Testa-di-Pluffa e le Gelatine ai fagioli
Remus stava avendo decisamente una giornata no.
Sapeva bene che dormire male, svegliarsi di cattivo umore e incappare in una
serie di disgraziate coincidenze era qualcosa che poteva capitare a tutti.
Ma quando succedeva ad un lupo mannaro di sedici anni non si trattava
semplicemente di un piccolo inconveniente: assumeva le proporzioni di un
accanimento del destino e lo faceva sentire semplicemente come se tutte le
piccole sfortune del mondo fossero arcieri con la freccia incoccata, e sulla sua
schiena fosse dipinto per coincidenza un bel bersaglio.
Le piccole sfortune, pareva, avevano un’ottima mira.
Era cominciata fin dalle prime ore del mattino: si era svegliato
improvvisamente da un sogno molto vivido ed inquietante (per quanto, dovette
ammetterlo, assurdo) in cui la sua testa era diventata una Pluffa e tutta la
squadra di Quidditch lo inseguiva per lo stadio; Remus non era riuscito neanche
da sveglio a liberarsi dalla sensazione sgradevolissima di avere il cervello
nascosto in un pallone di cuoio, con i pensieri rallentati dalla consistenza del
materiale, le orecchie tappate da uno spesso strato di pelle e la più totale
incapacità di muoversi senza che la sua Pluffa (la sua testa, tentava di
ricordarsi, la sua testa) ondeggiasse sgradevolmente, troppo pesante per
un collo normale.
In aggiunta, non era stato per nulla piacevole nemmeno in sogno essere afferrato
e lanciato in giro, sebbene dovesse ammettere che non gli era nemmeno così
dispiaciuto quando era stato Sirius (non quello vero, la proiezione della sua
mente) a toccarlo dietro il collo… se solo poi non lo avesse lanciato troppo
vicino, facendolo cadere a terra.
Era un sogno oltremodo stupido, ma Remus sapeva perché lo aveva fatto: gli
capitava fin troppo spesso quando la luna era crescente di sognare che il suo
corpo, o parti di esso, si trasformassero in altro. Il giorno dopo la finale di
Quidditch doveva ritenersi fortunato che le sue mani non fossero diventate
Bolidi (aveva preso una mazza in testa per sbaglio, un’estate a casa di James, e
non era affatto piacevole), o peggio.
Ma sarebbe stato disposto a dimenticare la testa-Pluffa se, aprendo gli occhi,
non avesse visto per prima cosa nel letto di fianco al suo Sirius che dormiva.
Era una visione che a Remus piaceva, fin troppo: con il caldo l’amico tendeva a
ritenere superfluo l’uso della parte superiore del pigiama, e le lenzuola che
scalciava sempre via rigirandosi nel letto lo coprivano a malapena, lasciandolo
seminudo e arruffato, abbracciato al cuscino proprio davanti agli occhi di
Remus, con la bocca oscenamente aperta mentre russava piano. E Sirius Black,
dannato, riusciva ad essere sexy persino mentre russava, anche se Remus non
avrebbe saputo spiegare come nemmeno sotto Imperius.
Vederlo così appena sveglio aveva la capacità di esacerbare una certa reazione
fisiologica tipica dei ragazzi di prima mattina, cosa che aveva una certa
attrattiva, a suo modo; sempre che la doccia non fosse già occupata da James
Potter, che notoriamente riusciva a finire l’acqua calda pensando ad una certa
rossa e prendendosi cura a sua volta delle sue necessità mattutine.
Naturalmente quella mattina, dopo aver aperto gli occhi sulla conturbante
visione di Sirius che sbavava sul cuscino e mugugnava nel sonno, Remus sentì
immediatamente il rumore della doccia provenire dal bagno; e poteva giurare che
Peter era nel suo letto, ovviamente, essendo che per svegliarlo occorrevano gli
sforzi combinati di tutti e tre i Malandrini, di norma.
Remus aveva chiuso gli occhi, contando fino a dieci.
Poi si era rassegnato a rievocare con cura ogni dettaglio del suo sogno, fino
all’umiliazione di venir sballottato tra le mani dei Serpeverde più orrendi
della storia di Hogwarts e di finire a segnare venti punti contro la squadra
della propria Casa. Aveva stretto i denti, concentrandosi sulla sua testa-Pluffa
e non su quanto aveva provocato nei suoi pantaloni la visione di Sirius.
Aveva funzionato e no, non era stato affatto indolore, ma almeno alla fine Remus
era riuscito ad alzarsi dal letto senza dover correre in bagno, affatturare
James e lanciarlo di peso fuori dalla doccia.
