia mancanza di alternative. Ti capita di avere attorno queste
persone a cui tieni... sì, forse più piccole o
più deboli,
ma il problema è che quando non possono proteggersi da sole
non
può farlo nessun altro e loro iniziano a guardare te; un giorno te ne
accorgi come un fulmine
a ciel sereno. Realizzi anche che non c'è nessun
altro a cui puoi
rivolgerti tu, perciò non puoi essere come loro neanche
volendo.
E non vuoi perché sarebbe la fine: la
disperazione della tua impotenza ti mangerebbe vivo se ti facessi
venire il dubbio. Alla fine, devi convincerti di essere forte e stabile
per trovare un equilibrio. Non puoi rivolgerti a qualcun altro
perciò
ti rivolgi all'immagine che hai di te stesso e trovi qualche sicurezza
in quella. Anche un po' d'orgoglio, perché no? Il lato
positivo
viene da sé.»
Ami rimase in silenzio.
«Parlavo di un ragazzino che cresce,
Ami» sorrise
lui. «Col passare del
tempo calano le insicurezze perché vedi che ci sono davvero
cose
che puoi fare solo tu. Raggiungere uno scaffale più alto,
muovere cose pesanti. Ah, e far sentire meglio gli altri mostrandoti
forte. Ti rende forte e anche fiero di esserlo, sempre di
più.
È un cerchio che si alimenta da solo.»
Lei lo aveva spezzato per lui, togliendogli la
sicurezza di poter fare
qualcosa di fondamentale come tenerla al sicuro.
«See?
Questa è una
dimostrazione perfetta. Nel momento in cui parli di debolezza, insinui
il dubbio in chi ti deve vedere forte. E ricevi questo
sguardo...»
Premette col dito sulla base del suo naso, giocando. «Non fa
bene a
nessuno. Io sono ancora forte, Ami. In tutti i modi in cui posso
esserlo.»
Forse la differenza tra loro era quella: a lei
importava solo nella
misura in cui ci teneva lui. Lo vedeva forte in altri modi, anche solo
per aver ammesso di non esserlo.
Si sentì stringere piano il braccio,
sopra il gomito.
«Ammetto che non riesco a immaginare di
essere adulto e avere
un fisico
come questo» osservò divertito lui.
«Come farei a
sopravvivere? Non terrei bene
la moto, dovrei alzare gli occhi per guardare in faccia chiunque
altro...» Rabbrividì con una smorfia.
«Sarei come un bambino
che
non può farsi rispettare da nessuno.»
Ami liberò una risatina. «Io
non ho questo
problema.»
«Perché non sei piatta e sei
soffice.»
«Cosa?»
«Perché è normale
che tu sia adulta in
questo
modo»
continuò a giocare lui. «Sei più
piccola ma sei
temibile
perché sei diversa.
Hai più curve dappertutto, anche in faccia o nell'incavo di
un
braccio: basta anche un'insenatura o un rilievo in più. E si
capisce che sei soffice al tocco anche solo a guardarti.
Allora uno si mette lì a riflettere su cosa voglia dire
avere
un corpo come questo e tempo che capisce dove va a parare la sua
curiosità si è già distratto senza
scampo.» Le
accarezzò il palmo con un dito. «Naturalmente, se
stiamo
parlando proprio di te e questo 'uno' non sono io, torneremmo tutti
indietro di
qualche milione di anni, al tempo di un duello preistorico all'ultimo
sangue che vincerò senza rimpianti. Triste giorno per
l'umanità.»
Ami scoppiò a ridere e lo
abbracciò forte.
Le mani sulla sua schiena iniziarono a scorrere
più
lente, con maggiore intento.
Stavano per smettere di
parlare, capì, e si sentì in pace. Si era
ricordata la sensazione di cui si era sempre sentita
preda
alla fine dei loro discorsi: diminuiva lei stessa i centimetri
di
distanza tra
loro, cercando un contatto che non fosse solo mentale, per rispecchiare
la natura dell'affiatamento che avevano a parole. Ne
aveva trovato uno più profondo, era una cosa
meravigliosa.
Udì un sussurro all'orecchio.
«Ti va un altro
esperimento?»
No,
sospirò lei, accarezzandolo su una spalla.
«Ripassare ha i
suoi pregi.»
