ATTENZIONE! Questa
one-shot é legata alla long-fic Draco/Hermione Gargoyle - Beneath the Stone:
la comprensione della one-shot, delle circostanze e dei personaggi,
é inscindibile dalla lettura della storia da cui dipende. E,
per altro, vi rovinereste le sorprese della long-fic a leggere prima
questa. Lettori avvisati...
Miei
carissimi lettori,
come
promesso torno a EFP, almeno per il momento, con una one-shot legata a Gargoyle - Beneath the Stone.
Devo
ammettere che é stato un po' difficile riprendere personaggi
della mia long-fic, se non altro perché in qualche modo
avevo già metabolizzato il distacco e ho dovuto recuperare
atmosfere che avevo già salutato per altri lidi. Non di meno
é stato bello tornare a una storia che mi ha dato ottime
opportunità di dialogo dentro e fuori da questo sito e spero
che questa one-shot sia anche un modo per ringraziare tutti coloro che
hanno letto e recensito Gargoyle
nel corso di ormai più di un anno dalla pubblicazione del
suo Prologo.
Buona lettura a tutti!
Come sempre vi ricordo che potete trovare informazioni e notizie su Gargoyle a questa
pagina FB.
***
GARGOYLE
– TURNING TO STONE
UNDER MY LEFT
RIBS(1)
It
is as if I had a string somewhere under
my left ribs,
tightly
and inextricably knotted to a similar string
situated
in the corresponding quarter of your little frame.
And
if that boisterous Channel,
and
two hundred miles or so of land,
come
broad between us,
I
am afraid that cord of communion will be snapped;
and
then I've a nervous notion
I
should take to bleeding inwardly(2).
(C.
Brönte, Jane Eyre, Ch. 23)
Il
riverbero
della candela disegnava spaventose creature d’ombra fra le
pieghe del
baldacchino.
Un
leggero
tremolio d’aria e la fiamma animava quei mostri, come mute di
serpi che
scorrevano sulla stoffa pesante e sembravano potersi insinuare sotto le
lenzuola
da un momento all’altro. La ragazza affondò
fra le coperte e serrò per un momento le palpebre, per
scacciare quelle
spiacevoli visioni. Sentiva la propria testa leggera, leggera tanto da
poter
scoppiare da un momento all’altro come una bolla di sapone:
forse aveva bevuto
un bicchiere di vino elfico di troppo durante la cena e quello ora
nutriva la
sua immaginazione altrimenti assai poco fervida. Poteva ancora sentire
il
retrogusto del vino contro il palato, mescolato a quello del dolce
nuziale.
Quando
Bathilda
riaprì gli occhi, spiando la vasta stanza da dietro
l’esigua difesa delle
coperte tirate fino al naso, scoprì di essere ancora sola.
Non
aveva osato,
naturalmente, abbandonare la camera. Il solo pensiero di poterne uscire
per
cercare suo marito non l’aveva sfiorata: tutto ciò
che sapeva di quella notte,
della sua prima notte di nozze, era
quanto le aveva detto sua madre. E quel che non era stato previsto
dalla
signora Nott era incomprensibile per Bathilda, tanto incomprensibile da
renderla impotente.
La
signora Nott
aveva istruito la figlia, come sua consuetudine, con grande parsimonia.
Aveva
ritenuto
assolutamente inutile fornirle troppe informazioni.
Da
una parte
Eudora conosceva abbastanza bene il sangue del proprio sangue da sapere
che
quella mente semplice sarebbe stata più confusa che
illuminata da ulteriori
spiegazioni.
D’altro
canto,
la signora Nott credeva fermamente che soltanto pochi eletti
– tali per nascita e per acume – dovessero aspirare
alla
conoscenza; per gli altri l’ignoranza era la migliore
virtù da accompagnarsi a
un animo docile.
Così
Bathilda
Nott era arrivata al proprio matrimonio con Phineas Malfoy senza
conoscere
molto dei rapporti che intercorrono fra un uomo e una donna, dentro
come fuori
dalla camera da letto.
Aveva
trascorso
la maggior parte dell’infanzia e della giovinezza nei
possedimenti di campagna
della sua famiglia, con la sola compagnia di un padre affettuoso ma
inerme, di
una madre autoritaria e di un fratello che ne era il solo degno erede.
