John
rientrò dal colloquio in ambulatorio e trovò
Sherlock vagamente irritato. Aspettava una penna da un’ora,
ma il suo per niente collaborativo coinquilino aveva deciso di perdere
preziosissimo tempo a cercare un lavoro e ad invaghirsi di una donna
qualunque. Al 90% dottoressa anche lei. Sherlock lo aveva capito dai
passi delle scale di John – un po’ troppo
molleggiati per una semplice euforia da nuovo posto di lavoro
– dalla sua espressione ebete, colta con la coda
dell’occhio, e dal fatto che non gli avesse chiesto subito se
avesse fatto progressi con il caso. Sherlock Holmes però non
aveva capito l’entità del danno, non ancora. Se ne
rese conto soltanto quattro secondi più tardi, quando un
femminile “fantastica” era uscito da un maschile
“che te ne è parso?”. Le cose erano
peggio di quel che apparivano a prima vista. John aveva farfugliato
qualcosa, balbettato che il lavoro era fantastico, certo, il lavoro,
cos’altro. La donna però gli si affacciava dal
cervello fin dentro negli occhi, e vederla al davanzale di quelle due
finestre limpide infastidiva Sherlock. Solo lui poteva starci,
affacciato lì. Vederla sulla soglia di quelle labbra sottili
lo terrorizzava.
Lei stava sulla soglia
ed io udii il campanello
d'allarme
mentre pensavo tra me
'potrebbe essere il
paradiso o potrebbe essere l'inferno'
poi lei accese la
candela e mi mostrò la strada
si udivano delle voci
nei corridoi
e credevo che
dicessero....
Lei era lì,
lei era solo un volto ignoto eppure gli si era già
presentata. “Sono il paradiso, non vedi? Ti
libererò dell’idiota medio che è il tuo
coinquilino. Piacere, sono il tuo inferno personale. Non ci
sarà più nessuno a cui chiedere una penna, un
cellulare o una fuga notturna per le strade di Londra. Mi porto via
tutto io: fastidio, sorrisi e battiti”.
Lei era lì
negli occhi di fiume che gli scorrevano davanti, e teneva in mano una
candela, l’altra mano ad indicare il domani. “Puoi
uscire quando preferisci. Non potrai mai andartene,
comunque”. John era rimasto impalato davanti alla mensola,
perso a rincorrere i lei, i lui, gli esso. Così Sherlock
aveva lasciato che gli si rompesse qualcosa dentro, con il fragore
cristallino di uno specchio che non è più, e si
era limitato ad indicare le foto del caso. Il caso il caso il caso. Non
c’è paradiso, non c’è
inferno, non c’è donna. Ma una cosa
c’è e non vuole andarsene. Puoi
uscire quando vuoi, ma non potrai mai andartene. Era così vero che
gli faceva dolere il cuore che non aveva. In quel momento ogni cosa
glielo bisbigliava contro, sembrava che le voci gli si appiccicassero
addosso come nebbia. Quando mai Sherlock Holmes si lasciava infastidire
dal cicaleccio altrui? Mai, prima che si mettesse di mezzo quello
sciocco di John Watson. Con lui era tutto confuso, incomprensibile, e
adesso le voci gli oscuravano il cervello, e gli occhi parevano di
bambola rotta, e tutto gli diceva che era razionale lasciare i
piccioncini ai loro giochi e levare le tende.
Puoi uscire quando vuoi, ma non
potrai mai andartene.
Tutto glielo diceva,
ma quando c’era John Watson di mezzo la
razionalità era una porta in mezzo al deserto, un corridoio
per l’infinito. Una cosa insensata e praticamente
inesistente. Accidenti a lui, a lei e all’”intruso
che sa attraversare i muri”. Cosa c’è di
più ridicolo dei titoli di giornale? Sherlock non lo sapeva,
ma con certezza poté dire, da quel giorno, che quando non
hai niente, niente possono toglierti. Gli piaceva pensare di non aver
nulla, ma qualcosa c’era. Un “medico coscienzioso
ed affidabile, che ama lavorare duro e che presta attenzione ai
dettagli…”, ed ora anche un pensiero che non
avrebbe mai potuto abbandonare.
Puoi uscire quando vuoi, ma non
potrai mai andartene.
-
Spiego qualcosa perché mi rendo conto che molte cose
potrebbero essere chiare solo a me. Pensandoci, è
così per la maggior parte delle cose che scrivo xD
Il titolo viene dalla
celebre “Hotel California” degli Eagles, il cui
ascolto è sconsigliato – pena la produzione di
mezze calzette come quella sopra. La traduzione del titolo è
quella che trovate ripetuta tre volte nella fic e che è un
po’ il suo nodo centrale. In realtà
l’avevo pensata per Watson, riferita al fatto che –
se anche si trasferisse lontano da BS per una Sarah o una Mary o una
Genoveffa qualunque – non potrebbe mai abbandonare veramente
quell’appartamento. Poi l’ispirazione e non so
cos’altro mi ha fatto deviare strada e, buona idea o meno, io
ho fatto quello che mi sentivo di fare. Il pezzo in corsivo sulla
sinistra fa parte della sopracitata canzone, tutti i pezzi in corsivo
vanno intesi come pensieri di Holmes.
Le voci che Holmes
sente – che ho ripreso dalla strofa della canzone –
non sono altro che pensieri. Li reputa “altrui”
poiché non sono pensieri razionali, pensieri che ha deciso
lui. E’ l’istinto di sopravvivenza che gli dice che
è meglio cancellare e fare finta di niente, ma come la donna
ha detto “Puoi uscire quando vuoi, ma non potrai mai
andartene." Uscire è abbandonare il gioco, darsi per vinto,
far tacere il pensiero. Quella è l'unica cosa che gli
rieccheggia nella mente, come se qualcuno gliel'avesse suggerito. In
realtà è Sherlock stesso che se ne rende conto, e
cerca di convincere se stesso che non ci siano paradiso, inferno o
donne di sorta. Vuole convincersene ma c'è quel pensiero
assurdo che gli rieccheggia in mente. Solo Puoi
uscire quando vuoi, ma non potrai mai andartene. Ovviamente Sherlock non ha mai
incontrato questa donna e nemmeno ci ha mai parlato. E' la sua mente,
fa tutto la sua mente. Dentro la tempesta, e fuori solo due occhi
impassibili e un paio di mani intrecciate.
Ah, un
“medico coscienzioso ed affidabile, che ama lavorare duro e
che presta attenzione ai dettagli…” è
scritto nel CV di Watson, quello che presenta per il colloquio in
ambulatorio. Leggerlo mi ha fatto soffocare dalle risate XD caro, caro
Watson!
Grazie agli eventuali lettori, apprezzo il coraggio ;) alla prossima!
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