I personaggi ©
Kishimoto
Il
titolo della ff è preso dall’omonima canzone dei
Beatles. Quella, per mio sommo dispiacere © loro.
A
Cami, Mimi18,
grande persona che mi è accanto nonostante le sue stesse
difficoltà. Ti voglio bene!
Pigra,
pigra domenica mattina.
La
luce filtra sottile dalle imposte – è ora
– e un ronzio – fastidiosa zanzara – ti
risuona nelle orecchie.
Svegliati,
Sakura.
Apri
gli occhi e ti metti a sedere, la testa dolorante – era dai
tempi del liceo che non ti prendevi una sbornia simile –,
però ieri si festeggiava il piccolo di Ino, non importa che
tu abbia alzato un po’ troppo il gomito.
Scosti
il lenzuolo leggero e provi ad alzarti, ma il tuo equilibrio sembra
provato dal liquore che hai ancora in corpo: instabile, ti dirigi
barcollando verso la cucina, in cerca di caffeina.
Stai
per varcare la soglia della camera da letto quando un vigoroso
grugnito, corredato da un poderoso sbadiglio, ti sorprende, facendoti
voltare.
“Buon
giorno, Sakura-chan.”
Let
it be.
“Buon
giorno, Sakura-chan” ha detto, guardandoti con i suoi
indimenticabili blu, gli stessi di sempre, che dieci anni fa ti
sarebbero sembrati limpidi e allegri. Ma allora eravate ragazzi, non
ancora adulti, non più bambini, fiduciosi
nell’avvenire, alla ricerca della felicità
– i vostri occhi non avevano ancora visto niente.
La
prima volta che fissasti il tuo sguardo nel suo – con Naruto
ci sei cresciuta, ma fino a quel giorno non lo avevi mai guardato
davvero: le iridi scure e cupe dell’altro
erano molto più magnetiche – è impresso
tuttora nella tua mente, un ricordo semplice quanto indelebile;
decisivo, addirittura.
Eravate
tu e lui, alla fermata dell’autobus E, quello che portava al
mare, dove vi sareste trovati con gli amici – Sasuke non era
voluto venire con voi, aveva detto che era sommerso dai compiti. Una
balla, senza dubbio: il puntiglioso Uchiha pianificava sempre tutto,
anche lo studio; alla luce di ciò che accadde in seguito,
sai che quel giorno andò al cimitero e ci rimase tutto il
pomeriggio. Ma allora non lo immaginavi neppure: Sasuke-kun aveva detto
una cosa e quella era. Impensabile che andasse diversamente.
Aspettavate,
tu e Naruto, seduti vicini – sedici anni entrambi, tu
malinconica sotto il cappello di paglia a tesa larga, lui sorridente
nelle sue braghe arancioni.
“Sakura-chan,
lo so che Sasuke non c’è, ma non fare quella
faccia triste! Non stiamo mica andando… che so
io… a scuola! Andiamo alla spiaggia, il tempo è
fantastico ed è già estate!” aveva
esclamato, gesticolando esaltato come suo solito.
“Ma
se non siamo neanche a maggio, scemo!”
“Come
la fai lunga: mese più, mese meno, che cambia?”
aveva borbottato, offeso, per poi guardarti sottecchi, rimanendo deluso
dal fallimento della sua pantomima, che non aveva suscitato in te
neanche un poco di distrazione – se Sasuke non
c’era, che senso aveva il tuo cappello, comprato
appositamente per farti notare da lui? Che senso aveva quella gita?
Così
Naruto aveva attraversato la strada, per tornare poco dopo con un
sacchetto marrone dietro la schiena, facendo finta di niente
– solo per incuriosirti. Si era seduto di nuovo accanto a te,
con la busta stretta al petto, come se fosse un prezioso tesoro: con
ogni probabilità la tua espressione interrogativa doveva
essere piuttosto eloquente, perché, passato neanche mezzo
minuto, lui ti aveva subito porto il sacchetto aperto, dal quale
proveniva un invitante odore di ciambelle.