Non
aveva mai raggiunto Hogwarts, perché Eudora aveva ritenuto
più conveniente per
lei studiare fra le mura di casa, dove le doti magiche della fanciulla
erano
state modellate per farne un buon partito e non una strega
indipendente.
Che
poteva
sapere degli esseri umani, Bathilda Nott?
Non
erano che
due le lezioni che aveva potuto assorbire in un ambiente come la dimora
dei
Nott.
La
prima era che
il forte domina il debole.
La
seconda era
che lei, Bathilda, era il debole.
Quando
l’ultimo degli invitati sarà stato congedato,
ritirati nella vostra stanza
nuziale.
Aspetta
lì tuo marito.
Ma
suo marito
non veniva e Bathilda cominciava a chiedersi se non avesse commesso
qualche
errore.
Non
ne sarebbe
stata sorpresa: commetteva continuamente
errori – era un formicolio costante che le correva sulla
nuca, le incendiava le
guance, le rendeva molli le ginocchia ogni volta che lo sguardo di sua
madre si
posava su di lei. Sapeva di essere lenta e goffa, perché
Theo la rimproverava
spesso in merito.
Tentava
di
correggersi, con tutte le proprie forze, perché desiderava...cosa desiderava?
A
volte cercava
di concentrarsi, ma il pensiero subito le sfuggiva, come se i suoi
desideri
fossero un abisso troppo profondo per poterlo esplorare senza rischiare
di
esserne perduta. Si limitava allora a cogliere certe vaghe suggestioni,
come
mormorii di lingue sconosciute, che per un momento
l’animavano e la rendevano
inquieta, prima che fosse rigettata nel fluire quieto e sommesso della
sua vita
domestica.
C’era
stato un
attimo, durante la cena, in cui Bathilda si era sentita avvampare di
una
volontà sconosciuta.
Suo
marito, con
il calice sospeso a mezz’aria per un brindisi incoraggiato da
Theophilus,
l’aveva guardata in una strana maniera, nello scoppiettio di
scintille delle
bacchette che i maghi e le streghe avevano levato sopra le teste degli
sposi. Nel
palpito argenteo dei filamenti che scaturivano dalle bacchette, Phineas
le era
apparso così bello da sentirsene addolorata – e
poco importava se ogni strega
riteneva che suo fratello Theo fosse molto più avvenente.
Bathilda
si era
sentita gelare e poi infuocare e aveva sperato che ogni voce potesse
tacere per
lasciarla a contemplare l’incantevole espressione che era
scomparsa sul volto
di suo marito. Ma si era dileguata, prima ancora che potesse
comprenderla,
prima che potesse persino capire se era bene
o male – se non dovesse
distogliere
lo sguardo prima d’esserne ferita.
Un
battito di
ciglia e gli occhi di Phineas erano tornati distanti: Bathilda, in una
rara
quanto crudele intuizione, aveva compreso di non essere ciò
che suo marito
desiderava guardare.
-
Non stai
dormendo.
Bathilda
quasi
schizzò fuori dalle coperte per lo spavento.
Non
si era
accorta che lo sposo era arrivato. Lo vide chiudere delicatamente la
porta
dietro di sé, prima di avanzare nella stanza con una
lentezza che lo faceva
apparire spossato. Quando Phineas si avvicinò alla sola
candela rimasta accesa
nella stanza, Bathilda notò ancora una volta quanto pallido
e smunto apparisse
il giovane Lord.
Un
attimo dopo
sentì il vasto letto vibrare leggermente
all’accomodarsi del ragazzo. Seduto
sul bordo del materasso, Phineas le lanciò
un’occhiata di sbieco.
Bathilda
fu
stupita di scoprirlo incerto. Non le era mai capitato di pensare, prima
d’ora,
che Phineas Shadrack Malfoy potesse apparire in qualche modo confuso
sul da
farsi.
Questa
rivelazione
della sua debolezza la spaventò più della lunga
attesa. Temette d’essere la
causa di quell’incertezza, di avere in qualche modo corrotto
l’autorità del
proprio sposo prima ancora di vedere l’alba della loro vita
matrimoniale.
Forse
era
necessario dirgli qualcosa. Gli doveva una risposta? C’erano
parole che una
moglie avrebbe dovuto offrire in dono allo sposo, nella prima notte di
nozze? Bathilda
non le conosceva e sentì il panico invaderle le vene.