«Buongiorno, Moony!» lo aveva salutato Sirius, non appena l’aveva visto mettere
un piede fuori dal letto, lanciandogli uno di quei sorrisi che la mattina poteva
avere in faccia solo Sirius Troppo-Sexy-Per-Essere-Giusto Black. Aveva i capelli
arruffati ed in disordine che gli ricadevano su un occhio, e si stava
stiracchiando, con le braccia levate verso il soffitto e nessuna vergogna nel
farsi vedere mezzo nudo e ancora caldo dal letto.
La mia testa è una Pluffa, aveva recitato mentalmente Remus. La mia
testa è una Pluffa e sono sul campo da Quidditch e Sirius non mi sta guardando
come se si vedesse fin da lì quanto avrei bisogno di farmi una sega.
Sirius gli lanciò un altro sorriso pazzesco, incurante della mancata risposta di
Remus al suo buon giorno, poi si lanciò fuori dal letto come se nessuno, in quel
dormitorio, avesse problemi nel vederlo gironzolare tranquillamente con la sua
reazione fisiologica mattutina ben visibile sotto i pantaloni del pigiama.
La mia testa è una Pluffa, pensò freneticamente Remus, sentendosi
comunque idiota e costringendosi a fissare con aria interessata il proprio
baule. La mia testa è una Pluffa e nessuno si è accorto di niente e, Godric,
ti prego, fa’ che non sia una di quelle giornate…
Naturalmente era stata esattamente una di quelle giornate.
A colazione Remus non aveva quasi parlato con nessuno. In effetti, un «passami
il burro» borbottato a Peter era stata l’unica frase che gli era uscita di bocca
dal risveglio alla campanella della prima ora, se si esclude un ringhio molto da
Moony che gli era scappato quando James se ne era uscito bel bello dalla doccia,
salutando i compagni di stanza con quell’aria soddisfatta di chi aveva passato
l’ultimo quarto d’ora a fare quello che Remus aveva così terribilmente,
disperatamente, mostruosamente bisogno di fare.
Nemmeno la doccia (fredda, ovviamente) l’aveva aiutato: Sirius era entrato in
bagno proprio mentre Remus si asciugava i capelli cercando di non battere i
denti e, fregandosene altamente della sua presenza, aveva cominciato a
spogliarsi prima che lui potesse uscire.
Remus era fuggito così di fretta da dimenticare di lavarsi i denti, il che non
aveva contribuito alla sua voglia di parlare, quella mattina: non aveva nessuna
intenzione di finire come il povero Evan Bocca-di-Fogna Martins, se poteva
evitarlo. Né, comunque, era dell’umore per partecipare agli scherzi di James e
Sirius, considerato che quest’ultimo era seduto proprio di fianco a lui e
continuava ad appoggiarsi alla sua spalla per vedere meglio i poveretti che
secondo James quella mattina avevano un aspetto abbastanza buffo da guadagnarsi
una presa in giro.
La mia testa è una Pluffa stava perdendo rapidamente la connotazione di
un pensiero casuale, e man mano acquisiva sempre più quella del ritornello di
una canzone orecchiabile che ti si incolla alla mente. Remus avrebbe potuto
musicarla, anche.
Poi c’era stata lezione di Pozioni.
Remus, contrariamente a quello che diceva James, non odiava Pozioni: era Pozioni
ad odiare ferocemente Remus, piuttosto. Era anche abbastanza bravo, magari non
ai livelli di Lily Evans, ma di sicuro ben sopra la sufficienza: peccato che
Lumacorno avesse una paura dannata dei lupi mannari, e dunque evitasse
tatticamente di chiamarlo a rispondere, correggerlo o anche solo consigliarlo
come faceva con tutti gli altri. L’unica volta che Remus aveva tentato di
chiedere una spiegazione, il professore si era volatilizzato dall’aula come se
fosse un uomo di venti chili in meno con una schiera di draghi alle calcagna.
Atmosfera perfetta per una lezione.
Non c’erano stati disastri, il che, pensava Remus, era solo marginalmente un
sollievo. Avrebbe preferito che tutta la classe sbagliasse almeno un
ingrediente, trasformando la propria pozione in qualcosa di completamente
diverso: quel giorno avevano preparato l’Amortentia, particolarmente indicata
per non risolvere il problema di Remus.
Era evaso due ore dopo dall’aula nei sotterranei con ancora nelle narici l’odore
di cuoio, tabacco e cane bagnato che lo ossessionava anche senza bisogno della
pozione a ricordarglielo e con un bisogno ormai disperato di qualche minuto di
pace in un bagno.