“Ma
tu sei fuori! Tra meno di un’ora ci tuffiamo in acqua,
è pericoloso!” avevi protestato – la tua
predisposizione alla medicina si era fatta sentire già da
tempo, ormai.
“Eddai,
Sakura-chan, non succede niente!” aveva riso, avvicinando la
busta sempre di più verso di te. Tu avevi alzato lo sguardo,
pronta a fulminarlo con un’occhiata – stupido
irresponsabile immaturo che non era altro!-; invece ti eri ritrovata
finalmente a guardarlo.
I
suoi occhi – allora sì che erano limpidi
– ti sorridevano gioiosi – così intensi
– come avevi fatto a non accorgertene? E tu, incapace di
rimetterlo in riga e di sgridarlo nonostante sapessi bene che non
sareste potuti entrare in acqua di lì a poco, avevi
allungato la mano e afferrato una pasta, stupita e confusa. La prima
volta che lo guardasti fu anche quella in cui conoscesti il fremito che
scombussola i sensi e annebbia il respiro, rendendolo tremendamente
leggero – diverso dalla stilettata ai polmoni che lo sguardo
denso di Sasuke ti sferrava – il fremito che senti dentro di
te anche adesso, a distanza di dieci anni, se ti guarda.
Ma
quante cose sono cambiate, da quella gita alla spiaggia: i suoi occhi,
da sempre sorridenti, adesso sono più amareggiati e
malinconici, più opachi
– hanno visto troppo per rimanere quelli di allora; il suo
viso, segnato e affilato dagli anni, con le guance ricoperte da una
rada barba bionda; la sua voce, profonda, e le sue espressioni, meno
esasperate.
Naruto
è cambiato da come lo ricordavi e non è solo
colpa degli anni trascorsi senza incontrarvi: era sempre troppo presto
per affrontare il passato – mai abbastanza passato.
“È
passato da un pezzo il periodo in cui mi chiamavi così,
Naruto.” Sorridi, nostalgica.
“Solo
perché non lo facevo scrivendo e-mail non vuol dire che non
continui a pensare a te come ‘Sakura-chan’ da
quando eravamo piccoli! Rassegnati, per me rimarrai sempre la manesca
bambina che mi picchiava se la salutavo troppo
rumorosamente!” ridacchia divertito al ricordo – e
il tuo sorriso si distende di più: la sua risata
è come rammentavi.
Anche
tu sei cambiata: anni fa l’avresti ripreso con uno
scappellotto, adesso rimani lì, a ridere con lui; anni fa
avresti gridato, trovandolo nudo nel tuo letto la mattina dopo una
sbronza colossale – sarebbe stato definito
“maniaco” e “approfittatore”;
anni fa non sarebbe neanche riuscito ad avvicinarcisi, al tuo letto.
Sei cambiata, in dieci anni, ti sei ammorbidita notevolmente, hai
capito che la vita è già assurda di per
sé, tanto che è inutile perdere tempo a
impuntarsi su piccolezze.
“Ti
va una tazza di caffè forte?”
Lui
ti sorride di nuovo. “Come no.”
“È
molto bello qua dove ti sei sistemata.” Si guarda intorno,
appoggiato al frigorifero con la schiena, petto nudo e tazza fumante
tra le mani.
“Sì,
infatti. Sono stata fortunata, l’affitto non è
neanche così caro.” Gli rispondi piano, lasciando
subito cadere la conversazione – senza che Naruto cerchi di
riempirlo, cala il silenzio tra di voi. Non è più
un silenzio scomodo, come quelli che vi mettevano a disagio da
ragazzini, quando pensavi che Naruto avrebbe tirato fuori i suoi - non
ricambiati - sentimenti per te e lui temeva che ti rabbuiassi pensando
all’altro;
adesso il silenzio è una preziosa pausa tra un pensiero e
l’altro, necessaria e vitale come l’aria. Non
perché non ci sia niente da dire; al contrario,
perché ci sarebbe troppo da dire e né tu
né lui sapete da dove cominciare. Così rimanete
zitti, ognuno perso nelle sue riflessioni – le stesse
– che entrambi cercate di riordinare e a cui cercate di dare
un senso.
