Note: Questo è il seguito de
"La triste storia del fantasma folle e idiota". Spero vi piaccia <3
Alexiel.
Il punto
I fantasmi, a Latowidge, non c'erano e non ci sarebbero mai stati,
checché ne dicesse quel manipolo di studentelli frivoli e dediti ad
attività tra cui sicuramente non figurava lo studio di materie e
argomenti retti da logica e buonsenso.
I fantasmi, a Latowidge come nel resto del mondo, erano pura e
semplice fantasia. Anche quelli idioti e folli.
Chiarito questo punto, Elliot Nightray sbuffò irritato, come se la
sola eco lontana delle risatine dei ragazzi del suo corso di
letteratura inglese e quella degli schiamazzi mezzi spaventati e
mezzi giulivi delle ragazze fossero un suono così fastidioso da
turbare la sua quiete. Anche in biblioteca, il luogo più sacro e
silenzioso di quel posto, era possibile che Elliot perdesse la
pazienza e desse di matto per qualcosa di flebile come un'eco.
Lo sbuffo si trasformò in un sospiro sconsolato mentre allentava il
nodo della cravatta e stendeva le gambe fasciate dal pantalone bianco
della divisa sotto il tavolo; si lasciò scivolare sulla sedia e, di
nuovo influenzato da un pensiero stupido come l'idea che qualcuno
potesse vederlo in quella posizione poco ordinata e conveniente a un
ragazzo del suo rango, si guardò intorno per assicurarsi di essere
solo. Poi si tranquillizzò: certo che sì. Le lezioni erano
terminate, era bel tempo ed era sabato. Tendendo le orecchie poteva
quasi sentire l'eco del silenzio provenire dai corridoi deserti della
scuola e rabbrividì per un attimo. Premurandosi di mandarsi al
diavolo da solo, Elliot si rilassò come meglio poté sulla sedia e
aprì il suo libro.
Era stato Leo a consigliarglielo la sera prima, dicendogli che
l'avrebbe certamente trovato interessante, soprattutto se l'avesse
letto dopo le lezioni; inutile indagare sulle motivazioni che
l'avevano indotto a consigliarlo proprio in quella maniera, non ne
avrebbe cavato un ragno dal buco.
Accarezzò le pagine con le dita e cominciò a scorrere l'indice:
Capitolo I: La malinconia del fantasma
Capitolo II: Sussurri spettrali
Capitolo III: La maledizione del fantasma
E cosi via.
Elliot aggrottò la fronte e strinse gli occhi a due fessure.
Fantasmi. Quei cosi incorporei che non esistono e di cui avrebbe
sentito parlare per molte notti e molti giorni reprimendo a fatica
l'istinto di uccidere qualcuno e dimostrargli, in fretta e con la
semplice praticità della sua spada, che i fantasmi non esistono. E
che se fossero esistiti lui si sarebbe premurato di farli a fettine e
poi di polverizzarli in maniera così fine che nessuno avrebbe mai
potuto ricomporli, fosse anche un essere divino e soprannaturale,
perché una cosa era ammazzare qualcuno per scempio alla logica e
alla ragione, un'altra ammazzare la prova che in fondo la ragione –
la sua, in particolare – non fosse poi così infallibile. E no, a
Elliot non piaceva perdere la facoltà di avere ragione.
“Il libro è di tuo gusto?”
Una voce seria e pacata alle sue spalle e una sensazione di solletico
al viso.
Il mento di Leo era finito chissà come sulla sua spalla e i suoi
occhi, nascosti dagli spessi occhiali, erano pieni di una
soddisfazione così evidente alla mente di Elliot che erano quasi
perversi. I capelli lunghi e neri provocavano il solletico alla
guancia e al naso, ma represse anche lo stimolo dello starnuto e si
voltò di scatto.
“LEO!” urlò Elliot, un po' per la sorpresa e un po' per la
rabbia trattenuta a stento. Si grattò il naso per far sparire anche
quel senso di fastidio e Leo lo trovò buffo, ma fu abbastanza saggio
da tenersi quel pensiero per sé.
“Ho sempre pensato che la tua capacità di sdrammatizzare e passare
sopra le cose non avesse seguito lo stesso sviluppo del tuo senso
critico.” spiegò tranquillamente il ragazzo.
