'Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di A.C. H.
Smith, Jim Henson, Lukas film, Columbia e Tristar Picture; questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
Specifico
che i dialoghi usati sono un adattamento tra la versione originale
inglese e la traduzione italiana (non del tutto corretta) in quanto
volevo mostrare le vicende narrate nel film dal punto di vista di un
altro dei protagonisti.
Aggiungo,
inoltre, che mi sono basata solo su quello che viene mostrato nel
film: ho ottenuto solo adesso (e siamo al capitolo 8-9) una copia
della versione anniversario che contiene alcune spiegazioni, da parte
dello staff, sulle vicende. Ciò non cambia, comunque, lo
sviluppo della vicenda, quindi ho ritenuto di non dover modificare
questi primi due capitoli (anche perché, in ogni caso, la
spiegazione che viene data a posteriori dagli autori non mi convince
a pieno).
Buona
lettura a tutti.
1.
Il risveglio
L'ora
tanto attesa era quasi giunta. Si sistemò meglio sulla scomoda
cuspide per non scivolare a terra.
Era
un caldo pomeriggio autunnale ma per lui era ancora troppo presto.
Si
domandò, per la milionesima volta, chi glielo facesse fare di
presentarsi, puntuale, a ogni appuntamento in quel piccolo parco in
stile vittoriano. Per cosa, poi? Lei non lo considerava minimamente.
Anzi,
reputava addirittura inquietante la sua presenza.
Certo,
il suo aspetto non era dei migliori, doveva dargliene atto. Ma essere
ignorato così sfacciatamente lo irritava non poco.
Ancora
una volta, la domanda si affacciò alla sua mente.
Perché?
La
cacciò come un insetto fastidioso.
Motivazioni
ne aveva a bizzeffe. Nessuna pienamente credibile.
Era
ancora assorto nei suoi pensieri quando un grosso cane grigio dal
pelo lungo andò a sistemarsi su una panchina di pietra vicino
a lui, quasi a volersi godere lo spettacolo. E se c'era il cane, non
doveva mancare poi molto...
E,
infatti, eccola arrivare correndo a perdifiato e superare velocemente
il piccolo ponticello sul rigagnolo d'acqua che i locali avevano il
coraggio di chiamare fiume.
Si
bloccò di colpo, notando i suoi occhi penetranti fissarla.
Deglutì vistosamente, quindi continuò con ciò
per cui era arrivata fin lì.
"Dammi
il bambino!" sentenziò seria e fiera avvolta nel suo
abito panna di foggia rinascimentale. Gli piaceva tremendamente quel
suo modo di fare, la sicurezza che le leggeva negli occhi smeraldini,
calata com'era nella parte. Se avesse fatto sul serio, se mai si
fossero incontrati davvero...beh, forse allora avrebbe provato anche
un filo di terrore. Perché se fosse arrivata a dirgli
quello...
"Con
rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per
questo castello oltre la città di Goblin..." continuò,
agitando le braccia quasi identificasse nel parco il regno citato
"...per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà
è forte come la tua e il mio regno altrettanto grande" Un
tuono riempì il silenzio che seguì. Lei alzò gli
occhi al cielo, quasi a cercare aiuto. Quindi, chinò la testa,
sovrappensiero, ripetendo le ultime parole.
Lui
conosceva bene tutta la storia, ma grazie a lei l'aveva addirittura
imparata a memoria.
"Accidenti,
non mi ricordo mai quella frase." Sbuffò estraendo
dall'ampia manica a campana un libretto rosso sgualcito dalle molte
consultazioni. "Non hai alcun potere su di me" si arrese a
dover leggere quanto le sfuggiva. Una serie di tuoni sottolineò
come fosse giunta alla fine. Sembravano invitarla a tornare un'altra
volta, con la parte completa.
Lei
guardò il cane che le stava abbaiando qualcosa circa la
necessità di rincasare urgentemente.
"Merlino!"
sbuffò, quasi l'avesse interrotta sul più bello.
Furono
quindi le campane a interromperla fredde.
"Oh
no! Ma è incredibile...sono già le sette! Vieni!
Corri!" urlò allontanandosi alla svelta, le gonne
sollevate all'altezza dei fianchi a lasciare liberi da intralci le
gambe fasciate in aderenti jeans.
L'osservò
fino all'ultimo, ancorato alla cima del piccolo obelisco da cui aveva
osservato tutta la scena. Quando fu sparita dalla sua visuale decise
di allontanarsi anch'egli.
