demolition
lovers ~
I’M NOT DEAD
Disclaimer:
I
protagonisti non mi appartengono (già, che peccato, eh?)
fatta
eccezione per un OMC che poi incontreremo più avanti *si
tappa la
bocca in fretta per non fare spoiler*...
Quindi dicevamo?
Oh,
sì, ecco, Adam, Tommy e Isaac non mi appartengono, non li
conosco,
né so cosa fanno dalla mattina alla sera, non li spio mica
con le
telecamere..!
*controlla
lo schermo con le telecamere spia e cinguetta* OH! AMOREGGIANO! Che
cari.. *torna a guardare i lettori* Noo, non è come pensate,
è il
Grande Fratello! *sorride innocentemente*
Oh, e non ci guadagno
nulla scrivendo questa roba!
Nota:
Questa
storia è una mia interpretazione tutta personale della
canzone ‘I’m
not dead’ di P!nk, e ho cercato di rappresentare
e spiegare
il mio
modo di percepire ogni parola del testo. Ovviamente il tutto dal PoV
di Tommy, perché ho una certa ossessione
per
quest’uomo.
Mi
scuso per l’infinita depressione che questa storia potrebbe
causare, ma ehi, che gusto c’è a scrivere senza
neppure un po’
di angst?
Ho
diviso la storia in cinque parti che, dopo un lunghissimo periodo di
indecisione, ho deciso di postare separate; ognuna è una
strofa
della canzone e vi ho abbinato una frase tratta dal testo di
un’altra
canzone, che funge da titolo della ‘parte’. Tutte
queste canzoni
fanno parte della piccola playlist che mi ha ispirato la storia, ve
le consiglio tutte, anche perché ovviamente sono tra le
più
ascoltate del mio iPod.
VERSE 1:
in
this tug of
war you’ll always win
even
when I’m
right.
There's
always cracks,
crack
of sunlight,
crack
in the mirror, or on your lips.
It's
the moment of a sunset Friday
when
our conversations twist;
It's
the fifth day of ice on a new tattoo,
but
the ice should be on our heads.
We
only spun the web to catch ourselves,
so
we weren't left for dead.
And
I was never looking for approval
from
anyone but you,
and
though this journey is over
I'll
go back if you ask me to...
~
Tommy
sospirò e osservò una piccola parte del proprio
riflesso in uno dei
frammenti dello specchio rotto, che giacevano sparsi disordinatamente
sul pavimento del salone. Assieme a loro, i cocci di un vaso e
l’acqua e i fiori che quest’ultimo conteneva prima
di finire
infranto sul pavimento. Tommy osservava le proprie labbra nel piccolo
pezzetto triangolare di vetro quasi come se da un momento
all’altro
avesse potuto vederle muoversi indipendentemente da lui e dirgli
qualcosa. Ovviamente non accadde nulla.
Sospirò
ancora, guardandosi intorno alla ricerca di una sigaretta. Una
sigaretta. Possibile che non avesse una sigaretta? Sì, okay,
era
possibilissimo che non ne avesse, non fumava. Ma, insomma, quella era
un’eccezione! (Una delle tante.)
Be’,
ne sarebbe andato a prendere un pacchetto più tardi. Ora
doveva
ripulire quel disastro. Ma il solo guardare tutti quei cocci sparsi
per terra gli ricordava il motivo per cui erano lì e lo
lasciava
paralizzato. Era seduto nella stessa posizione, per terra, da quelli
che gli sembravano secoli, e fissava il pavimento e quei cocci e i
resti dello specchio infranto. Non si muoveva da lì da
quando la
porta era stata sbattuta con violenza ed era calato il silenzio in
casa. Chissà quanto era passato. Sfortunatamente, nella sua
testa
c’era ancora un’indescrivibile caos, aggravato da
un dolore tanto
persistente che vi si stava quasi abituando. E poi rumore. Tanto
rumore. Come se tutti i pensieri, le frasi e i suoni che aveva
sentito quel giorno si ripetessero all’infinito nella sua
testa,
tutti insieme, tutti nello stesso momento.
Chiuse
gli occhi, prendendosi la testa tra le mani. Doveva calmarsi. Tutto
sarebbe andato per il meglio. E mentre respirava profondamente,
cercando disperatamente di cacciare indietro le lacrime, fra gli
spiragli tra le tende filtravano i sottili raggi di luce di un
soleggiato venerdì mattina come un altro, raggi che andavano
poi a
posarsi morbidamente sul pavimento e sul tavolino accanto a lui.
