hil
Il suo viso gli ricordava un volto già visto.
Provò a frugare tra i suoi rari ricordi ma l’unica cosa
che gli saltava alla mente era il ghigno odioso di suo padre. Nulla,
non riusciva a collegare il volto della ragazza a nulla.
Si guardava attorno spaesata, un borsone enorme in mano. Diede qualche
occhiata in giro per poi lasciare il borsone a terra sbuffando e
torcendosi il polso indolenzito.
- I dormitori femminili sono nella parte ovest del campo.- borbottò il ragazzo.
La ragazza alzò lo sguardo verso la voce, sorridendo imbarazzata.
- Grazie…sono appena arrivata, non mi hanno detto dove dormiranno le combattenti.-
- Prego.- rispose asciutto.
- Io sono Jun…e tu?-
- Kazuya.- non sapeva se gli conveniva fidarsi di quella ragazza, ma non sembrava malintenzionata.
- Di nuovo grazie allora, Kazuya.- sorridendo, la ragazza riprese il borsone e se ne andò.
‘Jun…l’ho già sentito…’ la sua
mente viaggiò fino a molti anni prima, anni che credeva di non
ricordare più…
- Ehi stai bene?- chiese il bimbo
abbassandosi sulle ginocchia. La bambina alzò lo sguardo
innocente, gli occhioni neri colmi di lacrime.
- Il mio
coniglietto…è…un leone di montagna…- la
bambina scoppiò a piangere di nuovo, torcendo il lembo del
vestitino rosa.
- Non preoccuparti, i tuoi genitori te ne compreranno uno nuovo.-
- Tu dici?- la bambina aveva fermato il pianto.
- Ne sono sicuro…come ti chiami?-
- Jun…Jun Kazama.- disse lei tirando su con il naso.
- Io sono Kazuya e ti prometto che
riavrai il tuo coniglio. Parlerò a tuo padre.- disse il bambino,
dandosi delle arie da adulto.
La bimba rise.
- KAZUYA! Torna ad allenarti,
moccioso!- disse una voce cavernosa e una mano lo afferrò per il
colletto del kimono bianco da allenamento, sollevandolo.
- Padre, lasciami!- disse Kazuya dimenandosi dalla presa salda dell’uomo.
La bimba si alzò e scappò via.
Nei giorni seguenti, seguì i suoi combattimenti.
‘E’tutta una strategia, la guardo per poi poterla battere più facilmente.’ Kazuya ne era convinto.
Jun però, ogni volta che scendeva dal ring, gli dedicava un
sorriso festante. Una volta aveva persino alzato due dita in sua
direzione in segno di vittoria.
Era una bella ragazza, su questo Kazuya non aveva dubbi, ma era anche
forte e sembrava molto determinata a vincere. Peccato che
l’avrebbe battuta.
Ora toccava a lui:in meno di cinque minuti il suo avversario, un
maestro coreano di tae-kwon-doo, nuovo arrivo nel torneo, era a terra.
Kazuya scese dal ring scrocchiando le dita delle mani e si lasciò sfuggire uno sguardo in direzione della panchina.
Jun gli sorrise, alzando il pollice verso di lui.
Era molto carina quel giorno, la solita fascia bianca tra i capelli, camicetta senza maniche e pantaloni aderenti neri.
Era stata appena estratta dal sorteggio del prossimo incontro, contro una specie di poliziotto cinese.
Quando le passò accanto, una nuvola di profumo floreale ma tenue
gli invase le narici. Aveva un buon profumo, gli ricordava il prato
fiorito in cui l’aveva vista da piccolo, ma probabilmente lei
nemmeno lo ricordava. Heihachi aveva interrotto anche quello.
Kazuya digrignò i denti, sapendo che il padre stava assistendo
agli incontri nascosto da qualche parte. Desiderava solamente prenderlo
a calci fino a vederlo sputare sangue.
Portò la sua mano ad accarezzare la cicatrice sul torace e
strinse i pugni, soffocando l’ondata di calore che sentiva nella
pancia. Era il sintomo iniziale di una prossima manifestazione di Devil.
Jun fu impeccabile e mandò il poliziotto al tappeto.
Scendendo dal ring, incrociò lo sguardo indagatore di Kazuya.
Aveva davvero dei begli occhi, di due colori diversi:uno era nero e
profondo, un pozzo senza fondo, mentre l’altro aveva una
sfumatura particolare, quasi rossastra.
E poi era bello, forte, virile, aveva uno stile di combattimento
pazzesco che univa mosse potenti e movimenti veloci. Il loro incontro
sarebbe stato interessante.
Gli dedicò un sorriso composto, uno dei suoi soliti sorrisi gentili che non poteva fare a meno di dedicare a tutti.
Le sembrò per un attimo che l’uomo ricambiasse il suo sorriso, ma probabilmente era stata una svista.
La sera era scesa in fretta e un leggero venticello raffreddava le strade di Tokio.
Jun sospirò e si prese il viso tra le mani, gli avambracci
appoggiati sul parapetto dell’ultimo piano del grattacielo
Mishima.
La sua indagine su Heihachi Mishima non aveva dato alcun frutto, quel
maledetto continuava a sfuggirle. Forse non si trovava nemmeno
nell’edificio adesso.
Si sistemò la fascia e lasciò vagare lo sguardo fino
all’orizzonte buio, illuminato dallo skyline di Tokio.
All’ultimo piano, proprio alle sue spalle, c’era la porta
della lussuosa palestra a disposizione dei lottatori dell’Iron
Fist. Poteva sentire dei forti colpi provenienti dall’interno.
Sospirò di nuovo e fissò la sua attenzione sulle stelle,
tenui nella foschia luminosa della città. Tokio di notte si
animava:non aveva mai visto New York, ma anche Tokio era una
città che non dormiva mai, ne era sicura.
Rabbrividì, indossava un semplice paio di shorts color kaki e gilet abbinato, la divisa della guardia forestale.
- Hai freddo?- una voce profonda alle sue spalle, più curiosa che preoccupata.
- Sì.- rispose lei semplicemente, girandosi.
Davanti ai suoi occhi, stagliandosi nella luce della porta aperta, la massiccia sagoma di Kazuya.
Kazuya fece una smorfia:- Allora non dovresti stare qui…se hai freddo.-
Una donna più maliziosa avrebbe proposto all’uomo di
scaldare un po’quella notte così gelida ma Jun
arrossì leggermente, girandosi di nuovo verso la città.
- E’tranquillo qui…mi aiuta a pensare, a sgombrare la
mente in prossimità dei prossimi incontri.- sperava che avesse
capito che con ‘prossimi’ intendeva il loro.