Un
frullo d'ali e si levò in cielo, il petto bianco rivolto alla
cittadina indaffarata, il dorso dorato alle nuvole che cominciavano a
gettare acqua a secchiate.
Il
barbagianni vide cane e ragazza correre per le strade a spron
battuto, zuppi come pulcini; sorrise dentro di sé e proseguì,
anticipandoli.
Si
accoccolò sul ramo di un grande acero, davanti a una casetta
in stile neocoloniale, più vicino all'abitazione. Da quella
posizione aveva una buona visuale dell'ingresso e della camera da
letto della ragazza. Si artigliò sicuro e si scrollò di
dosso l'acqua depositata sul dorso.
Dall'interno
provenivano i suoni di una conversazione sostenuta con toni vivaci
tra due adulti. Sorrise mesto tra sé. Ogni volta la stessa
storia. Gli dispiaceva per quella ragazza che tanto amava le storie
fantastiche. Erano in poche le persone che, in quest'epoca,
apprezzavano le storie antiche. Ancora meno erano quelli che le
ritenevano vere. Per non parlare dei giovani: quelli erano gli ultimi
che si sarebbero mai avvicinati a un mondo simile. Certo, da bambini
quasi tutti credevano nell'esistenza di fate e folletti ma venivano
subito indotti a pensare in modo diverso. Era un tale peccato. Era
sicuramente per quello che compativa quella ragazza. Era giovane,
amava le cose antiche con passione ingenua, non quella dei docenti
universitari che vi vedevano comunque un mondo arido e sterile, lo
specchio meno evoluto del mondo in cui vivevano. Tutte le
testimonianze della loro esistenza venivano interpretate come voli di
fantasia, metafore. Mai nessuno che si prendesse la briga di pensare
lateralmente.
Oh,
certo, un sacco di persone cercavano Atlantide, le strade i mondi
sotterranei delle teorie della terra cava o credevano all'esistenza
di entità extra terrestri. Ma la magia, quella no, non era
contemplata. A meno che non si parlasse di religione o superstizione
da quattro soldi. Allora ogni miracolo, pur dovuto al caso o al
naturale corso degli eventi, era considerato sacrosanto.
Ma
la magia vera, no. Non ci credevano sul serio nemmeno gli adepti
delle sette più esoteriche: era puro e semplice rituale. Nulla
di più.
Si
domandava sempre cosa sarebbe successo se quella ragazza, Sarah,
avesse deciso, un giorno, di pronunciarne una, di formula magica.
Ma
ecco che anche la ragazza rincasava, bagnata fino al midollo sotto
quella pioggia torrenziale. Ed ecco che cominciavano gli screzi con
la matrigna. La povera donna non aveva nemmeno tutti i torti, ma
Sarah era giovane e non capiva bene i meccanismi che regolano la vita
degli adulti. Ciò non la giustificava, ovviamente, a
dimenticare impegni presi o a essere maleducata. Ma tant'è,
lui si sentiva più vicino a lei che non ai due adulti che,
seppur con tutte le premure possibili, non erano in grado di capire
il suo malessere. Ecco perché gli adulti avevano dimenticato
la magia: crescendo l'essere umano perdeva quell'empatia che aveva
appena nato. A quell'età, scimmia cavallo o uomo non fa alcuna
differenza, sono tutti altrettanto importanti e ugualmente inutili.
Sono giochi e proiezioni dell'Io infantile. Ma proprio quella
proiezione permette loro di avere un livello empatico molto forte,
capire i diversi linguaggi animali senza sforzo. Cosa simile avviene
ancora, molto più debolmente, nel rapporto madre"neonato,
dove la donna riesce a distinguere i diversi mugolii e quindi le
diverse richieste.
Vide
le urla isteriche della ragazza, il seguente sbattere di porte e
l'irritazione che fulminava dai suoi occhi. I due adulti se ne
stavano andando, lasciando a lei il compito di badare al
fratellastro.
A
lei non piaceva nulla di quella situazione. Voleva una famiglia
normale, come tutte le sue amiche. Invece, sua madre era scappata di
casa con un collega di teatro, lasciandola sola col padre, che non
aveva perso tempo e si era trovato una nuova compagna che gli aveva
dato subito un figlio.
Era
comprensibile che la ragazza desiderasse avere un po' d'attenzioni
dopo un simile tradimento. Ma l'uomo aveva egli stesso le sue ferite
da curare e nel farlo era stato cieco ai bisogni della figlia che si
era, quindi, chiusa a riccio contro il mondo esterno, rifiutandolo
con violenza.
