2.
Il re e la sfera
“Desidero
proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”
Erano
le parole giuste. L'ordine era stato emesso.
Goblin,
non gnomi come spesso veniva detto e che venivano, quindi, accusati
ingiustamente. Erano i Goblin a rapire i bambini. Ma questo lei lo
sapeva, non era mica così ignorante.
Confuso,
lasciò che una folata di vento lo stordisse. Si trovò
in seria difficoltà nel mantenere l'assetto. Aveva la testa
leggera, i suoi occhi improvvisamente sembravano non vedere più
nulla. Non fece in tempo a rendersene conto che già stava
tornando al terrazzino che aveva appena lasciato.
I
suoi avevano già agito, lo sentiva. Erano stati dei fulmini:
Sarah aveva appena finito di parlare, aveva spento la luce e si era
allontanata di pochi passi. Il bambino non c'era già più.
Lei era entrata nuovamente in camera, aveva cercato di accendere la
luce (ma un fulmine aveva fatto saltare il contatore) e si era
appropinquata al lettino. Tramite i pensieri dei suoi Goblin la
vedeva tendere il braccio, esitante, scostare le coperte e restare
impietrita davanti al nulla. Il terrore l'aveva attanagliata. E la
cosa divertiva non poco i piccoli mostriciattoli al suo servizio che
giocavano a nascondino con le sue paure, deridendola.
Fu
in quella circostanza che si ritrovò a sbattere contro il
vetro delle finestre chiuse, cercando di stabilizzarsi. Ma il vento
infuriava violento e non gli concedeva un attimo di tregua. Una, due,
tre volte si ritrovò a picchiare contro la portafinestra, le
ali che sbattevano in preda a una sorta di panico istintivo,
scivolando sul vetro bagnato nel tentativo di far presa come fossero
state dita umane.
Finalmente,
all'ennesima ondata, il fermo cedette e lui ruzzolò dentro con
poca grazia. Riuscì a effettuare una virata improvvisa e a
planare a terra.
L'intera
sequenza aveva allarmato ancora di più la ragazza che già
si domandava se stesse vivendo un incubo o le sue preghiere fossero
state esaudite. Al suo ingresso precipitoso, si era protetta
istintivamente il volto con le braccia, i lunghi capelli che
frustavano alle sue spalle come lunghi stendardi neri.
Passato
il momento di depressurizzazione, il vento, all'interno della stanza
ordinata e composta, si attenuò visivamente, lasciando solo
uno strascico di bava leggera. E lui ne approfittò per
mettersi in piedi e assumere le sue sembianze umane: ormai era notte
e nel bene come nel male era vincolato alle caratteristiche del suo
alter ego animale. Il buio favoriva le creature notturne come i
barbagianni, gufi e civette, i sembianti dei maghi, che non tollerano
la luce diretta del sole, a differenza dell'aquila che lo fissa senza
abbassare lo sguardo.
La
ragazza riuscì finalmente ad alzare gli occhi sulla finestra,
pronta ad andarla a chiudere, quando si accorse della sagoma che
svettava sul balconcino e che avanzava a passi misurati.
Terrore,
sorpresa, sospetto, ammirazione le si alternarono, confondendosi,
negli occhi.
“Sei
tu, vero? Tu sei il Re dei Goblin.” disse senza esitazioni,
riconoscendolo.
Il
suo aspetto forse le appariva bizzarro, con un taglio di capelli
improbabile di un colore così chiaro da sembrare platino,
abiti neri come la notte, apparentemente assurdi che ricordavano
un'armatura in cuoio. Alle sue spalle un lungo mantello leggero dal
bavero rigido e aguzzo, si lasciava gonfiare dall'aria fredda che
entrava dall'esterno e giocava tra le lunghe gambe affusolate di
quell'uomo dall'età indefinibile.
Ma
chi altri poteva presentarlesi in casa, a quelle ore, in quel modo e
con quella spavalderia?