- Sei brava, non dovresti preoccuparti. Gli avversari saranno facili da
battere per te.- replicò secco Kazuya, appoggiandosi di schiena
al parapetto.
Jun alzò lo sguardo sorpresa:- Quindi ti reputi debole?-
Kazuya alzò un sopracciglio, sorridendo ferino:- Intendevo gli
altri sfidanti…non contare di avere speranze con me, donna.-
- Mi chiamo Jun e spero che il nostro incontro non ti lascerà
troppo dolorante.- replicò la ragazza indirizzando un sorriso
luminoso al cielo buio.
L’uomo incrociò le braccia e sospirò:- Spero che tu sia migliorata in questi anni.-
Kazuya si alzò dal parapetto e si apprestò a rientrare
quando una presa delicata ma decisa lo fermò per il polso.
- Che intendi dire?- gli occhi scuri di Jun Kazama lo scrutavano nel profondo.
- Intendo…una volta conoscevo una bambina che aveva perso un coniglio per colpa di un leone di montagna.- rispose Kazuya.
Jun spalancò la bocca:- Tu…tu sei quel bambino! Quello che mi aveva aiutata da piccola!-
La ragazza gli allacciò le braccia al collo, sorridendo festante. Kazuya si scostò, infastidito.
- Pensavo fossi morto! Pensavo…tuo padre ti ha preso e ti ha
buttato giù da un burrone! Io l’ho visto e…non ho
potuto fare niente per aiutarti.- Jun si portò le mani alle
labbra, gli occhi lucidi.
Solo allora notò l’enorme cicatrice sul petto di Kazuya, come se la vedesse per la prima volta.
- Io…ho avvertito gli adulti, ma loro mi hanno detto di smettere
di dire bugie. Sono scesa nel dirupo a cercarti ma…eri sparito.
Pensavo ti avessero aggredito i leoni di montagna.- Jun sembrava
veramente dispiaciuta e in qualche senso anche orripilata da se stessa.
Sfiorò la cicatrice sul petto dell’uomo.
- Chissà quanto dolore hai provato…- disse lei guardandolo compassionevole.
Kazuya si scostò in malo modo:- Non toccarmi…è
stato infinitamente doloroso, più di quanto tu possa immaginare.-
Jun ascoltò quelle parole dette con durezza, aspre, risentite, cariche di un odio incredibilmente profondo.
- Sei qui per uccidere Heihachi, tuo padre, non è vero?- chiese abbassando lo sguardo.
Kazuya annuì:- Quel bastardo deve morire, deve soffrire nello stesso modo in cui ho sofferto io anni fa.-
- Ti capisco…eppure io sento che c’è
qualcos’altro dentro di te. E’qualcosa di oscuro…e
temo che se ucciderai Heihachi quel qualcosa si impossesserà di
te per sempre, senza rimedio.-
‘Che la ragazza riesca a leggere l’anima delle persone?’ pensò Kazuya sgomento.
- Ti prego, non farlo. Risparmia tuo padre, sii migliore di lui.-
- Tu non mi conosci nemmeno.-
- Conoscevo quel bambino ed era gentile…-
- Quel bambino è morto quel giorno. Io sono Kazuya Mishima e
devo uccidere mio padre, questo è il mio destino. E
ucciderò chiunque voglia mettersi sulla mia strada.-
Kazuya fissò Jun risoluto. La ragazza aveva assunto una
posizione di difesa, ma nei suoi occhi c’erano tanta bontà
e comprensione.
Distolse lo sguardo da lei:- Sono venuto qui per questo. Vincerò
l’Iron Fist e ucciderò mio padre, questo è quanto.-
- No. Ti fermerò e riuscirò a salvare quel bambino.-
- Non sai nemmeno…-
- Shh. Capisco il tuo rancore, ma la risposta non è mai
l’odio. Tutto ciò che covi dentro di te ha
un’energia oscura incredibile, potrebbe uccidere mille uomini.
Tu…-
- Io so badare a me stesso. E se scatenare quest’energia oscura
mi permetterà di uccidere Heihachi, allora la scatenerò.-
Jun scosse la testa mentre Kazuya rientrava nella palestra.
- Buona notte, Kazuya. Spero che imparerai a perdonare.-
sussurrò lei. L’uomo sentì chiaramente le sue
parole ma non rispose.
Jun finì il suo avversario con un colpo magistrale. L’uomo
di colore con uno strano tatuaggio sul petto finì a terra e si
pulì un rivolo di sangue dalla bocca prima di svenire.
Il pubblico dell’Iron Fist la acclamò e la ragazza
lasciò l’arena sudata e stanca, un fianco dolorante a
causa di un colpo a sorpresa del kickboxer, quel tale Bruce Irwin.
Incrociò lo sguardo indagatore di Kazuya prima di uscire e dirigersi direttamente nel dormitorio femminile.
Si buttò sotto la doccia, lasciando che il dolore al fianco e le ferite venissero leniti dall’acqua calda.
Quando uscì, rinvigorita solo in parte dopo il match durato
più di mezz’ora, si avvolse in un asciugamano candido e
provvedette a medicare il taglio sopra il sopracciglio,
l’escoriazione al braccio e i numerosi lividi sulle gambe.
Si asciugò i capelli in fretta e poi indossò un paio di
shorts di jeans e una semplice maglia bianca, pronta per la cena.
Quando uscì, incrociò nuovamente Kazuya, di ritorno dal
suo incontro con le protezioni per le braccia madide di sangue. Dietro
di lui, portato su una barella, il cyborg Bryan Fury con un enorme
squarcio sul ventre che fece rimescolare le viscere a Jun.
La ragazza storse il naso per l’odore impressionante di sangue e
si diresse verso la mensa, prendendo posto da sola a
un’estremità del tavolo delle ragazze.
Nina e Anna Williams si guardavano in cagnesco, entrambe coperte di
lividi sul viso, mentre la pellerossa Michelle Chang pregava a mani
giunte e occhi chiusi davanti a un piatto di arrosto fumante.
Nel suo piatto stava invece una semplice insalata, il suo appetito era calato ultimamente.
Non andava bene, suo padre le diceva sempre che una combattente in forma doveva avere una dieta varia ed equilibrata.
Sarebbe stato fiero di vederla al torneo, combattendo per una causa più che giusta.
Spilluzzicò con malavoglia l’insalata, il dolore al fianco
non faceva altro che aumentare e decise di andare in infermeria per un
controllo approfondito.
Si alzò, sentendosi osservata, e fu solo quando uscì
dalla mensa e si inoltrò nel corridoio asettico
dell’infermeria che una grossa mano le prese il polso.