«È un esperimento sulle basi.
Un gioco per conoscerci meglio.»
Hm?
«Ti tocco e ti
ascolto.
Così tu mi dici se ti piace e mi guidi.»
Non comprendere immediatamente le implicazioni la
portò a
non
arrossire subito. Aveva appena iniziato a farlo quando lui
continuò.
«Ho preso spunto da ieri.
Quando sei stata tu a
prendere
l'iniziativa e abbiamo fatto quello che volevi, mi è
sembrato...
Ti è piaciuto molto di più, vero?»
«No» avvampò lei,
nascondendo gli occhi.
«Secondo me sapevi da sola cosa ti dava
maggior-»
Lo zittì con un dito. «Non
è stato
diverso.» Non
riusciva a fare differenze tra tutte le volte; a parte forse la
prima, con quel poco di disagio e confusione all'inizio.
«Io ti ho vista diversa»
continuò lui.
Fece silenzio per un
momento. «L'idea che ho avuto sarà buona anche
in un
altro
senso. Finora... non è stato abbastanza romantico.
Forse solo la prima volta.»
«Hm?» Non lo aveva seguito.
«Well,
fino a questo momento ha funzionato così»
ragionò
lui. «Io prendo l'iniziativa, tu mi fai capire che sei
d'accordo e
noi... ci immergiamo nell'impresa, come gatti affamati a cui hanno
appena
offerto del cibo.»
Al sorriso Ami sostituì un'occhiata
mortificata al soffitto.
Un comportamento simile non faceva di lei una...?
Una ragazza
innamorata,
concluse. Era sempre stata veloce ed efficiente ad iniziare tutto
quello
che le piaceva fare; perché non anche quell'atto d'amore
che, una
volta cominciato, accresceva in lei il desiderio di non
pensare ad altro?
Alexander si riprese la sua attenzione. «You are a romantic, love.
E il passaggio per noi è stato troppo rapido. È
come se
fossimo passati
da un'utilitaria ad una Ferrari nel giro di una settimana. E quando
uno si abitua alle macchine da corsa...»
Lei scoppiò in una risatina.
«Altro paragone azzeccato, hm?»
Una mano le
accarezzò i
capelli. «Vedrai che tornando a ritmi più
lenti
sparirà anche quel poco di disagio che senti.»
Come poteva essere quello il problema?
«Sappiamo andare
lenti.»
«Ma non come arrivarci
lentamente.»
C'era una differenza, capì lei,
ma non
riuscì a
farsi venire in mente un esempio pratico. Di certo non le era mai
sembrato di andare troppo veloce in quei
momenti. Avevano semplicemente seguito il ritmo che sentivano dentro
entrambi.
Un bacio la accarezzò sull'angolo della
bocca, indugiando
lì.
Okay.
Si
permise di chiudere gli occhi e mandare in riposo il cervello.
Ami voltò piano la testa e
separò le labbra,
cercandolo.
Si sfiorarono con la punta della lingua,
nient'altro, ma lei si
irrigidì e si sciolse in un istante, stringendogli la
camicia
tra le dita e premendo la bocca aperta sulla sua, in offerta.
L'assaggio ebbe il retrogusto della cioccolata che avevano mangiato
un'ora prima, un sapore che Alexander quasi non notò:
lei gli stava accarezzando la tempia e aveva abbandonato
la testa sul cuscino. Lo lasciava scivolare tra le sue labbra senza
opporre alcuna resistenza, interrompendo il respiro durante i contatti
più umidi e stimolanti, socchiudendo la bocca per chiedergli
di
non allontanarsi, di non smettere.
E lui che aveva pensato ad un bacio romantico.
Non
sono un gatto in
calore. Strinse il cuscino tra le
dita e lasciò
scivolare l'altra mano sotto la felpa di lei, sulla schiena.
Non
devo far partire una
macchina da corsa. Solo
qualcos'altro che era
già partito per conto suo.
Sul palmo aperto la sentì calda,
soffice... Dannazione, non
aveva scherzato su quanto era soffice e morbida, tanto liscia da avere
una consistenza irreale. Era come crema umana, da leccare. Il sapore
era
migliore
su due punte facili a inturgidirsi, che si indurivano invece di
piegarsi; era addirittura bollente sotto uno strato sottile di cotone
intriso di un odore che gli dava alla testa e diavolo, diavolo,
doveva pensare ad altro!
