Goku si mosse nervosamente sulla sedia girevole, accomodato nell’ufficio
assicurazioni.
Il continuo clack-clack sulla tastiera del computer provocato dalla donna
appostata dietro alla scrivana lì davanti lo stava seriamente facendo andare
fuori di testa.
...
Anche se beh, ultimamente diverse cose stavano spingendo la sua già precaria
sanità mentale sull’orlo del baratro, da quando Chichi era morta. Come
accudire e crescere diligentemente il piccolo Gohan, ad esempio, o capire
per quale oscuro motivo la sua defunta moglie avesse espressamente richiesto
di non venire riportata in vita con le Sfere del Drago una volta morta.
Senza contare il funerale, le faccende di casa, i pasti, e le innumerevoli
bollette che avevano iniziato a spuntare dal nulla come funghi.
In sostanza, erano parecchie le cose che negli ultimi tempi avevano iniziato
ad accavallarsi l’una sull’altra nella testa del povero, prode salvatore
dell’universo.
Ma c’era una cosa, più di tutte, che faceva innervosire Goku in maniera
esponenziale. E tale cosa era il fatto che lui e Chichi non avessero mai
chiarito cosa fare nell’infausto momento in cui, per un motivo o nell’altro,
il rispettivo consorte fosse andato all’altro mondo prima della maggiore età
del loro figlioletto. Eppure avrebbe dovuto essere il loro primo pensiero,
dopo che Goku era morto e, miracolosamente, ritornato poi in vita.
Il saiyan sospirò. Era inutile continuare a rimuginarci su, ora doveva solo
prestare attenzione alla signorina seduta davanti a lui e al suo irritante
computer. Aveva deciso, dopo diverse ponderazioni, di farsi un’assicurazione
sulla vita, per il bene di Gohan: se fosse morto precocemente, almeno suo
figlio avrebbe ricevuto un po’ di soldi. Una mera consolazione, dato che non
avrebbe più potuto esprimere il desiderio di riavere indietro il suo papà,
ma sempre meglio di niente...
Clack, clack, clack, clack.
Oh Dio,
pensò Goku, Ma cosa sta
facendo? Non si stacca da quello schermo da almeno mezz’ora.
Clack, clack, clack. CLACK.
La donna pigiò il tasto “Invio” della tastiera con particolare enfasi. “Ok,
Signor Son”, disse, “Quindi vuole stendere un’assicurazione sulla vita da 50
mila yen, giusto?”.
“Sì”, esclamò Goku, felice che finalmente l’assillante ticchettio fosse
cessato.
“Ok, tutte le informazioni sono state registrate...” disse la tipa, “Eccetto
una cosa...”, e prese a muovere lo scroll del mouse, senza scollare gli
occhi dallo schermo.
“Quale cosa?”, sospirò Goku, afflosciandosi sulle spalle.
“Beh, dove viene richiesta la razza, lei ha contrassegnato ‘Altro’ e ha
scritto... ‘saiyan’?”.
Lui ridacchiò e si grattò la nuca, “Beh, sì, sono un alieno proveniente da
un altro pianeta. Sono stato adottato da un terrestre, anche se l’ho
scoperto non troppo tempo fa”.
La donna annuì, “Uh-huh... Beh, signore, la nostra compagnia assicurativa
comporta un piccolo vincolo per gli extraterrestri. La persona che desidera
avvalersi dei nostri servizi deve essere sposata con un altro membro della
propria specie, nel caso in cui voglia stipulare un’assicurazione oltre i 10
mila yen”.
A Goku cadde la mascella. “COSA?” urlò, “M-m-m-ma! Mia moglie e appena
morta! Non posso sposarmi adesso! Non puoi aiutarmi in qualche modo?”.
“Mi dispiace, signor Son. Queste sono le regole della compagnia. Se facessi
un’eccezione, anche se piccola, perderei il lavoro”.
“Ma i saiyan sono pure una specie estinta! C’è solo un altro saiyan oltre a
me! Ed è un maschio! Non posso sposarlo!”.
La donna si strinse nelle spalle. “Mi dispiace, non c’è nulla che io possa
fare! Grazie e passi una buona giornata!”, disse, con un sorriso allegro.
E così, come un zombie, Goku tornò a casa. La sua sanità mentale, che fino a
prima si era limitata a ciondolare sull’orlo del baratro, era ora balzata
giù per quel benedetto strapiombo, un abisso senza fine con rocce aguzze che
sporgevano da ogni parte. Ma perché, ma per quale oscuro motivo, si
chiedeva, era necessario che si dovesse sposare con qualcuno della sua
stessa specie? Se avesse potuto trovarsi un’altra moglie terrestre non ci
sarebbe stato nessun problema! Conosceva parecchi padri nel vicinato che non
aspettavano altro che dare in sposa la propria figlia ad un uomo come lui.