Per
fortuna il
giovane mago parve risolvere da sé ogni dubbio. Senza aprire
bocca si chinò per
sfilarsi gli stivali. Bathilda, rincuorata dalla banalità
dei gesti di Phineas,
osò sollevarsi un poco e spiarlo mentre sfilava i bottoni
d’argento dalle asole
e si liberava dell’elegante veste da mago. In maniche di
camicia, tornò ad
osservarla.
-
Ti sei
spogliata? – le chiese, in quel tono piatto ma
invariabilmente cortese che le
usava ormai da qualche anno.
Le
prime volte
che si erano incontrati, quando non erano che adolescenti e lui
frequentava il
terzo anno ad Hogwarts, Phineas aveva il tono beffardo che aveva
imparato a
conoscere con Theo.
Con
il tempo,
forse perché Bathilda era divenuta la sua promessa sposa, la
voce di Malfoy si
era fatta più controllata, neutra: non le procurava alcun
male.
Bathilda
annuì.
Aveva la bocca arida e non era sicura di poter parlare.
D’altra
parte
lui non sembrava voler intavolare alcuna conversazione. La ragazza ne
era
contenta: non era mai particolarmente brava quando si trattava di
conversare.
Si confondeva facilmente, incespicava sulle parole e presto dalle sue
labbra
sfuggiva qualche sproposito che accendeva d’ira gli occhi di
Eudora.
Che
sua madre
non fosse nella stanza avrebbe dovuto confortarla, ma non era certa di
non poter
vedere lo stesso, terribile, lampo di disapprovazione nello sguardo di
Phineas.
E aveva l’impressione di poterne soffrire più
profondamente, se mai fosse
accaduto.
Così
rimase
zitta, rimase zitta persino quando la bella mano del Lord –
bianca, elegante –
si chiuse sull’orlo delle coperte e prese a scostarle.
Bathilda non oppose
resistenza. Come sentì la stoffa sfuggirle dalle mani, le
schiuse e non tentò
di trattenere le coperte su di sé.
Non
sapeva
perché fosse necessario rinunciare al piacevole tepore delle
coperte, ma si fidava di Phineas.
Lui
sapeva
certamente cosa fare e lei non doveva far altro che affidarsi alla sua
guida
per essere certa di non sbagliare. Era questo che le era stato
insegnato: affidati a tuo marito.
Certo
sarebbe
stato più semplice se suo marito le avesse dato qualche
ordine o suggerimento. Invece
sembrava poter sprofondare da un momento all’altro
nell’immobilità. E, in quella
paralisi, Bathilda si sentiva attanagliata dai timori.
Phineas
era
leggermente proteso sopra di lei. L’osservava – per
meglio dire, osservava la
sua camicia da notte, bianca e lunga fino alle caviglie. Una delle sue
mani era
posata poco distante dai suoi capelli, che aveva sciolto per la notte.
Non
mi ha ancora toccata.
Il
pensiero,
rapidissimo, esplose nella mente di Bathilda: arrossì,
mentre qualcosa in lei –
qualcosa privo di volto ma dotato di una voce suadente – le
suggeriva che
Phineas avrebbe potuto, dovuto
toccarla. Il colore delle sue guance dovette attirare lo sguardo del
Lord,
perché alzò gli occhi sul suo viso.
-
Non devi
preoccuparti di nulla, Bathilda.
Non
si era
aspettata parole tanto gentili.
Senza
conoscerne
fino in fondo il motivo, la ragazza sentì gli occhi
pizzicare. Pensò di potersi
mettere a piangere, ma l’espressione di Malfoy
seccò le sue lacrime: una volta
ancora il volto del giovane si era fatto di pietra, così
altero e distante che
lei quasi non osava respirare in sua presenza.
Vide
le sue dita
graffiare le lenzuola e il suo corpo farsi tanto immobile da
spaventarla.
Poi,
seppure con
lentezza, Phineas parve tornare in quella stanza. Si mosse di nuovo e
Bathilda,
prima di poter realizzare cosa stava accadendo, lo ritrovò
sopra di sé. Il Lord
si teneva sollevato quanto bastava a non schiacciarla contro il letto,
ma non
di meno il peso del suo corpo mozzò il fiato della ragazza.
D’istinto
puntò
le mani al suo torace e subito Phineas si ritrasse un poco, ma non
abbastanza
da lasciarla libera. Inclinò il capo e la scrutò
con più attenzione. Nella
penombra, gli occhi grigi del ragazzo sembravano più scuri,
fitti di una
tenebra impenetrabile.