Un’operazione
difficile quanto necessaria.
“Sakura...”
inizia lui, titubante, dopo aver appoggiato il caffè ormai
finito. Si è avvicinato a te, e adesso tiene ambedue le mani
dietro la testa – come quando avevate sedici anni e tornavate
insieme da scuola, sulla strada lungo il fiume, tu, lui e Sasuke:
Naruto guidava la fila ogni volta, si avviava a grandi passi verso
casa, le braccia dietro la nuca in quel modo tutto suo, canticchiando.
Canticchiava in ogni caso e sempre la stessa canzone: anche se pioveva;
anche se aveva preso uno dei suoi tanti quattro in matematica; anche se
sapeva di non avere nessuno a casa da cui tornare – sei
giorni su sette quel matto di Jiraya era in giro a promuovere i suoi
libri. Naruto era così, sorrideva e canticchiava, e teneva
le mani dietro la testa.
Sasuke
lo seguiva e, ogni volta, più o meno a metà
strada, quando eravate sul ponte – il più vecchio
della città, sul punto più ripido del corso
d’acqua - sbottava: “Non riesci proprio a tenere
quella boccaccia chiusa, eh, idiota?”
E
dietro Sasuke c’eri tu, che cercavi di fare da paciere, senza
ottenere mai risultati duraturi: smettevano giusto di azzuffarsi
– o almeno, Naruto smetteva di cercare di saltare addosso
all’Uchiha: lui, dal canto suo, rimaneva sempre composto, con
la caratteristica aria di sufficienza stampata sul viso, corredata ogni
tanto da un ghigno che non prometteva bene. E quando riuscivi a
ristabilire la quiete tra i due, sorridevi, cercando degli occhi neri,
e poi cominciavi a canticchiare un’altra canzone, molto piano
– com’era rassicurante quella
quotidianità.
Questo
però prima dell’ultimo periodo, prima che morisse
il fratello di Sasuke in una sparatoria, prima che Sasuke si chiudesse
ancora di più in se stesso, prima di quell’ultima
passeggiata che aveva cambiato tutto… prima.
Allora
Naruto aveva sul viso un sorriso ampio e guardava dritto davanti a
sé, baldanzoso; adesso tiene la testa più china,
non sorride; il suo sguardo è oscurato.
“Sakura…”
si siede sulla sedia accanto alla tua e si schiarisce la voce, fissando
le tue mani intrecciate sul tavolo.
“Era
da tanto tempo che non ci vedevamo.” Con una semplice
constatazione, densa di agrodolce malinconia, e con un sorriso, lo
anticipi prima che inizi a parlare. Sai già che si
scuserà per ciò che è successo dopo la
festa a casa di Ino: benché siano passati anni, è
sempre Naruto il ragazzone seduto davanti a te; è sempre il
maldestro e buono e sincero Naruto con la quale sei cresciuta.
Al
che, lui alza lo sguardo, sorpreso ma non troppo: si lamentava spesso
di non riuscire a nasconderti nulla né a risultare ai tuoi
occhi misterioso e intrigante come l’altro.
“Ma, Sakura-chan, sei un’aliena! Riesci a leggermi
nel pensiero!” sbuffava, lanciando occhiate invidiose a
Sasuke; di risposta, tu gli tiravi uno scappellotto, commentando:
“Naruto, non sono io ad avere poteri paranormali, sei tu che
hai la capacità di autocontrollo di un cagnetto
emotivo!”
