ASYLUM
Osserva
la
figura davanti a sé.
È
un giovane
di bell’aspetto, dai tipici tratti nordici.
I
capelli
biondi cadono disordinati sulla fronte pallida e minuscole efelidi
ramate
ornano con grazia i grandi occhi azzurri.
Carino, carino, troppo carino. I ragazzi
carini sono pericolosi. Ti picchiano, se ti va bene. Oppure ti
manipolano fino
a farti diventare un insieme meccanico di circuiti altrimenti detto
robot.
Gli
fa un
cenno, quando entra nella stanza, rifiutando però di alzarsi
dal letto, che
sembra troppo vecchio e non particolarmente pulito – pulisci quelle lenzuola, PULISCI QUELLE LENZUOLA.
Cerca
di non
insistere nell’osservare quel ragazzo che continua a fissarlo
senza proferir
voce, concentrandosi sulla stanza che gli hanno assegnato.
Non
è
difficile riconoscerla come la stanza di una casa di cura. Le pareti
sembrano
graffiate in più punti e gli specchi sono coperti da della
carta da pacchi
marrone tenuta in piedi da dei pezzi di nastro adesivo.
Ingiallito, probabilmente pieno di sporco,
polveroso ecco, e chissà quanti aloni di colla su quel muro!
Gli
occhi
del biondo indugiano talvolta su quella carta da pacchi, attoniti,
spaventati,
troppo spalancati.
“
Kenneth.”
Borbotta
infine il ragazzo dagli occhi spalancati, mentre lui sistema la valigia.
“
McCormick.”
Gli
sorride,
cercando di risultare carino. Poi gli risponde, porgendogli la mano.
Deve
sembrare normale.
Blocca i pensieri, Stan, blocca i pensieri.
Non devi sembrare strambo. Certo, non devi sembrare strambo a uno
rinchiuso in
un manicomio che sicuramente è più strambo di te.
Che diavolo hai nel cervello,
Stan?
“
Io sono
Stan Marsh.”
Kenneth
zompetta sul letto, tendendosi per afferrare la mano del suo nuovo
compagno di
stanza dai capelli neri, poi chiede: “ Non hai specchi con
te, vero Stan?”
Stan
lo
osserva per qualche secondo, perplesso, poi decide di rispondergli.
Quel
ragazzo – paziente, pazzo,
marmocchio
carino ma con gli occhi decisamente troppo fuori dalle orbite.
– sembra fin
troppo allarmato dalla possibilità che lui abbia con
sé un normalissimo oggetto
per la cura della persona. Normalissimo oggetto confiscatogli
perché
potenzialmente pericoloso, comunque.
“
Niente
specchi, me li hanno confiscati. Hanno paura che mi ci tagli le
vene.”
Sorriso.
Sorriso enorme ed enormemente sincero. “ Nessuno specchio o
superficie
riflettente quindi?”
Stan
scuote
il capo, ancora non capendo – gli
specchi
sono belli. Molto più belli di quel nastro adesivo sporco.
“
Allora
saremo al sicuro. Non potranno guardarci. Non potranno
prenderci.” Gli dice
l’altro con aria circospetta.
Oh,
sì. Le
vocine in fondo al cervello di Stan stanno gongolando. Ha trovato uno
decisamente più sciroccato di lui.
“
Mi piace
Stan, è tranquillo.” Kenny stringe tra le mani la
stoffa dei pantaloni. “ Hanno
detto che ha tentato di suicidarsi. Nessuno specchio, nessuna cosa di
vetro,
nessun oggetto in metallo, troppo pericolosi. Non potevano trovarmi un
compagno
migliore.”
Lo
psichiatra lo osserva a lungo. “ Quindi non le dà
fastidio avere un compagno di
stanza?”
Gli
occhi di
Kenny brillano. In quei rari momenti in cui è quasi
totalmente lucido il suo
sguardo assume una luminosità quasi artificiale.