Si girò bruscamente e si ritrovò a due centimetri il viso
di Bruce Irwin con un occhio tumefatto che la fissava con rabbia.
- Jun Kazama, non è stato bello essere sconfitto da te oggi. Ora sono eliminato.-
- Così è la vita, Irwin.- disse lei cercando di liberarsi. La morsa del kickboxer di fece più stretta.
- Quei soldi mi servono, mi servono davvero molto Kazama…forse dovresti ritirarti.-
La sua richiesta era così ridicola che Jun non potè fare altro che scoppiare a ridere.
- Non sto scherzando…ritirati.- era un ordine perentorio il secondo che uscì dalla bocca del nero.
- Non ci penso nemmeno!- disse Jun, cercando di reagire.
- Le tue mosse sono prevedibili dopo un po’, Kazama.- disse lui
bloccandola e girandola verso il muro, la faccia graffiata dalla calce.
Jun sentì dei movimenti strani dietro di lei e capì le
intenzioni di Bruce solo quando sentì una mano dell’uomo
scivolare verso il bottone dei suoi pantaloncini.
- Bastardo! Lasciami andare!- urlò, ma Bruce la spinse verso il muro, soffocando le sue proteste.
- Mi ripagherai i soldi persi con almeno cinque minuti di divertimento,
Kazama…- le sussurrò Bruce all’orecchio, prima di
venire scaraventato a terra da un pugno che gli mozzò il fiato.
Kazuya, immobile accanto alla ragazza spaventata, lo sistemò con
un altro paio di calci e gli intimò di sparire, mentre Jun lo
osservava senza fiato.
- Sembra che tu ti senta obbligato ad aiutarmi.- disse, la voce addolcita.
- Non è questo. Sei tu che non sai difenderti.- replicò
Kazuya ma la loro discussione fu troncata dalla fitta improvvisa al
fianco di Jun, che si ritrovò improvvisamente a terra,
un’ombra scura davanti agli occhi.
- Jun! Cos’hai?- chiese Kazuya allarmato.
- Bruce…nell’incontro…- riuscì a biascicare prima che un’ombra le invadesse di nuovo gli occhi.
- Cazzo…l’infermeria è occupata da Bryan, stanno
ricucendo insieme quel bastardo…ti porto in camera tua, almeno
starai sdraiata.-
Kazuya sollevò Jun come un fuscello, stupendosi della magrezza
della ragazza, e la portò dove lei gli indicò con un filo
di voce. Entrò nella stanza buia e la depositò tra i
guanciali con una delicatezza che non sapeva nemmeno di possedere per
poi sedersi sul bordo del letto.
- Puoi andare…grazie…-
- Vorrei ma non posso lasciarti sola. Se hai un’emorragia interna non voglio la tua morte sulla coscienza.-
- Allora ti importa della morte degli altri.-
‘Solo della tua.’ avrebbe voluto rispondere Kazuya,
sorpreso lui stesso da quella risposta, ma ammetterlo sarebbe equivalso
ad un’incredibile debolezza.
Stette a contemplarla nel buio in silenzio per diversi minuti, mentre
lo sguardo di lei vagava sui lineamenti dell’uomo che a malapena
riusciva a scorgere, finchè la voce sottile di lei non ruppe il
silenzio.
- Puoi andare, davvero, ora sto meglio…-
- Non ci penso nemmeno. Prima ti porterò in infermeria, poi me ne andrò.-
- Ma vorrai pur dormire…hai combattuto oggi…-
- Non sono stanco.- replicò secco Kazuya, nonostante sentisse le palpebre pesanti.
- Se hai sonno potresti…dormire vicino a me….intendo, ci
stiamo, il letto è grande.- disse Jun, imbarazzata.
Kazuya si distese accanto alla ragazza supino, mentre Jun era rivolta
verso di lui a causa del dolore al fianco che la costringeva a non
caricare il peso sul lato destro del corpo.
Giacquero così per circa mezz’ora, finchè Jun non
si addormentò. Kazuya la sorvegliava nel sonno, ora rivolto
anche lui verso di lei, i volti a pochi centimetri.
Sentiva il suo respiro regolare e il profumo floreale che gli invadeva
le narici e poteva vedere le lunghissime ciglia nere che proiettavano
ombre sulla sua pelle di luna.
Non si accorse di essersi avvicinato a lei e di aver allungato una mano
ad accarezzargli il viso, finchè lei non sospirò sotto il
suo tocco:allora Kazuya proseguì, sfiorandole le spalle e osando
verso il seno. Jun aprì gli occhi improvvisamente, incontrando
quelli bramosi di Kazuya e, invece che dar retta al campanello di
allarme che le squillava in testa, si arrese alla fame dei sensi e lo
lasciò fare.
Il fatto che la ragazza si fosse accorta di ciò che stava
accadendo ma lo lasciasse continuare incendiò gli appetiti di
Kazuya e in breve si ritrovò su di lei, accarezzandole con
lentezza esasperante le cosce.
Jun stava impazzendo sotto il tocco di quelle mani rudi ed esperte e
non potè evitare di posare le sue mani su quelle dell’uomo
e condurle fino alle mutandine.
Kazuya, visibilmente eccitato dalla situazione, le abbassò con lentezza e la accarezzò, facendola gemere.
Per tutta la notte i gemiti di piacere e dolore di Jun si mischiarono a
quelli di Kazuya, piacevolmente sorpreso dalla fluidità di
movimenti di Jun e dalla voracità del suo ventre.
Si amarono per tutta la notte e solo allo spuntare dell’alba, Jun
crollò sfinita sul letto, rossa in viso, addormentandosi
all’istante.
Kazuya rimase a contemplarla ancora per qualche minuto, deliziandosi
della vista della sua pelle candida e delle sue nudità, e poi
l’abbandonò.
Divennero amanti.
Dopo ogni incontro, tra gemiti di piacere e dolore per le ferite
riportate durante i combattimenti, i due si amavano in segreto nella
camera di lei, più isolata rispetto a quella dell’uomo.
Jun credeva che una volta o l’altra avrebbe perso la testa sotto
quelle carezze estenuanti e gli avrebbe chiesto qualcosa di osceno
persino per lui, ma Kazuya sembrava non stancarsi mai di condurla
sull’orlo della pazzia.
D’altro canto, Jun non si accorgeva dell’alto potere
erotico che esercitava su Kazuya. Adesso ogni suo movimento sul ring,
ogni suo abito che lasciasse scoperto qualche lembo di pelle, ogni suo
sguardo anche lontanamente languido si trasformava per lui in una
provocazione irresistibile.