Delicati e morbidi. Indolori.
Un
singhiozzo soffocato, poi un altro ed un altro ancora.
Per
essere un soleggiato Venerdì mattina, faceva abbastanza
schifo.
Adam
lo guardò e scosse la testa.
“Ma lo capisci o no che non posso?
Non posso lasciarlo, Tommy!” La sua voce pareva esasperata.
Tommy
esitò a rispondere, ma alla fine tutta quella rabbia
repressa
esplose, prima ancora che lui riuscisse a trattenerla. “Non
ti ho
chiesto se puoi o no. Ho detto che devi!”
“Be’,
non posso. Cosa fai adesso, mi lasci?” Adam inarcò
un
sopracciglio, le labbra serrate, assottigliate in una smorfia di
rabbia e gli occhi puntati nei suoi, chiaramente alla ricerca di una
qualunque reazione alla sua provocazione. Era così
terribilmente
sicuro di sé, e il peggio era che poteva permetterselo.
“Potresti
almeno evitare di andarci
a letto?
Sai com’è, sei il mio
ragazzo.
Ami me,
non lui! Lui è quello di copertura, ricordi?”
Tommy aggirò la sua domanda ma non mancò di
rivolgerglisi duramente
e iniettando di veleno ogni singola parola.
“Quello
che faccio non sono cazzi tuoi.” borbottò Adam
poco convinto, e
visibilmente in colpa. Tommy si lasciò sfuggire un ghigno
soddisfatto. Eccolo là, il punto debole, il senso di colpa.
Rise
senza allegria.
“Ah,
no? E dimmi Adam, non sono cazzi miei quando ti presenti ubriaco qui,
a casa mia, dicendo che non ce la fai più, che lo odi e che
vuoi
stare solo con me? E non sono cazzi miei quando mi scopi? Non sono
cazzi miei quando mi dici che mi ami?” Tommy sentì
qualche lacrima
bagnargli gli occhi, ma non si fermò. “Non sono
cazzi miei quando
stai male e ti sto accanto mentre lui si gode i tuoi soldi e di te se
ne frega? Non sono cazzi miei neppure quelle volte dopo certi
terribili litigi, che torni da me e mi implori perdono? Oh,
sì,
capisco!”
Lo
sguardo di Adam guizzò da una parte all’altra
della stanza,
dovunque, ma non negli occhi di Tommy. Si soffermò sui fiori
che gli
aveva portato la settimana prima. Colpito
e affondato.
“Non
dovresti parlare così di Sauli.”
borbottò, continuando ad evitare
accuratamente lo sguardo del biondo.
“E
tu non dovresti scopartelo. Siamo pari.” Tommy non si
lasciava
sfuggire mai l’occasione di propinargli una risposta
tagliente e si
chiese per quanto ancora Adam avrebbe mantenuto la calma.
Adam
esitò prima di rispondere. Le labbra gli tremavano appena.
“Non è
cattivo. Mi vuole bene, Tommy.”
Tommy
rise di nuovo senza alcuna allegria.
“Adam,
non mi interessa. Non so se mi fa più schifo lui che va a
letto con
uno fidanzato o tu che mi tradisci.” O
se mi faccio più schifo io che non riesco a fare a meno di
un
cazzone come te.
La
mano di Adam tremava lievemente. Tommy si morse le labbra. Eccolo che
partiva. Era quello che aveva voluto, no? L’aveva provocato
per
godere della sua rabbia. Per sentire che aveva ancora potere su di
lui. Ma forse non era quello che voleva davvero.
“Perché
non provi per una santa volta a pensare agli errori che fai
tu?”
Adam fece una breve pausa e si decise a guardarlo negli occhi.
“Perché non la smetti di criticarmi e criticarmi e
criticarmi in
continuazione e provi , per esempio, ad essere più coerente?
Potresti anche evitare di dire che non vuoi venire a vivere con me
per nessun motivo al mondo quando te lo chiedo e poi cambiare idea
quando la settimana dopo decido di ospitare Sauli. Perché
non la
smetti di comportarti come un fottutissimo bambino
capriccioso?“
Tommy
non lo stette a sentire in silenzio. Non provò neanche a
mantenere
la calma. Bambino capriccioso, lui?