“
Lo trovo
fantastico. Se la carta dovesse staccarsi, lui potrebbe proteggermi. Ha
visto
che spalle forti che ha?”
Il
medico si
lascia scappare un sorriso, mentre scuote il capo. Quel ragazzo
è quasi
simpatico ma…
“
Mi parli
ancora delle persone dentro lo specchio, Kenny.”
Lo
vede
spingersi contro lo schienale della poltrona, lo vede alzare i piedi da
terra e
stringersi nel suo stesso abbraccio.
“
Sono
cinque ora. Tutti orribili, tutti silenziosi. Mi guardano. Mi guardano
e mi
fanno capire che non hanno paura di me. Odio il fatto che non abbiano
paura di
me. Posso rompere il loro specchio ma loro torneranno in una finestra,
o in una
pozzanghera. Non possono morire. Ma io posso. Per questo si credono
superiori.
Loro mi fissano, dottore, mi fissano sempre. Certe volte si protendono
verso di
me. Per questo li ho coperti. Mi terrorizzano quando si
protendono.”
Il
dottore
si fa serio, quasi severo. “ Li ha coperti di nuovo, Kenny?
Non le avevo detto
di non farlo?”
Kenny
sussulta. È spaventato. Non dal dottore, lui è
solo un uomo, loro due sono
uguali. Ha paura di togliere quella carta marrone.
Il
medico osserva
la reazione di Kenneth. Non ne è contento. Sembra
peggiorato.
Un’infanzia
difficile, quella di Kenny McCormick. Trascorsa tra povertà
e abusi. I
genitori, entrambi alcolizzati, non l’hanno mai considerato
se non per
picchiarlo. Ha subito parecchi traumi. Spesso è stato in fin
di vita, a causa
dei più disparati incidenti. Poi, a quindici anni, sono
comparsi i mostri nello
specchio. Una sola cosa è chiara, Kenny odia se stesso a tal
punto da non poter
più sopportare l’idea di specchiarsi. Ma
com’è successo? Perché è
successo?
Kenny non mostra segni di debolezze effettive. E non le nasconde
neppure, sono
semplicemente assenti. È un enigma. Un enigma affascinante
che teme solo quelle
creature che si protendono verso di lui dalle superfici che riflettono
la sua
immagine.
Lui
e
un’equipe di medici altrettanto esperti si danno da fare da
due anni per curare
quel ragazzo, così giovane, così spaventato, ma i
risultati sembrano non
arrivare.
“ Fa niente Kenny,
ci lavoreremo.”
Kenny
guarda
il dottore. Sembra avere pietà della sua buona fede. Sembra
considerarlo un
illuso con troppa speranza. “ Non se ne andranno
mai.” Dichiara, prima di
uscire dallo studio. Non ha guardato nemmeno una volta il pavimento di
marmo.
Avrebbe potuto riflettervicisi.
Non mi piacciono questi letti. Non mi piace
questo cibo. Non mi piace il fatto che siamo costretti a uscire in
giardino al
freddo per fumare. Sinceramente non so nemmeno perché sono
qui. Io non sono
pazzo.
Questo
vorrebbe dire, Stan. Invece si limita a guardarsi attorno accettando il
fatto
che lui è esattamente come tutti gli altri ragazzi chiusi
lì dentro. L’ha detto
anche a Kenny, una sera, mentre cercava di convincerlo che dalla carta
da
pacchi alle pareti non stavano davvero provenendo dei ringhi sommessi.
Gli ha raccontato di aver bevuto una bottiglia di vodka dopo aver
ingerito
tutte le medicine del suo povero nonno solo per far smettere quelle
voci nella
sua testa. Kenny gli ha sorriso, poi gli ha spiegato che non era
normale avere
più voci. Grazie, Capitan Ovvio, ne
avevo
proprio bisogno.
Nella
sua
testa c’è un continuo dialogo. Uno scambio di
battute celere e quasi teatrale
tra il suo vero io e… qualcun altro.
