CAPITOLO 1
“Storia della famiglia
Miura”
Normalmente due genitori, per il
giusto ricambio generazionale, possono avere in media due figli, in modo tale da
avere entrambi un proprio erede. In più il costo della vita grava parecchio per
ogni figlio, almeno finché non raggiungono la tanto agognata autosufficienza.
Nonostante questo ci sono anche molte famiglie che superano il suddetto limite
dei due figli per coppia. Una di queste è una famiglia giapponese identificabile
con il cognome Miura.
Questa famiglia, con
l’ammirazione di parenti e conoscenti, ha attualmente ampliato il proprio nucleo
domestico con una prole composta da ben quattro figli. Tutti e quattro
esclusivamente di sesso maschile.
E dire che gli inizi non erano
certo stati facili per i coniugi Miura. La loro conoscenza reciproca risale
addirittura alla scuola materna. Entrambi infatti sono originari dell’Hokkaydo,
dove hanno frequentato, sempre assieme, tutta la trafila scolastica, dalle
scuole elementari alle superiori passando per le medie. Naturale che tra i due,
prima o poi, si sarebbe insinuato l’amore.
Una volta diplomati, fu il
momento di affrontare il grande passo. In una cerimonia umile ma vera, i due
convogliarono a giuste, e mai l’aggettivo giusto sarebbe più adatto, nozze. Non
bisogna scordarsi però che, nonostante l’accettazione di questo gravoso impegno,
i due erano comunque una coppia giovane e la voglia di puntare in alto era ben
custodita in entrambi. Ci voleva il trasferimento a Tokyo.
Giusto aggiungere che il
rammarico dei rispettivi genitori, e del resto del paese, che vedeva nei giovani
coniugi Miura la rappresentazione più radiosa dell’amore sincero, fu davvero
enorme.
“Fatti onore figliolo!” furono le
poche, ma incisive, parole che il vecchio Miura disse al giovane, proprio pochi
attimi prima che il furgone del trasloco partisse in direzione della capitale
nipponica.
Tokyo accolse ben volentieri i
due tra le sue braccia e, in poco tempo, la giovane coppia acquistò una casa,
semplice ma confortevole, e due lavori sicuri: impiegato lui, segretaria
lei.
Questa breve introduzione era
doverosa per la storia ma soprattutto ora bisognerà concentrarsi su un’altra
qualità della coppia: i due, infatti, hanno avuto il coraggio di portare a
termine ben quattro gravidanze. Infatti, nel giro di poco più di quattro anni,
in casa Miura fecero la rapida comparsa ben quattro pargoli. Le casa di certo si
era fatta decisamente più stretta per i sei inquilini, ma la famiglia Miura a
questo non dava peso. Gli stessi figli si erano via via abituati a dover
condividere tutti e quattro la stessa camera da letto, con rispettivi due letti
a castello. Ciò era stato reso possibile anche grazie ad un’altra particolarità
dei quattro eredi di casa Miura: infatti, come successe alla famiglia March nel
romanzo “Piccole donne”, loro naturali controparti femminili, i quattro erano
tutti di sesso maschile. Ovviamente, come era facile prevedere, ciò comportava
anche litigi, baruffe, gelosie e quant’altro da parte dei quattro fratelli
Miura, tutti in splendida salute. Dopo tutto questo l’impegno tra le mura
domestiche era certamente raddoppiato, anzi possiamo tranquillamente esclamare
quadruplicato, e mamma Miura lasciò il proprio lavoro per fare la mamma a tempo
pieno, o almeno finché i suoi figli non sarebbero cresciuti abbastanza.
Il tempo passò. I figli crebbero.
La signora Miura cominciò a fare qualche lavoretto part time, mentre i quattro
ragazzi si trovarono d’un tratto a fare tutti e quattro parte della stessa
scuola: L’istituto Hattori.