“Spero
tu stia scherzando, Adam.” Lo disse con una innaturale
tranquillità, ed Adam di tutta risposta scosse la testa con
decisione.
“Scherzando? No, sono serissimo.”
“Ah,
quindi io sarei un bambino capriccioso? Io?! Ti faccio presente,
Adam, che tu
hai tutto quello che una persona potrebbe desiderare.
Successo, soldi a palate, una famiglia che ti ama, degli amici
fantastici, dei fans accanitissimi e adoranti, milioni di persone che
ti amano alla follia. Hai me, il
tuo ragazzo,
Adam, e dici di amarmi e di voler passare la tua vita con me e io
voglio lo stesso. Eppure non sei mai contento! Mai! Ti scopi quel
Sauli e chissà quante altre persone per motivi che ancora
non riesco
a comprendere, ti lamenti della tua auto, della tua casa e del fatto
che hai continuamente impegni. Ed io sarei il bambino
viziato?”
Tommy
urlò quasi senza prendere fiato e alla fine lo spinse via:
non
sopportava di stargli così vicino, avrebbe voluto che
scomparisse e
la smettesse di fargli così male. Ma allo stesso tempo non
voleva
che andasse via. E non voleva dirgli neanche una delle cose che aveva
detto fino a quel momento. Forse erano vere, ma a lui non importava
quanti difetti avesse o quanti errori facesse, aveva bisogno di lui.
Non era che non volesse lasciarlo, semplicemente non ne era capace.
Tommy cercò disperatamente di riprendere il controllo, di
ricominciare a pensare e poi parlare, ma sapeva che chiedere scusa
non sarebbe servito. Dall’espressione di Adam capì
che neanche lui
cercava più di trattenersi. Capì che avrebbe
fatto esattamente
quello che il corpo e il cervello gli avrebbero ordinato di fare,
senza riflettere, senza pensare a cosa fosse giusto e sbagliato. E
capì che era troppo tardi per fare un passo indietro.
La
reazione di Adam fu improvvisa. Per una trentina di secondi dopo le
parole di Tommy, scese il silenzio. Furono trenta secondi
lunghissimi. Poi, Adam lo spinse, forte, più forte di quanto
avrebbe
voluto. Tommy non cadde per miracolo, e arretrò di qualche
altro
passo, verso la parete, con aria preoccupata, mentre l’altro
gli si
avvicinava con fare deciso. Non minaccioso, Adam non aveva mai
un’espressione minacciosa. Solo deciso.
“Sei
uno stronzo.” Adam sibilò quasi, incollerito.
Tommy
si guardò intorno e fece un altro passo indietro. Oramai era
praticamente appoggiato alla parete. Ma non si diede per vinto. Era
Adam a dovere chiedere scusa per come lo stava facendo sentire e per
come lo faceva sentire in continuazione, non viceversa.
“E
tu sei una puttana.” Tommy sbottò, guardandolo
negli occhi.
Neanche un briciolo di insicurezza gli si lesse negli occhi, mentre
lo diceva. Vide le lacrime riempire gli occhi di Adam e scivolare
lentamente lungo le sue guance, sentì il senso di colpa
attanagliargli lo stomaco e notò un’ombra di
rabbia negli occhi
del moro, improvvisamente cupi come non ricordava di averli visti
mai. Ma prima che potesse dire o fare qualcos’altro, Adam lo
spinse
con violenza contro il muro.
Tommy
sbatté la testa contro lo specchio che neanche si era
accorto fosse
dietro di lui prima di quell’istante, e che si
frantumò sotto il
violento impatto, mentre il dolore sembrava prenderlo ovunque e
da nessuna parte, e la testa gli girava orribilmente.
Scivolò a
terra, mentre cercava ancora di capire cosa diamine fosse successo.
La
prima cosa che fece quando riuscì a riaprire gli occhi fu
cercare
Adam con lo sguardo; lui era in piedi accanto alla porta
d’ingresso.
Lo stava guardando. Tommy aveva la vista vagamente offuscata e non
seppe dire se piangesse. Era tutto così assurdo,
paurosamente
assurdo, non aveva senso. Non era mai successa una cosa simile. Non
era da Adam.
