Titolo
della fanfiction: Londra
sta
chiamando i suoi ragazzi
Titolo
del contest:
Full moon sways –
Remus Lupin mode
Personaggi:
Remus Lupin, Ninfadora Tonks, Alastor Moody, Arthur Weasley, Fabian e
Gideon Prewett.
Generi:
Guerra, drammatico, triste
Warnings:
nessuno
Note
personali:
- Le date non sono completamente precise. Ho letto
che Fabian e Gideon Prewett sono morti nel 1981; io ho preferito far
accadere la vicende nel 1979, la data della storica uscita di London
Calling dei The Clash che dà il titolo alla fan fiction e ne
segue poi le vicende.
- Non
si sa che genere di animale sia il Patrono di Remus Lupin. Io ho scelto
lo sparviero per due motivi: a) nel terzo libro si legge che dalla bacchetta di Lupin
è uscito qualcosa che poi è volato via o robe simili e b) lo
sparviero è un rapace piuttosto pericoloso, probabilmente
quello più cacciato dagli uomini, e mi è venuta
in mente la condizione di licantropo di Remus, tutto qui.
- Nessuno ha mai detto che Remus Lupin sia irlandese,
mezzo irlandese o robe simili e io non so nemmeno come diavolo mi sia
venuta in mente un'idea tanto balorda. Mi piace l'Irlanda, mi piace
Remus e ho sempre pensato che sua madre fosse irlandese.
Così, de gustibus... nel mio immaginario, quindi, la madre
di Remus è originaria della piccola cittadina di Kinsale,
nel sud dell'Irlanda, a venticinque chilometri da Cork.
*
*
London
calling to the faraway towns
Now
that war is declared and battle come down
[Londra
sta chiamando le città sperdute
Ora
che è stata dichiarata guerra e la battaglia è
finita]
«Malocchio
non voleva prendermi nell'Ordine».
Remus
sollevò la testa dalla Gazzetta del Profeta e le rivolse
un'occhiata
imperturbabile. La fissò a lungo, studiando attentamente
ogni tratto
del suo giovane viso. Quella mattina i suoi capelli sbarazzini erano
verde smeraldo, le sue unghie di un intenso arancione e indossava una
maglietta dei The Clash a cui Remus aveva indirizzato un sorriso
nostalgico. Portava una paio di Dr. Martens provenienti da un'altra
epoca, e Remus si era domandato se fossero appartenuti a Ted Tonks o
se lei li avesse raccattati in qualche mercatino delle pulci della
domenica in Cheshire Street.
«Non
fatico a crederlo» le rispose dopo qualche istante di
silenzio,
arricciando appena le labbra. «Sono stato il primo a stupirmi
quando
ti ha portato qui».
Tonks
parve accusare a fatica il colpo: aveva sperato in una reazione di
disappunto nei confronti di Moody, in qualche parola di conforto da
parte di Remus o in qualunque altra cosa avrebbe potuto significare:
«Ho fiducia nelle tue capacità».
«Io
sono un'Auror» ribatté piccata lei, alzando
orgogliosamente il naso
e scrutando Remus con aria torva. «Sono stata addestrata a
combattere. Sono pronta,
dannazione,
e non sono più una ragazzina. Credevo che almeno tu, questo,
lo
avessi capito».
«Non
è questo il
punto».
«E
quale diavolo è,
allora, il punto?».
«Il
punto è che sei
troppo giovane per questa guerra, Ninfadora. In effetti, saresti
troppo giovane per qualunque guerra».
Tonks
parve risentita.
«Tu
e Sirius avevate
diciotto anni quando iniziaste a combattere» sputò
pungente. «È
un po' ipocrita da parte tua dirmi questo».
Remus
emise uno sbuffo
divertito e le sorrise comprensivo.
«Io
la definirei
propensione al paternalismo».
«Cosa
di cui io non ho
bisogno, grazie».
L'espressione
indignata
sul volto di Tonks la faceva apparire una ragazzina imbronciata e
Remus non riuscì a trattenere una risatina: voleva essere
trattata
come una donna, come un soldato, e per quanto lui fosse a conoscenza
delle sue abilità di duellante, aveva un volto troppo
trasparente
per poter sembrare tale. Era in gamba, era determinata ed era
ferocemente piena di buoni ideali: Remus lo sapeva perfettamente. Era
quasi come rivedere Sirius nel 1979, ma con più mezze misure
addosso
e con la faccia più angelica.
«Fu
Alastor ad
arricchire la maggior parte dei membri del primo Ordine della
Fenice»
raccontò Remus, forzatamente distaccato. «Edgar
Bones, Dorcas
Meadowes, Benjy Fenwick, Marlene McKinnon, Frank e Alice Paciock, i
fratelli Prewett... erano tutti suoi pupilli, al Ministero.
È per
questo che sono stato tanto stupito nel vederti accanto a lui e
Kingsley. Non credevo che Alastor avrebbe avuto la forza di
rifarlo».