E
più del tradimento degli adulti, forse bruciava lo scherno dei
suoi coetanei per una famiglia tanto bislacca.
Poco
dopo l'ingresso in camera, mentre Sarah cercava di calmarsi,
immaginando un mondo alternativo in cui fosse ben voluta, il padre
andò a parlarle dalla porta, senza fare lo sforzo di
affrontarla realmente. Era un uomo vile: non aveva battuto ciglio
quando la moglie era scappata, si faceva comandare a bacchetta dalla
nuova compagna a cui lasciava l'onere genitoriale ed evitava in tutti
i modi di riprendere la figlia e non perché temesse di ferirla
ma perché non voleva scocciature. Sarah avrebbe desiderato che
il padre si prendesse tale disturbo. Infondo, anche ricevere una
sgridata era segno di attenzione. Che anche in quell'occasione le fu
negata.
La
vide lanciarsi nel letto alla ricerca della quiete. Ma qualcosa la
turbò. Un'ennesima mancanza di tatto. Avevano dato uno dei
suoi pupazzi, che lei non usava ma teneva in bella mostra in bacheca,
al fratellastro. Il barbagianni sospirò. Effettivamente
potevano chiederglielo. Forse avrebbe acconsentito, forse no. Ma
prenderglielo dando per scontato che "ormai è una donna e
non le servono più cose come questa" era stata una mossa
davvero offensiva. Quello era il suo piccolo regno, la sua zona
franca. La vide correre fuori e la sentì spalancare le porte.
"E
tu sta zitto!" le sentì dire con tono aspro.
L'uccello
si alzò in volo, sotto la pioggia battente, e decise di andare
sull'altro lato della casa per osservare i suoi movimenti.
Si
appollaiò sul corrimano del piccolo balconcino in marmo giusto
quando lei entrò nella camera dei genitori marciando verso la
culla dove il bambino urlava con tutto il fiato che aveva in gola.
Era stato il temporale o erano stati gli occhi inquietanti del
barbagianni, una creatura che sembrava venire da un altro mondo?
"Ti
odio!" la sentì urlare. Che brutta parola. Se l'avesse
rivolta a lui forse ne sarebbe morto.
La
ragazza si chinò a raccogliere il pupazzo che giaceva a terra
accanto alla culla.
"Qualcuno
mi salvi, qualcuno mi porti via da questa casa orrenda!" pregò
guardando il pupazzo.
Il
barbagianni inclinò la testa di lato. Se glielo avesse
chiesto, l'avrebbe fatto volentieri lui. Ma non poteva intervenire a
proprio piacimento. Non che ci fosse un qualche regolamento da
rispettare. Semplicemente, la controparte doveva desiderare realmente
il suo intervento (suo e non di qualcun altro) e sbilanciarsi nel
richiamarlo. Quindi si trattava solo di meccanismi da sbloccare e lui
sarebbe piombato lì all'istante, spinto da una forza
invisibile che l'avrebbe condotto a lei.
"Che
cosa vuoi, una favola,eh?" chiese con rabbia sarcastica. "Ok"
disse andandosi a sedere sul letto matrimoniale. "Allora, c'era
una volta una ragazza tanto carina che la sua matrigna lasciava
sempre a casa col bambino. E il bambino era tanto viziato e la
ragazza era praticamente una schiava. Ma quello che nessuno sapeva
era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva
dato certi poteri. Così, una notte, quando il bambino fu
oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto i Goblin.
"Di le tue parole magiche" le dissero i Goblin"
A
quelle parole il barbagianni sgranò gli occhioni neri. Aveva
sentito bene?
Di
certo, comunque, i suoi sudditi si erano risvegliati a quelle parole.
Secoli di inattività avevano confinato tutto il regno in uno
stato di letargia. In pochi si svegliavano. L'esercito poteva
riposare fino al momento della chiamata ma figure come il re, il
giardiniere e il guardiano dovevano essere sempre vigili per
adempiere ai loro doveri. E di certo erano già nelle
vicinanze, pronti a eseguire gli ordini della ragazza. Secoli di
inattività li avevano resi, con ogni probabilità,
euforici.
Già...secoli.