Tommy
era spaventato. Non riusciva neanche a piangere. Era terrorizzato, e
sorpreso, sì, ma soprattutto, era deluso. E sapeva che non
avrebbe
avuto bisogno di dire quanto lo fosse, perché era certo che Adam
glielo
avrebbe letto negli occhi. In quel momento, Tommy sperò che
i propri
occhi, e la delusione, la paura, la confusione, il dolore che provava
in quell’istante, avrebbero tormentato la coscienza di Adam
per
sempre. Era crudele, lo sapeva, ma era l’unica cosa che
poteva
sperare. Oramai Tommy era certo che il senso di colpa era
l’unica
cosa che gli permetteva di tenere Adam con sé: il cantante non voleva
ferirlo e
allora trascinava avanti quella relazione che non voleva più.
Tante
volte se ne era andato, ed era sempre tornato. All’inizio,
Tommy
era convinto che tornasse perché lo amava, anche se, con il
passare
del tempo, aveva iniziato a dubitarne, un po’ alla volta; ma
non
aveva mai abbandonato la speranza. In fondo erano fatti l’uno
per
l’altro!
“Non chiamarmi, non mandarmi messaggi, non cercarmi.
È finita, okay?” la voce di Adam interruppe di
colpo le sue
riflessioni, improvvisa e violenta come uno schiaffo in pieno volto,
e dolorosa come un trapianto di reni senza anestesia. Adam era
esitante, aveva il fiatone e lo sguardo basso, i pugni stretti,
sembrava ancora così pieno di rabbia.
Tommy
riuscì a metterlo a fuoco, finalmente, e lo
guardò praticamente
sotto shock. Mosse appena le labbra, ma nessun suono le
lasciò.
Serrò le gli occhi e chiuse la bocca di scatto, sentendo
l’impellente bisogno di vomitare. Si prese la testa tra le
mani, e
nel tentativo di lenire almeno un po’ di tutto quel dolore,
portò
le mani dietro la testa, lì dove aveva urtato lo specchio e
dove
bruciava e faceva male; sentì tanti piccoli e pungenti pezzi
di
vetro sotto le dita, ancora impigliati tra i capelli biondi. Un
po’
di sangue gli bagnò i polpastrelli e quando lo vide la
nausea tornò,
ancora più forte, per poi passare dopo qualche istante, e
lasciarlo
boccheggiante. Si chiese se era possibile sentire tutto quel dolore
ed essere ancora vivi, e quello fu l’unico pensiero chiaro ad
attraversargli la mente.
Sentì
Adam deglutire e quando alzò lo sguardo, lui tirò
un calcio alla
prima cosa che vide: un vaso, laccato di nero, che conteneva
l’ultimo
mazzo di fiori che lui stesso gli aveva spedito; il vaso si
frantumò
in mille pezzi, e l’acqua e i fiori caddero a terra. A quel
gesto
Tommy gemette, di paura, dolore, tristezza, rabbia. Confuso come non
mai, desiderava solo di chiedergli di restare. Desiderava solo che
gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.
Adam
non parve neanche far caso a lui; si voltò, aprì
la porta e la
richiuse sbattendola.
Il
silenzio che scese nella casa fu disturbato soltanto da sporadici
singhiozzi soffocati.
Tommy
si accoccolò meglio sotto le lenzuola, nonostante facesse
caldo.
Teneva il condizionatore al massimo solo per potersene stare a letto
sotto le coperte, ma il freddo che sentiva non dipendeva dal
condizionatore, anzi, sembrava partire dal suo interno, sprigionarsi
dalle sua ossa, dal centro del suo petto e diffondersi in tutto il
corpo. Si sentiva la febbre, ed erano ormai tre giorni che non usciva
di casa, né mangiava, né parlava con nessuno se
non era
strettamente necessario. A stento beveva ed andava in bagno, giusto
perché morire di sete in un letto puzzolente di piscio non
era
proprio il massimo. Si strinse le ginocchia al petto, e con un
flebile lamento ricominciò a piangere, senza neppure
accorgersene.
Poi tossì, numerose volte. Una terribile tosse, secca, che
sembrava
rastrellargli la gola. Tirò su col naso. Aveva perso ogni
genere di
controllo su sé stesso e ogni briciolo di
dignità, tanto a cosa
serviva? Nessuno poteva vederlo.