L’ora seguente, naturalmente, avevano Trasfigurazione. Nessuno faceva più
tardi ad una lezione di Trasfigurazione da quando la McGranitt, l’anno
precedente, aveva preso due ritardatari come volontari per essere interrogati
sugli incantesimi Evanescenti, e i vestiti di uno dei due erano diventati
inavvertitamente il bersaglio di un colpo di bacchetta riuscito male.
Paul Tutto-Nudo Mallory non aveva scelto di continuare Trasfigurazione dopo i
G.U.F.O., e nessuno si sentiva di biasimarlo per questo.
Remus non avrebbe fatto la stessa fine, per quanto Sirius si ostinasse a
camminare di fianco a lui nel corridoio e a parlargli, incurante sia
dell’effetto che gli produceva la sua vicinanza, sia del suo mutismo esasperato.
All’ultimo momento, arrivati in classe, Remus si era ricordato di rivolgere a
James uno sguardo implorante, ma troppo tardi: Prongs, che non poteva più
sedersi di fianco a Sirius in presenza della McGranitt dall’incidente con le
rane del secondo anno, si era già accomodato nel banco di fianco a Peter,
casualmente proprio una fila dietro Lily Evans.
Remus si era ritrovato in seconda fila, con Sirius da una parte e il muro
dall’altra. E il muro non avrebbe fatto cambio posto nemmeno in caso di
emergenza.
«Oggi affronteremo un nuovo capitolo della Trasfigurazione delle sostanze
inanimate» aveva esordito la McGranitt. Qualche protesta si era sollevata dalla
classe: le sostanze inanimate erano roba da terzo anno: la Trasfigurazione umana
che avevano affrontato fino a quel momento era molto più interessante.
Un’occhiataccia della professoressa aveva messo a tacere il malcontento più
velocemente di una Maledizione.
«Questa particolare branca della Trasfigurazione viene spesso considerata, a
torto, secondaria, perché il suo effetto è molto sottile: tutti siete capaci, o
dovreste esserlo, di cambiare la forma di un oggetto. Molto più difficile, ma
molto più utile, è cambiarne la sostanza lasciando inalterata la forma».
Remus vide attorno a sé molti visi perplessi; era una distinzione sottile, ma se
aveva capito di cosa parlava la McGranitt, era anche senza dubbio una materia
interessante.
«Questa branca della Trasfigurazione è nota come “Trasfigurazione Invisibile”, e
le sue applicazioni sono molteplici; ne avete incontrate nella vostra vita di
tutti i giorni. Qualcuno di voi è in grado di fare un esempio? Sì, Signor
Black?»
Sirius aveva alzato la mano. Remus sorrise tra sé: fino ad un attimo prima
sembrava quasi addormentato sul banco, ma era proprio da lui sapere comunque la
risposta, soprattutto nell’ora di Trasfigurazione, che era la sua materia
preferita.
«Le Gelatine Tutti i Gusti +1» rispose, sicuro. «Sono tutte uguali, ma ciascuna
ha un diverso sapore».
«Cinque punti a Grifondoro» rispose la McGranitt. «Sebbene io abbia il sospetto
che abbia visto la scatola sulla cattedra, piuttosto che aver ragionato sulla
risposta, Signor Black».
Sirius le indirizzò un sorriso per nulla innocente; Remus si perse un attimo di
troppo ad osservare la sua espressione.
La mia testa è una Pluffa, si ripeté. Ormai era un automatismo.
«Vuol dire che oggi Trasfigureremo le Gelatine?» chiese Peter speranzoso,
alzando la mano. Adorava le Gelatine, e sembra non stare più nella pelle
all’idea.
«Esattamente, Signor Pettigrew» rispose la professoressa. «Venga a distribuirle
alla classe, per favore. Dieci a testa, non una di più».
Peter obbedì. Mentre passava tra i banchi e contava le caramelle da mettere
nelle mani dei compagni, la McGranitt riprese a spiegare.
«Normalmente non è possibile Trasfigurare una Gelatina: i produttori sono
convinti che minerebbe la popolarità del prodotto se ci fosse un modo per
alterare il rischio di incappare in un sapore sgradevole. Tuttavia,
eccezionalmente per questa lezione ho rimosso l’Incantesimo Anti Truffa. Vi
prego di prestare attenzione alle mie istruzioni, e questo vale anche per lei,
Signor Potter».
James, che stava cercando di passare un bigliettino ad una scocciatissima Lily
Evans, ritirò la mano e si risedette composto.
Apparentemente soddisfatta, ma senza perderlo d’occhio, la McGranitt continuò.
«Per oggi ci limiteremo a qualcosa di semplice: Trasfigurerete il gusto, che nel
nostro caso è l’essenza, di queste Gelatine in quello che preferite. Evitate i
gusti dolci: non è possibile Trasfigurare un sapore in dolce senza l’utilizzo di
un reagente alchemico a parte, per la legge di Obsen. Limitatevi al salato, per
il momento: affronteremo l’uso di elementi esterni nella Trasfigurazione a
partire dalla prossima lezione. Cominciate».