Dovette controllare immensamente i suoi impulsi per non aggredirla sul
ring mentre combatteva con Nina Williams per uscirne vincitrice e di
certo la cortissima divisa della guarda forestale non lo aiutava.
Spedì al tappeto Armor King con un paio di colpi nella foga di
immaginarsi Jun nuda e indifesa sotto di lui e se la caricò in
spalla tra le proteste di lei appena uscito dall’arena, dove la
ragazza lo aspettava, per poi buttarla di malagrazia sul letto e
planare su di lei con una fame incontrollabile.
L’eco dei loro baci roventi si potè udire fin dall’altra parte del grattacielo quella notte.
I combattenti iniziarono a spettegolare riguardo ai gemiti e ai sospiri
che si potevano udire quasi tutte le notti presso la camera della
donna, ma i due non se ne curarono e continuarono la frequentazione per
oltre un mese. Era una passione incontenibile, che si spegneva come un
fiammifero al sorgere del sole per poi divampare di nuovo come un
incendio durante il giorno.
Tuttavia nessuno dei due si accorse di essere innamorato dell’altra finchè non arrivarono le semifinali.
Mentre Jun osservava lo scontro di Kazuya con Yoshimitsu, lo strano
ninja dal volto mascherato e la spada luminosa, le pareva che il suo
cuore potesse collassare per l’angoscia da un momento
all’altro.
‘Ti prego, fa che vinca…’ pregava Jun, inconsapevole
che la preoccupazione era dettata da un amore grande quanto
l’oceano che in quei giorni non aveva fatto altro che aumentare.
Quando si udì la campanella della fine e Kazuya si rialzò
da terra, lo sguardo scintillante di orgoglio, Jun tirò un
enorme sospiro si sollievo e fu lei per quella volta a trascinare
Kazuya in camera da letto per poter risentire le sue mani sulla pelle.
Fu Jun a condurre il gioco e fu lei a spingere Kazuya sull’orlo
della pazzia quella notte, mentre lui invocava il suo nome.
Mentre lei dormiva esausta, il sole già alto nel cielo, per la
prima volta Kazuya rimase nel letto con lei, ammirandola mentre dormiva
e non sapendo spiegare lo strano sentimento che gli gonfiava il cuore e
gli seccava la gola.
Da qualche giorno rimaneva accanto a lei anche dopo la notte, fino a
che il sole non splendeva nel cielo, ma Jun, esausta per i
combattimenti che si facevano sempre più ardui, continuava a
dormire anche oltre mezzogiorno e non si accorse del cambiamento.
Un giorno, mentre Kazuya le accarezzava la fronte delicatamente,
aprì di soppiatto gli occhi e si beò delle carezze
inattese.
Dopo qualche minuto aprì gli occhi:- Sei rimasto.- Era stupita,
era abituata a trovare il letto vuoto quando si svegliava.
Kazuya distolse lo sguardo quasi adorante dal viso di lei prima che se ne accorgesse e sospirò:- Lo so.-
Non aveva intenzione di rivelargli che quell’abitudine procedeva da oltre una settimana.
- Perché?- Kazuya maledisse la curiosità femminile e si apprestò ad alzarsi.
- No, fermo…- Jun lo prese per mano e delicatamente lo
tirò di nuovo sul letto, salendo a cavalcioni su di lui
completamente nuda.
- Jun…non ti conviene…- disse lui accarezzandole la
schiena e avvicinando le labbra a quelle della ragazza, che prontamente
si scostò fissando i suoi occhioni neri in quelli bicolori di
lui.
- Kazuya, perché sei rimasto?- Jun lo chiese di nuovo,
accarezzando la guancia dell’uomo con la punta delle dita. Il suo
cuore si era fermato, in attesa della risposta che l’avrebbe
fatta felice o che l’avrebbe distrutta.
Kazuya non riusciva a distogliere lo sguardo, schiavo di quello profondo di Jun.
‘Cazzo, io…non so cosa dire…’
Jun appoggiò il viso sul petto nudo di Kazuya, ascoltando il
battito leggermente accelerato del cuore e chiudendo gli occhi,
speranzosa.
Prese un profondo respiro:- Ti capirei se dicessi che rimani qui per
fare sesso con me…ma spero in un’altra risposta
perché…io ti amo.-
Jun sospirò ‘Sì, lo amo davvero.’
Dopo averlo detto si sentì rinfrancata, ora almeno era stata
sincera con se stessa e con l’uomo che ora fissava il vuoto
pietrificato.
Kazuya lasciò cadere le braccia che avvolgevano la donna e Jun
lo prese come un chiaro segno di rifiuto. Soffocando le lacrime e il
rumore rimbombante del proprio cuore che si spezzava, baciò
disperata Kazuya, portandolo sopra di lei e avvolgendo le gambe contro
il suo ventre.
Kazuya, confuso, il cuore immobile, si lasciò guidare dalla
tangibile disperazione della donna, che dopo l’amore lo
lasciò chiudendosi in bagno.
Jun si buttò sotto la doccia e scoppiò in un pianto a
dirotto, alzando al massimo il getto d’acqua perché
soffocasse il rumore della sua tristezza.
Rimase in piedi, ferma sotto il getto d’acqua, piangendo, mentre Kazuya, sgomento, si rivestiva e se ne andava.
Kazuya combatté più valorosamente del solito quella
settimana. Sfogava la sua rabbia e una sorta di preoccupazione nei
calci e nei pugni che puntualmente stendevano l’avversario dopo
pochi minuti.
Da quella breve chiacchierata, Jun non l’attendeva più
dopo gli incontri e chiudeva a chiave la porta della sua camera. Altre
volte, invece, capitava che facessero sesso, ma Jun stava in silenzio
trattenendo qualsiasi gemito e rifugiandosi poi in bagno o sul balcone
dopo l’amplesso.
I suoi occhi erano più neri del solito e aveva profonde occhiaie
violacee. Se Kazuya fosse stato più avvezzo al mondo della
tristezza e della sensibilità femminile, avrebbe capito che
erano per il troppo pianto.
Le sue labbra erano sempre tese come se volessero bloccare un
rimprovero, o un singhiozzo. Si aggirava come uno zombie, o meglio,
come uno spettro silenzioso e capitava di rado che si incrociassero a
pranzo.
Il rendimento di Jun nei combattimenti era calato di molto:combatteva
ormai solo per proseguire l’indagine di Heihachi, non per
orgoglio personale.
Le sue mosse si erano fatte prevedibili e meccaniche, abbastanza
inefficaci su avversari esperti. Per fortuna, tutti gli incontri
disputati da quella mattina erano stati semplici.