«Ora sei tu che stai pensando»
sorrise Ami,
soffiandogli le parole
sulle labbra. «Sei distratto?»
Il suo era esattamente il problema opposto. Scosse
la testa e
provò a tenere gli occhi aperti.
La
realtà non era
la sua fantasia, si ammonì. Anche se si potevano fondere,
lui
non
poteva continuare a portarci dentro Ami. Forse era per tutte le volte
che lo aveva fatto, concentrandosi sulle sensazioni o anche solo sul
fargliele provare, che lei si sentiva ancora a disagio.
«What
is it?»
La voce di lei in inglese era una
dichiarazione sussurrata.
Nella nostra lingua, puoi dirmi
qualunque cosa.
«Tell
me what
you want»
azzardò lui. Qual era la fantasia di Ami? Qual era quel
pensiero che la faceva sentire come se fosse tutto... perfetto?
Lei arrossì lievemente. «Che
cosa mi
piace?»
No, non il suo esperimento. E anche se amava quel
rosa spruzzato di
rosso pallido, per una volta pensò di non volerlo
più
vedere. Voleva saperla capace di librarsi senza più
imbarazzi. «Tutto quello che vuoi.»
Il sorriso di lei fu tanto debole da non potersi
definire tale.
«Per
quale motivo ti senti in colpa?»
Lui doveva sentire una spiegazione da lei per
comprenderla bene, invece
Ami con lui saltava tutti i passaggi.
«Stavo per fare come le altre volte. Ero
così impegnato a immaginare cosa volevo fare con te, che ti
avrei portato con me invece di aspettarti.»
«Ma a me piace.»
Su quello non aveva dubbi. Non si pentiva del
passato,
voleva solo a imparare qualcosa di nuovo per il futuro.
Lei abbassò lo sguardo, un labbro che
assaggiava l'altro.
«Mi piace sapere che... immagini. Me.»
Love,
non aiuti.
Gli venne da
ridere. «Dimmelo, per favore. Dimmi quello che ti viene in
mente
quando.... Quando
chiudi gli occhi e pensi solo a ciò che vorresti
tu.» Voleva
entrare nell'immaginazione di lei, viverla.
La piccola risata di Ami, a malapena udibile, fu
d'imbarazzo.
«A occhi
chiusi mi viene il mente solo il buio... Toccarci senza vederci. Manco
d'immaginazione.»
Hm... Ma quella era
una cosa nuova.
«Okay.» Si tirò su,
sentendo di
essersi aggrappato
ad una
fune solida e sicura. Sorridente, si diresse all'interruttore sul muro,
accanto alla porta. Spense la luce.
Alle cinque del pomeriggio non vi era
più un solo barlume di
luce naturale che provenisse dall'esterno. Oltre le fessure delle
persiane, solo la luce soffusa dei lampioni lontani impediva il buio
assoluto.
Un'incertezza non sua aleggiò l'aria.
«Va bene
così?» fu la domanda di Ami.
Attento a ricordare i contorni della stanza, lui
tornò sul
letto. «Per me sì.»
«Non preferisci con... la luce?»
Le sue
pupille si adattarono rapidamente al nuovo livello di
luminosità. Vide il brillio riflesso negli occhi di
lei
quando si voltò pensierosa verso la finestra.
Ami sembrava più a disagio di quando lui
non si era
preoccupato
tanto di metterla a suo agio.
«What's
wrong?»
le chiese.
«Non... limitarti per me. Voglio che per
te sia come le altre
volte,
questa del buio... è solo un'idea.»
Scrollò
le spalle.
Gli si aprì un mondo di comprensione.
Ami teneva ad
accontentare lui.
«Proviamola.» Si trattenne
dall'abbracciarla riconoscente,
lusingato. «Ci saremo tu, io, senza vestiti...
funzionerà
alla
grande.»
Il rossore di lei, invisibile al buio, non la
guidò
più.
Sul letto Ami si inginocchiò, avanzando fino a trovarlo.
«Sai...
è come se ti vedessi lo stesso davanti a me.»
Gli prese
il
volto tra le mani.