Non
riusciva a smettere di pensare ad Adam, a come tutto fosse perfetto
cinque giorni prima, quando era corso da lui entusiasta, a mostrargli
il suo nuovo tatuaggio e a spiegargliene il significato. Era felice,
e lo guardava con gli occhi che brillavano e un sorriso sognante. In
quel momento era l’uomo che Tommy amava, in tutto e per
tutto,
senza sconti, senza vergogna. Adam l’artista, il ragazzone
divertente, dolce e sensibile, quello col sorrisetto malizioso e il
profumo irresistibile. Tra loro andava tutto magnificamente. Avevano
parlato un sacco, riso e scherzato, cenato insieme, avevano fatto
l’amore e poi si erano addormentati abbracciati. Cosa era
successo
poi?
Tommy
si morse le labbra e chiuse gli occhi, stringendosi ancora di
più le
ginocchia al petto, il corpo scosso dai singhiozzi e dai colpi di
tosse. Piangeva da così tanto che oramai si stupiva non solo
di
avere ancora lacrime, ma persino di avere la forza di soffrire
ancora. Iniziava a scivolare in uno stato di apatia: non gli
importava quasi più di nulla, neanche di sé
stesso, riusciva solo a
ripensare ad Adam e a piangere; se ne rendeva conto, eppure non si
sentiva capace di fare niente per cambiare tutto ciò.
Passava il suo
tempo a rimuginare su cosa era successo, aveva ripercorso col
pensiero l’ultima settimana almeno una decina di volte al
giorno e
ancora non riusciva a spiegarsi perché: perché
Adam si era
comportato così? Non aveva mai alzato un dito su di lui,
fino a quel
momento, non era una persona violenta. Cos’era che lo aveva
spinto
a comportarsi così? Il senso di colpa era davvero
così forte ed il
dolore così accecante? O era la frustrazione? Cosa era che
lo
spingeva a trattarlo come se di lui non gli importasse nulla?
Perché
lo tradiva, perché faceva finta che gli piacesse comportarsi
così?
Forse Adam davvero non lo amava. Forse, se tornava era solo
perché,
fondamentalmente, era una persona buona, e non voleva farlo soffrire.
L’unica
cosa che gli faceva dimenticare tutte quelle domande, l’unico
spiraglio di luce che lo separava dall’oblio
dell’apatia totale e
della depressione, era il pensiero di Adam. Era così
assurdo: la
stessa persona che lo faceva stare così male era quella che
gli
impediva di abbandonare definitivamente ogni speranza.
Sì,
tutto pareva riguardare Adam e averlo in continuazione nella testa
gli faceva male, ma poi era proprio quello che lo tirava su.
Da
qualche parte dentro di sé sapeva che per Adam era lo
stesso, che
anche lui non riusciva a smettere di pensarlo. Insomma, dopo tutte
quelle promesse, quei giuramenti.. Tommy l’aveva guardato
negli
occhi, sapeva che era tutto vero. Ne era convinto.
Se
c’era una cosa che Tommy aveva imparato su Adam in quei due
anni
era che ciò che lo spaventava più qualsiasi cosa
era restare solo.
Era una delle persone più forti che Tommy avesse mai
conosciuto,
sapeva essere forte per sé e per gli altri, aveva imparato a
tenere
il dolore e le preoccupazioni dentro e a mostrare al mondo solo
ciò
che voleva mostrare; ma aveva sempre avuto accanto qualcuno che gli
voleva bene e che lo accettava, e la sua unica paura era perdere queste
persone, perché era certo che non ce l’avrebbe
fatta ad
andare avanti da solo. Tommy si domandava perché, allora,
facesse di
tutto per rovinare quello che avevano insieme, che già di
per sé
era qualcosa di instabile ed incerto.
Ma
la paura fa fare cose stupide alle persone, cose che non si possono
capire, si possono solo accettare. Tommy lo sapeva fin troppo bene,
ed era per questo che accettava ogni errore e difetto di Adam. Lui
gli chiedeva scusa, era sincero, perché non perdonarlo? Se
lo
meritava. Meritava qualcuno che lo amasse all’inverosimile. E
Tommy
sentiva – anzi, sapeva
– di essere lui quel qualcuno. Perché ogni volta,
anche solo a
guardarlo, si sentiva il cuore gonfio d’amore dibattersi nel
petto;
perché ogni singola volta che Adam lo feriva, era capace di
nascondere il dolore e dirgli che non importava, e quando alzava lo
sguardo e lo guardava negli occhi non importava più per
davvero,
perché Adam piangeva, ma gli spuntava un sorriso e gli
diceva
‘grazie’ e Tommy avrebbe dato la vita pur di
vederlo sorridere
sempre; perché ogni volta che facevano l’amore era
come essere in
paradiso, ed era certo che non esistesse sensazione che potesse
essere paragonata a quella che provava in quei momenti.