Naruto
annuisce, cogliendo i sottointesi di quella frase che, in si e no dieci
parole, giustifica e accantona allo stesso tempo i baci e le carezze
tra le tue lenzuola. Era tanto tempo che non vi vedevate, dal funerale
di Sasuke: sono passati dieci anni da quel soleggiato giorno di giugno,
dieci anni spesi – sprecati - a cercare di riempire
il vuoto che lui ha lasciato, a cercare di sopravvivere, di andare
avanti dopo una ferita simile; perché la vita continua,
qualsiasi cosa succeda – ti ripete spesso Ino, accarezzandosi
il pancione, dove dorme un piccolo miracolo che non saprà
mai il nome di suo padre. Dieci anni senza respirare, senza sapere
perché ci si alzava alla mattina; poi, nel mezzo della
follia, vi siete incontrati di nuovo, ieri, alla rimpatriata
organizzata da Ino per festeggiare il bambino che nascerà
alla fine di luglio. Semplicemente, vi siete cercati a vicenda,
aggrappati l’uno all’altra tentando di riemergere
in superficie, bisognosi di ossigeno.
Era
da tanto tempo che non vi vedevate e questo giustifica lo stringersi
spasmodico delle vostre mani, i respiri vicini e le carezze, i sussurri
e l’alcol – era da tanto che non ti sentivi
così vicina a qualcuno, Sakura.
“Ti
ho pensata tanto, Sakura, in questi anni.” Sorride,
osservando i tuoi capelli sparsi sulla leggera camicia da notte.
“Anche
io.” Ti scosti una ciocca colorata dal viso, per sistemarla
dietro l’orecchio con le dita, quindi poggi la mano sulla
sua; lui trattiene il respiro, sorpreso, e tu ridi piano:
com’è dolce la sua incredulità
– si stupisce sempre per le piccole cose, Naruto - e
com’è lusingante il modo in cui ti guarda, quasi
fossi un’opera d’arte da ammirare da lontano!
Ripresosi
dal tuo inaspettato gesto, eloquente come pochi – stammi
vicino, gli hai gridato –, decide di abbattere
l’ultima barriera che c’è tra di voi:
eliminato l’imbarazzo e crollate le tue sovrastrutture
– perché lui non è mai stato solo un
amico e te ne rendi conto solo dopo averci fatto l’amore
–, resta solo…
“Ti
ricordi lo sguardo di Sasuke?” prende il coraggio a due mani
e domanda, infrangendo il tacito tabù che regnava da anni:
mai pronunciare il suo nome – fa troppo male.
“Perché
fai domande di cui conosci già le risposte?” gli
chiedi, cercando di ignorare la fitta al petto che quelle tre sillabe
ti hanno provocato. “Come sarebbe possibile dimenticarlo?
L’ho cercato per così tanto tempo e le poche volte
che sono riuscita a incrociarlo ci ho visto dentro troppe
cose… e nessuna in particolare… per poterlo
descrivere.” Fai una pausa, sospiri.
“Ho
provato disperatamente a non farlo riaffiorare, a ignorarlo; invano.
Non riesco ad accantonarlo: è sempre nei miei pensieri e lo
vedo sui visi delle persone che incrocio ogni giorno per
strada.” Sussurri, cominciando a tracciare il profilo delle
sue dita con il polpastrello.
“Anche
io non ci riesco. Ogni notte, per dieci anni, ho sognato quel giorno e
i suoi occhi; ogni dannata notte, senza eccezioni.” Naruto
inspira profondamente e chiude le palpebre, come se volesse calmarsi.
“Ma
non questa sera, passata accanto a te. Stanotte ho dormito senza
interruzioni, perché…” esita.
“perché tu eri tra le mie braccia.
Credo… credo si possa provare ad andare avanti.”
Insieme – sottintende, ma ormai è chiaro che
difficilmente vi separerete l’uno dall’altra: siete
più sereni adesso.
Senza
aspettare il tuo assenso – sa che è quello di cui
hai, avete bisogno -, prende di nuovo un bel respiro e comincia a
raccontare, cercando le tue mani come rassicurazione.