«Che
cosa?».
Remus
le mostrò i
palmi in un gesto di muta rassegnazione.
«Trascinare
altri
ragazzi in una guerra evidentemente più grossa di loro...
non dopo
che l'ultima ha quasi decimato la mia generazione, almeno».
Tonks
si mordicchiò
nervosamente il labbro inferiore, ma Remus riusciva a leggere nei
suoi occhi scuri una grintosa testardaggine. Represse a stento un
sorriso al pensiero di quanto quella ragazza portasse addosso le
tracce dei duri insegnamenti di Alastor.
Determinazione.
Lealtà. Sacrificio.
Il
trinomio dell'essere
Auror secondo Alastor Moody.
«Io
ce la farò» sentenziò con profonda
risolutezza lei, annuendo con
forza. «Ce la farò, Remus. Hai capito?».
«Non
ho mai detto di non ritenere che tu possa farcela, né mai lo
dirò»
le rispose con franchezza. «I tempi sono diversi, ora, e noi
abbiamo
imparato cosa significhi affrontare Lord Voldemort. A conti fatti,
credo che tu possa farcela».
Rimasero
in silenzio qualche istante.
«Ma
una guerra è pur sempre una guerra» scosse il capo
lei, confusa.
«Tu eri appena maggiorenne quando iniziasti a combattere. Io
ho
quasi ventidue anni e sono un'Auror a tutti gli effetti.
Perciò, a
conti fatti, credo di avere molte più credenziali
io, oggi, di
quante tu non ne avessi all'epoca, Remus».
«Vorrei
che tu capissi che non sei tu a non essere all'altezza, né
io ti
ritengo tale. Ciò che fa la differenza è che
tutti noi abbiamo
imparato a nostre spese chi è Lord Voldemort. Oggi siamo
più
preparati. Oggi sappiamo cosa
stiamo facendo.».
«E
la prima volta...
cosa sapevate, allora?».
Remus
le rivolse un debole sorriso.
«Nulla.
Eravamo troppo
giovani per sapere qualcosa. È per questo che la guerra si
è
mangiata ognuno di noi, alla fine».
*
London
calling, now don't look at us
[Londra
sta chiamando, non guardateci ora]
Era
un ragazzetto
pallido e allampanato, con gli occhi arrossati e cerchiati da spesse
ombre bluastre, le labbra e le nocche screpolate dal freddo e la
corporatura smilza e ossuta di chi dalla vita ha ricevuto troppi
ceffoni per ogni carezza. Ma quella era la fine degli anni Settanta e
quella era l'Inghilterra dei Sex Pistols, di Margaret Thatcher, degli
acidi e degli allucinogeni, e un ragazzetto così era
soltanto uno
come tanti. Era il figlio degli altri di cui si vociferava con i
vicini, quello che se fosse stato figlio mio,
sarebbe
diventato sicuramente un avvocato di successo.
Poco
importava che
Remus Lupin non avesse la benché minima intenzione di
intraprendere
una carriera all'interno dell'Ufficio per l'Applicazione della Legge
Magica, né che detestasse ogni singolo angolo del Ministero,
dalla
statua che dominava sull'Atrium alle scomode sedie dell'Ufficio per
la Regolazione e il Controllo della Creature Magiche. A Remus Lupin
non piacevano nemmeno i Sex Pistols, Margaret Thatcher, gli acidi e
gli allucinogeni: ascoltava i Clash, non credeva nella politica e
aveva già fin troppe dipendenze per potersi sballare di
droga ai
bordi dei viottoli di Londra. Era ben lontano dall'essere un buon
candidato per il londinese medio, figurarsi per l'avvocato di
successo.
A
Remus Lupin non
fregava niente, poi, di fare l'avvocato. Non era che un diavolo di
licantropo, con una diavolo di madre irlandese morta e un diavolo di
padre con cui aveva smesso di condividere la propria vita da anni.
Era un diavolo, Remus Lupin, con tre diavoli di amici persi in mezzo
a tutta quella merda che era diventata Londra nel 1979.
Era
il 1979 e Lord
Voldemort si era insinuato un po' da tutte le parti del mondo magico.
S'infiltrava all'interno e all'esterno del Ministero, cacciava nei
vicoli di Diagon Alley, si sussurrava timoroso fra i corridoi di
Hogwarts. Lord Voldemort era in così tanti posti
contemporaneamente
che quasi lo si sentiva al proprio fianco, certe volte. Remus lo
vedeva, allora, levarsi dal fumo di quello schifo di sigarette di
Sirius, muoversi con la gestualità nervosa di James,
balbettare con
la voce tremante di Peter. E quando fissava il proprio riflesso, ecco
che Lord Voldemort gli compariva alle spalle per mostrargli quanto
fossero pesanti le sue occhiaie, quanto fosse segnato il suo volto e
quanto fosse deprimente vedere un ragazzetto di neppure vent'anni
già
rovinato davanti a uno specchio del cazzo.