Aveva preso l’abitudine di alzarsi molto presto la mattina,
quando ancora tutti dormivano, e allenarsi lo stretto indispensabile.
Lo stesso valeva per il cibo:Kazuya non l’aveva mai vista con
più di una mela o un’insalata. Era follemente preoccupato.
Quando arrivò in mensa la notizia che Jun era svenuta nei
corridoi per abbassamento drastico della pressione e che ora era in
infermeria affidata alle cure del medico sportivo, Kazuya strinse i
denti e si obbligò a finire la tazza di thè per non
destare sospetti.
Si alzò con finta tranquillità, silenzioso e impassibile
come sempre, ma appena fuori dalla mensa percorse i corridoi frenetico
fino a trovarsi di fronte alla porta rossa dell’infermeria.
La spalancò, sollevato del non trovarvi il dottore.
Jun era distesa sul lettino, addosso ancora i vestiti sudati
dell’allenamento. Indossava una canotta nera e un paio di
pantaloncini che evidenziavano la magrezza scheletrica delle sue gambe.
Il viso, contratto nella solita espressione apatica, guardava con aria
assente fuori dalla finestra del settimo piano, i capelli raccolti
dalla classica fascia bianca.
- Ciao.- fu la cosa migliore che Kazuya seppe dire.
Jun girò il capo con lentezza esasperante verso di lui e sollevò impercettibilmente le sopracciglia.
- Se sei venuto per scopare, sappi che non mi sento bene.- disse lei
con voce incolore, usando parole scurrili che di solito non usava mai.
Kazuya sentì una rabbia feroce montargli dentro, combattuto tra
il desiderio di andare contro i suoi principi e picchiare una donna
indifesa e l’impulso di baciarla.
- Sei una stronza.- l’insulto che uscì dalla sua bocca fu pronunciato con un tono sdegnoso e incazzato.
- Ripeto, se sei venuto per quello che penso, puoi andartene, sto male.- rispose Jun stringendo i pugni.
L’immagine di Jun, pallida e esile, che brandiva ostinata i pugni
contro di lui in un’infermeria ebbe l’effetto di far
avvicinare Kazuya al lettino di lei con un’idea precisa in mente.
La prese per le spalle e la alzò dal lettino, baciandola con prepotenza.
Jun rimase scioccata ma ebbe un briciolo di forza per scostarsi e dargli un debole schiaffo.
Kazuya la lasciò andare e Jun ricadde sul letto come una marionetta con i fili tagliati.
Dentro di lei, il suo cuore le dava della stupida, urlandole di
buttarsi su di lui e baciarlo, perché lei l’amava,
l’amava ancora più di se stessa, e quei giorni senza di
lui erano stati un’agonia e quando avevano fatto sesso aveva
dovuto trattenere urli di gioia perchè poteva riaverlo tra le
braccia.
Trattenne le lacrime che in quei giorni le avevano segnato il volto:- Vattene.-
Kazuya rimase immobile, cercando le parole per dirle che anche lui
l’amava, l’aveva sempre amata e che vederla ammalata e
triste gli straziava il cuore. Ma non le trovò, mentre
l’immagine di Heihachi che rideva arrogante gli riempiva la
mente, dandogli del debole, dell’inutile.
L’uomo abbassò la testa e se ne andò in silenzio,
lasciandosi alle spalle i cocci del povero cuore di Jun, già
spezzato e maltrattato a dovere nella settimana precedente.
La donna crollò sui cuscini e chiamò a bassa voce il
medico, chiedendogli un ansiolitico e un sonnifero per poter annegare
il dolore nel sonno.
L’unica cosa positiva in quella settimana orribile fu che Jun trovò un amico.
Lei Wulong, il poliziotto di Hong Kong che lei aveva saputo battere con
tanta facilità, decise di rimanere per assistere agli incontri
e, quando seppe che la sua vecchia avversaria Jun Kazama era in
infermeria, decise di andare a trovarla.
Jun, sospettosa, riuscì a sciogliersi di fronte alla parlantina
simpatica del poliziotto dalla coda corvina e dopo giorni riuscì
perfino a sorridere.
Dopo qualche giorno, Lei diventò un habitué
dell’infermeria, dove Jun rimase per fare qualche analisi di
routine.
Nel mezzo delle loro chiacchiere, Jun scoprì che anche Lei era
stato mandato all’Iron Fist per indagare su Heihachi Mishima e si
offrì di aiutarlo a scoprire informazioni preziose.
Grazie all’amicizia e al supporto di Lei, Jun riuscì a
ristabilirsi e fu sempre grazie a lui che ricominciò ad
allenarsi con più entusiasmo.
Era mattina e nella mensa si udiva un chiacchiericcio indistinto:nel pomeriggio sarebbero iniziate le tanto attese semifinali.
Lei trangugiò in fretta la sua scodella di noodles, affamato:- Sfono bfuonishimi!-
- Lei, fai schifo! Sono le otto di mattina e mangi spaghetti di soia.
– rispose Jun addentando una fetta di pane tostato. Quando era
con lui riusciva a mangiare con più appetito, senza rischiare di
vomitare il cibo che le si bloccava nello stomaco come un mattone
indigesto.
Lei fece una battuta a proposito delle abitudini culinarie dei cinesi e
Jun scoppiò a ridere, scostandosi una ciocca ribelle dalla
fronte.
Da lontano Kazuya seguiva il dialogo con i pugni talmente chiusi
attorno alla solita tazza di thè da rischiare di sbriciolare la
porcellana. I suoi occhi furenti erano fissi sul volto ridente di Jun e
sulla nuca del fottuto cinese.
Bevve un sorso di bevanda con un gesto secco e picchiò la tazza sul tavolo, digrignando i denti.
Vederla così felice lo faceva sospirare di sollievo, ma vederla
felice con un altro aveva il potere di mandarlo fuori di testa. Ebbe
come un lampo di Jun nuda e arrossata sotto di lui che cercava i suoi
baci e il solo pensare che potesse essere così anche con Lei lo
mandava in bestia.
Si alzò di scatto e uscì dalla mensa furibondo, rifugiandosi all’ultimo piano del grattacielo per allenarsi.
Sfortuna volle che fosse programma anche di Jun e Lei allenarsi insieme
quella mattina e così, poco dopo, la porta di aprì
rivelando Jun che rideva accanto al poliziotto.
- Iniziamo con un po’di yoga, ti farebbe bene imparare a
sciogliere quei muscoli, perdente.- disse Jun con voce volutamente
sarcastica facendo l’occhiolino a Lei.