“Era
il 9 giugno” esordisce, per poi essere interrotto dalla tua
voce: “Il compleanno di Itachi” precisi; Naruto
annuisce – come dimenticarlo? - e prosegue: “Era
l’ultimo giorno di scuola; faceva caldo, la giornata era
bellissima: mi ricordo che non c’era neanche una nuvola nel
cielo, che era blu, blu terso.”
“Stavamo
tornando da scuola e la scena era la stessa di sempre: tu davanti alla
fila, con un sorriso gigante stampato in faccia e la tua tipica
maglietta gialla.” Continui tu, prendendo il suo posto nel
descrivere la scena marchiata a fuoco nei vostri ricordi.
“Cantavi
una canzoncina che ti aveva insegnato Shikamaru, dicendoti che era una
cosa allegra che gli inglesi cantavano quando erano in vacanza: in
realtà stavi urlando parolacce di una sconcezza davvero
imbarazzante e, mentre io ridevo – era impagabile, vederti
saltellare gridando ‘cazzo’ ogni due per tre -,
Sasuke camminava con lo sguardo fisso a terra e i pugni
stretti.” Il sorriso che era affiorato nel ricordare Naruto
scompare dalle tue labbra, pronunciando a fatica il suo nome.
“Ci
ha tenuto nascosto tutto fino al ponte, poi è
esploso.” La tua voce trema e si affievolisce, temendo il
momento successivo nel racconto.
Lui
ti stringe le dita, rassicurandoti – ci sono io qui, non aver
paura -, quindi deglutisce: “A metà del ponte si
è fermato, di botto, e ha cominciato a parlare. Prima ha
sussurrato, poi ha scandito e alla fine si è ritrovato a
gridare quelle parole che non dimenticherò finché
campo.” Si interrompe: l’urlo di Sasuke
è irripetibile.
Vi
guardate, mentre quella voce risuona – ancora una volta
– nella vostra memoria. Ma sai che si deve sentire, il mondo
deve sentirlo perché voi ve ne possiate liberare.
Così sussurri, timorosa: “Zitto. Ho detto:
zitto!”
Le
sillabe che hai pronunciato tanto a fatica bastano, per il mondo, ma
Sasuke urla ancora dentro la vostra testa: “Non riesci a
stare un po’ in silenzio? Parli, parli, parli in
continuazione e non dici un cazzo. Anche tu, Sakura, con la tua stupida
risata. Mi state sempre vicini, ma io non vi voglio! Voglio solo un
po’ di silenzio, dannazione!”
Alzi
lo sguardo e riconosci la stessa paura negli occhi di Naruto: lui
è dentro di voi allo stesso modo e fa male da impazzire,
blocca i polmoni e stringe le budella.
Il
ricordo di Sasuke che si è avvicina al transetto, come per
guardare il panorama. Le sue mani che, sicure, afferrano la ringhiera e
le sue gambe che la scavalcano. Il suo sguardo su di voi - prima te e
poi Naruto – è impossibile da cancellare. Era
terrorizzato.
Tu
e Naruto vi guardate, le vostre mani si stringono di più.
“Non
abbiamo fatto nulla per fermarlo, Naruto. Non lo abbiamo fermato
dall’isolarsi quando passava i pomeriggi al cimitero di
famiglia, non lo abbiamo fermato dall’ammazzarsi quel giorno.
Non abbiamo fatto nulla.” Tiri su con il naso, rendendoti
conto solo adesso che hai iniziato – già da un
po’ – a piangere. Lui ti prende il viso tra le mani
e ti fa sedere sulle sue gambe: tu ti rannicchi contro il suo petto e
gli appoggi la testa sulla clavicola – si sta così
bene…
Mentre
ti accarezza e bacia i capelli, piangendo anche lui, comincia a
dondolarsi avanti e indietro, per cullarti. Continuate così
per un tempo indefinito, in silenzio, rassicurandovi l’uno
con la presenza dell’altra: è una sensazione
strana, il contatto della tua guancia umida con la pelle calda del suo
petto – ma è più confortante di mille
parole. Poi, dal nulla, comincia a canticchiare: è quella
stessa canzoncina della vostra infanzia – quel tormentone che
non lo abbandonava mai -, eppure alle tue orecchie suona diversa.