Quella
era la Londra
del 1979, con le sue esplosioni di Babbani e le uscite tutte matte di
quel coglione di Sid Vicious, con i Mangiamorte che ammazzavano di
notte e con la Thatcher che parlava di fede e speranza di giorno. Era
la Londra del 1979 e Remus Lupin, ragazzetto pallido e allampanato,
figlio di nessuno che non sarebbe mai diventato un avvocato, lo
sapeva perfettamente. Era la fine degli anni Settanta, quella, e
Remus aveva il sentore che ci fosse qualcosa di schifosamente
profetico in quel cazzo di decennio.
Fino
a pochi anni
prima, c'erano stati gli anni dei Malandrini. Gli anni di Hogwarts,
gli anni di Grifondoro, gli anni dove a James e Sirius sembrava
essere concesso tutto, gli anni dei disastri, dei litigi e delle
prime volte. Gli anni che Remus pensava non sarebbero mai finiti
perché, dannazione, quegli anni avevano significato troppo
per
ognuno di loro e la sola idea che potessero realmente andarsene
faceva troppo male ad ognuno dei loro stomaci. Invece, eccoli
lì,
tutti e quattro: terribilmente più vecchi e per niente
più grandi,
distanti pochi mesi dagli anni in cui erano stati i Malandrini, e
già
proiettati verso quel futuro di merda che Londra stava offrendo loro.
Era
il 1979, in fin dei
conti, e Remus sentiva ogni giorno di quegli anni Settanta
scapparsene via sempre più velocemente, strappandogli
brandelli di
gioventù senza che esistesse alcun modo di recuperarli dal
passato.
Stava
finendo tutto; lo
avvertiva nel sangue.
Talvolta,
nascosto
dall'oscurità dello sciatto monolocale di turno e con la
bacchetta
saldamente stretta fa le mani, sperava che gli anni Ottanta avrebbero
avuto un migliore inizio. E qualche volta, disgraziatamente, finiva
per crederlo sul serio.
*
Come
out of the cupboard, all you boys and girls
[Venite
fuori dall'armadio, tutti voi ragazzi e ragazze]
Il
patriottismo non era
mai stata una caratteristica del giovane Lupin. Della Gran Bretagna e
della comunità magica gli importava quel tanto che bastava
per non
farla esplodere, in effetti. James Potter, nazionalistico a livello
genetico, aveva sempre imputato la tiepida vena anarchica dell'amico
alla discendenza irlandese e Babbana della madre, ma tutti quanti
sapevano che la spiegazione affondava in radici ben più
intricate.
Remus
era un
disgraziato licantropo, disgraziato mezzo irlandese e disgraziato
figlio di uno di quei cani dell'Unità di Cattura da cui si
teneva
alla larga da anni, ormai. Era un disgraziato in qualunque modo si
volesse rigirare la storia, e non si poteva certo presumere che un
disgraziato potesse essere anche patriottico.
Nonostante
tutto, aveva
deciso di combattere al fianco di Silente e dell'Ordine della Fenice
prima ancora di raggiungere la maggiore età, sebbene fosse
perfettamente a conoscenza di quanto i suoi sforzi e i suoi sacrifici
avrebbero ingiustamente incrementato il consenso popolare nei
confronti del Ministero della Magia. A Remus non importava niente:
indipendentemente dall'esito di quella guerra, sapeva che avrebbe
perso. Se Lord Voldemort avesse vinto, sarebbe morto; se il Ministero
fosse sopravvissuto, sarebbe rimasto il solito disgraziato licantropo
e sarebbe morto di stenti, prima o poi.
Spesso
si domandava se
ci fosse un motivo per il quale valesse la pena di rimanere in Gran
Bretagna e combattere contro tutta quella merda che erano gli anni
Settanta e, nel caso esistesse un valido motivo, quale diavolo esso
fosse.
Il
più delle volte non
ne aveva una mezza idea, ma lui restava lì, e continuava a
stringere
la bacchetta fra le dita fra una bestemmia al Ministro e una alla
Regina.
*
London
calling, see we ain't got no swing
[Londra
sta chiamando, guardate che non siamo cambiati]
«Per
cosa combattevi,
allora? Cosa ti spingeva a restare?».
Remus
rimase immobile
diversi istanti, fissando intensamente le goccioline di brandy che
Tonks aveva rovesciato sul tavolo mentre gli riempiva il bicchiere.
Alla luce delle candele incantate che illuminavano la cucina di
Grimmauld Place, il liquore sembrava sanguigno.
«Tu
per cosa vuoi
combattere?» domandò in rimando lui, appoggiando
il mento al palmo
della mano e scrutando il giovane volto di Tonks con un sorriso
accondiscendente.
Dalla
sua espressione
incredula, Remus dedusse che lei, a differenza di lui, aveva
già la
propria risposta. Non ne era affatto stupito: sapeva perfettamente
quanto lei fosse un soldato infinitamente migliore di lui e per i
soldati, in fin dei conti, è obbligatorio sapere per cosa
combattere.