Vicino
a lui
il ragazzo biondo lima le sue unghie. Ne lima la superficie,
opacizzandola.
Teme che i mostri possano riflettersi proprio lì, sulle sue
mani. Stan decide
di non fargli notare che ci si possa specchiare nei suoi occhi. Non voglio vederlo mentre cerca di svuotarsi
le orbite.
“
Mi piace
la stoffa.” Dice Kenny d’un tratto, carezzando il
divano della sala comune. “ è
così morbida… rassicurante… opaca. Non
trovi sia meravigliosa?” Stan carezza il
divano nello stesso punto dove prima stava la mano di Kenny.
“ È calda. ” è
l’unica cosa che riesce a dire. È
stata
la mano di Kenny a scaldarla.
Qualche
minuto dopo è in una vasca. Non ricorda come ci è
finito. L’unica cosa sa è che
stava accarezzando della tela in compagnia del suo nuovo migliore
amico.
Improvvisamente ha un flash di quello vecchio. Kyle. Lo ricorda
piangere poco
distante del suo viso, pregandolo di non morire. Lo ricorda a dieci
anni, i loro
giochi, tutte le risate che facevano prima che lui cominciasse a
dialogare con
se stesso.
Pensare
a
Kyle lo riporta a Wendy. Bellissima, brillante, combattiva Wendy. Non
lo
stupisce che lei l’abbia abbandonato. Una così non
può perdere il suo tempo con
un pazzo. Ma è stata davvero Wendy ad abbandonarlo? Non se
lo ricorda più.
Forse è stato lui a scappare dalla perfezione di una ragazza
della quale non
sarebbe mai stato all’altezza.
Wendy ci era d’ostacolo.
L’abbiamo lasciata
perché voleva trasformarci in qualcuno come lei.
Stan
odia
quando le voci parlano al plurale. Si sente molto come Gollum che
dialoga con
se stesso. Stan è Smeagol. Il nome del suo Gollum deve
ancora scoprirlo.
Un
infermiere lo osserva. Qui non possono lavarsi da soli. È
vietato dal
regolamento. Controllano sempre che non cerchino di annegarsi. La sua pelle è
grinzosa e lui si chiede come
faccia Kenny a lavarsi. Insomma, tutta quell’acqua che
riflette dev’essere
davvero terribile per lui.
Oh, andiamo, non fare il finocchio.
Perché
dovrebbe importarci di Kenny che si lava?
Sorride
all’infermiere. Ha la sensazione che lui sappia dello scambio
di battute che
sta avvenendo nella sua testa. Certo che lo sa, glielo hanno detto i
dottori.
Smette di sorridere. È imbarazzante lavarsi il culo con un
uomo che ti guarda.
Gli viene in mente la storia della saponetta e scoppia a ridere. Da
solo,
all’improvviso.
L’infermiere
lo scruta perplesso. Tace. Non è il momento per ridere. Ha i
polpastrelli
davvero raggrinziti. Decide che è il momento di
insaponarsi i capelli e uscire dalla vasca. È
evidente che l’infermiere
comincia a chiedersi quanto tempo ancora ci vorrà
– scusa se stavo pensando ai miei
cazzi, sai?
Qualche
altro black out. Poi è alla mensa. Vicino a lui Kenny si
compiace per i
bicchieri di carta opachi.
Mangiano.
Non ricorda cosa. Gli sembra tutto uguale. Probabilmente
c’era qualcosa di
arancione. Spera non fossero carote. Lui odia le carote. O le odiava?
Ora, in
fondo, non le riconosce nemmeno.
Come
si è
ridotto così? Una volta riconosceva il mondo che gli stava
attorno. Sta
peggiorando forse? O sono quelle medicine che lo stordiscono?
Non
ha
ancora chiesto a Kenny da dove viene. Sembra scozzese.