Perché
è diversa l’atmosfera, in quel momento, tra di
voi; perché la sua voce è più bassa e
matura; perché la intona più lenta, come se fosse
una ballata. Ma soprattutto, perché da quelle note stilla
una malinconia incredibilmente dolce. Non è spensierata come
ai tempi, ma non c’è neppure rabbia –
come c’era stata nei tuoi pianti e nei suoi pugni contro il
muro, nei mesi successivi a quel giorno -, non c’è
angoscia e neppure quel senso di colpa che avete sempre sentito in
fondo al cuore.
Da
quella melodia sgorga una tristezza straziante, velata dal flebile
timbro di un sorriso, lì in fondo, dovuto al ricordo dei
pomeriggi sul ponte e delle baruffe tra di loro e
dell’inutile e perenne competizione a senso unico di Naruto
verso Sasuke e delle risate perse nel vento e della
stupidità dei vostri giochetti e delle brevi risate di
Sasuke e del tuo entusiasmo e di tutto quello che ha gettato le basi
della vostra infanzia insieme. E che, di conseguenza, vi ha reso le
persone che siete.
Così,
quando Naruto smette di canticchiare e tu alzi la testa per guardarlo,
il peso che avevi nel petto si è alleggerito: fa ancora
male, ma non è più il bruciante senso di colpa,
quel segno che ti sembrava di vedere marchiato a fuoco sul tuo viso
ogni volta che ti guardavi allo specchio. Naruto, con la sua canzoncina
e il suo abbraccio, ti ha fatto capire – anzi, vi ha fatto
capire, perché scommetteresti qualsiasi cosa che anche lui
lo ha realizzato soltanto adesso – che in realtà
non è stata colpa vostra.
Sasuke
era al di là di qualsiasi aiuto, i suoi problemi al di
là della vostra comprensione.
E
non c’è bisogno di dirlo ad alta voce, questa
consapevolezza aleggia tra di voi, rendendovi più adulti di
colpo. Vi rattrista ancora di più, ma è al tempo
stesso liberatoria. Le vostre labbra si uniscono in un bacio che non ha
niente a che vedere con quelli affamati e bisognosi e disperati di ieri
sera: rasserenati, capite che adesso si può ricominciare a
vivere. Insieme.
Questa
è la fan fiction che ho iniziato ben due anni e mezzo fa e
che ho finito ieri. Quando si parla di tempi di gestazione lunghi, eh?
xD In ogni caso, questa ff avrebbe dovuto partecipare a un contest sul
Team 7, ai tempi indetto da Domi_chan, ma alla fine mi sono ritirata
– non lo avreste mai detto, vero?
In
ogni caso è solo grazie (o per colpa di, a seconda delle
interpretazioni) a quell’anima pia della Cami, Mimi18, che
essa vede finalmente la luce su EFP! Per questo questa ff è
tutta per lei, sperando che non la deprima ancora di più ma
anzi le faccia piacere *_* A parte per il titolo Made in Beatles. :D
Ok,
passando alle note vere e proprie: in questa fan fiction Sasuke si
discosta dal Sasuke canonico del manga, è innegabile e ne
sono consapevole. Non ho inserito l’avvertimento OOC in
quanto io ho cercato di mantenerlo il più coerente possibile
con l’originale: ma è ovvio che sia diverso, in
quanto ha una storia diversa e fa scelte diverse. In ogni caso, se lo
trovate davvero OOC, non esiterò a inserire
l’opportuna segnalazione, così come
alzerò il Raiting, se sarà necessario.
Per
il resto: il suicidio è un argomento pesante e
imprevedibile, e io ho una paura matta di averlo trattato troppo
superficialmente. Per questo, spero che mi facciate sapere che cosa ne
pensate: ogni critica è bene accetta, soprattutto in un
ambito così spinoso.
Grazie
a chi commenterà e/o ha solo letto,
Elena
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