«È
giusto combattere
questa guerra. È giusto difendere tutto ciò che
abbiamo di buono»
disse a bassa voce Tonks, scuotendo piano la testa e con la fronte
aggrottata. «Se non combattessimo... dimmi, Remus, che
succederebbe
se non combattessimo?».
«Perderemmo».
Tonks
si umettò le
labbra e annuì piano.
«E
chi verrà dopo di
noi si chiederà per quale motivo non abbiamo combattuto. Per
quale
motivo abbiamo permesso che il mondo crollasse sotto i nostri piedi
senza muovere un dito. Diranno: “Come cavolo hanno potuto
farlo?”,
“Che razza di vigliacchi erano mai quelli?”. E ci
odieranno a
giusta ragione, perché non abbiamo difeso ciò che
era nostro dovere
difendere. Noi dobbiamo combattere. Dobbiamo
vincere».
«Immaginavo
avresti
dato una risposta da Auror».
«Io
sono un'Auror».
Remus
le sorrise
affettuosamente.
«Io
non lo ero. Non lo
sono mai stato».
*
London
calling upon the zombies of death
[Londra
sta chiamando gli zombie della morte]
Remus
fece la
conoscenza di Arthur Weasley nel febbraio del 1979 nell'unico piano
sotterraneo del San Mungo. Era il più freddo, il
più silenzioso e
il più deserto, come si conviene a qualunque obitorio che si
rispetti. Aveva sempre odiato quel posto allo stesso modo in cui
aveva sempre odiato il San Mungo; quando era obbligato a recarsi
là
con Moody, poi, la sua insofferenza aumentava prodigiosamente,
perché
se c'era qualcosa che odiava più del San Mungo e del suo
fottuto e
gelido obitorio, ecco, quello era il pragmatismo di Moody. Parlava di
incidenti, parlava di sacrifici e parlava di decessi, ma Remus si
riassumeva tutti quei discorsi con una sola parola: niente.
Non c'era più niente, e per quanto Moody fosse in grado di
sezionare
la morte con la stessa lucidità con la quale si sezionavano
i ratti
nei sotterranei di Lumacorno, Remus non ne era in grado e, quasi
sicuramente, non ne sarebbe mai stato in grado.
Arthur
era in piedi in
mezzo al corridoio e i suoi capelli rossi creavano un assurdo
contrasto con la parete bianca alle sue spalle. Teneva le mani nelle
tasche del mantello e lo sguardo fisso sulla porta davanti a
sé. La
dicitura “Obitorio numero due”
troneggiava a grandi
lettere scure.
Quando
Remus e Moody lo
raggiunsero, trasalì appena e si voltò allarmato
verso di loro,
come se lo avessero appena scoperto compiere chissà quale
oltraggioso peccato. I suoi capelli erano curati e pettinati, la
barba rasata di fresco e la veste, nonostante le toppe e i rammendi,
era evidentemente stata stirata da poco. Remus aveva l'impressione
che Arthur Weasley, o qualcuno per lui, avesse avuto la premura di
tirarlo elegante, com'era solita ripetere sua madre
nei giorni
di festa. Stronzate del tipo “tirati elegante, Remus, che
oggi c'è
da andare in chiesa”, “tirati elegante, Remus, che
oggi passa la
zia Kitty, e alla zia Kitty piace vederti tirato elegante”,
“tirati
elegante, Remus, che c'è da andare dal dottore” e
“tirati bene
elegante, Remus, che c'è da andare al funerale della zia
Kitty, e
alla zia Kitty piaceva vederti tirato elegante”. Remus
stringeva
accuratamente il cravattino e si pettinava con cura davanti allo
specchio, ma non poteva evitare di pensare “a chi importa se
indosso o meno il cravattino? Importa a Gesù, forse, se vado
in
chiesa con i pantaloncini? Importa al dottore, forse, se ho il
raffreddore e non indosso la camicia? E alla zia Kitty, ora come ora,
frega davvero qualcosa se la mia cravatta è dritta o
storta?”.
Arthur
Weasley aveva
proprio l'aspetto di qualcuno che è stato tirato elegante a
forza da
qualcuno fatto come sua madre e convinto che visitare la morte fosse
un po' come visitare Gesù o il dottore, e ci si dovesse
presentare a
modo.
A
Remus sarebbe
probabilmente venuto da ridere, se solo non si fosse trovato in quel
maledetto obitorio e davanti a quella maledetta porta.
«Weasley»
salutò con
implacabile professionalità Moody. «Mi rincresce
doverti
disturbare, ma spero tu possa capire che il protocollo--».
«Non
importa, Alastor»
lo interruppe sbrigativamente il signor Weasley. Tese la mano destra
in avanti con un affettato sorriso cortese. «Molly ha
preferito non
venire» aggiunse dopo qualche secondo di silenzio, rivolgendo
un
intensa occhiata penetrante. «Spero tu possa capire
lei».