L’altro risponde
Cardiff. Non è scozzese, allora. Lui risponde fieramente di
essere del
Colorado. Un ragazzo di colore accanto a lui borbotta qualcosa riguardo
agli
americani che vengono a vomitare i pazzi nei loro manicomi. Che carino.
Sarcasticamente parlando, ovvio.
Kenny
sorride e gli chiede perché sia lì. Lì
a Londra, in una casa di cura. Risponde
che sua madre era Inglese e, dopo il divorzio, l’aveva
portato a Londra con
sé. A
Londra aveva conosciuto Kyle e
Wendy, ma questo non lo dice. Ora Kyle e Wendy non esistono
più – o forse
esistono molto più di lui.
“
Usciamo in
giardino?” chiede Kenny una volta finita la cena. Hanno due
ore prima di dover
tornare in camera ma già sanno che non passeranno
più di venti minuti fuori al
buio.
Sono
seduti
su dei gradini, il culo al fresco, le sigarette accese. Alcuni
inservienti li
fissano dalla porta. Kenny fa loro in gestaccio, poi si volta a
guardare lui.
“
Stan…
vorrei fare una cosa, domattina. Mi piacerebbe che la facessi con
me.”
Gli
sorride,
Stan, mettendogli la mano sulla spalla come avrebbe fatto con Kyle.
“ Allora lo
faremo insieme.”
Finita
la
sigaretta tornano in camera, il freddo è troppo pungente.
Non hanno resistito
che dieci minuti. Lanciano un ultimo sguardo al cielo grigio per poi
trovarsi
quasi in un secondo sotto le coperte. Entrambi stesi sul lato, si
guardano.
Kenny ogni tanto squadra in modo diffidente lo specchio alle spalle di
Stan.
Non gli piace. Non gli è mai piaciuto fin
dall’inizio. Come tutti gli specchi.
“ Sei un’ottima compagnia.” Sussurra
Kenny. A Stan questo fa piacere. Si alza e
si siede sul letto dell’altro. “ Cosa vuoi fare,
domani?” gli chiede
carezzandogli la schiena. Kenny afferra quella mano e la stringe tra le
sue. Lo
guarda negli occhi. Stan nota che i loro occhi hanno lo stesso colore.
“ Voglio
che ci specchiamo insieme.” Dice il ragazzo dai capelli
biondi. Stan fa un
sorriso sincero. Ho davvero voglia di
aiutarlo.
“
Allora ci
specchieremo insieme. Se ti tengo la mano non potranno
prenderti.”
Kenny
stringe la sua mano e sorride. “ Grazie. È la
prima volta che qualcuno si
comporta da amico con me.”
Anche
questo
fa piacere a Stan. Gli fa talmente tanto piacere che quella sera si
addormenta
col sorriso.
“
Stan?”
Apre gli occhi, e guarda fuori dalla finestra. È solo nella
stanza, Stan
dev’essere già a fare colazione.
Da
dietro la
carta da pacchi sente graffiare. Oh, presto si vedranno, e
sarà traumatico. Ma
lui avrà Stan. Stan cambierà le cose giusto?
Finalmente
la porta della camera si apre e gli occhi sperduti di Kenny possono
ripararsi
nello sguardo rassicurante di Stan. Si alza dal letto per corrergli
incontro. È
trafelato. Lo abbraccia. A Stan quell’abbraccio ricorda i
caldi abbracci di
Wendy, più che quelli amichevoli di Kyle, ma non ci fa caso.
“
Stan…” si
affatica per mettere assieme le parole… è
diventato più difficile di recente…
tutti i suoi pensieri sono assorbiti da quell’ossessione
– gli specchi – e non
c’è spazio per altro. “ Toglierai tu la
carta, mh?”
Vede
il moro
annuire rassicurante. Kenny crede che il suo affidarsi a Stan faccia
sentire
l’altro più sicuro, più vivo. Kenny
crede di poter aiutare Stan. Lo crede tanto
quanto è sicuro che Stan possa salvare lui. Inconsciamente
prende la mano al
suo compagno e la stringe forte.