I quattro, i cui nomi erano
rispettivamente, partendo dal primogenito all’ultimogenito, Shunsuke (nato il 24
giugno), Hidetoshi (nato il 22 maggio), Hiroshi (nato il 28 novembre) ed Atsushi
(nato il 27 settembre), erano naturalmente cambiati nel corso degli anni.
Durante la loro infanzia, nessuno poteva distruggere “il quartetto Miura”. Di
fatti fu lo stesso “quartetto Miura” che si distrusse dal suo interno, visto i
differenti interessi e stili di vita che si venivano a creare tra i quattro. A
volte addirittura sembrava che la coesistenza tra loro fosse assolutamente
impossibile. Ma quello che successe l’anno scolastico in cui, come abbiamo prima
menzionato, tutti e quattro erano presenti nelle liste studenti dell’Istituto
superiore Hattori, rimarrà per sempre indelebile nelle loro memorie.
“Allora Hiroshi…hai fatto gli
esercizi di aritmetica che ti avevo affidato ieri?”
A porgere questa domanda, in
maniera solo apparentemente cortese, era stato un giovane teppista, che non può
certo mancare in una qualsiasi scuola giapponese, con i capelli biondi
ossigenati, la divisa scolastica caratteristicamente sbottonata e attorniato da
altri tre ragazzi facenti parte della sua banda.
“Certo Hase-kun…stavo proprio per
venire a portarteli…” rispose un giovane ragazzo il cui intento era tutto tranne
quello che aveva appena spiegato a voce.
Il ragazzo in questione è alto
poco più di un metro e settantacinque, ha gli occhi e capelli del classico
colore nero, gli stessi capelli sono tagliati molto corti e porta degli
occhiali. Si tratta di Hiroshi Miura.
“Ah, che bravo il nostro
Hiroshi…e perché ti devi ridurre sempre agli ultimi minuti dell’intervallo per
venirmeli a portare!” urlò sul viso del ragazzo il teppista di prima, con aria
decisamente scocciata.
“Ehi Hiroshi che hai di buono
oggi da mangiare?” chiese un elemento della ghenga, mentre allungava il collo
sopra la scatoletta della merenda di Miura.
“Del semplice riso? Ah, però,
ragazzi guardate mi pare ci sia anche un umeboshi…” descrisse la merenda
quotidiana di Hiroshi agli altri un terzo membro.
I denti di Hase-kun digrignarono
sempre più fino a che non scoppiò “Quella stronza di tua madre non sa fare bene
nemmeno la merenda, oltre che il figlio!”.
E detto questo spazzò via con un
violento colpo di mano la scatola di Hiroshi, mandandola con tutto il suo
contenuto rovinosamente per terra. Il penultimo dei fratelli Miura sentiva le
lacrime spingere ai lati dei suoi occhi, quando però i quattro disadatti stavano
rientrando nella loro classe, con il capo che si era preso il quaderno con gli
esercizi matematici. Poi però lo stesso Hase si fermò, scrutò un attimo la
cartella di Hiroshi e sorrise malefico.
“Sapete ragazzi…è aperta la
caccia!” notificò agli altri enigmatico.
“Oh no” sospirò appena
Hiroshi.
In un attimo i quattro si
avventarono sulla suddetta cartella e cominciarono a prelevarvi quaderni e libri
di testo ed a scaraventarlo contro il suo proprietario. Dovete sapere che tali
episodi di bullismo si ripetevano ormai da parecchio tempo, con la complicità
anche dei compagni di classe di Hiroshi che, per evitare di trovarsi nel mezzo a
guai indesiderati, non intervenivano minimamente a difesa del giovane
ragazzo.
Tale attività però aveva
stranamente un suo lato positivo. Infatti Hiroshi aveva ormai cominciato a
prevedere i vari tiri del gruppo, conoscendo ormai perfettamente le modalità di
tiro di ognuno di essi e, decisamente stufo del ripetersi di queste situazioni,
cominciò a reagire.