Ma perché, per quale oscuro motivo, volevano che si sposasse con qualcuno
della sua specie?
Dopo tutto quello che aveva fatto per l’universo! Fermato Pilaf, sconfitto
la Red Ribbon Army, ucciso il Grande Re Demone Piccolo, combattuto contro il
suo stesso fratello, ucciso Freezer, e altre gesta eroiche che al momento
non gli venivano in mente...
E tutto quello che l’universo faceva per ringraziarlo era obbligarlo a
sposare Vegeta.
Sposare.
Vegeta.
L’universo è un bastardo,
pensò Goku rabbiosamente, Giurò
che non aiuterò mai più nessuno!
Giusto un paio di secondi dopo averlo pensato, scorse una vecchietta alla
ricerca di aiuto per attraversare la strada. Inutile dire che il prode eroe
accorse subito, in barba a ciò che si era detto giusto qualche istante
prima. Arrancando verso la tremante donna, Goku le porse il suo braccio
muscoloso; l’anziana signora ci posò delicatamente la mano sopra con un
debole sorriso, ed insieme, camminando così
lenti che una lumaca li avrebbe non solo superati, ma pure distaccati di
brutto, attraversarono la strada. Quando
furono giunti dall’altra parte, la vecchina gli diede un paio di pacche
affettuose in testa. Dopodiché, Goku riprese il suo cammino afflitto verso
casa.
***
Gohan versò cautamente il the caldo dentro la tazzina, sulla cui superficie
colorata spiccava la scritta “Papà”.
“Piccolo-san”, disse, “Vuoi anche tu una tazza di the?”.
L’alto, verde alieno scosse la testa, poggiato contro l’uscio di casa. “No,
Gohan, sto bene così”, e continuò a guardare fuori, nell’attesa del saiyan.
“Mi chiedo se Papà abbia avuto fortuna con questa compagnia di
assicurazioni”, mormorò pensieroso Gohan, appoggiando la teiera sul fornello
spento. Piccolo si limitò a borbottare in segno assenso, senza replicare; ad
un certo punto, finalmente, i suoi occhi scorsero la figura di un alquanto
depresso ed afflitto salvatore del mondo camminare – o più correttamente strisciare
ignominiosamente - verso
casa. “Gohan”, disse, “Tuo padre è arrivato”.
“Davvero?”, fece il ragazzino, entusiasta. Schizzò fuori casa e iniziò a
sbracciarsi verso il padre, il quale ricambiò il cenno con scarso
entusiasmo.
“Gohan”, lo chiamò ancora Piccolo, “Dopo che lo hai salutato, lasciami
parlare con lui in privato”. Il piccolo Son guardò il suo maestro con
sguardo interrogativo, ma si limitò ad annuire, ubbidiente come sempre.
“Ok”.
Raggiunto l’ingresso, Goku si drizzò sulla schiena e sfoggiò un gran
sorrisone. Gohan gli corse incontro e gli si gettò letteralmente addosso.
“Papà! Sei a casa!”, sorrise il piccolo, “È andato tutto bene con i signori
dell’assicurazione?”.
Goku ridacchiò, “Te lo dirò dopo aver bevuto una tazza di the, ok?”.
“Te ne ho già versato un po’. È ancora tiepido”, disse il piccoletto.
“Fantastico!”, esclamò Goku, entrando in casa con il figlio in braccio e
posandolo poi a terra una volta raggiunta la cucina. Si sedette al tavolo e
iniziò a bere il suo the con gusto, percependo un vago senso di tepore
all’altezza dello stomaco. Una
volta ingurgitatone una buona quantità sospirò, vagamente
risollevato.
Piccolo fece cenno a Gohan di andarsene, e il bambino subito annuì, correndo
su per le scale verso la sua stanza. Il saiyan rimase perplesso fino a
quando Piccolo non parlò, “Com’è andata la... uhm... gita?”.
Immediatamente, Goku sprofondò con la faccia sul tavolo. “Devi per forza
chiederlo?”, borbottò.
“Nessuno vuole assicurarti, uh?”.
Il saiyan scosse il capo, “Un’agenzia in realtà sarebbe anche disposta, ma
ad una condizione”.
“Ovvero?”, chiese Piccolo.