Remus osservò le sue gelatine, impugnando la bacchetta, e rischiò subito di
farle cadere dal banco quando Sirius gli toccò il gomito.
«Tu cosa fai?» gli chiese l’amico, sottovoce.
«Pensavo uova e pancetta» rispose Remus, altrettanto piano. Quella mattina aveva
fatto una colazione molto scarsa, e l’idea gli sembrava stranamente allettante.
«Tu?»
«Fagioli» rispose Sirius, con un gran sorriso.
Remus non sapeva se preferiva rifugiarsi nel sua mantra della testa a Pluffa per
sicurezza, davanti a quel sorriso, o scoppiare a ridere: Sirius adorava i
fagioli per un motivo che non aveva nulla a che fare con il loro sapore: in casa
Black non si servivano, perché la madre di Sirius non li sopportava.
Di buona lena si misero a lavorare sulle loro Gelatine; Remus afferrò il metodo
già alla seconda, e cominciò a Trasfigurarle una alla volta, concentrato. Le
ultime due, con sua grande soddisfazione, riuscì a cambiarle insieme.
Soddisfatto per la prima volta da quella mattina, si voltò a guardare Sirius,
che aveva già finito. Si scambiarono un sorriso compiaciuto.
«Molto bene» riprese la McGranitt, dopo qualche minuto. «Ora verificheremo se i
vostri incantesimi sono riusciti: le Gelatine Trasfigurate in maniera incorretta
reagiscono acquisendo un tipico sapore di pesce marcio. Vi prego di mangiare le
vostre caramelle senza indugio: vedremo subito chi ha sbagliato».
«Sadica bastarda» ridacchiò Sirius, molto piano.
Remus era piuttosto sicuro di aver lavorato bene, e si voltò a guardarlo già con
la prima caramella in mano.
E rimase immobile come se l’avessero Schiantato.
Sirius aveva preso una Gelatina e se l’era messa in bocca. Naturalmente era
Sirius Black, non poteva farlo come un mago qualunque: tirava fuori la lingua,
vi appoggiava la caramella con delicatezza e poi la succhiava tra le labbra,
assaporandola con gli occhi chiusi e un’espressione di estremo piacere sul viso;
si lasciava persino scappare un piccolo sospiro soddisfatto, tra una e l’altra.
La mia testa è una Pluffa, pensò Remus, freneticamente. La mia testa è
una Pluffa e adesso Sirius ne beccherà una sbagliata, sì, cambierà espressione,
non sembrerà più che stia facendo… No, la mia testa è una Pluffa, è di cuoio e
il campo da Quidditch è pieno di fagioli che si lanciano la Gelatina… di
giocatori che si lanciano la Pluffa, oh, Merlino, quella bocca… La mia testa è
una Pluffa, una Pluffa…
«Signor Lupin, mi spiega perché non sta mangiando le sue Gelatine?»
Remus, confuso, alzò gli occhi sulla McGranitt che incombeva su di lui.
«La mia testa è una Pluffa» rispose, senza pensarci, nel silenzio generale.
Tutta la classe scoppiò a ridere.
Era stato il culmine di una giornata da dimenticare.
James, Sirius e persino Peter (nonostante fosse verde dalla nausea e puzzasse di
pesce andato a male) si erano semplicemente sbellicati quando Remus, rosso in
viso e ancora più incazzato con l’universo di quando si era alzato, aveva
accennato loro al suo vividissimo sogno, tralasciando ovviamente il racconto di
come un incubo idiota fosse diventato per necessità il ritornello della sua
giornata. Però non erano stati loro il peggio, ovviamente. Tra i Malandrini
vigeva sempre una certa lealtà, e gli scherzi erano comunque sempre fatti con
buono spirito.
Il resto della scuola non era tenuto, però, alle stesse direttive etiche.
La storia della sua risposta alla McGranitt aveva rapidamente fatto il giro,
passando di bocca in bocca per una volta senza venir ingigantita nel processo:
era già sufficientemente assurda così com’era, del resto.
Nei corridoi i più gentili ridacchiavano. Gli altri lo additavano tra una
lezione e l’altra, a pranzo e persino quando era andato in bagno il Prefetto di
Corvonero l’aveva canzonato.
«Attento, per terra è bagnato: se cadi rischi di romperti la Pluffa».
I Serpeverde l’avevano saputo nel primo pomeriggio: a lezione di Antiche Rune
era stato uno spasso.