Alastor
annuì appena.
«Facciamo
in fretta,
allora. Vado a controllare che quegli incompetenti là dentro
non
abbiamo combinato qualche casino» disse, voltando sui tacchi
e
dirigendosi verso la porta dell'obitorio numero due.
Remus
fece per
seguirlo, ma Moody lo fermò con un gesto spazientito della
mano.
«No,
Lupin. Tu resti
qui. Weasley, lui è Lupin. Uno dei nostri».
Mentre
lo fissava
sparire dietro la porta, Remus gli augurò la dannazione
eterna. Non
aveva avuto ancora capito perché Moody avesse voluto che
fosse
proprio lui ad accompagnarlo al San Mungo. Impietrito da un silenzio
raggelante accanto ad Arthur Weasley, Remus si diede dello sciocco
per aver dimenticato la propensione di Moody a essere così
maledettamente bastardo. E ora Remus era lì, accanto a un
uomo che
aspettava di riconoscere i volti dei cognati nei corpi contorti
all'interno dell'obitorio e, chissà, magari il suo ingenuo
amore
ancora sperava che potessero non essere loro. Si spera sempre che
siano gli altri, in queste situazioni.
«Remus
Lupin,
immagino» esordì improvvisamente Arthur in tono
confidenziale. «Il
figlio di John Lupin, dell'Unità di Cattura».
Remus
fissò l'uomo
negli occhi qualche istante, prima che il suo volto si storcesse in
una smorfia involontaria. Distolse rapidamente lo sguardo e finse di
essere particolarmente interessato alla porta chiusa dell'obitorio.
«Già»
si limitò a
rispondere.
«E
quanti anni hai?».
«Ventiquattro»
mentì
d'istinto Remus, tentando di apparire quanto più naturale
possibile.
«Venticinque a marzo».
Le
labbra di Arthur si
piegarono in un lieve sorriso complice, mentre i suoi occhi
esaminavano ogni centimetro del giovane accanto a sé.
«Venticinque...»
ripeté Arthur con una punta di divertimento nella voce.
«Ovviamente».
Ancora
silenzio. Remus
continuava a fissare insistentemente la porta, come se bastasse il
suo desiderio di allontanarsi da quel posto a farla aprire.
«Eri
con loro, vero?»
chiese tagliente Arthur e Remus chiuse gli occhi, mentre una fitta di
dolore gli incendiava le costole. «Eri con Fabian e Gideon?
È per
questo che Alastor ti ha portato qui, vero?».
«Mi
dispiace» disse
Remus senza pensare.
Arthur
sorrise.
«Non
è colpa tua,
Remus».
Remus
si umettò
nervosamente le labbra e scosse con violenza il capo.
«Sì,
invece» disse
rapidamente. «È stata una mia idea deviare per
South Kensington.
Gideon pensava fosse un'idea brillante, sebbene andasse completamente
contro i piani di Moody, perché di notte South Kensington
è più
affollata e pensavamo che ci sarebbero state meno
probabilità di
imbatterci nei Mangiamorte. Fabian ci disse che era una pessima
trovata e che se Moody aveva detto di proseguire lungo Thurloe
Square, doveva avere i suoi dannati motivi, ma noi eravamo così
sicuri
che South
Kensington fosse libera...».
Aveva
parlato ben più velocemente di quanto non fosse solito
parlare, come
se gettare tutto ciò che era avvenuto quella notte addosso
ad Arthur
Wesley potesse aiutare se stesso nella dura ricerca della redenzione;
come se la fretta attutisse il significato di ogni parola e facesse
un po' meno male, in effetti. Non era che un'altra cazzata, quella, e
Remus lo sapeva perfettamente: poco importava se ricordavi
più o
meno in fretta, perché ricordare faceva male in qualunque
modo.
Arthur
Weasley
continuava a guardarlo con un lieve sorriso premuroso, ma negli occhi
chiari riluceva lo spettro di una lacrima trattenuta con i denti. Con
un moto di improvviso dolore, a Remus ritornò in mente la
madre:
anche lei aveva sempre pianto fra i denti.
«Non
è comunque colpa
tua, Remus».
Di
nuovo, Remus scosse
violentemente il capo.
«Avrei
dovuto dare
ascolto agli ordini di Moody».
«Se
la tua testa
diceva che avevi ragione, hai avuto ragione a darle ascolto. Credevi
di essere nel giusto, e tanto basta a discolparti da qualunque
responsabilità» lo consolò Arthur,
posandogli una mano sulla
spalla con aria lievemente paternalistica. «Gideon e Fabian
sapevano
quello che stavano facendo, Remus. Erano due ottimi Auror. E se hanno
appoggiato la tua idea di cambiare i piani, è solo
perché anche
loro la ritenevano una buona idea, o non ti avrebbero mai
assecondato. Non incolparti per quello che è successo:
poteva
toccare a chiunque».