“Devo sposarmi”, spiegò lui, “Con qualcuno della mia stessa specie”.
Dallo shock, per poco l’alieno non cadde per terra, “Che cosa? Che diavolo
di storia è questa?”.
“È una loro politica adottata nei confronti degli extraterrestri”, borbottò
Goku, imbronciato, “O così o niente”.
“Hai detto a quei tizi che l’unico saiyan esistente oltre a te è un
maschio?”.
“Sì, ma la signorina mi ha risposto che non c’è nulla che lei possa fare in
merito”.
Per qualche istante, cadde un basito silenzio. Piccolo fissò sconcertato
Goku, non riuscendo nemmeno lontanamente ad ipotizzare quali pensieri al
momento gli stessero frullando per la testa. Dopodiché prese parola: “C-cosa
pensi di fare adesso?”.
Il saiyan balzò in piedi ed incrociò le braccia al petto, deciso, “Non ne ho
idea, ma ti posso dire quello che non farò!
Mettermi in ginocchio e chiedere a Vegeta di sposarmi! Neanche per sogno!
Devo solo trovare un altro modo per accertarmi che il futuro di Gohan sarà
al sicuro quando sarò morto”.
Piccolo annuì. “Capisco. Buona fortuna, Goku”.
Il saiyan gemette. “Prima o poi riuscirò a trovare qualcuno disposto ad
assicurarmi”.
***
Il mattino seguente, in casa Son, Gohan rimase basito a ciò che si ritrovò
dinanzi una volta entrato in cucina. C’erano montagne e montagne di carte
che coprivano il pavimento, il tavolo, e tutti i vari scaffali. Ce ne erano
alcuni che addirittura sbucavano dal frigorifero. “P-Papà?”, chiamò il
piccolo, non troppo sicuro di ricevere una risposta.
Qualche secondo dopo, la testa di Goku emerse da una pila immensa di fogli
ammassati vicino alla dispensa. Il saiyan si guardò attorno e disse, “Urca,
avrei giurato di essere vicino al tavolo quando ho iniziato a cercare...”.
“Papà? Cosa sta succedendo?” chiese Gohan.
Goku rise e si grattò la testa, “Sembra proprio che sia stato trascinato
via... letteralmente!”. Liberò le braccia con un grugnito, stretta nel pugno
di ciascuna mano una manciata di fogli. “Stavo cercando un’alternativa, ma
ogni compagnia che ho trovato o costa troppo o non mi assicura per la somma
che chiedo”.
Gohan abbassò tristemente lo sguardo, “Papà... non sei costretto a farlo. So
che lo stai facendo per il mio bene, ma smettila. È troppo, ed è troppo
presto”.
Goku fece cadere i documenti dalle mani, “Gohan, so che è presto, ma è una
cosa che necessita di essere fatta”.
“Ma--”.
“Niente ma”, disse Goku, austeramente. Si liberò faticosamente dall’ammasso
abnorme di fogli, mettendosi in piedi e scivolandoci sopra come se stesse
cavalcando un’onda. “Siamo in questa situazione di caos perché né io né tua
madre abbiamo mai messo da parte un po’ di tempo per occuparci di questo
tipo cose. È arrivato il momento di rimediare”.
Gohan rimase in silenzio e fissò per terra. Goku si liberò dal cumulo di
carta residua e strabuzzò gli occhi quando ebbe la possibilità di dare una
migliore occhiata alla cucina, immersa nel caos più totale. “Ehm, credo di
avere bisogno di un caffè”.
“Papà?”, Gohan lo chiamò, così fievolmente che lui lo sentì appena.
“Sì, figliolo?”.
“Io… io,” disse il ragazzino piano, “Non mi interessa del denaro”.
“Cosa?”.
“Non mi interessano i soldi!”, esclamò Gohan più forte, e grosse lacrime
cominciarono a scendergli lungo le guance, “Non fai altro che parlare di
quando morirai, e io non voglio sentire cose del genere! Non posso
sopportare il pensiero che anche tu muoia! Ti chiedo solo... hic, per
favore, di essere il mio papà per tutto il tempo che abbiamo... ok? Di
pensare solo a questo!”.
Goku guardò Gohan continuare a piangere e tirare su col naso, ed
improvvisamente realizzò che il bambino aveva ragione. Sua madre era appena
andata all’altro mondo, e lui non faceva che spaventarlo con idee che
implicavano un’altra morte in famiglia. La sua unica priorità avrebbe dovuto
essere il Gohan del presente che era lì ora assieme a lui, bisognoso di
conforto, e non quello di un futuro che era ancora lontano.