«Professoressa» aveva chiesto Piton. «Ci stavamo chiedendo se potesse indicarci
le rune per definire i termini tipici del Quidditch».
«Certo» aveva risposto la Professoressa Babbling, un po’ stupita da quella
richiesta strana.
Mezz’ora dopo, a sua insaputa, tutta la classe faceva passare bigliettini con le
rune per “Testa di Pluffa” e ciascun pezzettino di carta finiva inevitabilmente
per posarsi “inavvertitamente” su un banco in particolare.
Remus era livido.
Salì in dormitorio in ritardo, dopo cena, perché dovette fare un giro
incredibile che coinvolgeva due passaggi segreti, tre scale invisibili, una
finta finestra che in realtà era una porta e un’armatura che faceva passare solo
quelli che parlavano in rima; tutto per evitare il più possibile di incrociare
chiunque nei corridoi.
«Incanto Patronus» sbraitò alla Signora Grassa, che gli rivolse un sorrisetto
saputo (maledetti ritratti, mai che si facessero gli affari loro), ma lo fece
passare senza storie. Strisciò con gratitudine nel buco che portava alla Sala
Comune, pregustando la fine di quella giornata infernale e, possibilmente, la
doccia calda ed il sollievo di qualche minuto di intimità che desiderava
disperatamente ormai da ore.
Lo studente del primo anno che tossicchiò “Pluffa!” al suo passaggio e scappò
via ridacchiando con i suoi amici rischiò seriamente una Fattura Pungente alle
spalle, al diavolo la cavalleria. Ma finalmente, ignorando il più possibile le
risatine e i bisbigli di tutta la Sala Comune, Remus si lasciò cadere
stancamente nella sua poltrona preferita, nascondendosi gli occhi con una mano.
«Remus, vuoi fare una partita a scacchi?» gli chiese Peter.
James grugnì. «Lui preferisce il Quidditch, non lo sai, Wormtail?» commentò.
Maledizione anche alla lealtà tra i Malandrini, dunque.
Remus agitò pigramente una mano. «Ricordami di lanciarti un’occhiataccia quando
sarò meno stanco» disse a James. «Questa giornata sembra non voler finire.
Sirius dove si è cacciato?» chiese poi, guardandosi intorno senza riuscire a
scorgere la figura familiare. In fondo molto del suo malumore era colpa di
Padfoot: era giusto, pensò Remus, che fosse lì a subirne le conseguenze.
Peter ridacchiò. «È salito in dormitorio un minuto fa» disse. «Ha detto che è
stanco, ma io credo che sia una scusa per finire l’acqua calda prima che noi
andiamo in bagno. Tra lui e Prongs, sono giorni che faccio solo docce fredde…»
«A chi lo dici» borbottò Remus.
Non era giusto. Era troppo, davvero, chiedere almeno una doccia calda in una
giornata no?
«Vedo se posso fermarlo» disse, alzandosi e recuperando la sua borsa.
«Dovrai Schiantarlo, amico» rise James, battendogli una pacca sulla spalla.
Remus lo guardò come se fosse impazzito. «E che problema c’è?» rispose. Senza
fermarsi ad ascoltare la risata dell’amico, salì le scale della torre e si
infilò in dormitorio, già con la bacchetta in pugno. Avrebbe avuto la sua
doccia, cascasse il mondo.
Ma Sirius non era in bagno: la porta era spalancata e non si sentiva rumore di
acqua corrente. Non era nemmeno in dormitorio, però sul letto di Remus era
sdraiato comodamente un grosso cane nero, che appena lo vide entrare sollevò la
testa, guardandolo con espressione gioiosa e scodinzolando.
Remus, malgrado la giornataccia, sorrise.
Padfoot aveva sempre il potere di risollevargli il morale. Di più: Padfoot era
nato per risollevargli il morale, per preciso intento di Sirius. Fin dalla prima
trasformazione in Animagi sua e degli altri, erano stati chiari i ruoli: Prongs,
così alieno agli occhi di Moony, era quello che stabiliva i limiti del loro
branco, imponendo le sue grandi corna come ostacolo tra il lupo ed il pericolo.
Wormtail era la sentinella, quello che controllava i dintorni, che strisciava
nei posti più impensabili e sapeva sempre se si avvicinava qualcuno, o se
c’erano creature in giro. Padfoot correva con Moony e si mordeva la coda,
giocava alla lotta per distrarlo dall’istinto di masticarsi, gli leccava il muso
per confortarlo quando arrivavano i crampi, prima che la Luna tramontasse.
E quando Remus era umano, Padfoot qualche volta si accoccolava sul suo letto,
rotolando sulla pancia per essere coccolato, comportandosi in tutto e per tutto
come se sotto il suo pelo nero non ci fosse Sirius, ma un cucciolo festoso
pronto a risollevare l’umore del suo padrone.