Nelle ombre chiare del viso di lei
Alexander vide il blu delle
iridi e
un
sorriso accennato, rosa come le sue labbra, che era lì per
accoglierlo. «Anche io.»
Sbagliarono l'incastro del bacio, ma senza farsi
male. Lo aggiustarono
in
un brevissimo momento, d'istinto.
Senza la luce a bagnargli le palpebre chiuse, lui
scoprì una
cosa
nuova mentre si sdraiavano: avevano tolto al mondo i suoi colori e un
pezzo della sua essenza, quella che lo rendeva parte di una giornata
che non era ancora terminata. Anche se in lontananza i rumori esterni
non erano cessati, in quella stanza era già notte, un
momento
del giorno da dedicare al riposo oppure solo a loro due, senza alcuna
fretta. Gli sembrò di avere davanti ore per fare tutto
quello che volevano. Come la
prima volta, ma senza più l'imbarazzo di non sapere cosa
fare e
senza l'incertezza di come sarebbe andata a finire.
Quella del buio - della penombra profonda, non gli
pareva
più un buio totale - era stata una trovata geniale.
Tornò ad accarezzare lo stomaco di lei
sotto la felpa e la
sentì inarcarsi senza remore, il bacino sollevato.
«Posso usare la tua idea?» gli
sussurrò Ami, una
mano sotto la sua camicia, un sorriso dietro la voce bassa.
Prende
l'iniziativa,
pensò lui. Questo
è paradiso. «Sì.»
Si chiese solo poi di quale idea si trattasse.
Le dita di lei si posarono sulle sue, mentre le
lasciava scorrere sul
suo stomaco. «Non andare così... forte. Non
subito.»
Eh?
Più leggero di
così c'era solo una
carezza che
non era nemmeno tale, una passata di dita che più che
toccare
sfiorava a malapena. La tentò ugualmente.
Ami bloccò un sospiro che poi si fece
più lungo,
un poco più forte.
Alla luce, lo avrebbe visto spalancare gli occhi.
Lui l'avrebbe toccata così solo in zone
più sensibili, ad esempio sul seno o tra le... Per non
correre
di nuovo in anticipo sui tempi, ripeté il gesto. La
reazione di lei fu identica e terminò con una stretta salda
al
polso che lui teneva fermo.
«È come il solletico, ma...
piacevole»
disse Ami.
Al buio,
sembrò che avesse una voce solo per parlare con lui.
«Anche qui?» Alexander
lasciò scivolare
polpastrelli e dorso
delle
unghie verso l'alto, evitando il petto, finendo quasi sotto le ascelle.
Ami allargò le braccia e
inspirò l'aria di
metà
stanza. «... sì» ansimò. Gli
prese le mani e non
ebbe
bisogno di chiedere.
Lui la sovrastò fino quasi a
schiacciarla. Appoggiato sui
gomiti
non era libero di toccarla come voleva, ma scartò l'idea di
adagiarsi
sul fianco non appena sentì un fruscio che accompagnava
movimenti rapidi. Si ritrasse e aiutò Ami e disfarsi della
felpa
scura che nemmeno vedeva più. Era solo un pezzo
di
stoffa che, tolto assieme alla canottiera spessa, l'avrebbe denudata su
tutto il torso.
Le aveva appena sfilato gli indumenti dalla testa
quando immobilizzò le dita. «Non porti il
reggiseno.»
«No.» La domanda di lei si
concretizzò
in un'affermazione. «Questa maglietta è fasciante,
lo sostituisce bene visto che
non
ho molto da... tenere su.»
Le avrebbe fatto smettere di credere che non avesse
niente con cui
riempirgli le mani. Cercò di non riderne. «Non
volevi
attirarmi, ma sotto avevi deciso di non portare il reggiseno?»
«... non si vedeva.»
Solo perché felpa e canottiera lo aveva
ingannato.
«Se una
prossima volta vengo a saperlo prima... ti sequestro sotto
chiave.»
Sorridendo, lei non terminò di
svestirsi. Rimase sdraiata,
con
le braccia tese verso l'alto e per metà racchiuse nella
felpa.
Quello era l'ardire nascosto dietro gli sguardi
sicuri che lei gli
aveva lanciato durante le loro sfide a scacchi. Io oso.