Spostando
il
peso del proprio corpo su un fianco, Phineas poté muovere la
mano destra sulla
spalla della giovane sposa. Ne scese lentamente, avvicinandosi ai
nastri di
seta che serravano la camicia da notte.
Bathilda
era
ancora troppo preoccupata per riuscire davvero a riflettere su quanto
stava
accadendo.
Non
ricordava di
essere mai stata tanto vicina ad un altro essere umano, almeno dal
giorno in
cui sua madre aveva deciso che non avrebbe più avuto alcun
bisogno di una
balia. E ora, d’improvviso, suo marito non solo le era
vicino, ma l’intero suo
corpo schiacciava il suo: era una sensazione completamente nuova e il
corpo di
Bathilda reagiva prima ancora che la mente potesse trovare uno
spiraglio nella
matassa di percezioni.
La
ragazza aveva
l’impressione che il tempo stesse scorrendo molto
più lentamente. Ogni respiro
che aveva sulle labbra era fuoco e la sua pelle era percorsa da piccoli
brividi, non diversi da quelli che le suscitavano certe note sul piano,
quando
sua madre le permetteva di suonare.
Per
questo, dopo
il primo spavento, Bathilda scoprì che, qualsiasi cosa
stesse succedendo, era piacevole.
Ed
era bizzarro: Malfoy tanto
silenzioso, il
suo sguardo sempre pronto a sfuggire su particolari della minima
importanza – una
piega del cuscino, uno dei nastri che stava sciogliendo, il palmo della
sua
mano. E poi il corpo di Malfoy, che a volte sembrava potersi
abbandonare su di
lei col peso mortale di una pietra, ma sempre tornava vivo, gentile,
per
incendiarla d’un calore di cui presto la derubava.
E
ora?
si chiedeva, ogni volta che Phineas si bloccava, ogni volta che un
gesto
rimaneva inconcluso. Le sembrava di intuire un percorso, uno scopo, ma
non
osava anticiparlo né aiutarlo, temendo di sbagliare.
Lui,
d’altra
parte, non stava cercando la sua partecipazione.
Anzi,
in qualche
modo la sua passività sembrava essere l’unica
ragione per continuare. Come
Bathilda abbozzava un gesto, fosse anche una reazione incosciente,
Phineas si
faceva immobile. Riprendeva soltanto quando la ragazza sprofondava di
nuovo
nell’attesa, quieta e pallida nel grande letto matrimoniale.
Sembrava...sì,
sembrava un ladro che teme
d’essere
scoperto da un momento all’altro.
L’idea
colpì
Bathilda come uno schiaffo. Desiderava – oh, lo desiderava
con tutto il cuore! –
abbandonarsi alla saggezza di suo marito. Però quel suo
comportamento, così
lontano dalla sicurezza beffarda di cui si era ammantato per anni ai
suoi
occhi, suscitava in lei emozioni contrastanti.
D’un
lato lo
accendeva di una bellezza che Bathilda non sapeva spiegarsi e che non
avrebbe
saputo descrivere a voce alta. Nessuno le aveva insegnato parole per la
bellezza. La riconosceva, però, allo stesso modo in cui
avrebbe potuto
riconoscere la trama preziosa e raffinata di una seta indiana,
lasciandosela
scorrere fra le dita.
E
Phineas, suo marito Phineas, non
era mai stato
tanto bello, lo sapeva senza avere bisogno di capirlo.
Allo
stesso modo
quella bellezza e quel comportamento la spaventavano, perché
non erano ciò che
di Phineas aveva conosciuto fino a quel momento. Il nuovo,
per i Nott, non era mai foriero di felicità.
Bathilda
aveva
sviluppato con grande perizia la capacità di respingere
tutto ciò che appariva
differente: come una nota stonata andava corretta, come un punto di
ricamo
doveva essere rifatto, così ogni deviazione doveva trovare
correzione. Ciò che
non poteva essere corretto doveva essere fuggito, o dimenticato.
Phineas
stava
sbagliando.
Perché,
altrimenti, avrebbe dovuto comportarsi in quella maniera tanto
sospetta, dove
la cautela si confondeva con l’incertezza?