Sorrise
compiaciuto dell'acutezza di lei e del fatto che credesse realmente.
E credendo, si guardava bene dal pronunciarne il nome.
Piantò
le braccia guantate sui fianchi, in posa altera, degna del suo status
di re: non voleva certo deludere le aspettative. Gli stava quasi
scappando da ridere: riuscivano a interagire. Era tutto tremendamente
senza senso e lui ne era così felice...
“Rivoglio
mio fratello, ti prego, se fa lo stesso...” cominciò lei
piagnucolante. Era l'ultima cosa che avrebbe voluto sentirle dire. Si
accigliò a quella richiesta che mandava all'aria tutti i suoi
piani “Ciò che è detto è detto” la
interruppe con profonda voce secca e flautata, incrociando le braccia
al petto ma era divertito dalla situazione in cui si trovavano. Il
patto era stipulato.
A
ben pensarci, perché mai si trovava lì, in quel
momento? Lui era il re. Perché diamine doveva scomodarsi lui?
E poi i bambini si rapivano e basta, scomparendo nel nulla, lasciando
gli umani alle conseguenze delle loro azioni. Non si dovevano offrire
spiegazioni. Eppure lui lo stava facendo. Forse, il fatto che lei
avesse invocato direttamente lui, prima di completare la formula
magica, l'aveva attirato lì. Forse, stava semplicemente dando
ascolto al proprio desiderio, a quel piano folle che solo cinque
minuti prima gli era passato attraverso gli occhi in tutta la sua
completezza.
“Non
credevo...non intendevo...”
“No?
Davvero?” chiese sarcasticamente, canzonandola perplesso.
Eppure era determinatissima e credeva in loro. Sapeva che
l'incoscienza della giovane età non la scusava. Ma qual era il
problema? Forse, messa davanti alla realtà, aveva capito
quanto fosse stato grave il suo desiderio? Lo stava deludendo e una
smorfia di disapprovazione gli balenò sul bel viso
“Ti
prego...dov'è ora?”
“Lo
sai molto bene” scandì impietoso. Ma troppo vile per
guardarla in quegli occhi verdi lucidi e pronti al pianto. Così
rispose fingendo di doversi sistemare i guanti, in un gesto di
noncuranza per l'interlocutrice.
“Ti
prego...ridammelo” Lo supplicò. Non era paura, la sua. O
meglio. Non paura di lui: era seriamente spaventata solo per le sorti
del bambino.
Lui
le si avvicinò con passo felpato, piano, quasi danzando, come
un felino che si avvicina cauto alla preda ancora fin troppo vigile
“Sarah...” la chiamò dimostrando di conoscerla
bene quanto lei conosceva lui. Non si era stupita, infatti, nel
guardarlo dritto negli occhi. La prima cosa che facevano tutti gli
umani con cui avesse avuto a che fare, fosse domandargli la natura di
quella stranezza. I più intelligenti pensavano, comunque
erroneamente, che si trattasse di volgare eterocromia. Sarah aveva
fatto sfoggio inconsapevole della sua conoscenza. Sapeva che gli
occhi spaiati del mago erano occhi magici. Oh, certo. Lo aveva anche
identificato subito con il barbagianni che si trovava spesso attorno
a osservarla con attenzione. E questa consapevolezza la inquietava.
“Torna
in camera tua” la sfidò. Voleva metterla alla prova,
vedere quanto fosse forte la sua determinazione. Se avesse ceduto
subito alle lusinghe, le avrebbe cancellato la memoria all'istante. E
tenuto il bambino per sé. Doveva sapere, quando ella fosse
degna di lui e della sua ammirazione. “Torna a giocare coi tuoi
pupazzi e con i tuoi costumi...Dimentica il bambino” Metti a
tacere la tua coscienza.
Era
un modo contorto di avvicinarla a sé. Ma il Re dei Goblin non
conosceva altro modo di interagire con gli umani, se non
terrorizzandoli o tentandoli in modo subdolo. Quella era la loro
natura e per quanto si sforzasse di capire il pensiero umano, questo
rimaneva un mistero.