Remus slacciò la cravatta e la posò sopra la borsa, ai piedi del letto. Si tolse
le scarpe e il mantello, e si sedette sul letto appoggiando la schiena al
cuscino, rilassandosi.
«Tu non mi prendi in giro?» chiese al cane.
Padfoot lo guardò in viso, e fece cenno di no con la grossa testa, lasciando
penzolare la lingua fuori dalla bocca. Remus ridacchiò.
«Allora sei venuto qui a consolarmi della giornataccia?» chiese.
Padfoot annuì, per quanto non fosse un gesto canino. Poi si sollevò e si rimise
steso di fianco a Remus, posando la testa sulla sua pancia e mettendosi comodo
per farsi grattare dietro le orecchie.
Era spaventoso come quel comportamento canino aveva il potere di calmare i nervi
di Remus: lui poteva essere attratto in maniera irragionevole da Sirius, dal suo
corpo e dal suo odore. Ma erano quei piccoli gesti che solo a lui venivano in
mente che lo facevano pensare di essere decisamente più coinvolto che ormonale,
quando sognava o desiderava di baciarlo sulla bocca e di accarezzare i suoi
capelli come faceva con il pelo ispido della sua forma canina.
Remus trovava qualcosa di estremamente confortante nel rilassarsi in quel modo
con Padfoot; somigliava a quello che provava nello stare insieme a Sirius, prima
che tutto si complicasse con lo scoppio dell’adolescenza e i suoi desideri
assurdi. Padfoot respirava lentamente, regolarmente, contro la sua gamba, mentre
lui accarezzava la sua grossa testa e si perdeva liberamente nei suoi pensieri.
Era stata una giornata stancante, ma quel momento lo ripagava, in qualche
misura: era bello, semplicemente, starsene così, senza preoccupazioni. Passò una
mano sul collo di Padfoot e lui gli leccò un braccio, dispettoso.
«Ehi!» protestò Remus, fingendosi indignato anche se non gli importava, come non
gli sarebbe importato con un cane vero. «Guarda che non ti gratto più» minacciò.
Padfoot alzò la testa e lo guardò con un’aria sconsolata, abbassando le orecchie
e nascondendo la coda tra le zampe posteriori.
«Allora fai il bravo» minacciò di nuovo Remus.
Padfoot annuì, riprendendo a scodinzolare non appena ricominciarono le carezze
sulla sua testa; il grosso cane si mise di nuovo comodo, riuscendo ad
appoggiarsi quasi completamente addosso a Remus senza per questo pesargli o
dargli fastidio.
«Sei l’unico che ho voglia di vedere dopo una giornata così» disse Remus. Aveva
l’abitudine di parlare con Padfoot come se non lo capisse, come se fosse un vero
cane. A volte temeva di aver rivelato troppo, in situazioni simili, ma Sirius
non aveva mai detto niente. «Tutti gli altri si sono divertiti un mondo con
Testa di Pluffa, oggi».
Padfoot sbuffò, spingendo il naso contro il petto di Remus.
«Lo so che anche tu mi hai preso in giro» continuò lui, riconoscendo quel gesto
come un modo canino di chiedere scusa. «Ma diciamocelo: io lo avrei fatto, al
posto tuo. L’importante è non esagerare, e tu non l’hai fatto. Tutti gli altri
sì».
Padfoot emise un basso ringhio.
«Esatto» rispose Remus. «Ma non c’è bisogno che tu li morda per me».
Cane e ragazzo rimasero in silenzio per un po’, godendosi la reciproca
compagnia. Remus ormai grattava con entrambe le mani tutto attorno alla testa di
Padfoot, che sembrava gradire un mondo.
«Come diceva quel filosofo babbano? Quello che abbiamo studiato al terzo anno, a
Babbanologia, ti ricordi? “Più gente conosco, più amo il mio cane”?» disse
Remus, senza pensarci.
Padfoot lo fissò negli occhi intensamente, per un lungo momento. Il suo sguardo
era quasi umano; poi fu scosso da un lungo brivido ed un attimo dopo Remus stava
accarezzando il collo ed i capelli di Sirius, che se ne stava tranquillamente
disteso con la testa sulla sua pancia e gli sorrideva.
Non era mai successa una cosa del genere e Remus trattenne il fiato.
«Io la ricordo diversa» disse Sirius. «”Più gente conosco, più apprezzo
il mio cane”, no? Apprezzo, non amo».
Remus sperò di non essere arrossito totalmente mentre andava in panico.
«Un lapsus» rispose, debolmente. La voce gli tremava un po’.