“ Poteva toccare a
me”.
*
London
calling and I don't wanna shout
[Londra
sta chiamando e io non voglio gridare]
A
sentire Moody,
Smaterializzarsi era fuori discorso: i Mangiamorte potevano essere
appostati in qualunque angolo della città e durante la
Materializzazione ci si rendeva troppo vulnerabili. Muoversi con la
Metropolvere era diventato un suicidio da quando i Mangiamorte
avevano iniziato a deviare con la magia i corsi dei camini. A causa
del folle aumento dei Dissenatori, poi, volare con le scope era
oltremodo pericolosissimo, sicché i maghi e le streghe
più accorti
della comunità magica avevano semplicemente smesso di
spostarsi.
C'erano
sempre, poi, quei tre o quattro disgraziati che dovevano
spostarsi,
dovevano
farcela
e dovevano
riportare
delle
maledette planimetrie al Ministero prima che finissero in mani
sbagliate. S'andava a piedi, a quel punto, con il bavero alzato a
nascondere il volto, la bacchetta magica serrata fra le dita e pronta
a colpire e gli occhi puntati ovunque potessero vedere. Quella notte
faceva un freddo del diavolo e Remus era uno di quei disgraziati che
doveva
farcela.
«Potremmo
svoltare per
Thurloe Square» propose a un tratto Remus. «Se
dovesse succedere
qualche imprevisto, South Kensington è totalmente priva di
vicoli e
strade. Dove potremmo nasconderci?».
Gli
Auror Gideon e
Fabian Prewett si voltarono per guardare il ragazzo che copriva a
entrambi le spalle. Facevano parte del Quartier Generale del
Ministero della Magia da poco meno di cinque anni, ma erano
probabilmente due fra gli Auror più talentuosi al seguito di
Alastor
Moody. Eppure, quel ragazzetto mezzo irlandese continuava a stupirli
con le sue trovate imprevedibili. Sarebbe stato un Auror di notevole
talento, se solo le circostanze fossero state differenti.
«Remus
ha ragione»
disse Gideon con un sorriso scanzonato. «Thurloe Square
è l'ideale
per chi ha bisogno di un nascondiglio rapido».
«Ma
non per una rapida
via di fuga» lo contraddisse Fabian, scuotendo piano il capo.
«Non
avertene, Remus: in un altro momento, avrei sicuramente approvato la
tua idea. Ora, però, è troppo
rischioso».
«Più
rischioso di
ritrovarsi nel pieno di South Kensington circondati da quattro o
cinque Mangiamorte?» incalzò con educata decisione
Remus. «Da dove
mai potremmo fuggire, in South Kensington? Thurloe Square è
un'unica
strada incrociata solo da viottoli e da stradine di poco conto.
Potrebbe rivelarsi più semplice da percorrere, a conti
fatti».
Fabian
lo fissò
intensamente per qualche istante, grattandosi la barba rossa.
«Se
Moody ci ha dato
una traiettoria da seguire, è indiscutibilmente
perché non ne
esistono di migliori».
«Sì,
ma non credo che
Moody abbia pensato che oggi è San Valentino. Dubito che sia
a
conoscenza dell'esistenza di San Valentino, in effetti...».
Gideon
ridacchiò con
profondo divertimento.
«South
Kensington è
piena di ristoranti e locali che saranno stracolmi di coppiette, e ci
sarà sicuramente qualche spettacolo lungo la strada... e
sarà tutto
rosso e rosa, probabilmente» riprese Remus. «Ci
vorrebbe un sacco
di tempo per attraversare la folla e noi, così
incappucciati,
attireremmo un sacco di attenzione. Thurloe Square è famosa
per le
botteghe alimentari e non credo che una macelleria sia un'attrazione
abbastanza romantica per richiamare uno stormo di
innamorati».
L'idea
sembrava davvero
buona.
*
London
is drowning and I... I live by the river
[Londra
si sta allagando ed io... io vivo vicino al fiume]
«Gideon
e Fabian mi
ordinarono di prendere quelle dannate planimetrie e correre lungo
Harrington Road. Era la direzione completamente opposta al Ministero
della Magia, ma non avevo alternative. I Mangiamorte stavano fra noi
e il Ministero, Gideon e Fabian stavano fra i Mangiamorte e me, e se
qualcuno di quei maledetti avesse messo le mani su quelle carte, la
guerra sarebbe stata praticamente persa».
Tonks
aveva ascoltato
ogni parola in un rigido silenzio. Non si era mossa di un centimetro,
nemmeno per sorseggiare un poco del brandy che aveva nel bicchiere.
Lo fissava con le labbra lievemente dischiuse e lo sguardo attento di
chi sta memorizzando ogni singola parola del racconto che sta
ascoltando.
«Cos'hai
fatto, alla
fine?».
Remus
le rivolse uno
sorriso amaro.
«Ho
eseguito gli
ordini».