Le
mani del
giovane Lord non erano ferme: Bathilda sentiva le sue dita tremare
contro il
proprio torace. Non era lo stesso tremore che invadeva le sue mani,
quando dimenticava
ciò che le era stato ordinato da sua madre o da Theo? E
sulla fronte di Phineas
non c’era lo stesso sudore gelido che
l’attanagliava se Eudora le ricordava
quanto scioccamente si fosse comportata?
Ormai
Phineas
aveva sciolto ogni nastro. Bathilda sentì la stoffa della
camicia da notte
prendere a scivolare e realizzò che presto gli occhi grigi
del giovane si
sarebbero posati sul suo seno. Sapeva – aveva spiato talvolta
Theophilus in
qualche occasione pubblica – che gli uomini traggono piacere
dallo spiare il
seno di una donna, ma sapeva anche che solo un certo genere di donne
consente
loro un simile, peccaminoso, piacere.
Senza
riflettere
ancora, Bathilda serrò le dita sui lembi della camicia da
notte, inchiodandoli
al proprio seno.
Fu
come se gli
avesse appena assestato una frustata.
Phineas
sollevò
d’un colpo il busto e, forse per la prima volta da quando era
scivolato su di
lei, la guardò in viso. La gamba destra del giovane era fra
quelle di Bathilda.
La posa le parve d’improvviso sconveniente e cercò
di serrare le cosce. Ne
ottenne soltanto di intrappolare suo marito, che fino ad un momento
prima
pareva sul punto di potersi smaterializzare senza un’altra
parola.
Sotto
gli occhi
di Phineas, il respiro della ragazza si fece più rapido.
Forse era anche colpa
del modo in cui la coscia di suo marito premeva tra le sue. Lo vide
passarsi
per un momento la mano sugli occhi. Prima che potesse comprendere quale
emozione le stesse celando in quel gesto, Bathilda lo vide richiamare a
sé la
propria bacchetta.
-
Nox.
La
stanza piombò
nell’oscurità.
Il
buio non
spaventò Bathilda.
La
giovane
sposa, al contrario, se ne sentì rassicurata: la tensione
che aveva invaso il
suo corpo si dileguò fra le ombre. Il suo corpo, assieme a
quello di Phineas,
era scomparso. Oh, poteva ancora sentire il peso delle membra del
giovane, ma
era una presenza indefinita, sulla quale non aveva bisogno di
concentrarsi o
riflettere. Non c’erano espressioni da decifrare,
né gesti da spiare.
Era
cieca e la
cecità rendeva lieve il suo spirito.
E,
per ragioni
che Bathilda non desiderava conoscere, la cecità restituiva
sicurezza anche a
suo marito.
A
un breve
momento di immobilità presto seguirono gesti nuovi. Nuovi
per lei, perché
nessuno li aveva mai tentati sul suo corpo, ma nuovi anche per la
determinazione con cui venivano eseguiti, uno dopo l’altro,
con la ritmica
precisione con cui l’ago trapassa la tela.
Phineas
non
scostò le mani che la ragazza aveva raccolto al seno.
Afferrò invece l’orlo
inferiore della camicia da notte e prese a sollevarlo, strattonando
quanto
bastava a farlo sfilare verso l’alto. Bathilda, senza
chiedere nulla né
ricevere istruzioni, lo aiutò goffamente, alzando ora una
gamba e ora l’altra.
Fra
quei
movimenti, il suo corpo continuava a sfiorare quello del marito, le sue
gambe
premevano a quelle di lui, la sua pelle tiepida conosceva le fredde
dita del
ragazzo. Bathilda accettò ogni cosa di buon grado. Le era
chiaro che quei
contatti erano del tutto casuali: Phineas non li cercava, né
li imponeva.
Non
erano
schiaffi, non erano dita che si chiudevano a pizzicarle le braccia.
Erano brevi
scontri, da cui talvolta sprizzavano scintille che sentiva formicolare
sotto
pelle. Ma la loro apparenza casuale, il loro essere semplici effetti
collaterali di un fine ancora misterioso rassicurava la giovane.
Andrà
tutto bene.
Phineas
era con
lei. Phineas era il marito che sua madre aveva scelto. Che Theo aveva
approvato. Il marito che il suo sangue puro pretendeva, il marito che
era suo
per la legge dei Maghi.