Alexander la venerò con un bacio prima
che potesse cambiare
idea. Ami
accennò a muovere le braccia e lui la accarezzò
lì, dove la pelle
era libera, scendendo con le mani fino a disegnarle le clavicole e poi
a riempirsi i palmi. Massaggiò coi pollici, piano.
Ami tremò. «I
love you.»
Lui lo sentì come un abbraccio. Le
sfilò del
tutto felpa e maglietta. «I
adore you.»
Si
beò della stretta che lo prese. «Will love you till the end, I
promise.»
Ricordò le parole di lei. «Day
by day, my choice.»
Ami lo sfiorò con la bocca sulle labbra.
«Fermo un
attimo.»
Il
suo respiro seppe di sorriso. Con le dita sfilò il primo
bottone della sua camicia. «One»
sussurrò, cominciando a
contarli.
One.
Come
il giorno che lui l'aveva vista seduta al tavolo della biblioteca,
andandosene in fretta per non notarla. Il primo passo.
Two.
Quando
aveva capito di non poter più esistere da solo.
Chiuse gli occhi e, tra i numeri, la
pregò di avere un po'
del
suo respiro.
Three.
Per
il cuore che lei gli aveva strappato dal petto quando lo aveva
rifiutato.
Four.
Per
quando gli aveva permesso di tornare a vivere. Per quando lui aveva
davvero cominciato.
Five.
Come
il numero dei giorni in cui era stata rapita, annichilendolo.
Mille, come gli anni che era disposto a contare pur
di non sentirsi mai
più in quel modo.
Ami indugiò con le dita sulle sue
guance, lasciandole
scorrere come se vi
fossero scie da seccare. «Posso essere solo la tua
felicità?»
Here
you are, you
already are.
«Tu
sei la mia, lo sai?»
Sì.
Era tutta la sua felicità, da proteggere
anche con un
abbraccio che non bastava a nasconderlo.
Sarebbe stato così sbagliato celarlo.
Lui era forma, peso su
di lei, calore vibrante sotto le sue mani,
sapore agognato, respiro che interrompeva il suo, odore che non doveva
mai andare via. Era incastro, quello giusto, il torso tra le sue
braccia e i fianchi tra le sue gambe, mentre premevano insieme col
bacino, piano.
Making
love
non poteva essere qualcosa di diverso: incontro di ogni
senso in cui
l'amore si ricreava daccapo. Make love, make a love, un amore
completamente nuovo, vulnerabile senza timore, come il bacio con cui
andò a percepire lui sul collo.
Sensibile, pensò, udendo l'ansito. Il
suo amore era
inebriante.
Pochi centimetri più sotto, lo
assaggiò di nuovo
e
la tensione in lui divenne così rigida da essere...
eccitante.
Le dita sul suo seno la fecero inarcare sul letto.
Per
favore, ancora.
Sì, era la sua primaria e meravigliosa
ossessione. My love.
«Più piano?» le
chiese lui.
Per scuotere la testa lei dovette attendere di
riuscire a muoverla.
Ritrovò le mani sotto la canottiera di lui, intrappolate dal
cotone alla sua pelle. Resistette all'impulso di graffiare con le dita
e le lasciò scorrere verso l'alto, portandosi via
l'indumento. Alexander liberò le braccia dalla camicia e poi
lasciò fare a lei.
Nella penombra scura Ami gli denudò il
torso sfiorandogli i
capelli, lasciando cadere la canottiera dietro di lei, giù
dal letto.
La trovò un'esperienza tanto sensuale da
volerla vedere a
colori.
Due mani le slacciarono i pantaloni e li tirarono
giù, senza
ulteriori attese.
Aiutarlo sollevando il bacino la portò a
distendere la testa
all'indietro, oltre il limite del materasso. Cercare di rimettersi
dritta non servì ad altro che a farla quasi cadere. Si
aggrappò alle mani che arrivarono a sostenerla.
«Impazienti come gatti.»
Lei?
«Io, ma per una volta anche tu, love.»
E proprio come un felino, Alexander strofinò la guancia
contro la sua.
Di nuovo al sicuro al centro del letto, a lei
uscì un
sorriso.
«Ma un gatto farebbe così.» Sollevandosi
scivolò
su di lui, petto contro petto, fino ad abbracciarlo sulle spalle.
«Se
fosse molto affettuoso.»