Il piccolo Son si strofinò il naso gocciolante sulla manica, ed
improvvisamente fu avvolto da due forti braccia. “Mi dispiace Gohan”, disse
Goku, stringendolo forte, “Non ero in me”.
Gohan ricambiò l’abbraccio, “N-non importa, Papà”.
Rimasero così per qualche minuto, fino a quando il piccolo non cessò di
piangere. Dopodiché, sciogliendo l’abbraccio, Goku gli scompigliò i capelli
e gli scoccò un’occhiata affettuosa, “Hey, hai finito i compiti?”.
Gohan tirò su col naso, “Ci ho provato, ma non ci riesco. Ogni volta che
apro un libro sento la voce della mamma che mi dice che diventerò uno
scienziato o uno studente modello, e non riesco ad andare avanti”.
Goku si abbandonò ad un sorriso triste, “È tutto ok, non ti preoccupare.
Sono sicuro che il tuo maestro capirà la situazione. Anzi, sono sicuro che
non gli importerà proprio niente, visto che l’ho già licenziato!”. La faccia
di Gohan mutò da triste a sbalordita in un nanosecondo.
“Beh, che c’è?”, sbottò Goku, sulla difensiva, “Non possiamo più permetterci
una maestro privato! Dovrai frequentare una scuola normale”.
Gohan annuì, dopodiché riportò la sua attenzione alla cucina, “Vuoi una mano
a mettere a posto?”.
Goku scosse il capo, “Nah, non è un gran problema”.
In quello stesso momento, Piccolo entrò nella stanza e rimase ammutolito
dinanzi allo spettacolo che si ritrovò sotto gli occhi.
Il namecciano si guardò intorno senza fiatare, optando poi per l’unica
scelta intelligente disponibile: “Penso che non farò alcuna domanda in
proposito”.
“Oh, Piccolo”, lo salutò Goku, ignorando il suo enorme sconvolgimento
interiore, “Arrivi al momento giusto! Perché tu e Gohan non andate ad
allenarvi fuori mentre io pulisco questo disastro?”.
L’alieno annuì, “Gohan, aspettami fuori mentre parlo un attimo con tuo
padre”.
“Ok!”, esclamò il piccoletto, dopodiché corse all’esterno. Goku riportò la
sua attenzione alla cucina divorata dalle cartacce e iniziò a spararci
contro piccole sfere di ki per bruciarle.
“Allora”, chiese Piccolo, “Qualche novità?”.
“No”, rispose Goku, “E ci rinuncio. Gohan ha bisogno di me adesso, e finché
non starà meglio non lo tormenterò con questa faccenda dell’assicurazione”.
Piccolo mugugnò qualcosa. “Vedi di non dimenticartene".
“Spero di no”. disse Goku, sparando un’altra sfera di ki.
***
La notte sopraggiunse portando con sé le ansie e le preoccupazioni. Steso su
letto, avvoltolato tra le coperte madide di sudore, Goku si agitava
furiosamente. Ancora non lo sapeva, ma l’incubo terribile che lo stava
assalendo nel sonno in quel momento sarebbe stato quello che avrebbe dato
una svolta definitiva alla sua vita.
Nel sogno, la voce di Piccolo ridondava in lontananza, come un eco pauroso.
“Vedi di non dimenticartene... dimenticartene... enticartene... artene...
ene...”.
Quando l’eco, improvvisamente, venne inghiottito dal buio, Goku udì un
lamento. Aprì gli occhi e vide suo figlio piangere disperatamente, chino su
una bara. “Papà... Papà... perché? Perché sei morto?”.
No! Non sono morto! Non piangere, Gohan!
Poi, com’era apparsa, l’immagine sparì. Il sogno mutò.
Un Gohan più grande camminava ora
attraverso un quartiere malfamato, imboscato oltre i vicoli bui una grande
città. I capelli erano unti e scarmigliati, i vestiti stracciati puzzavano,
lo stomaco brontolava per la fame. Il ragazzo ad un certo punto si fermò in
un angolo, un cartello stradale rotto alle spalle. Prese una sigaretta,
l’accese e iniziò a fumarla. Pochi attimi dopo, una macchina con un brutto
ceffo al volante sopraggiunse sulla scena, frenando con una sgommata. L’uomo
sventolò una banconota sotto al naso di Gohan, “Hey, ragazzino! Cosa fai per
cento dollari?”.
Il giovane prese un’altra boccata dal filtro della sigaretta e lentamente
soffiò una nube di fumo, lo sguardo morto puntato sulla strada, “Quello che
ti pare. Cento dollari sono più di quanto mio padre mi ha lasciato quando è
morto”.