*
London
calling to the underworld
[Londra
sta chiamando dall'oltretomba]
Remus
sfrecciava lungo
Harrington Road più velocemente di quanto non avesse mai
corso. Le
coppiette e i passanti che urtava nella sua corsa si voltavano
indignati e gli gridavano un sacco di insulti, ma per lui esistevano
solo quelle dannate planimetrie nascoste nella tracolla di pelle di
drago di Fabian Prewett. Si volgeva indietro, di tanto in tanto, ma
la strada era troppo affollata perché fosse possibile
distinguere lo
svolazzare di un mantello nero. Si tuffò a sinistra in un
vicolo che
costeggiava un ristorantino cinese, scavalcò una recinzione
con un
salto agile ed estrasse la bacchetta.
Chiuse
gli occhi e
cercò di convincersi che sarebbe andato tutto bene.
Pensò a James e
Lily, che lo aspettavano l'indomani per la colazione insieme a Sirius
e Peter. Pensò a quella volta in cui lui e Sirius si erano
quasi
ammazzati di botte in sala comune a causa di quello scherzo idiota a
Severus Piton; a quella volta in cui James e Sirius avevano volato
con le scope fino a Kinsale per fargli una sorpresa e si erano fatti
arrestare dallo sceriffo O'Gallagher; a quella volta in cui Sirius
aveva incantato quella stupida motocicletta e si erano schiantati
contro la porta della Testa di Porco di Aberforth; a tutte quelle
volte in cui si era svegliato l'alba dopo i pleniluni, con quei tre
cretini a fianco tutti sporchi di fango, erba e terriccio e il mondo
gli appariva improvvisamente un posto stupendo.
«Expecto
Patronum!».
Dalla
punta della sua
bacchetta uscì una vaga nuvola di vapore argenteo che
volteggiò a
mezz'aria qualche istante, prima di attorcigliarsi su se stessa e
schizzare verso l'alto. Remus vide il proprio sparviero aprire le
lunghe ali brillanti e svanire nella notte londinese.
Strinse
a sé la
tracolla di Fabian, fece un respiro profondo, poi giù, di
nuovo a
correre fra i vicoli più piccoli, in direzione della
Cromwell.
“ Buon Dio, fa' che
arrivino in fretta”.
*
An'
you know what they said? Well, some of it was true!
[E
sai che dissero? Beh, che in parte era vero!]
«Credo
di essere
arrivato solo pochi istanti dopo. Buona parte della strada era
esplosa a causa degli incantesimi e le pietre incandescenti fumavano
ancora. Era rimasto soltanto un lampione funzionante e io non
riuscivo a vedere granché bene. Ricordo che parecchi Babbani
stavano
già accorrendo verso Thurloe Road ed io evocai un
Incantesimo di
Dissimulazione in modo da impedirgli di raggiungermi. Avanzavo
cautamente fra le macerie, con la bacchetta illuminata tesa davanti a
me e la mano libera ben stretta attorno alla tracolla. Non riuscivo
davvero a vedere niente».
Remus
si rigirò fra le
mani il bicchiere di brandy, con aria profondamente distante. Tonks
era ancora lì, immobile di fronte a lui e con lo sguardo
più
brillante che le avesse mai visto sul viso.
«Poi
inciampai su
Fabian».
*
After
all this, won't you give me a smile?
[Dopo
tutto questo, non vuoi farmi un sorriso?]
Alastor
Moody era un
mago fin troppo esperto per non capire che l'imbocco di Thurloe Road
era stato Dissimulato da un incantesimo difensivo. Fu attraversato da
un brivido al pensiero che il solo motivo per cui valeva la pena
Dissimulare un'intera strada era qualcosa di profondamente grosso da
nascondere ai Babbani.
Era
arrivato con altri
quattro uomini membri dell'Ordine della Fenice e un paio di uomini
del Quartier Generale, ma in quel momento rimpianse di non aver
chiamato più gente.
«Sloper,
McDougal»
latrò ai due Auror. «Controllate la strada e
tenete alla larga
tutti questi Babbani. McKinnon, contatta il Ministero e di' loro che
avremmo bisogno di un sacco di Obliviatori in gamba. Voi altri,
invece, con me».
Moody
mosse lestamente
la bacchetta ed Evocò una grossa creatura argentea che si
dileguò
rapidamente nell'oscurità della via. Dovette attendere solo
qualche
istante, prima che l'Incantesimo di Dissimulazione svanisse.
Entrò
con prudenza nella strada deserta, seguito a ruota da Benjy Fenwick e
Frank Paciock. Paciock, che chiudeva la fila, si voltò
rapidamente e
scandì:
«Salvio
Hexia!».
Moody
girò la testa
per osservare la lunga parete cristallina che Paciock aveva creato
fra loro, Thurloe Road e il resto del mondo.
«Ben
fatto».