Elliot boccheggiò, alla ricerca delle parole giuste, e lanciò uno
sguardo di furia prima al libro ora abbandonato sul tavolo e poi
all'artefice di tutto.
“SDRAMMATIZZARE E PASSARE SOPRA?! NON PARLARMI DI PASSARE SOPRA!”
alla fine decise di citare la parte del discorso che gli era sembrata
più assurda. Non si poteva passare sopra a una cosa del genere. I
fantasmi! Per favore. Se avesse visto un'altra ragazza guardare
dentro uno sgabuzzino segni di catene trascinate o di occhi scuri e
profondi come pozzi infernali avrebbe dato di matto. Non ce la
faceva, era più forte di lui. Là fuori c'erano cose ben più
spaventose di esserini inesistenti e lui lo sapeva. Non sapeva cosa
fossero con precisione, ma di certo avrebbe provocato ben più di
risolini impauriti. Loro probabilmente non ne avevano idea – perché
mai qualcuno dovrebbe pensare che fuori dalla porta di casa propria
si nasconde un male così immensamente grande da poterlo inghiottire
in un istante? – ma non poteva giustificarli per la loro mancanza
di conoscenza e di consapevolezza se la compensavano con stupidità e
superficialità.
E, tra le altre cose, proprio Leo, LEO, veniva a rimproverarlo di una
cosa del genere. La settimana scorsa l'aveva mandato a gambe all'aria
con una cuscinata – ringraziando il cielo si trattava di un
cuscino, appunto, e non di qualcosa di più pericoloso e pesante –
perché aveva tirato via – per sbaglio – dal suo libro il
segnalibro. Ma era stato un caso: Elliot pensava che il segnalibro
fosse la sua pagina di appunti di Storia. Ed era buio. Ma guarda un
po', i capelli di Leo si erano trasformati in una massa di serpenti e
i suoi occhi avevano brillato minacciosi dietro le lenti, illuminate
sinistramente dalla poca luce nella stanza, e poi una cuscinata gli
aveva fatto fare una capriola all'indietro sul letto e mandato di
sedere per terra. Anzi, non per terra, ma sui suoi veri appunti di
storia.
“Io mi preoccupo di non passare sopra a fatti concreti e
personali. Tu scateni l'inferno per faccende frivole e che non ti
riguardano.” continuò a spiegare Leo.
Era ancora tranquillo, come se volesse davvero che Elliot lo
ascoltasse. In breve: non stava cercando di scaraventarlo, per
esempio, contro uno scaffale pieno di libri.
Elliot, a volte, preferiva quegli episodi violenti alle ramanzine
pacate e istruttive che Leo gli propinava. Accidenti a lui. Accidenti
a lui e al fatto che alla fine lo stava pure a sentire. E più lo
stava a sentire, più si sentiva, stranamente, meglio.
“Frivole...” commentò acido.
Si sedette di nuovo sulla sedia e poggiò un gomito sul bracciolo
imbottito della stessa. Con la mano si sosteneva il mento e guardava
l'amico, l'espressione corrucciata e lo sguardo pieno di pensieri e
riflessioni.
“Passeranno, e il mese prossimo tutti avranno dimenticato i
fantasmi. Lasciali divertire.”
Vivi e lascia vivere. Elliot aveva afferrato, ma proprio non gli
riusciva di mettere in pratica il concetto. Per questo c'era Leo
vicino a lui, con lui, per lui. Anche in momenti come quello, quando
per insegnargli a vivere in maniera un po' più sana sia per lui che
per il resto del mondo, finiva per farlo procurandogli un grosso mal
di testa e facendo passare tutto per una grande presa in giro. Un
libro di fantasmi. Sul serio!
Non sapeva se fosse diabolico o se semplicemente gli venisse
spontaneo. Probabilmente era qualcosa a metà delle due possibilità.
“Per esempio?”
“Scusa?”
“A che cosa ricorreranno la prossima volta per dimostrare la loro
idiozia?”
Leo scrollò le spalle e sospirò. Elliot non sospirava così, come
faceva Leo. Lui sembrava infinitamente più leggero, come se si
scrollasse dalle spalle polvere di stelle. Eppure, al tempo stesso,
sembrava immensamente solo e isolato mentre quella polvere ricadeva
nel vuoto, e spariva sotto i suoi piedi. A quel punto sentiva dentro
di sé il desiderio di poggiare le mani sulle spalle dell'amico e
smuoverlo, scuoterlo, fino a renderlo più vicino. Eppure lui era lì
e non lo faceva mai sentire solo; era questo che Elliot detestava.