Il
marito la cui
mano si trovava ora sulla coscia e quindi più su, in luoghi
di cui Bathilda non
conosceva il nome, luoghi che comunemente rimanevano celati e protetti
da
labirinti di sottogonne e crinolina.
Eppure
le dita
di Phineas vi si muovevano senza indugio né incertezza.
La
ragazza
sapeva che il Lord aveva molta più esperienza di lei, anche
se non sapeva
esattamente in cosa consistesse. Ne ebbe una breve intuizione quando le
dita di
Phineas sfiorarono qualcosa e la
giovane serrò le palpebre, soltanto per vedere esplodere
colori nell’oscurità.
Il
fatto che il
ragazzo sembrasse conoscere il suo corpo più di quanto lo
conoscesse lei stessa
la rassicurò. Phineas possedeva un segreto che a lei era
negato, ma era ben
contenta di non avere una simile responsabilità. Poteva
lasciare che le dita di
suo marito toccassero punti del proprio corpo la cui esistenza non
aveva mai
sospettato. Poteva abbandonarsi al modo in cui il proprio corpo
sussultava e
tremava, e al calore che risaliva lentamente dal suo grembo fino alla
testa,
incendiandola.
Qualsiasi
cosa
stesse accadendo, Bathilda Malfoy permetteva che accadesse.
Il
peso di
Phineas su di lei mutò, concentrandosi fra le sue cosce.
Docile, la ragazza gli
permise di sistemarsi meglio fra le proprie gambe. Le mani di suo
marito
avevano cominciato a riscaldarsi un poco, ma ancora le tracciavano
brividi
sulla porzione di pelle nuda fra le calze e i fianchi, dove lui aveva
arrotolato la sottoveste.
Bathilda si sentiva
scottare. Aveva
l’impressione di poter perdere i sensi da un momento
all’altro. Colpa del vino
e di un’altra mistura che sentiva tingerle
l’interno delle cosce. Fu tentata di
abbassarvi la mano, ma non osò e lasciò che
fossero solo le dita di Phineas a...c’erano
parole per quel che stava facendo? Nel buio, suo marito le stava
tessendo
addosso un bozzolo caldo e soffice, nel quale desiderava potersi
perdere, allo
stesso modo in cui il respiro sembrava voler fuggire dalle sue labbra.
Era
un lieto
soffocare.
Per
un breve
momento le sembrò che qualcosa d’incredibile e
magnifico fosse sul punto di
accadere. Sentì un’urgenza, una pressione, e
pensò di essere sul punto di smaterializzarsi
– non le era mai stato
insegnato come fare, ma non riusciva ad immaginare niente di
più straordinario.
E
invece non
abbandonò il letto.
Anzi,
vi si
ritrovò inchiodata. Improvvisamente Phineas pesava su di
lei, pesava così tanto
da farle male e lasciarle desiderare di poter gridare. Ma non poteva
Bathilda,
perché una moglie non grida, soprattutto in presenza del
consorte – non alzerai mai la voce
e il tuo silenzio
sarà sempre più lungo di quello di tuo marito.
Bathilda si morse la lingua,
si morse le labbra, e non gridò. Gridò il suo
corpo, che sentiva ora lacerato,
gridò ogni muscolo che si contrasse e si irrigidì
all’intrusione.
La
giovane sposa
scoprì così che suo marito era in grado di
impartire dolore, un attimo dopo
aver compreso che poteva donarle piacere. La sorpresa e la sofferenza
furono
così acute, per i primi istanti, che non si accorse che
Phineas aveva reclinato
il capo contro il suo petto. Nell’ombra non riusciva a
distinguere nemmeno il
biondo abbacinante dei suoi capelli, ma sentì il viso di suo
marito
schiacciarle il seno.
Continuava
a
essere doloroso e il dolore era diventato un ronzio che le riempiva il
cervello.
Ma Phineas sembrava soffrire quanto lei, lo capiva dal modo in cui le
artigliava i fianchi, lo capiva dal ritmo secco dei suoi movimenti. Il
letto ne
era squassato.
Così
la giovane
chiuse gli occhi, serrò le labbra. Attese.
Durò
meno di
quanto si aspettasse. D’improvviso, quasi bruscamente,
Phineas si staccò da
lei, lasciando dietro di sé una sensazione umida, calda, che
imbarazzò Bathilda
più di tutto ciò che l’aveva preceduta.
Anche suo marito sembrò turbato dalla
conclusione.