- Tu invece non ne hai bisogno, eh, Jun?- rispose Lei.
Jun sbuffò dandogli una spinta:- Idiota.-
Kazuya assistette alla conversazione in disparte, mordendosi le labbra
per non spaccare la faccia al moro. Diede un colpo fin troppo poderoso
al sacco da boxe, mandandolo a terra e rivelando la sua presenza.
- Ah, Kazuya, ci sei anche tu…non ti disturbiamo vero?- chiese
Lei gentile. Jun lo fissò titubante, lo sguardo rannuvolato.
Kazuya negò e rimise apposto il sacco, ritornando a tempestarlo
di pugni. Osservò Jun e Lei fare qualche esercizio di yoga,
anche se i due non stavano in posizione per molto tempo a causa delle
battute di Lei che avevano il potere di fare perdere la concentrazione
a Jun.
La ragazza crollò a terra sbellicandosi dalle risate:- Smettila, idiota, non riesco a concentrarmi!-
Lui sorrise, chinandosi su di lei:- Sei buffa, non è colpa mia, sembri un cane con tre zampe.-
Jun sorrise e diede la mano a Lei per rialzarsi, mentre il ragazzo le sussurrava qualcosa all’orecchio.
Kazuya rispedì al tappeto il sacco per poi uscire sul balcone per schiarirsi le idee.
Vederla così felice, sorridente, serena mentre rideva con un
altro lo faceva impazzire e quando prima Lei si era chinato su di
lei…beh, era un miracolo che fosse ancora vivo. Se
l’avesse baciata Kazuya non avrebbe risposto delle sue azioni.
Si prese la testa tra le mani, gli avambracci appoggiati sul parapetto della terrazza.
Jun lo faceva sentire bene, lo faceva sentire in un modo che non aveva
mai provato nei bordelli o con le compagne che aveva trovato e provato
occasionalmente in anni di vita solitaria.
Tutto di lei lo infiammava, il suo sorriso, i suoi capelli, i suoi
occhi, il suo corpo, le sue mani…se pensava a lei sentiva
ribollire il sangue.
Quando era con lei non pensava a Heihachi, ai problemi, al patto con
Devil. Anzi, quando era con lei Devil sembrava non essersi mai
manifestato, assopito dentro il suo petto come una fiera in letargo.
Sospirò con la testa tra le mani:già, Heihachi. La
fine del torneo si avvicinava e lo scopo primo per la quale vi aveva
partecipato si stava approssimando:avrebbe finalmente ucciso suo padre
e preso il comando della Mishima Zaibatsu.
- A che stai pensando, Kazuya Mishima?- chiese una voce maschile alle sue spalle.
Kazuya si voltò e vide l’odiato viso del poliziotto ciarliero intento ad osservarlo.
- Non sono cazzi tuoi, Wulong.- rispose bruscamente.
Lei rise e si avvicinò a Kazuya:- Tu non mi piaci Mishima,
nemmeno un po’. Non mi piaci tu come non mi piace tuo padre e
come non mi piace il tuo fratellastro Lee Chaolan. Ma di una cosa te ne
devo dare atto:c’è una persona in questo torneo, una
persona speciale, una donna bellissima e meravigliosa, affettuosa e
sincera, che tu hai saputo far innamorare.-
Kazuya lo fissò, un’espressione che poteva far invidia a un punto interrogativo.
- Jun, so che sai di chi sto parlando, è una persona fantastica,
ha ed è tutto ciò che un uomo può
desiderare…e lei ti ama ancora Kazuya, lo so. Non mi ha detto
nulla di voi, non so e non voglio sapere cosa è successo, ma il
mio è un consiglio:riprenditela.-
- Wulong, tu…-
- Non dirmi di farmi i cazzi miei perché Jun è una
persona splendida ed è mia amica. Non voglio che un bastardo la
faccia soffrire, ne ho già viste di storie così e non
sono per niente belle. Se hai dei problemi ad ammettere il tuo amore
con te stesso, almeno non averli ad ammetterlo con lei.-
Il discorso del poliziotto lasciò Kazuya basito. Aveva ragione, cazzo, ne aveva da vendere!
Il moro rientrò in palestra e aprì la porta dello spogliatoio femminile nell’impeto della passione.
Una delle docce era aperta, si sentiva il rumore dell’acqua.
Kazuya si spogliò e si infilò nella doccia aperta,
facendo voltare di scatto Jun e non lasciandole nemmeno il tempo di
spaventarsi:la sollevò e la baciò con un tale ardore da
lasciarla senza fiato.
La ragazza arrossì ma Kazuya non le lasciò nemmeno il tempo di pensare e si unì a lei.
Fecero l’amore nella doccia, sotto l’acqua bollente, e
Kazuya sperò che Jun avesse capito. Mise nei suoi baci tutta la
rabbia per non avere il coraggio di dirle quello che provava, la
preoccupazione di quei giorni, la gelosia nel vederla parlare con Lei
Wulong…la lasciò senza respiro e senza pensiero, con il
cuore rotto e il fiato corto, a domandarsi perché, su tutti gli
uomini, aveva dovuto innamorarsi proprio di Kazuya Mishima.
Era passata una settimana e, sebbene i due non avessero ancora chiarito, una sorta di pace si percepiva tra loro.
Jun aveva deciso di dedicarsi alle ricerche con più fervore in
occasione delle finali, anche se non era l’unica cosa che le
occupava la mente al momento:tra pochi giorno l’Iron Fist sarebbe
finito e lei non avrebbe probabilmente più visto Kazuya.
Il pensiero di non vederlo più tutti i giorni, di non sentire
più le sue mani e i suoi baci su di sé la deprimeva e al
contempo la infiammava:gli aveva già dichiarato il suo amore,
perché lui aspettava ancora?
Jun sperava di aver ben interpretato il messaggio di Kazuya sotto la
doccia negli spogliatoi femminili giorni prima ma non ne era sicura al
cento per cento. Il dubbio che Kazuya non l’amasse, che la
volesse perché riusciva a sedurlo ed appagarlo si insinuava
nella sua mente nei momenti di pausa dall’allenamento.
Jun cercava di respingerli con fermezza, imponendosi di avere fiducia in Kazuya.
D’altra parte, doveva averne:stava per succedere una cosa che,
Jun lo sentiva, era destinata a unire la sua vita a quella
dell’uomo per sempre.
Era seduta sul letto a gambe incrociate, esaminando tabulati di
intercettazioni telefoniche della polizia di Hong Kong passatele da
Lei, che giaceva sdraiato accanto a lei, quando qualcuno bussò
alla porta.