Era
per questo che Tommy cercava sempre di capire le ragioni Adam, anche
quando ragioni non ne aveva. Era lì che sbagliava? Qualcosa
doveva
pur sbagliare, perché erano ormai quattro giorni che Adam
aveva
sbattuto quella porta, e non era tornato indietro. Chissà se
si era
almeno voltato. Le altre volte non era stato così; questa
volta Adam
non l’aveva chiamato, non gli aveva scritto messaggi, email,
o
lettere e bigliettini di nessun tipo. Pareva che l’avesse
cancellato dalla propria vita, che avesse semplicemente chiuso quella
porta e dimenticato di averla mai aperta.
Ai
suoi amici che l’avevano chiamato aveva detto che stava bene
e
aveva solo bisogno di stare un po’ da solo. Aveva dovuto
insistere
un po’, ma alla fine avevano ceduto e l’avevano
lasciato stare.
A
Tommy sfuggì un ennesimo singhiozzo, e si asciugò
le lacrime con le
lenzuola, ancora umide di altri pianti.
Come
faceva Adam a non avere voglia di sentirlo? A non voler sapere se
stava male o bene? Non era preoccupato per lui, neppure un
po’?
Scosse
la testa. Si sentiva ignorato. Inutile. E iniziava a pensare di
essere davvero un illuso. Alla fine Adam non aveva certo bisogno di
lui per non sentirsi solo, aveva tantissime altre persone che gli
volevano bene, che lo amavano. Forse l’unico motivo per cui
si
erano messi insieme era il desiderio di Adam di non essere solo, ed
ora che non si sentiva più così non aveva senso
stare con lui...
Tossì
un paio di volte e scrollò le spalle, innervosito tanto dal
mal di
gola quanto dai propri pensieri.
Non
poteva credere ad una cosa del genere! Lo pensava solo
perché era
giù. Se lo disse tra sé e sé un paio
di volte e poi annuì piano.
Era solo per quello. Si asciugò le lacrime con il dorso
della mano e
guardò il cellulare con aria malinconica.
Gli
sarebbe bastato un sms da parte di quell’unica persona al
mondo che
aveva fatto di tutto per compiacere e rendere fiera di lui,
dall’unico ragazzo di cui si era sempre fidato ciecamente
nonostante tutto, e di cui anche in quel momento, dopo tutto quello
che era accaduto, continuava a fidarsi; anche solo un ‘tutto
okay?’
dall’uomo che amava e che non aveva intenzione di smettere di
amare
mai, un semplice squillo da colui la cui opinione era l’unica
al
mondo che contasse per Tommy.
Adam era tutto. Era troppo chiedere
una telefonata, giusto per controllare che non fosse morto
dissanguato?
Tommy
fece una smorfia.
La
cosa peggiore era che sapeva perfettamente che se Adam avesse anche
solo accennato a scusarsi lui sarebbe tornato a gettarsi tra le sue
braccia come se non fosse successo nulla. Anche se continuava a fare
male, anche se Adam avrebbe continuato a tradirlo ed a utilizzarlo
come valvola di sfogo quando era nervoso, Tommy sarebbe stato
lì a
lasciarglielo fare, senza battere ciglio, perché non era
capace di
fare altrimenti.
Forse
Adam meritava una persona che lo amasse all’inverosimile, ma
Tommy
meritava davvero una persona che lo trattasse in quel modo?
Note di fine capitolo: Che
dire, ringrazio la mia cara Romea (per gli amici FrankieSleepWalker,
per me Romy u.u) per avermi fatto da Beta e per avermi assicurato che
questa schifezzuola è leggibile ed anche carina. Ogni
errore, imprecisione, bruttura, o schifezza che trovate (specialmente
il disclaimer!) mi appartiene (e ne vado anche fiera D:).
Mi scuso in anticipo del dolore che vi causerà, e vi prego
gentilmente di fornirmi ogni dettaglio di quanto abbiate pianto e vi
siate sentite male per i miei tesorini, perché mi provoca
un piacere immenso *evilgrin*
E.. nulla, se siete arrivati fin qui recensitemi almeno.
Per favore...? *-*
P.S.: La canzone di questa parte è "I love the way you lie (Part II)" di Eminem e Rihanna.
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