Guarda
Stan,
concentrato ma sorridente, poi lo specchio coperto, poi di nuovo Stan.
Sente
qualcosa di umido poggiarsi sulla sua guancia. Stan l’ha
baciato. Forse.
Stan
è
dolce, rassicurante. È come una madre. Come una fidanzata.
Ma ha spalle forti e
mani grandi. Può tenerlo al sicuro.
Adorazione,
per un attimo, nello sguardo di Kenny.
Promette
in
silenzio eterna devozione a quel suo compagno di sfortune.
Poi
tutto si
cancella: Stan, i suoi baci, i suoi sorrisi.
Rimane
solo
la mano di Stan, che stacca con attenzione il nastro adesivo dalle
pareti.
Rimane la carta che si stacca mentre una superficie riflettente
comincia ad
apparire, ostile, e a svelarsi sempre di più.
La
carta
cade a terra con un semplice fruscio, ma nella testa di Kenny si sente
un sonoro
schianto.
Stringe
di
più la mano di Stan, gli conficca le unghie nel palmo,
chiama flebilmente il
suo nome.
Iniziano
ad
apparire. Uno, due, cinque. Poi l’immagine si fa confusa,
sembrano
moltiplicarsi all’inifinito. Le loro mani si protendono verso
di lui. I loro
occhi lo squadrano con odio. Vogliono prenderlo.
Trema violentemente. Gli scossoni del corpo di Kenny costringono Stan a
stringerlo tra la braccia. Poi arrivano le lacrime. Loro sono
più vicini,
stanno quasi per toccarlo. Non hanno paura di Stan, non hanno paura di
niente. Sono
brutti… sono malvagi. Tutto ciò che vogliono
è portarlo con loro. Non si
fermeranno davanti a nulla. Vorrebbe bruciarli, vorrebbe distruggerli,
ma non
sa come fare.
Uno
dei
mostri appoggia le ginocchia sulla cornice per darsi lo slancio.
Stanno
uscendo, è senza speranza ormai. Non vuole che trascinino
con loro anche Stan.
Comincia
a
gridare. Vuole che se ne vadano, vuole che li lascino in pace.
Stan
è
spaventato, e continua a stringerlo, a sussurrargli frasi rassicuranti,
a
passare le mani tra i suoi capelli, ma Kenny percepisce appena quelle
attenzioni, tutti i suoi sensi sono concentrati su quelle figure
mostruose. I
visi deturpati, come quelli dei fantasmi dei film
dell’orrore, le voci acute,
troppo acute, simili agli strilli delle aquile, quelle mani artigliate
che si
tendono, si tendono all’infinito e, più lui si
allontana, più si tendono. È
orribile. È pericoloso… Deve coprirle, deve
coprirle adesso.
Ma
come può
avvicinarsi a un tanto mostruoso gruppo di cacciatori, la cui preda
è solo e
unicamente lui?
Sente
che
sta per perdere i sensi. In quel momento crede di star per fare un
infarto. Non
controlla il terrore e chiude gli occhi, accasciandosi come morto tra
le
braccia di Stan.
Quando
apre
gli occhi c’è un dottore davanti a lui. Un dottore
che lo guarda e Stan al suo
fianco, che gli tiene la mano come se non l’avesse mai
lasciata. Gli viene
istintivo voltarsi verso la parete. Lo specchio non
c’è più, l’hanno portato
via.
Sente
la
testa pulsare e gli occhi bruciare. Tutto quello che ha ottenuto
è una forte
emicrania. E un gigantesco senso di colpa. Guarda Stan, vede il suo
volto
preoccupato, le sue lacrime, e non può fare a meno di
sentirsi colpevole. “ Mi
dispiace…” sussurra carezzandogli il dorso della
mano con le dita. “ Mi
dispiace di essere così debole.”