Perché in sua compagnia non si sentiva mai solo? E perché, stando
con lui, aveva l'impressione di Leo fosse circondato di solitudine? A
volte pensava che non fosse di quel mondo, ma era di sicuro la
persona che meglio di tutte riusciva a trattenerlo con i piedi per
terra proprio lì, in quello stesso mondo. Allora non era più
importante chi fosse o chi non fosse: se gli fosse importato non
l'avrebbe di certo scelto per diventare suo servo e amico.
Abbassò lo sguardo e con la mano coprì le labbra. Con Leo
raggiungeva chiarezza e confusione al tempo stesso. Era come guardare
un cielo pieno di nuvole: Elliot sapeva bene che dietro le nuvole
c'era l'azzurro, ma qualcosa, come un'interferenza, uno strano
solletico alla ragione, gli insinuava il dubbio. E se invece non
fosse così? Ma poi, per esempio
quando riapriva gli occhi dopo un incubo, Leo era lì, con lui, e lo
riportava alla realtà. Il cielo doveva esistere per forza, era solo
la ragione, così limitata e umana, a incontrare l'ostacolo. A volte
gli esseri umani sono così stupidi da non sapere che le cose
importanti bisogne trovarle oltre quel muro spesso, che trovava
radici nella logica e nel pensiero corretto. Profondamente e
intimamente, Elliot conservava convinzioni che superavano anche il
cielo; e anche dubbi e paure. Ma era così che funzionava, lui poteva
solo combattere, senza mai arrendersi. Di quello era sicuro.
Rabbrividì. Era, però, anche quello che dimenticava più spesso.
Trattenne un sorriso, perché qualcosa gli diceva che quello non era
il momento adatto per farlo, e lasciò che quell'insegnamento – che
in realtà conosceva già – gli scorresse dentro.
Intanto, Leo si era inginocchiato di fronte a lui e lo stava
guardando. Attraverso le lenti spesse riusciva a vedere a malapena i
suoi occhi; ma quelli erano lì, lo fissavano con un'insistenza che
sapeva di cura, affetto e dedizione. Qualche volta arrossiva, ma gli
riusciva difficile abbassare o spostare lo sguardo, perché magari,
una volta o l'altra, avrebbe scorto davvero un cielo blu oltre le
nuvole e la sicurezza sarebbe tornata.
“Smettila con i pensieri frivoli.” lo rimproverò Leo, una mano
poggiata a quella che lui teneva abbandonata su una gamba. “O
finirai per somigliare a un idiota.”
“COSA?!”
“No, hai ragione. Lo sei già.”
Una vena pulsò minacciosamente all'altezza delle tempie –
entrambe, non gliene bastava una sola.
Nella furia di alzarsi e dare inizio all'ennesimo scontro, Elliot
fece cadere sul pavimento il libro di fantasmi e quello si aprì a
una pagina a caso che, solitaria spettatrice, annunciava
silenziosamente e ostinatamente le prime parole del primo capitolo:
Elliot credeva fermamente nell'esistenza dei fantasmi.
Era troppo impegnato a urlare, incassare colpi e vivere per
rendersi conto di quell'ennesima, sottile presa in giro. Ma il punto
di tutta quella movimentata e premeditata situazione stava solo nella
risata repressa a fatica dall'orgoglio (come poteva scoppiare a
ridere in un momento simile, sarebbe stato assurdo! Però...) che
spingeva per fuoriuscire dalla gola di Elliot. Il punto era solo
quello. Perché quando Elliot rideva, tutti i fantasmi, veri o
fittizi che fossero, sparivano. La solitudine abbandonava quei luoghi
ed entrambi potevano crearsi quell'angolo di felicità e
spensieratezza.
Leo credeva fermamente nella risata e nel sorriso di Elliot
Nightray.
Note finali: I do believe in
Elliot's smile, I do, I do (cit).
Seriamente,
citazioni bellissime a parte, il sorriso di Elliot è una delle cose più
belle in assoluto di quel manga. A me viene il magone solo a pensarci
çAç.
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