Lei
sembrò pensarci su. La proposta era allettante. Aveva
realmente eliminato una delle minacce alla sua serenità. Ma il
senso del dovere, quel dovere di cui rimproverava l'assenza negli
adulti, la spingeva a percorrere la strada più difficile.
“Io
ti ho portato un regalo...” la incoraggiò lui, facendo
comparire dal nulla, tra le sue dita, una piccola sfera trasparente.
Voleva proprio vedere se si beveva la storia dell'omaggio portato per
il disturbo, per far pace o, addirittura, per omaggiarla.
“Cos'è?”
chiese lei affascinata e diffidente.
“E'
un cristallo...” rispose lui, mettendo in evidenza ciò
che era scontato per chiunque. Ma eluse la domanda. Cos'era realmente
quella piccola sfera di cristallo? Lei lo sapeva e per questo era
indecisa. La sfera di per sé rappresentava la perfezione, il
suo mondo, tutto ciò che lei potesse desiderare. Ma lo era in
modo chiuso, circolare, un movimento eterno di inizio e fine. Sarebbe
stata al sicuro, protetta da tutto ciò che desiderava. Quanto
al cristallo, esso era la rivelazione. Il cristallo non mentiva. Era
uno specchio puro che rimandava solo ciò che si nascondesse
nell'animo del possessore. Se Sarah avesse voluto un mondo senza
fratellastro e senza matrigna, lo avrebbe avuto. Se, invece, ne
avesse voluto uno fantastico come quello evocato, avrebbe avuto
anch'esso. Tutto dipendeva da lei.
“Niente
di più...” concluse omettendo tutti i dettagli che lei,
sicuramente conosceva, in modo da confonderla e da enfatizzare solo
gli aspetti positivi di quell'oggetto. E per confonderla, pur
rivelandole ovvietà, lo agitò tra le mani con movimenti
rapidi, ipnotici e suggestivi degni di un giocoliere. “Ma
se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti mostrerà
i tuoi sogni” Aveva scelto con cura le parole. Non intrappolare
ma mostrare, rivelare, rendere palese quasi lei non ne fosse
cosciente. Così non appariva come qualcosa di pericoloso. Se
mai restare imprigionato nei propri sogni potesse esserlo. E dentro i
suoi sogni, poteva infilarsi anche lui.
“Ma
questo non è un dono per una ragazza comune che si preoccupa
per un bambino frignante”. No davvero. E' il dono che
normalmente si fa alle regine e alle promesse spose. Un dono che
conferisce loro tutto quel potere. E lui, in quel momento, realizzò
cosa voleva davvero da tutta quella conversazione. Trascinarla a
Goblin City e costringerla a regnare con lui. Il regno ne aveva
bisogno. Lui ne aveva bisogno. E l'avrebbe avuta, in un modo o
nell'altro. Quindi, che accettasse o meno il cristallo, l'importante
era che non si chiudesse a riccio e scacciasse via tutto dalla sua
mente come un'allucinazione. Ma l'assenza del fratello era una prova
tangibile e reale a cui non poteva voltare le spalle. In ogni caso.
“Lo
vuoi?” tornò a offrirglielo in modo seducente e
impositivo, sottintendendo che, lasciarselo scappare, sarebbe stata
una pessima scelta. La fissò serio, dritto negli occhi con i
suoi spaiati: uno dalla pupilla perennemente contratta e l'altro
dalla pupilla perennemente dilatata.
Gli
occhi erano il più grande strumento di potere per un mago che
con essi confondeva o donava la facoltà di comprendere a chi
gli stava di fronte. Con quegli occhi lui aveva potere su tutto;
vedeva l'invisibile e ciò che l'altro nascondeva anche a se
stesso. Chiaroveggenza, conoscenza, rivelazione e falsificazione.
Tutto questo era il suo potere. Un potere più grande di quanto
si possa pensare.