NOOOOOOOOOOOO! GOHAN!
Gli occhi di Goku si spalancaraono, terrorizzati. Immerso in una pozza di
sudore, il saiyan si rese conto con estremo sollievo di non essere né in una
bara né in un qualche lurido vicolo della città, ma bensì nella sua cara ed
accogliente casetta. Si mise a sedere sul materasso, gettando
un paio di occhiate qua e là lungo tutto la stanza, giusto per accertarsi
della situazione. Dopodiché sospirò pesantemente, asciugandosi il gelido
sudore di cui era impregnata la sua fronte. È
stato solo un sogno... è stato solo un sogno, pensò,
tentando di calmarsi.
E se invece… E se invece tutto questo un giorno...?!
Goku diede una rapida occhiata all’orologio: le 8:34 del mattino. Fulmineo
si districò abilmente dal groviglio di lenzuola in cui era imprigionato, ed
altrettanto velocemente corse a farsi una doccia. Due minuti dopo uscì dal
bagno gocciolante, nudo così come mamma lo aveva fatto. Si affrettò verso
l’armadio, asciugandosi con l’energia calda del ki nel breve tragitto. Aprì
le ante del guardaroba, afferrò il suo miglior gi (l’unico senza particolari
danni, strappi o macchie varie ed eventuali) e lo indossò rapidamente.
Dopodiché aprì l’armadio di Chichi e si mise a cercare il vecchio nastro
rosso che lei usava per i
regali. Frugò tra tutti gli abiti e li ammucchiò distrattamente l’uno
sull’altro, blaterando
qualche scusa alla sua ex-moglie
defunta e promettendole, prima o poi, di rimettere tutto a posto. Una volta
trovato il rotolo del nastro tirò la striscia per qualche centimetro,
staccandola poi con un morso secco.
Al piano di sotto, Piccolo aveva appena varcato la soglia di casa Son quando
un’ombra arancione non identificata lo sorpassò a velocità impressionante,
lanciandosi fuori dalla porta. “... Goku?”. Il namecciano seguì l’ombra
fuori casa, trovandosi dinanzi al prode combattente salvatore del pianeta
chino sul prato del giardinetto. Goku estirpò qualche dozzina di fiori a
casaccio e li mise insieme legandoli con il nastro rosso alla bell’e meglio,
componendo uno strambo bouquet dall’aspetto non particolarmente allettante.
“Goku”, lo chiamò Piccolo, una volta che quello si fu rimesso in piedi,
“Cosa stai facendo?”.
Goku scoccò al namecciano uno sguardo funereo, “Sto per rovinarmi la vita
per il bene di mio figlio”, e, detto questo, pose due dita sulla fronte e si
teletrasportò, svanendo nel nulla.
Fu solo dopo qualche istante che un Gohan ancora non del tutto sveglio
valicò la soglia di casa, strofinandosi gli occhietti stanchi ed
avvicinandosi ad un alquanto shockato Piccolo, impalato come un idiota in
mezzo all’erba, “Che succede?”.
L’alieno si ricompose in fretta, riacquistando la solita espressione
austera. “Gohan”, disse, e il piccolo si limitò a guardarlo confuso,
sbadigliando.
“Gohan”, ripeté, “Nella vita di ogni uomo, arriva il momento in cui è
necessario mettere i propri figli davanti a se stessi. Oggi è il giorno in
cui tuo padre ha compiuto probabilmente il più grande sacrificio della sua
vita, vedi di ricordartelo!”.
Il piccolo Son fissò il suo mentore, non avendo la più pallida idea di cosa
stesse parlando.
***
Goku si materializzò di fronte alla Capsule Corporation, e non perse nemmeno
tempo a cercare in qualche altro posto che non fosse la Gravity Room. Una
volta raggiunta la destinazione, salì le scale e
senza troppa delicatezza bussò
alla porta. Mentre attese sulla soglia, si diede una rapida rassettata
generale e si sistemò alla bell’e meglio i capelli.
HHHHIIIISSSSSS.
Dopo qualche istante la porta metallica si aprì, rivelando un alquanto
contrariato principe dei saiyan appena interrotto nel bel mezzo del suo
allenamento quotidiano. Vegeta fulminò il suo rivale con lo sguardo, e
incrociò le braccia al petto. “Cosa vuoi, Kakaroth?”.
Goku gli porse il bouquet.
“Principe Vegeta, mi vuoi sposare?”.