Nel medioevo era pratica comune invocare i Goblin per far sparire i
bambini, specie i bastardini aristocratici che avrebbero compromesso
la facciata scintillante. Ma anche allora, nessuno credeva realmente
nei Goblin. Li invocavano perché facessero per loro il lavoro
sporco, cosa che quegli esseri erano ben felici di fare. Ma nessuno,
nemmeno a quei tempi superstiziosi, coi gargoille sulle facciate
delle cattedrali a cacciare il maligno, credeva davvero a queste
cose. Gli stregoni, certo. Ma quelli erano morti, per lo più,
bruciati nei roghi dell'Inquisizione insieme a innumerevoli innocenti
privi della ben che minima capacità magica o la minima
intenzione di invocare chicchessia. E con l'andare del tempo, sempre
più ci si rifiutava anche solo di pronunciare certi nomi
sciocchi dettati dalla fantasia dei bambini. C'era chi magari credeva
nell'esistenza di un mondo incredibile. Ma mai nessuno, nemmeno da
solo nell'oscurità con se stesso, aveva avuto il coraggio, o
l'avventatezza, di quella giovane donna.
"E
porteremo il bambino a Goblin City e tu sarai libera" continuò
imperterrita. "Però lei sapeva che il re dei Goblin
avrebbe tenuto il bambino al castello per tutti i secoli dei secoli
trasformandolo in un Goblin. E così lei soffriva in silenzio.
Finché una notte che era stanca da una giornata di faccende,
che era ferita dalle dure parole della sua matrigna e sentiva che non
ne poteva più...." minacciò accucciandosi accanto
alla culla per arrivare all'altezza degli occhi del bambino. Il
nervosismo tra le fila dei Goblin gli arrivava netto e violento.
Erano più che pronti all'intervento.
E
un po', doveva ammetterlo, lo era anche lui. Un bambino nel castello.
L'idea lo solleticava parecchio.
"Va
bene...piantala...andiamo smettila" sbuffò la ragazza con
un velo di senso di colpa nella voce. Prese Toby tra le braccia
cercando di calmarlo, senza riuscirci. Si vergognava di aver cercato
di spaventare quel bambino di uno-due anni a quel modo ed era più
che conscia di star giocando col fuoco. O no?
"O
dico le parole." minacciò, infatti, forse più per
se stessa, per darsi un tono, per cercare di vedere una via d'uscita
da una quotidianità grigia e monotona "Ah, non sia
mai...non devo dirle!" si rimproverò. Si era sentito
rompere qualcosa all'interno del petto. Delusione cocente, tristezza,
amarezza e un senso di profonda stupidità per se stesso, per
aver sperato invano, lo travolsero mescolandosi tra loro.
Ma
poco dopo, in quel breve tempo in cui lei aveva cercato ancora di
calmare il bambino che piangeva isterico, la tentazione, dettata da
un forte desiderio inconscio prevalse sulla razionalità "
Io desidero....Non ne posso più!" Urlò mentre il
bambino continuava imperterrito a strillare nonostante tutto,
squassando coi tuoni l'animo della giovane e del barbagianni "Re
dei Goblin, Re dei Goblin! Ovunque tu ti trovi adesso porta via
questo bambino lontanissimo da me!" gridò sollevando il
marmocchio sopra la sua testa
Il
barbagianni, pronto a prendere il volo e lanciare l'ordine ai suoi,
si bloccò di colpo, deluso e frastornato "Ma dove l'ha
imparata sta porcheria? Nemmeno comincia con re dei Goblin!"
protestò indispettito tra sé, sicuro che i suoi
pensassero lo stesso.
"No
Toby, no..." Sarah cullò ancora un attimo il bambino,
nuovamente divorata dai sensi di colpa "Smettila!" lo
supplicò. "Mi piacerebbe davvero sapere cosa dire perché
i Goblin ti portino via..." gli confessò esasperata.
"Non
è mica tanto difficile..." si accigliò il
barbagianni "Desidero che i Goblin ti portino via all'istante"
Come
colpita da un'illuminazione o come se avesse sentito il suggerimento,
si irrigidì e spalancò gli occhi. "Comando...e
voglio..."
Dall'altra
parte della finestra, lui fremeva d'impazienza. Troppo tempo era
passato dall'ultima volta. Un pensiero assurdo gli attraversò
la mente. In men che non si dica aveva un piano pronto elaborato nei
minimi dettagli. Si sentiva brillare gli occhi e tremare tutto per
l'emozione.
Doveva
solo aspettare.
E
sperare
Perché,
ne era certo, lei era al limite e avrebbe espresso il desiderio
sopito nel suo cuore, censurato dalla razionalità dei rapporti
sociali.