Lui eliminò aria per un intero secondo.
«Sempre al
buio
d'ora in poi.»
Per una volta lei lo comprese subito.
«No, la prossima
volta...»
«Sollevo le coperte?»
Cosa?
Alexander la allontanò dalle propria
ginocchia e scese dal
letto.
«Stiamo al
caldo.» Senza attendere risposta scostò il
piumino,
sollevandolo. Si liberò dei pantaloni e tornò a
sdraiarsi sotto le coperte, senza perdere un solo secondo.
Ami sorrise: si era preoccupata per niente. Non
aveva malinterpretato
il momento,
anche lui non vedeva l'ora di continuare.
Alexander la prese per la vita
mentre lei già si stava avvicinando, portandola contro di
sé tanto rapidamente da farsi colpire allo stomaco con un
ginocchio. Si mise a ridere. «Quando vuoi andare
più piano... ho bisogno di
sentirtelo
dire.» Premette la bocca contro la sua a labbra aperte e non
le permise
di ricambiare. Era già sceso a trovarle il lobo
dell'orecchio e la gola, lasciando libero il respiro lì.
Il sangue in
lei raddoppiò in
velocità per
permetterle di arrossire sulle guance e pulsare contro il suo bacio.
«Non ho detto niente.» Gli abbracciò la
testa.
Lui produsse un suono incomprensibile, che si
trasformò in...
«... no, no, no.»
Alexander si scostò all'indietro. Respirava forte.
«Era questo...?» Tornò con una mano su
di lei, ad
accarezzarla appena sullo stomaco. «Questo prima ti piaceva,
vero?»
Ami non gradì sorridere di lui.
«Cosa stai
facendo?»
«Niente.»
Si stava controllando invece, proprio quando non
c'era alcuna ragione
per farlo. «Non pensare più. Nemmeno per
me.»
«Va bene.»
Una piccola bugia innocente?
Il pensiero di protestare ancora le parve
sbagliato. A parole fendevano
il buio e la comprensione innata che avevano naturalmente quando
non decidevano da soli di metterla alla prova.
Sullo stomaco la carezza leggera le
provocò un brivido di
solletico. Più
forte, ora. Ma non voleva dirlo e continuare a dare
istruzioni. Non voleva più pensare, tutte le altre volte...
Come faceva a fargli capire che come tutte le altre volte andava
benissimo? Non le dispiaceva avvampare. Voleva esperimenti
azzardati e silenziosi, e soprattutto sentire che ad Alexander amarla
piaceva tanto da perdere la testa.
Il dorso delle dita di lui rasentò la
linea più
bassa del suo addome. Sentendo sobbalzare i propri muscoli Ami
capì d'istinto che il piacere di entrambi si trovava alla
distanza di un soffio. Lui tornò a respirare sulla sua
tempia e, con due polpastrelli, appiattì il fiocco minuscolo
ricamato sul bordo dei suoi slip.
Armata di coraggio e sensazioni, lei gli
prese le dita e le
spinse
giù. Più giù, fino a serrare forte gli
occhi.
L'ansito contro la guancia la eccitò.
«Lì?»
Lei piegò la testa all'indietro e si
nutrì
dell'aria di lui direttamente dalla fonte.
Aveva mai intuito che Ami era come lui nelle
pulsioni più
profonde?
Sì, no, forse da sempre.
Ricordava, vagamente, di essersi vergognato come
lei quando era stato
ragazzino - per un brevissimo periodo - prima di lasciarsi andare alla
scoperta di tutto il piacere che poteva provare col corpo. Il suo
imbarazzo si era polverizzato tanto velocemente da fare di lui un
segreto edonista.
Ami sarebbe stata più lenta, ma era come
se avesse spezzato
una barriera. Ora lo baciava ansimante, dondolando coi fianchi
contro le sue dita.
Lui era un perfezionista eccitato, innamorato,
inebriato: in quel
buio, in quel momento, aveva imparato abbastanza su di lei da farle
provare il
piacere più intenso di tutta loro breve esperienza. Con la
certezza di ripetersi, no
problem about it.
Ami staccò le labbra dalle sue per
inspirare, il corpo teso
e involontariamente tremante.
Sopra il cotone sottile degli slip per lui fu
facile capire quanto
premere: piano come sullo stomaco, come gli aveva detto lei, ma con un
poco più di insistenza.