Più
proseguivano, più
le tracce lasciate dalle maledizioni e dagli incantesimi si facevano
evidenti. Gran parte dell'asfalto era esploso, e ora le tubature
rilucevano alla luce delle loro bacchette come le interiore di un
gigante squarciato. C'era fumo ovunque, parecchie vetrine erano
esplose e i marciapiedi erano ricoperti di schegge di vetro.
«Moody,
non credo che
i Mangiamorte siano ancora qui» disse Fenwick.
«Potrebbe
essere una
trappola. Tenete gli occhi aperti e le bocche chiuse».
Continuarono
a
camminare, evitando grossi macigni o pezzi di tettoie volati
lì
chissà da dove. Poi, da una nuvola di fumo particolarmente
densa, si
levò una voce spezzata.
«Innerva...
Innerva... Innerva!».
«Diavolo!»
imprecò
Moody, mentre si lanciava con sorprendete agilità in avanti.
«Lupin!» gridò. «Lupin, che
diavolo--?».
Remus
Lupin, diciannove
anni a marzo, era inginocchiato al fianco dell'Auror Fabian Prewett,
la bacchetta tremante puntata contro il suo petto e una tracolla di
pelle tenacemente stretta fra le braccia.
«Innerva...»
singhiozzò Remus. «Innerva!».
Moody
lo sollevò con
forza. Si stupì della facilità con la quale era
riuscito a
rimetterlo in piedi: era convinto che il giovane avrebbe tentato di
opporre resistenza; era come maneggiare una bambola di pezza. Remus
teneva gli occhi saldamente puntati sulle proprie scarpe, mentre le
braccia stringevano ancora la tracolla come se ne dipendesse la sua
stessa vita. Fra le lacrime respirava a fatica. Dopo pochi secondi,
le gambe gli cedettero e lui crollò sulle ginocchia davanti
a Moody.
Moody
chiuse gli occhi,
sofferente.
«Benjy,
Frank...»
mormorò appena, muovendo vagamente una mano a mezz'aria in
direzione
del corpo di Fabian.
I
due uomini annuirono
in religioso silenzioso, ma i loro occhi rilucevano di folle
disperazione. Perdere un compagno era un po' come perdere se stessi,
ma bisognava farlo senza troppo rumore. A Moody erano serviti anni
per impararlo; sperava soltanto che al giovane Lupin sarebbe stata
sufficiente quella lunga notte di febbraio.
S'inginocchiò
davanti
a lui e fece per appoggiargli una mano sulla spalla, ma quello gli
crollò addosso e appoggiò la fronte al suo petto.
«Mi
dispiace...».
Moody
gli sfiorò
appena la testa in una carezza quasi paterna.
«Sei
stato in gamba,
ragazzo» borbottò debolmente. «Sei stato
davvero in gamba».
*
I
never felt so much a'like
[Non
mi sono mai sentito così bene]
«Avevi
ragione».
Remus
ruotò pigramente
la testa verso la porta della cucina di Grimmauld Place. Tonks era in
piedi di fronte a lui, con le braccia che ricadevano molli lungo i
fianchi e lo sguardo stanco e stravolto di chi ha visto troppo e ha
dormito poco – il suo sguardo,
realizzò con un moto di
dolore Remus.
«Avevi
ragione su
tutto».
Con
un lieve soffio e
un triste sorriso appena accennato, Remus estrasse la propria
bacchetta e Appellò a sé una bottiglia di brandy
vuota per metà e
due raffinati calici che erano appartenuti a Walburga Black.
«Non
è stata colpa
tua» le rispose con voce roca, mentre versava il brandy con
calma
estenuante in ognuno dei due calici.
«Ma
se io non avessi
sottovalutato tutto questo schifo, forse, ora--».
«Sirius
sarebbe morto,
Tonks. In qualsiasi modo, Sirius sarebbe morto» disse con
un'occhiata grave. «Era lui a sottovalutare ogni cosa. Lo ha
sempre
fatto... e non ha mai avuto modo di imparare dai propri
errori».
Tonks
trattenne il
fiato e chiuse stoicamente gli occhi con un'espressione dolorosa.
Rimase immobile qualche istante, prima di trascinarsi verso il tavolo
con movimenti lenti. Prese posto sulla sedia accanto a lui e
avvicinò
l'indice al calice, sfiorandolo appena con aria distante. Remus vide
i suoi occhi farsi sempre più umidi e brillanti, la bocca
tremare
impercettibilmente e i denti mordicchiare frenetici le labbra.
Si
allungò
istintivamente verso di lei e le toccò lievemente il polso
destro.
Tonks si chinò in avanti con un singhiozzo, serrò
la propria mano
fra le sue dita e appoggiò il capo fra le braccia. Remus si
avvicinò
ancora un poco e iniziò a carezzarle il capo con movimento
meccanici.
«Non
è stata colpa
tua, per Godric...» le ripeté angosciato.
«Non è stata colpa
tua...».
Non
è mai stata
colpa di qualcuno.
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