Doveva
essere così. Ormai non poteva più permettersi il lusso
di sperarci e accontentarsi di quel languore. Tutto era stato troppo
violento e repentino. Doveva andare così. Non aveva avuto il
tempo, l'occasione per prepararsi a un evento del genere. Non gli era
mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello una simile
opportunità.
Eppure
c'erano quasi.
Ma
quando la vide sospirare e riporre il bambino a letto, coprirlo con
cura e allontanarsi, si sentì sprofondare. Che stupido era
stato a illudersi. Chi mai avrebbe avuto il coraggio o almeno non
avrebbe provato imbarazzo a dire una cosa simile. Chinò la
testa come sconfitto, pronto a spiccare il volo per tornare al riparo
della chioma dell'albero davanti alla stanza della camera della
ragazza. Guardò oltre il vetro con amarezza e si involò.
Fu
allora che gli arrivarono chiare e forti, nonostante il temporale che
infuriava tutt'intorno, le parole del legame.
“Desidero
proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Salve
a tutti, Volevo spendere due parole per presentarmi. Sono nuova su
EFP ma non sono nuova alle fanfic: le seguo da anni e -circa 10 anni
fa- le scrivevo anche (sul vecchio Manga.it). Per diversi motivi ho
smesso e ora sono un pò arrugginita... Quindi perdonate se
commetto errori nella pubblicazione o mi mancano avatar e
presentazione (!)
Ci
tengo a precisare che, diversamente dalla tradizione delle fic (le
nostrane prendono pari pari da quelle d'oltreoceano che di queste
cose sanno meno di zero), mi sono attenuta a un'analisi quanto più
fedele a quanto vedevo. Inoltre mi sono avvalsa delle conoscenze
folkloristiche primarie e non a quelle mediate da Shakespeare,
Tolkien o (peggio) la maestra Rowling: tutti loro hanno attinto
dall'archetipo originale e così il film. Rifarsi solo al loro
universo sarebbe, per me, un grave impoverimento. Ciò ha
portato due ovvie conseguenze che non mi disturbano (anzi, non ci
faccio nemmeno caso e apprezzo l'insieme dell'opera) se leggo fic
altrui ma che ritengo bestemmie se scrivo io (da filologa non posso
proprio tollerare di fare una cosa così troppo libera e
pretenziosa di essere simile al vero).
1-
L'ambientazione e il retaggio culturale medievale: i costumi aderenti
e variopinti, spesso rigati-le porte, Didymus, i goblin a cavallo-,
le scenografie -il villaggio arroccato ai piedi di un castello-, i
riti -la giostra finale tra Didymus e i Goblin-, le fiabe a cui si fa
riferimento -di origine medievale ma trascritte dai Grimm e da
Perault solo nel XVIII secolo-.
Medievale,
non celtico: per quanto sia folkloristico pensarlo, i celti hanno
nulla o poco a che vedere con l'universo a cui fa riferimento il film
(In soldoni, i celti vissero al tempo dei romani e vivevano in
capanne...Asterix e Obelix per intendersi)
2-
Jareth è un mago. Non un elfo o un più generico Fae.
Lui fa le magie e può avverare i desideri (trasformare un
rospo/Hoggle in principe), si serve della sfera di cristallo (entrata
però nell'immaginario delle chiromanti...ma l'origine è
sempre la stessa), cambia aspetto o fa accadere cose senza il minimo
sforzo (se non il minimo per rendere la vicenda meno piatta dal punto
di vista visivo, come lanciare le sfere in giro). Ma soprattutto è
dotato di sembiante o familiare (sono due cose diverse, pur
mantenendo la medesima forma animale: il primo è l'aspetto che
il mago può assumere, il secondo è l'aiutante). Tale
sembiante o familiare appartiene alla famiglia dei rapaci notturni
(barbagianni, civette, gufi, etc) che identificano, da sempre, i
maghi e gli stregoni.
Infine,
il mago può essere interpretato come un uomo a cui è
stata dato il potere magico (tramite rito o per concessione da parte
di qualche animale) oppure come una creatura magica, intermediaria
tra l'uomo e il Piccolo Popolo (un po' come sono gli angeli con Dio).
Ed è quello che lui è per Sarah: è la sua guida
nel mondo dell'Underground.
Vi
chiedo quindi scusa in anticipo per la pedanteria con cui mi
soffermerò sulle diverse occorrenze.
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