Con un gemito soffocato, la mano di Ami
schiacciò la sua
dopo altri due momenti.
Right,
meno
delicatezza. E desiderò davvero dimenticarla: dove teneva
la mano, Ami era favolosamente calda. Non era diventata
così solo per sentirlo strofinare le dita su
quel punto.
Lei nascose il viso contro il suo collo, stringendo
forte le gambe,
muovendo i fianchi in una maniera...
Circolare, colse lui. Seguì il movimento
e comprese che era
la chiave di quell'attimo, il movimento giusto che- Lo
rallentò di proposito.
Ami lo stava baciando sul collo, meravigliosamente bene. Smise solo
per un momento quando lui scelse di non avere più ostacoli
nell'accarezzarla.
Il morso leggerissimo dei denti di lei sulla
giugulare sarebbe stata
una
di quelle sensazioni che sarebbe tornato a cercare ancora, per sempre.
Infilò il braccio tra il materasso e il
fianco di lei per
abbracciarla, per trattenerla meglio, mentre più sotto la
sua
mano... La sentì scivolare come su seta bollente e
morì
di un
orgasmo mentale. Lei iniziò a provarne uno vero, pulsante, e
tra
l'avanti e indietro lui sentì il bisogno di andare....
dentro.
Non
pensare
più. Parole di lei, di
prima. Le unghie
che affondarono nelle sue spalle lo convinsero a
lasciarsi andare.
Spalancò la bocca e andò a
divorare quella di
lei, catturato mentre la prendeva, inglobato senza pietà
ancora in pieno movimento, perso, teso e... Strinse gli occhi. Nella
penombra si concentrò sulle palpebre serrate di Ami, sulle
sue labbra umide e lucenti. Su quanto era bella più che mai
mentre si lasciava accarezzare senza remore, guidandolo e muovendosi
con lui solo per provare picchi più intensi, vivendoli in
ogni istante. Lui solo e solamente fino all'ultimo, poi le
levò
gli slip così velocemente che per un attimo pensò
di averli strappati. Si prese un altro momento - di decenza - per non
finirle sopra ancora mezzo vestito.
Quello che amò oltre ogni dire fu
sentirla allungare le
braccia
nella sua direzione, come se fosse naturale volerlo con lei.
Per non fallire miseramente, si
posizionò come aveva fatto
la
prima volta, con le braccia piegate oltre la testa di lei e il
bacino allineato al suo. Fu uno sforzo, ma funzionava, come
aveva letto dappertutto.
Si lasciò colpire dalla fitta del
contatto con la carne
morbida e, sistemandosi col peso sulle gambe, trovò la prima
unione incompleta, quella con cui riusciva a stimolarla maggiormente.
Ami gli chiuse i fianchi tra le gambe e
sollevò le braccia
verso le sue spalle, cercandogli la testa.
Lui annuì senza parole. Tra
poco. Oh sì, tra poco, quando fosse finita la
miglior
tortura mai inventata dall'umanità, quello strofinarsi
dall'alto verso il basso e in senso contrario che era preludio del
piacere massimo, tanto eccitante perché era già unione.
Se solo avesse potuto anche baciarla.
La carezza di Ami sulla guancia scese e si
trasformò in
presa sulla sua spalla. Lei la usò per scivolare verso
l'alto, tra lui e il materasso, lontano. Scosse la testa.
No?
«Così.» Ami gli
diede un bacio e
tornò a
sdraiarsi senza perderlo. «Così.»
Premette contro di lui col
corpo, ritrovando l'incastro per prima.
Scivolare completamente dentro di lei, a fondo, lo
portò a
cercare il sangue nel mordersi le labbra. «Per
favore.» Cosa le chiedeva?
Tregua, sollievo?
«Fai così»
insistette lei, sorridendo
con un ansito. «Va
bene, non... please.»
Delle proprie azioni, capì lui, non era
più
responsabile.
Mosse i fianchi piano all'inizio, ancora sotto
controllo.
Riuscì a godersi le carezze che riceveva e che le dava. E i
baci, God,
i baci. Li amava con tutto il suo essere.
Poi divenne una sofferenza. Si muoveva e sentiva il
proprio culmine
come se fosse già lì, dentro il corpo stretto e
caldo di lei. Troppo
presto.