Lei andò ad aprire, trovando un pretesto per scostarsi da quelle
noiose indagini, e si ritrovò davanti la sorridente
capo-infermiera del palazzo. Gli sorrise e mesta gli porse una
cartelletta gialla raccomandandogli di darla a Jun Kazama.
Lei la ringraziò e dedicò uno sguardo incuriosito alla
cartella, che sembrava potesse parlare da un momento all’altro,
per poi darla a Jun.
- Le analisi che ti hanno fatto l’altra settimana…-
- Grazie, mettile sul comodino.- disse Jun distratta sottolineando una
conversazione telefonica di Heihachi che pareva compromettente.
- Dovresti dargli un’occhiata…magari hai una qualche
strana malattia.- disse Lei sovrappensiero scompigliandole i capelli.
Jun gli gettò un’occhiata sarcastica:- Grazie per l’incoraggiamento.-
Prese la cartelletta che il cinese le porgeva con un sospiro e iniziò a leggere le analisi del sangue.
- Beh, sembra tutto normale…e l’urina…- la voce le
si ruppe quando arrivò ad una scritta che normalmente non
avrebbe dovuto trovarsi su un normale esame di routine.
Lasciò cadere i fogli sul letto, portandosi una mano alla bocca.
- Lei…- gorgogliò lei, gli occhi lucidi, come se quel nome fosse un’ancora di salvataggio.
- Jun! Che hai? Cosa c’è?- chiese Lei preoccupato prendendole le mani.
Jun abbassò lo sguardo per poi rialzarlo spaventata, come un
coniglio davanti ai fari di un’auto, verso gli occhi scuri
dell’amico.
- Lei…sono incinta.-
Lei le lasciò le mani per un momento, sconvolto, per poi riprenderle subito e stringerle con forza.
- Jun…è di chi penso io?- lo sguardo di Lei non lasciava dubbi:lui sapeva.
- Sì, è suo.- confermò Jun. Gli si gettò
tra le braccia e la tensione accumulata in giorni di stanchezza, stress
e pianto esplose, facendola gemere come una bambina.
- Lei…io…non so cosa fare…lui non mi ama…- sussurrò, il viso sepolto nel petto del moro.
Lei gli prese il viso con due dita, alzando il suo sguardo verso di
lui:- Ehi…non ti preoccupare, tranquilla…lui ti ama.-
- Come fai a saperlo? Non me l’ha mai detto…-
- Kazuya è un tipo di poche parole. E’arrogante,
scontroso, perennemente incazzato, ma è un uomo leale…se
glielo dirai sono sicura che saprà fare il meglio per te.-
Jun sospirò afflitta e ringraziò Lei, assicurandogli che
aveva bisogno di un po’di riposo e di rimanere da sola. Quando
Lei se ne fu andato, si distese sul letto, fissando il soffitto con gli
occhi gonfi di lacrime.
‘Non mi vorrà mai nemmeno se mi ama…lui sa che il
suo destino è legato a quello di suo padre…l’amore
non può soffocare il desiderio di vendetta.’ pensava
risoluta Jun. L’idea di dirlo a Kazuya non l’aveva sfiorata
nemmeno.
Portò una mano sulla pancia e sfiorò la pelle tesa e soda del ventre.
‘Sarà figlio di un amore a senso unico…una madre
troppo desiderosa di amare e un padre troppo preso dal suo
rancore.’ per un attimo il pensiero di sbarazzarsi del bambino le
passò per la mente, ma Jun lo scacciò.
In quanto guardia forestale, si era fatta carico della salvezza e del
benessere di tutte le creature viventi e come poteva non esserci tra
queste un bambino indifeso? E poi era il figlio di Kazuya…non
era solo suo, avrebbe avuto due genitori. Aveva due genitori.
Jun decise in quel momento la strada che avrebbe dato alla sua vita
d’ora in poi:in una piccola stanza d’un grattacielo
sperduto nel centro di Tokio, in prossimità delle finali di un
torneo di arti marziali che avrebbe cambiato le sorti di molte vite,
Jun Kazama decise di tenere il bambino e di crescerlo come meritava,
facendolo sentire amato e protetto. Non l’avrebbe mai abbandonato.
Jun prese un sospiro profondo e afferrò la cartella gialla con il proprio nome, decisa a dare le dimissioni dal torneo.
I giorni seguenti furono abbastanza noiosi. La cosa più seccante
fu la conferenza stampa indetta per informare il mondo che Jun Kazama,
l’abile e bella karateka giapponese, dava forfait e lasciava il
suo posto al poliziotto Lei Wulong, precedentemente eliminato dal
torneo.
Molti combattenti rimasero delusi, altri sorpresi, ma il più
stupito di tutti fu Kazuya, che raggiunse Jun la sera che la ragazza
aveva deciso di andarsene.
Jun era di fronte alle porte di vetro scorrevole del grattacielo, in
attesa della macchina che l’avrebbe portata
all’aeroporto:sulle spalle un semplice giubbotto e accanto la
borsa nera con la quale Kazuya l’aveva vista la prima volta che
si erano incontrati. Anzi, la seconda.
Kazuya la osservò da dietro, desiderando poter dare forfait
anche lui e andarsene con lei, sebbene non capisse cosa la spingeva a
ciò. Le cause ufficiali erano un ‘malessere
passeggero’ e la volontà della combattente a ‘non
proseguire gli incontri per motivi personali’.
Jun non si girò quando il rumore delle porte la avvertì
che qualcuno era dietro di lei e nemmeno quando sentì una mano
pesante sulla propria spalla.
- Allora arrivederci, Kazuya.- disse, deglutendo per scacciare il groppo alla gola.
- Jun…guardami.- forse fu la cosa più romantica che
Kazuya le ebbe detto. Jun si girò e Kazuya la abbracciò,
cingendo quelle piccole spalle e la schiena magra con forza.
Le mani dell’uomo corsero al viso della ragazza e lei lo
guardò con gli occhi lucidi e incantati, mentre l’uomo
posava le labbra sulle sue.
Fu un bacio lento e lunghissimo, incredibilmente dolce. Kazuya poteva
sentire le ciglia di Jun sfiorargli il volto e si costrinse ad
imprimere il ricordo delle morbide labbra della ragazza nella propria
memoria.
Il bacio fu interrotto dall’arrivo della macchina nera che avrebbe scortato Jun all’aeroporto.
- Allora addio.- disse Jun, soffocando le lacrime impellenti.
- Ti amo.- Kazuya riuscì a dirlo solo al vento, quando la macchina era ormai partita.