Dopo aver preso il primo libro
sul volto, con il rischio scongiurato che gli occhiali facessero la stessa fine
del suo pasto, il ragazzo cominciò a seguire con lo sguardo le varie traiettorie
degli oggetti che gli venivano lanciati contro, per poi colpirli con le mani per
evitare ulteriori danni al suo viso.
I quattro, lì per lì, rimasero
sorpresi dalla reazione della loro preda, per poi destarsi definitivamente al
suono della campanella che segnalava l’inizio della nuova ora di lezione.
“Ci si vede Miura!” Fu il saluto
fatto con scherno da parte del capo del gruppo mentre i quattro si affrettavano
a lasciare rapidamente l’aula.
Il ragazzo ricompose il suo
aspetto, asciugandosi anche qualche lacrime che era comunque scesa sulle sue
guancie, e si chinò per cominciare a raccogliere il suo materiale scolastico ed
anche a ripulire il pavimento da quello che doveva, nei suoi tranquilli piani
quotidiani, essere il suo pasto per l’intervallo scolastico.
Primo pomeriggio. Un giovane ma
enorme ragazzo sta percorrendo i marciapiedi sempre affollati di Tokyo.
L’altezza del ragazzo supera di poco i due metri, la sua testa è caratterizzata
dalla totale assenza dei capelli, gli occhi sono scuri e aggressivi e il fisico
robusto e muscoloso. Si tratta di Shunsuke Miura.
La gente si allontana al suo
passaggio, ma può anche capitare che tale gente sia distratta da altro e
allora…
“Ehi boccia stai più attentato
quando cammini!” lo avvertì un ragazzo più grande di lui, non certo come altezza
ma come età, dopo essere stato violentemente urtato da un gomito del più anziano
dei fratelli Miura.
Shunsuke arrestò la sua marcia,
si girò appena ed esclamò “Fottiti!”.
“Ehi stronzo come osi?” lo
minacciò uno dei due ragazzi che si era fermato assieme alla vittima della
collisione.
“Qui non è il posto adatto…”
disse rapido Miura.
“Ha ragione, che ne dite di quel
vicolo?” disse il terzo del gruppo indicando una stretta traversa che separava
due negozi e collegava direttamente con la via parallela a quella costeggiata
dal marciapiede.
L’energumeno non rispose nemmeno
e si avviò verso il luogo stabilito, seguito a ruota dai tre. Questi ultimi
erano nettamente inferiori fisicamente a lui, quasi identici con i capelli
acconciati in ciuffi assurdi, tenuti su da quintali di gel, ed abiti troppo
sgargianti. Shunsuke li squadrava ad uno ad uno con palese sufficienza.
Si avventarono contro di lui
quasi all’unisono ma non ci fu storia. Il primo fu colpito da un violentissimo
diretto destro che gli fece perdere definitivamente due denti, il secondo
ricevette un ancora più violento calcio sinistro che lo colpì sul fianco poco
sotto l’ascella, mentre per il terzo fu riservato una distruttiva testata sul
naso che andò in mille pezzi.
Il tutto sarà durato nemmeno
venti secondi. Due ragazzi erano a terra con i visi sanguinanti, sebbene in
punti differenti, ed un terzo era accasciato al suolo mentre si reggeva un
fianco e del sangue comincio ad uscire anche dalla sua bocca.
Ovviamente una rissa, seppur
breve come era stata quella, attirò qualche curioso che avvisò le forze
dell’ordine con il cellulare. Ed infatti le sirene si cominciarono a sentire in
lontananza.
Shunsuke quindi decise di
proseguire per quella traversa e riaffacciarsi nel marciapiede parallelo a
quello in cui aveva incontrato i suoi tre rivali. Si stava già incamminando
quando quello dei tre che aveva ricevuto meno danni, per intenderci quello che
aveva subito il calcione al fianco sinistro, aveva preso la struttura quadrata
in legno, che conteneva il menù del ristorante lì vicino, e sollevandola per
aria era pronto ad abbatterla su Miura. Ci riuscì.