Sentì
le sue
mani carezzarle appena le ginocchia, poi le spalle, infine i capelli e
la
giovane comprese che stava tentando di consolarla. Eppure, ora che il
dolore si
andava attenuando, ora che non la schiacciava più al
materasso, Bathilda non
era infelice. Si sentiva stordita, un po’ fiaccata nel corpo
come nello
spirito, ma non aveva paura.
Phineas
è mio marito.
Non
aveva smesso
di ripeterselo fin dalla fine della cerimonia. Ogni volta che si
concentrava su
quella semplice nozione si sentiva invadere da una sottile euforia: la
vita che
l’attendeva non potesse che essere migliore di quella che si
era lasciata alle
spalle nella casa natia. Non sapeva come, ma sapeva che il merito
sarebbe stato
di Phineas Malfoy, suo marito.
Sorrise,
e per
un momento sperò che lui potesse vederla.
Invece
Phineas,
con delicatezza, le si tolse di dosso. Doveva aver riafferrato la
propria
bacchetta, perché Bathilda lo sentì mormorare
qualcosa e presto avvertì il
leggero formicolio dell’incantesimo che le asciugava le
cosce, cancellando le
tracce di quanto accaduto.
-
Grazie.
Il
suono della
propria voce spaventò persino Bathilda. Ma dovette avere lo
stesso effetto
anche su Phineas, perché smise di carezzarle i capelli e si
preoccupò piuttosto
di aiutarla a ricoprirsi di nuovo. La ragazza temeva d’averlo
irritato, ma il
rimprovero non arrivava.
E
presto il
calore delle coperte, mescolato alla pesantezza che le invadeva la
mente, la
rese sonnolenta. Non si arrese a Morfeo, però,
finché non sentì che anche suo
marito si sdraiava lì accanto, tanto vicino che sarebbe
bastato allungare una
mano per sfiorare la sua spalla.
Naturalmente
Bathilda non tentò davvero di toccare Phineas, ma il
pensiero che fosse possibile rese
dolce il suo scivolare
nel sonno.
*
Bathilda,
infine, si era addormentata. Doveva essere stanca, confusa. Ferita. Ma il suo respiro era regolare,
il suo corpo conquistato da una quiete che il giovane Lord si
ritrovò a
invidiare.
Non
era certo di
potersi assopire con la stessa facilità.
Nessuna
oscurità
gli sembrava abbastanza profonda da spegnere le fiamme che lo consumavano.
Persino il calore delle coperte gli pareva insopportabile e presto se
ne
liberò, tirandosi a sedere con la schiena appoggiata alla
testiera intagliata
del letto matrimoniale.
Malfoy
fece
apparire la pipa e la serrò fra le labbra: con un
incantesimo non verbale,
l’accese.
-
Ti infastidisce?
-
Sì.
Mudblood.
Sua
moglie si
era rigirata nel sonno e ora gli dava le spalle.
Nel
bagliore della
pipa accesa, le guance di Phineas Malfoy brillavano di lacrime.
*
NOTE
1)
vedi nota 2
2)
Traduzione:
“È come se vi fosse un laccio sotto la mia costola
sinistra, strettamente e
inestricabilmente annodato a un laccio non dissimile, situato nello
stesso
punto della vostra piccola persona. E se quel turbolento Canale o
duecento
miglia e più di terra venissero a frapporsi fra noi, temo
che quella
congiunzione sarà spezzata; e allora ho
l’inquietante sensazione che dovrò
cominciare a sanguinare dentro”.
Una
delle
battute più celebri tratte da Jane
Eyre,
il romanzo di Charlotte Brönte che già avevo citato
in Gargoyle – Beneath the Stone
e che qui vi ripropongo, per svariati
motivi. Uno di questi è senza dubbio la mia passione per il
libro, per altro
recentemente rinfocolata dall’ultima trasposizione
cinematografica di Fukunaga.
Ma è anche perché questo romanzo era stato citato
per il sesto Capitolo di GBtS,
ovvero il capitolo in cui Hermione getta la pipa del Lord nel camino e
ne consegue
il deflagrare della passione...il riferimento è esplicito,
così come le parole
del personaggio della Brönte mi sembrano a dir poco perfette
per la circostanza
descritta in questa one-shot e per lo stato emotivo del mio
protagonista. Senza
poi contare l’importanza del fattore moglie!
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