«Certo» disse Sirius. Il suo sguardo era grigio e intenso quanto lo era stato
prima quello di Padfoot. «Quanti lapsus devi avere, e quanto devo flirtare
ancora con te, prima che tu ti decida a baciarmi?»
Remus rischiò di soffocare con la sua stessa saliva.
«Prima che io…?» chiese con un filo di voce.
Sirius ghignò.
«Non far finta di niente» disse. «Oggi, a Trasfigurazione, perché pensi che
abbia fatto tutte quelle scene per una manciata di gelatine? Ci stavo provando
con te».
«A Trasfigurazione?» chiese Remus, oltraggiato. «È stata colpa delle tue
stupide gelatine ai fagioli se tutti mi chiamano Testa di Pluffa, lo sai, vero?»
Sirius ridacchiò. «Sapevo di averti distratto, ma ammetto che quella non me
l’aspettavo» disse. «Mi spiegherai che ti è preso?»
Remus scosse la testa. Aveva ancora le mani attorno al viso di Sirius, che stava
dicendo cose assurde, sì, ma le stava dicendo con quella bocca che lo faceva
impazzire, e che si aspettava che lui lo baciasse.
«È una storia lunga,» disse, scherzando, «che inizia con James che fa la
doccia…»
«E finisce con noi due da soli sul tuo letto» tagliò corto Sirius, impaziente
come sempre.
Remus rise. Con la testa leggera e niente affatto simile ad una Pluffa,
finalmente, si chinò un po’ in avanti, chiudendo gli occhi quando sentì il
respiro di Sirius, spezzato e veloce almeno quanto il suo, infrangersi contro la
sua bocca. Baciare Sirius poteva essere la pazzia del secolo, ma… baciare
Sirius…
Baciare Sirius era meraviglioso, scoprì poco dopo. Era come bere dopo una lunga
corsa, come il balsamo sulle ferite la mattina dopo la luna piena. Era avere il
suo viso ed il suo odore così vicini che sembravano parte di lui, era lasciare
vagare le sue mani dal collo di Sirius sulla sua schiena, sentirlo sospirare
piano mentre apriva le labbra, lasciandogli intuire l’umido calore del suo
respiro per un attimo. E poi finalmente entrare nella sua bocca come sotto la
sua pelle, e sentire l’emozione accumularsi nella pancia e scivolare lentamente
più in basso, trasformando il languore del bacio nella promessa di qualcosa di
infinitamente più complesso ed eccitante.
Era godersi il sapore di Sirius… Il sapore di Sirius.
«Sirius» mormorò Remus sulla sua bocca, allontanandosi da lui per potergli
parlare, ma solo un poco per non perdere quella vicinanza e i brividi che gli
provocava.
«Mmm?» rispose lui, aprendo appena gli occhi. Aveva il viso rosso almeno quanto
quello di Remus, ed era concentrato e splendente quanto lui si sentiva.
«Sirius» ripeté Remus, combattendo l’istinto di dire solo il suo nome, perché in
fondo, un Malandrino doveva sempre essere un Malandrino. «Ti rendi conto che sai
ancora di fagioli, vero?»
Scoppiarono a ridere insieme, rotolandosi sul materasso e tenendosi la pancia.
L’emozione rese quella battuta sciocca qualcosa di speciale; o forse fu solo il
fatto che quando finirono di ridere ripresero a baciarsi, per poi ridere ancora
e baciarsi ancora.
Remus aveva avuto davvero una giornata no, per tanti versi.
Ma per uno era stata decisamente una giornata sì, e alla fine dei conti Remus
Testa-di-Pluffa Lupin non l’avrebbe cambiata con un’altra per niente al mondo.
Gelatine ai fagioli incluse.
Note Noiose:
La Professoressa Babbling, citata come insegnante di Antiche Rune, non è
un’invenzione mia: l’ho scovata sul lexicon,
qui. Altri personaggi nominati che non vengano dal canon sono invece una mia
invenzione.
Questa storia è stata scritta per il
[Wolfstar Contest] Under the Moonlight, con il pacchetto Godric che
conteneva un oggetto (la Pluffa), un gusto di Gelatina (fagioli) e una citazione
("Più gente conosco, più apprezzo il mio cane", di Socrate); la storia si è
classificata prima e ha ricevuto
questo bellissimo
banner e questo splendido giudizio:
«TESTA-DI-PLUFFA E GELATINE AI FAGIOLI» DI MIKI_TR
PRIMA CLASSIFICATA
La tua storia mi ha provocato una serie di risatine incontrollate, e non ci
sarebbe stato niente di strano o di sbagliato se non l'avessi letta intorno alle
tre di notte, unico orario in cui in questo periodo pre-Lucca riesco ad avere
dei veri momenti di tranquillità.