L’oggetto fu distrutto, con
qualche scheggia di legno che sibilò pericolosamente nell’aria. Abbattuto sulla
possente schiena del ragazzo che però era rimasto tranquillamente in piedi,
mentre il suo aggressore era rimasta con tra le mani il lato con cui aveva
afferrato l’insegna e un respiro affannoso.
Il gigante si girò verso di lui,
lo prese per la maglia sgargiante e lo lanciò verso il muro vicino. Facendolo
roteare in area e trovandosi a testa in giù, completamente ribaltato e
spiaccicato nel muro, fino a che la forza di gravità non tornò a dettare legge
sul suo corpo, facendolo finire tra i sacchi dei rifiuti, forse provenienti dal
suddetto ristorante.
Fatto questo Shunsuke prosegui il
suo percorso, questa volta senza intoppi, se non solo per quei ragazzi appena
pestati che inviano alle sue spalle.
“Dove vai bastardo? Non è ancora
finito lo scontro!”
“Basta Jun smettila! Vuoi davvero
che torni indietro e ci finisca?!”
“Oddio il mio naso…mi ha
distrutto il naso…”
“Brutti teppisti ora pagherete
tutto quanto!” concluse il proprietario del ristorante.
Ovviamente in Giappone non
esistono solo i bulli scolastici o la gente che non vede l’ora di fare a botte
con gli sconosciuti, come potrebbe sembrare da questo inizio, ma anche gente che
preferisce la tranquillità assoluta. Come Atsushi Miura.
Il più giovane dei fratelli
Miura, con i suoi lunghi capelli neri al vento e gli occhi ugualmente scuri
concentrati nella console manuale che aveva tra le mani, stava rilassato
passando il finire di un classico pomeriggio noioso.
“Atsushi-kun ci sei?” chiese la
voce di una ragazza molto carina, con le ciucche dei capelli legate in
simpatiche trecce.
Naturalmente l’attenzione del
ragazzo fu attirata da essa e allora guardò giù. Infatti Atsushi si trovava su
di un lato del tetto dell’abitazione.
“Ehi Suzuka-chan, come va?”
chiese il ragazzo sporgendosi dal tetto.
La ragazza guardò in alto ed urlò
“Senti Atsushi-kun…io pensavo di fare un salto al karaoke…ti andrebbe di venire
con me?”.
Il giovane si girò per osservare
la scritta nel piccolo schermo del videogame, “GAME OVER”, si rivoltò e rispose
“Ok! Aspettami lì che arrivo subito!”.
Detto questo si afferrò con le
mani alla grondaia orizzontale, poco sotto il margine del tetto, saltò nel
vuoto, facendo roteare i polsi e tenendo le mani saldamente afferrate, lasciò la
presa solo per attraversare in volo la finestra aperta ed atterrare in piedi nel
pavimento della sua camera.
“Quanto lo odio quando fa così”
disse tra sé la ragazza, sempre in apprensione quando Atsushi eseguiva quelle
acrobazie.
Dopo poco il ragazzo scese,
s’infilò le scarpe e raggiunse lei che lo aspettava all’entrata del giardino di
casa Miura.
“Ma è possibile che per
rilassarti devi sempre per forza andare sul tetto di casa tua?!” lo redarguì
Suzuka, colpendolo con un buffetto sul viso.
“Beh sai in camera mia c’è sempre
una tale confusione…” provò a spiegarsi Atsushi, senza tanta convinzione.
I due cominciarono ad
incamminarsi in silenzio.
“A proposito di che karaoke
parlavi?” ricominciò la conversazione il ragazzo.
“È un nuovo locale che hanno
aperto da poco…” gli rispose la ragazza.
I due erano alti quasi uguali,
più che altro era Atsushi che era alto solamente un metro e sessantacinque. Ma
questo a Suzuka non importava, anzi si sentiva molto legata a lui ed adorava
passeggiare fianco a fianco a lui stringendogli la mano, come stava facendo in
quel momento.