“Quindi
dimentica il bambino!” La incalzò. Era un buon baratto:
i suoi sogni per suo fratello. Se non l'avesse assecondato, avrebbe
dovuto prepararsi a perderli del tutto. Ma sarebbe riuscito, lui, a
toglierle quell'unica fonte di gioia? “Oh
sì” si rispose sadico. “E non perché non mi
importi di lei. Ma perché sarò io a prenderne il posto”
Lei
esitò ancora, indecisa sul da farsi. Ma, ancora una volta,
alla fine, rifiutò “Non posso” rispose senza mai
abbassare lo sguardo. Aveva davvero coraggio a non tremare dinnanzi a
lui e a sfidarlo a quel modo anche solo per incoscienza. E questo gli
piaceva. Era una bella sfida. Ma l'avrebbe piegata a sé
“Apprezzo davvero quello che vuoi fare per me...” E così
l'aveva smascherato, aveva capito il suo inganno. Era più
furba di quello che pensasse. Certo che “apprezzare”...
Era forse convinta che lui lo facesse per il suo bene? Era un
commento, comunque, troppo blando. Non gli bastava. Apprezzare.
Sembrava che le stesse facendo una scortesia dopo che le offriva
quanto aveva desiderato disperatamente e lei cercava di declinare
l'offerta restando sul vago e sul formale.
La
cosa lo irritava.
O
gli si gettava ai piedi o lo sfidava apertamente. Cosa voleva dire
quell'atteggiamento superiore e compassionevole per la serie “ti
faccio un favore a non mandarti a quel paese, sono magnanima”?
“Ma
io voglio indietro mio fratello...sarà così
spaventato...” continuò a giustificarsi. Era il tipico
modo di rispondere di chi non vuole essere troppo brusco e dire le
cose come stanno. Forse era stata la convivenza forzata con adulti
che tanto disprezzava ad averla resa così ossequiosa nei
confronti degli altri. Anche se a casa si permetteva il lusso di
alzare la voce e sbattere le porte, fondamentalmente non voleva
arrecare disturbo agli altri, né essere disturbata lei stessa.
Voleva la quiete. E tutto, in quella vicenda, la stava
destabilizzando.
Giustificazioni
inutili e fasulle.
“Sarah!”
disse lui profondamente seccato di essere preso per il naso e
trattato come un idiota. Lui sapeva TUTTO quello che le passava per
la testa. Ed essere gentile nei suoi confronti non era quello che lei
voleva davvero.
Levò
il braccio con la sfera e questa si tramutò in un serpente.
Lei
spostò lo sguardo sui due esseri, uno nel pugno dell'altro,
non capendo perché avesse deciso di materializzare proprio
quel rettile.
L'incompiuto
e il compimento, la rigenerazione e la perversione, il maschile e il
femminile, il giorno e la notte, la pioggia e l'aridità, il
desiderio e la fecondità, il medico e l'indovino, la
conoscenza e la tentazione
Lui
se l'avvicinò al viso e se lo srotolò tra le mani, con
gesti sicuri e decisi ma delicati.
“Non
sfidarmi...” l'avvertì tagliente.
Quindi
glielo lanciò addosso, in un moto di rabbia per il rifiuto che
continuava a opporgli. Ormai lei doveva essere sua. Non poteva
fingere che nulla fosse successo, che nessun desiderio si fosse
risvegliato, prepotente e animalesco. Anche se si controllava, non
poteva tornare indietro.
Precisamente
le lanciò il serpente al collo, in modo da recidere il legame
tra la razionalità e l'impulsività della ragazza, per
far esplodere, finalmente, il conflitto che si dibatteva in lei. Il
collo, luogo di tentazioni.
Effettivamente
danneggiarlo sarebbe stato un grave errore.
Oppure
avrebbe potuto curarla lui, infiorettando la procedura e trasformando
un semplice battito di ciglia, l'espressione di un desiderio, quello
della sua integrità, in qualcosa di perverso e lascivo. Si
immaginò chino su di lei come il vampiro più assetato.