Come già precedentemente accennato, questa tua one-shot mi ha fatta sorridere e
ridacchiare davvero di gusto; non so dirti se sia a causa del modo in cui l'hai
sviluppata - spargendo fra le righe della storia una bizzarra vena di comicità
ed ironia che non guasta mai e che si legge una meraviglia - o semplicemente per
la trama di per sé - che a parte il piccolo cliché delle provocazioni per
richiamare l'attenzione dell'amato mi è parsa piuttosto originale -, che nella
sua forma ha regalato quel qualcosa in più alla trama, pur legando in essa anche
un'altra serie di piccolissimi cliché come il risveglio dal sogno.
Ho sghignazzato di gusto nel leggere delle paranoie di Moony e di quelle
parole che si ripete sempre come un mantra, e la risata incontrollata è scappata
proprio sull'arrivare alla conclusione della lezione di trasfigurazione.
A tal proposito, mi è piaciuto anche il modo in cui hai trattato la materia;
ora, essendo stata lontana dal fandom da secoli e secoli, non posso pronunciarmi
sul fatto che il sapore delle gelatine non possa essere trasfigurato, ma ho
apprezzato l'idea - che tra l'altro mi è anche parsa carina - e il modo in cui
hai di riflesso utilizzato i prompt. Sei sì rimasta sull'interpretazione
classica di essi - ovvero hai inserito proprio una gelatina e il gusto che ne
seguitava, oltre la pluffa che è, diciamo, esattamente il punto centrale su cui
ruota tutta la storia -, però per la trama che hai deciso di montare non avresti
potuto fare diversamente, anzi, i miei complimenti per come hai mantenuto salda
la tua posizione e per come hai saputo utilizzare il pacchetto che ti era stato
assegnato, dunque.
Per quanto riguarda la citazione che ti è capitata, invece, anche se avrei
preferito un suo studio più approfondito è stata ben utilizzata, poiché hai
deciso di citare direttamente il filosofo babbano attraverso le parole di
Remus e Sirius stessi; ho anche notato che tutte voi avete scritto
principalmente sul punto di vista del caro Moony, e la cosa, stranamente, mi ha
fatta sorridere alquanto.
I personaggi mi sono parsi IC e anche la situazione era piuttosto credibile, e
non nascondo che la breve parte del sogno di Remus e il suo successivo risveglio
con tanto di evidentissimo problema fisico a causa della visione di un
Sirius ancora addormentato e sbavante sul cuscino mi hanno fatta sghignazzare
come un'idiota proprio per il leggero velo di sarcasmo che sembrava trasparire
dalle parole stesse; il sorrisetto è diventato un po' più dolce, invece, verso
la fine della one-shot, dove finalmente quello scemo di Remus capisce il perché
degli atteggiamenti di Sirius... che, diciamocelo, è un grosso idiota pure lui.
Dirlo chiaro e tondo no, eh?
Sulla grammatica non ho un granché da dire, forse solo il fatto che, al posto
delle parentesi, avrei inserito i trattini, ovvero in alcuni di questi passaggi:
- “Nemmeno la doccia (fredda, ovviamente) l’aveva aiutato”→ Nemmeno la
doccia - fredda, ovviamente - l’aveva aiutato
- “James, Sirius e persino Peter (nonostante fosse verde dalla nausea e
puzzasse di pesce andato a male) si erano ecc”→ James, Sirius e persino
Peter - nonostante fosse verde dalla nausea e puzzasse di pesce andato a male -
si erano ecc
- “«Incanto Patronus» sbraitò alla Signora Grassa, che gli rivolse un
sorrisetto saputo (maledetti ritratti, mai che si facessero gli affari loro), ma
ecc”→ «Incanto Patronus», sbraitò ( anche se al posto del verbo sbraitare
avrei usato abbaiare o bofonchiare ) alla Signora Grassa, che gli rivolse un
sorrisetto saputo - maledetti ritratti, mai che si facessero gli affari loro -,
ma ecc
Ovviamente so che sono modi di scrivere e stili diversi, però non avendo mai
visto parentesi nei libri te lo appunto a puro scopo illustrativo; c'è inoltre
la piccola dimenticanza dellla virgola dopo la chiusura del discorso diretto,
poiché a quanto ne so bisogna inserirla.
Direi che posso concludere qui, adesso. Non mi sembra che ci sia altro da dire,
quindi mi limito solo a complimentarmi con te per l'aver sfornato questa storia
allegra e leggera.
- Originalità: 9
- Caratterizzazione dei personaggi: 9.8
- Stile e lessico: 9.5
- Utilizzo del pacchetto: 9.8
- Apprezzamento personale: 5
- Totale: 43.1
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