Jun chiese ed ottenne un lavoro d’ufficio a Kyoto e vi si trasferì carica di aspettative.
La mancanza di Kazuya, solo di pochi giorni, si faceva già
sentire e la donna aveva intenzione di tenersi informata sulle sorti
dell’uomo che l’aveva fatta innamorare.
La prima cosa che comprò per il nuovo appartamento fu un piccolo
televisore e la prima cosa che ricevette per posta fu il giornale
ufficiale di Tokio.
Jun si sedette sul divano, una tazza di thè fumante tra le mani, e lesse la prima pagina con uno strano presentimento.
‘HEIHACHI MISHIMA TRIONFA ANCORA:E’LUI IL NUOVO CAMPIONE
DELL’IRON FIST.’ diceva la scritta a caratteri cubitali.
Jun sospirò e posò il giornale:Kazuya era vivo, non era morto, era impossibile.
L’avrebbe percepito se fosse morto, ne era sicura. Tra
l’altro, il giornale riportava la cronaca del cruento scontro
finale tra padre e figlio, sperticandosi in lodi sulla straordinaria
tecnica di combattimento di Heihachi. Kazuya era ferito, ma era vivo.
‘E questo non fa altro che alimentare la sua sete di
sangue.’ pensò Jun sconsolata, appoggiando una mano sul
ventre leggermente arrotondato.
Finchè non avrebbe ucciso Heihachi, Kazuya avrebbe continuato a
sfidarlo e a combattere per vederlo morire:la creatura assopita in lui,
di cui lei conosceva l’esistenza, avrebbe continuato ad
accrescersi, nutrendosi dell’odio e del rancore dell’uomo.
Kazuya non era cattivo, era solo un uomo condannato a vivere da solo con il suo odio, incapace di esprimere amore.
‘Nemmeno io ho potuto aiutarlo…’ pensò Jun,
inconsapevole del contrario, accarezzandosi la pancia ‘…ma
tu crescerai lontano da tuo padre e io ti proteggerò,
difendendoti come Heihachi avrebbe dovuto fare con Kazuya da
piccolo.’
La nascita del bambino fu un evento particolare.
Jun ebbe le doglie una mattina fredda e limpida e si presentò
assolutamente tranquilla all’ospedale da sola, in totale
autonomia. Con sé, solo una borsa nera con un pigiama e qualche
ricambio.
- Sto per partorire.- annunciò tranquillamente ad una sbalordita
infermiera dell’accettazione, come se stesse chiedendo
dov’era il bagno.
I medici, sorpresi di fronte all’autocontrollo della donna,
constatarono però che Jun aveva ragione e che la dilatazione
aveva quasi raggiunto i dieci centimetri.
Fu allora che Jun radunò le sue forze da energica combattente e
le concentrò in poche e decise spinte:il bambino, un piccolo
alieno ricoperto di sangue, uscì da lei e scoppiò in un
pianto disperato, gli occhi aperti e curiosi. Le infermiere si
complimentarono con lei ancor prima che lo vedesse, dicevano che aveva
un aspetto forte, sano e perfino intelligente.
Quando lo deposero sul suo seno, Jun dovette trattenere le lacrime per
la seconda volta in vita sua:quel miracolo, quel fagottino azzurro
caldo e solido tra le sue braccia fu da quel momento la sua ragione di
vita.
La donna constatò con sollievo che non aveva gli occhi bicolori
del padre ma aveva ereditato i suoi, grandi e neri, il suo stesso naso
dritto e le orecchie piccole e delicate.
Il viso infantile aveva invece gli stessi lineamenti decisi del padre,
un piccolo mento a punta e una bocca morbida che si distorceva spesso
in poderosi sbadigli.
Jin, questo il nome del bambino, crebbe sano e forte in un clima di
grande intimità famigliare:Jun era l’unica persona della
sua vita, padre e madre, nonno e nonna, fratello e sorella, e fu non
solo una maestra di vita ma anche una grande amica ed una madre
affettuosa e giusta.
Jun gli insegnò a leggere e scrivere, inorgoglita dalle veloci
capacità di apprendimento di Jin, e lo iniziò al karate
stile Kazama, sempre e puramente come passatempo, mai come occupazione
principale. Voleva che Jin rimanesse lontano dal mondo della lotta e
specialmente dell’Iron Fist perché non voleva che Kazuya,
che certamente continuava a parteciparvi, riconoscesse in lui un figlio
che non sapeva di aver concepito.
Jun seguiva i tornei e i continui scontri tra Kazuya e suo padre, che
da lotte di famiglia erano diventati una vera e propria guerra aperta,
e, quando seppe che gli affari poco ortodossi della Mishima alla quale
stava indagando quando aveva conosciuto Kazuya avevano riportato in
vita forza sovrannaturali non controllabili, si era rifugiata
nell’isola di Yakushima.
Quell’isola era diventata il ‘paradiso felice’ di lei
e del piccolo Jin che continuava a crescere, assomigliando ogni giorno
sempre più, per aspetto fisico e carattere, al padre.
Il ragazzo aveva un’inclinazione naturale per il karate e Jun,
sebbene si ostinasse a ribadire che la lotta non doveva diventare la
sua unica ragione di vita, continuava a insegnargli ciò che
sapeva rendendolo un discepolo incredibilmente forte ed equilibrato.
I due vissero insieme e si vollero un bene dell’anima per
quindici anni, finchè sull’isola di Yakushima, dopo anni
di quiete e serenità, arrivò Ogre, il signore della
guerra, e portò con sé devastazione e terrore, uccidendo
l’unica donna che Kazuya Mishima e Jin Kazama avrebbero mai amato
per sempre.
Bene, una storia piuttosto impegnativa.
La
nascita e la fine del grande amore misterioso tra Jun Kazama e Kazuya
Mishima, quel grande amore che ha dato vita a Jin Kazama e ha
perpretato la saga di Tekken per altri innumerevoli anni (con buona
pace dei suoi fans).
Mi ha
sempre affascinato la storia tra questi due personaggi così
distinti e controversi ed era un mio grande desiderio dare una versione
dei fatti plausibile.
Fatemi
sapere se vi entusiasma o anche solo vi fa storcere il naso dal
disgusto perchè è il 'prequel' diciamo dell'altra mia ff
su Tekken 'La tigre e il dragone'. Rimanendo in tema, ho dato il via
appunto alla serie 'Animals' e queste due non saranno le uniche ff che
vi rientrano:cercherò di caratterizzare ogni personaggio con un
animale e di scrivere su di esso. O comunque sulle coppie o i singoli
che mi interessano di più.
Grazie per la pazienza se siete giunti fino a questo punto!
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