Quindi, riscuotendosi all'istante, corresse subito il tiro
trasformando l'essere strisciante in un delicato foulard che la
ragazza si affrettò a gettare a terra e che fu subito raccolto
da uno dei piccoli Goblin che fino a quel momento si erano nascosti
al suo sguardo. Che pensasse pure che avesse solo voluto spaventarla.
Lui la voleva integra in tutte le sue convinzioni, con tutte le sue
contraddizioni. E sapeva, conoscendola, che piuttosto che piegarsi a
lui sarebbe morta. Quindi, avrebbe cambiato strategia. Se
terrorizzarla non funzionava, assecondarla nemmeno, allora l'avrebbe
plagiata. Lentamente, a fuoco basso, avrebbe lavorato sui fianchi
fino a farla cedere.
“Tu
non puoi tenermi testa!” disse sprezzante, sicuro di sé.
Aveva già la vittoria in pugno. Già la vedeva al suo
fianco. Le sbatté in faccia quell'ovvia constatazione della
realtà. Lui aveva poteri magici che lei nemmeno immaginava.
Era un topolino braccato, chiuso nell'angolo di una stanza senza
uscite con un gatto a digiuno da troppo tempo. Qualunque sua mossa,
sarebbe stata possibile solo grazie alla sua magnanimità, al
suo desiderio di gioco e al suo volerla felice.
“Ma
io devo avere in dietro il mio fratellino” protestò lei,
scossa da tremori appena percettibili. Eh sì, la sua forza di
volontà era davvero grande.
Teatralmente,
il Re dei Goblin finse di cedere alle sue insistenti richieste. Le si
fece accanto e indicò oltre la finestra. “E' là,
nel mio castello”
Lei
avanzò veloce nella pioggia. I confini di ciò che
credeva di conoscere si erano lentamente trasformati in
qualcos'altro. Un battito di ciglia. Poi un altro. E ciò che
conosceva aveva definitivamente cambiato aspetto.
-
- - - - - - - - - - -
Rieccomi
qui col nuovo capitolo.
Volevo
ringraziare pubblicamente x-LucyLilSlytherin, Jessica80 e Daydreamer
per i commenti positivi che mi hanno letteralmente elettrizzata e
dato la spinta a non fermarmi subito (come mia tentazione). Ringrazio
inoltre i miei compagni di corso che hanno letto. E saluto Axia.
Sempre e comunque.
Vi
chiedo scusa in anticipo: posto ora perché il fine settimana
sarò -forse- troppo impegnata per farlo (feste a parte, sono
sommersa da consegne all'università ed è probabile che
mi metta sotto già domani).
Spero
che questo secondo capitolo sia all'altezza delle aspettative. Ho
cercato di dare un senso a tutte le piccole smorfie di Jareth e al
suo essere così altalenante tra una parola e l'altra. Con
calma vedrò di arrivarci.
Infine
una nota, per me fondamentale e forse un po' polemica, che avrei
voluto mettere in cima al racconto.
Goblin
e Gnomi. Sono due cose diverse. Il doppiaggio italiano ha fatto un
po' di confusione. Ci tenevo a specificarlo. Gli gnomi son quegli
esserini con il cappello rosso che stanno sotto i funghi, tanto per
intendersi. Poi sono stati stravolti e rivisti in mille versioni
diverse come tutte le altre creature magiche. C'era un folletto per
ogni cosa: quello che intrecciava le criniere ai cavalli, quelli che
rapivano le donne etc... Ma il folklore vuole che siano i Goblin a
rapire i bambini. Loro e nessun altro.
Quando
si tratta di queste cose divento un po' pesante, quindi ditemelo se
le varie descrizioni magico-simboliche risultano eccessive. Io non me
ne rendo sempre conto e tendo a esagerare per essere sicura che
arrivi il messaggio.
Questo
è quanto. Alla prossima! E grazie a tutti per avermi dato di
nuovo questo piacere!
|