«Please» gli sussurrava Ami,
affondando le dita
nelle sue spalle tese.
Alexander capì cosa gli stava davvero
chiedendo lei solo
quando
la sentì stringerlo, di proposito, anche con quei muscoli
che le facevano provare piacere.
Si tenne al cuscino, a lei, e perse la ragione. Si
mosse senza, veloce
e a fondo, non da solo. Di più, ancora.
Non udì gemiti improvvisi da Ami,
percepì solo un
abbraccio continuo, intimo e amorevole, che non lo lasciò
mai andare.
Alla fine, non ebbe nemmeno la forza di sostenersi
sui gomiti. Si
accasciò e, sotto di
lui, Ami si mosse per stringerlo di più.
Respirando velocemente contro la sua guancia,
Alexander
inspirò
l'odore di lei talmente tante volte da riuscire a percepirlo come
diverso:
sapeva di eccitazione acuta. Sazia.
Le accarezzò un gomito. «Is it...?»
«It's
fine.»
La voce di Ami si ruppe in una risata minuscola, dolce.
Tremò appena, di sensazioni svanite da un attimo. «It was
beautiful.»
Sai
perché
voglio baciarti? Per mille ragioni,
non avrebbe saputo
sceglierne una neppure lui. Lo fece e basta.
«Non sono più tanto
inesperta» disse
lei, recuperando un
briciolo di fermezza. «Io... so decidere cosa
voglio.»
Non c'era abbastanza luce da riuscire a leggere la
sua espressione.
«Okay?»
La notò ugualmente abbassare lo sguardo.
«A me una volta sola...»
Stava arrossendo.
«... basta. È
sufficiente.»
Ah.
Si
sentì sorridere. «Perciò sbagliavo
a...?»
«No. Cioè sì,
se ti trattieni. Non farlo più, non è... Non
è quello che piace a me.»
Lo aveva notato. Non le era semplicemente grato,
l'aveva scoperta in
una maniera... Com'era sempre stata, si rese conto. Generosa.
Ami non aveva smesso di parlare. «Inoltre
a me... I
really liked it even when...»
L'inglese era anche la lingua delle confessioni
molto imbarazzanti.
Lui ebbe un'intuizione. «Una seconda
volta?» C'era
stata?
Il silenzio carico gli diede la sua risposta.
Damn,
I'm really good.
Scuotendo la testa, Ami iniziò a ridere.
«Dobbiamo
riprendere a studiare.»
Ma certo. La baciò sulla guancia.
«Guastafeste.»
Lei spalancò la bocca.
Lui si ritrasse, sedendosi. «Ti perdono
solo se con la luce
accesa
non ti
copri.»
La risata lo contagiò.
Oh
sì.
Ridere e ridere, non voleva fare altro con lei. Oh, e
studiare. Ah, e
fare l'amore. E... well,
troppe cose.
Tornò in piedi, caldo delle coperte,
stremato e rinato.
Ami cercò il piumino e se lo avvolse
attorno.
«È
stato...
Senza parole, lo sai?»
Sì.
Senza parole, indescrivibile.
Era vivo in un mondo perfetto.
NdA
: Lo sapevo. Se gli davo il suo tempo, questo capitolo poteva
piacermi molto. Non è stato semplice scriverlo, ma ora che
ce l'ho qui davanti, nella sua interezza, mi lascia la sensazione che
cercavo sin dall'inizio. Forse non c'è una sola parola.
Tenerezza, un po' di quel tocco di Red Lemon che doveva esserci e...
profondità? Volevo rendere il capitolo intenso e
interessante in ogni senso.
Non so se ce l'avrò fatta per tutti,
forse parlo ispirata
dall'amore del momento per il capitolo appena dato alla luce :)
In ogni caso, grazie di essere qui a leggere.
ellephedre
Traduzione di alcune frasi:
- well : intarcalare, come 'beh'.
- I
adore you. [...] Will love you till the end, promise. [...] Day by
day, my choice : Io ti
adoro. Ti amerò fino alla fine, promessa. Giorno dopo
giorno, la mia scelta.
- Here you
are, you
already are : Sei qui,
lo sei già.
-
Damn, I am really good :
Dannazione, sono proprio bravo.