“Senti Atsushi-kun …li hai fatti
i compiti di storia?” tentò l’inizio di un nuovo discorso per poi cambiare
radicalmente l’argomento lei.
“Mmmhhh…si qualcosa…” rispose lui
con poco interesse.
“Ah ma è possibile che tu ti
comporti sempre così?” gli inveì contro Suzuka.
“Così come?” chiese Atsushi
mostrando finalmente un po’ d’interesse.
“Insomma…non te ne frega di
niente e non t’interessi a niente!” gli spiegò la sua personale situazione.
“Non ci vedo nulla di male…”
dichiarò il giovane Miura tornando a guardare la strada davanti a sé.
“Non c’è niente da fare…sei ormai
un caso irrecuperabile!” si arrese lei, mettendosi una mano sulla fronte.
Dopo un po’ di metri camminati,
Atsushi notò l’insegna del probabile karaoke.
“È quello il karaoke che dicevi?”
chiese alla compagna indicandolo con il dito.
“Si esatto! Dicono che sia troppo
cool all’interno!” rispose la ragazza sorridendo e saltellando.
“Sarà…” disse lui, per nulla
attirato da certe cose.
I due erano davanti all’entrata
del locale e Atsushi stava per tirare la maniglia della porta quando la ragazza
lo fermò.
“Ah senti Atsushi-kun, ti volevo
chiedere…” ma s’interruppe.
“Cosa?” chiese il ragazzo
incuriosito da quest’ultima uscita di lei.
“Ah no niente entriamo dai!”
tagliò corto Suzuka aprendo la porta e tirando Atsushi dentro per il
braccio.
Il sole era tramontato e il cielo
era buio ma, nonostante questo, c’era ancora qualcuno che si allenava nel tirare
le punizioni sul campo da calcio dell’istituto Hattori.
Era una ragazzo alto grosso modo
un metro e ottantacinque, occhi e capelli neri, quest’ultimi pettinati a
spazzola con l’ausilio di qualche resto di gel, resistente anche al sudore. In
molti lo consideravano il miglior talento calcistico attualmente presente
nell’istituto. Giocava nel ruolo di trequartista. Come facilmente immaginerete
si tratta proprio di Hidetoshi Miura. I suoi calci piazzati erano sempre
precisi, si alzano per evitare le sagome in ferro che facevano da barriera per
poi andare a scendere in fondo alla rete della porta, illuminata dai fari del
campo sportivo.
“Hidetoshi sei ancora qui?! È da
più di un’ora che è finito l’allenamento perché non vai a casa?” a rimproverarlo
bonariamente era stato un uomo sulla mezza età, vestito con una tuta
sportiva.
“Ha ragione mister…anf…ma sa
com’è dovevo sfogarmi un po’…” rispose tra gli affanni il ragazzo, con il sudore
che gli scendeva dai capelli in tutta la fronte.
“Senti Hidetoshi ne abbiamo già
parlato abbastanza negli spogliatoi…” cercò di tagliar breve il mister.
“Ma com’è possibile? Quest’anno
potevamo anche arrivare fino in fondo!” insistette il ragazzo.
“Lo sai perché, per partecipare
al torneo la squadra deve essere composta da almeno diciotto giocatori. E noi
siamo solamente in quindici.” Gli spiegò nuovamente l’uomo.
“Si perché tre di noi si sono
ritirati…” controbatté il giovane.
“Si esatto! Quei tre non stavano
avendo dei buoni risultati nello studio e, non so per quanto scelta loro o per
scelta dei genitori, hanno deciso di lasciare la squadra e allora? Vuoi che non
siano liberi di decidere della loro vita?”
cercò di chiudere definitivamente l’argomento il mister.
“No se il loro ritiro compromette
la partecipazione della scuola al torneo!” ribatté ancora infuriato
Hidetoshi.
“Beh allora perché piuttosto non
ti metti a cercare tre nuovi giocatori? Ci sarà qualcuno interessato in tutta la
scuola…” gli propose l’uomo con nettamente più esperienza di lui.
“Ormai fanno tutti parte degli
altri club sportivi della scuola, e poi mi serve gente atleticamente allenata
sennò non andiamo molto lontano. Senza parlare poi che devo trovare ben tre
ruoli diversi: un portiere, un difensore e un attaccante!” ammise tristemente il
capitano della squadra di calcio.
“Ma insomma Hide, sei o non sei
il capitano? Trova una soluzione! Sei quello che tiene più di chiunque altro a
questa squadra…e poi al limite puoi sempre riprovare l’anno prossimo…” gli
spiegò le sue prospettive l’allenatore.
“No non posso aspettare il
prossimo anno!” rifiutò subito l’ultima idea il ragazzo che si zittì per pensare
a una ultima disperata soluzione.
Dopo qualche attimo di attesa,
che stava quasi preoccupando il signore in tuta, lo sguardo di Hidetoshi brillò
nuovamente.
“Forse ho trovato la soluzione…”
informò sbrigativamente l’allenatore con un sorriso e partì subito verso
l’uscita dall’impianto scolastico.
“Ehi aspetta Hide! Fatti almeno
la doccia! E poi hai ancora addosso le scarpe con i tacchetti!” provò
inutilmente a fermarlo verbalmente il mister.
“Speriamo che sia la soluzione
giusta Hide, sennò qui bisogna stare davvero fermi un anno…” pensò l’uomo mentre
si dirigeva a spengere i riflettori per poi chiudere finalmente il cancello
dell’istituto scolastico Hattori.
Un ora dopo i quattro fratelli
Miura erano tutti riuniti nella loro camera da letto comune.
“Ok Hide, siamo tutti e quattro
riuniti come ci hai chiesto, ora sbrigati a dire quello che devi dire perché ho
molto fame!” tagliò corto Shunsuke.
“E poi io ho ancora molto da
studiare, proprio a causa tua che mi hai interrotto!” si unì alla protesta
Hiroshi.
“Ed infine avete pure osato
svegliarmi!” concluse Atsushi che si trovava sdraiato sul suo letto.
“Bene farò veloce: voglio che voi
tre vi uniate alla squadra della scuola!” raggiunse subito l’obbiettivo
Hidetoshi.
“NO!” risposero gli altri in coro
e subito dopo Shunsuke si stava dirigendo alla porta della stanza, Hiroshi alla
sua scrivania e Atsushi si era rigirato sul letto.
“Eh no ragazzi fermi…FERMI!” gli
urlò contro Hidetoshi riuscendo nel suo intento di bloccarli nelle loro
posizioni.
“Dovete sapere che tre ragazzi
dell’istituto si sono ritirati dalla squadra e, visto che eravamo solamente 18
fino ad allora, ora non raggiungiamo il numero minimo per poter partecipare al
torneo nazionale. E voi sapete quanto ci tengo a vincerlo!” prosegui nello
spiegare la situazione ai suoi fratelli.
Detto questo il povero ragazzo
cercava i volti degli altri tre che, da parte loro, rimanevano immobili seguendo
i propri pensieri nella scelta di una decisione. Hidetoshi, stufo per questa
attesa lì spronò “Allora?!”.
Un brontolio di pancia derivato
dalla fame anticipò la risposta di Shunsuke “Eh va bene ma ora lasciami andare a
cena!”.
Un Hidetoshi sorridente girò la
testa verso Atsushi, ancora sdraiato.
“Ok rimettiamo in piedi il
quartetto Miura” fu la sua risposta.
Infine il capitano della squadra
di calcio si voltò verso Hiroshi.
“Va bene ci sto anch’io…e
speriamo domani di non prendere un brutto voto…” accettò la proposta l’unico a
portare gli occhiali nella famiglia Miura.
“Grazie fratelli! Vi giuro che
non ve ne pentirete!” li ringrazio Hide quasi commosso. |