Stan
non
dice nulla. Si china su di lui e gli regala un piccolo bacio sulla
punta del
naso. Sta sorridendo dolcemente, come fa sempre. A Kenny viene
istintivo alzare
il viso per poter sfiorare le sue labbra con le proprie, ma si
trattiene. Non è
il momento.
Piuttosto,
allunga le braccia e lo stringe forte, pregandolo di non lasciarlo mai.
Stan
gli
bacia le guance ancora una volta – sembra davvero una madre
– e gli giura che
resterà sempre al suo fianco.
Negli
occhi
di Stan qualcosa cambia. Kenny conosce quello sguardo, sa che sta
dialogando
con se stesso.
Chiude
gli
occhi e prega Dio perché la voce interiore di Stan non
cerchi di allontanarli.
Poi
si
addormenta di nuovo.
Si
sveglia
per l’ora di cena, scoprendo di aver dormito tutto il giorno.
Apprende che Stan
non si è mosso da lì, che non ha pranzato
né si è lavato, ma è semplicemente
rimasto a vegliare su di lui tutto il giorno.
Si
mette a
sedere stancamente, come se, invece di dormire, avesse corso una
maratona.
Lo
abbraccia
e piange. Stavolta è un pianto triste, sommesso, senza urla
o convulsioni. È
semplicemente infelice.
Stan
lo
allontana, lo costringe a guardarlo negli occhi e gli sussurra:
“ Io ti
salverò.”
Tutto
l’amore che Stan mette in quella frase lo persuade ad
asciugarsi le lacrime e a
sistemarsi.
Si
veste
lentamente, con Stan che lo osserva. Indossa il pigiama da quasi
ventiquattro
ore, è imbarazzante.
Si
veste con
le prime cose che gli capitano a tiro poi, in silenzio, va a sedersi in
braccio
a Stan. L’altro non si lamenta, né lo manda via,
si limita a stringerlo a sé,
sussurrandogli parole dolci. Questo è davvero bello.
Potrebbe vivere soltanto
per questo. Si guardano per un lungo momento negli occhi senza dire
nulla, abbracciati,
coi visi vicinissimi.
I
loro
respiri sono un tutt’uno quando Kenny sussurra: “
Grazie. ”
Si
stringono
ancora per un momento, e quel momento sembra durare ore, ed
è la cosa più bella
che Kenny abbia mai vissuto.
Scendono
insieme alla mensa. Gli altri lo guardano con sospetto. Tutti sanno
cos’è
accaduto ma a lui non importa, lui ha Stan.
Si
avvicina
al viso del suo bellissimo compagno dai capelli neri, e stavolta
è lui a
baciare le guance dell’altro, cercando di trasmettergli
almeno la metà della
dolcezza che lui riceve ogni volta.
Consumano
in
silenzio la cena, stando il più possibile vicini, poi
scappano di corsa in
camera, mano nella mano. Quella sera Kenny insiste perché
dormano insieme. Non
se la sente di lasciare il calore di Stan. Lo vuole vicino. Lo vuole
vicino per
sempre.
“
Mi sta
dicendo che la voce nella sua testa non vuole che lei leghi con
Kenny?”
Stan
ha la
tipica posizione che assumono le persone a disagio. Sta con le spalle
strette,
la schiena dritta, le ginocchia piegate perfettamente a novanta gradi.
Si
stropiccia le mani in continuazione. Sembra seduto in aula in attesa di
un’interrogazione. Dirgli di accomodarsi sembra quasi fuori
luogo, al dottore,
tanto sa che vedere Stan
mettersi comodo
equivarrebbe a una diagnosi di guarigione.
Muove
la
testa da un lato, come le civette bianche di montagna.
“
Lui dice
che ci rovinerà. Ma io non sono
d’accordo.”
“
Mi diceva
che è confuso per questo disaccordo tra voi due.”
Stan
annuisce con forza. “ Non accade quasi mai.”
Il
medico
scrive qualcosa. “ Perché crede che stavolta sia
accaduto?”
Stan
fa un
sospiro. I suoi occhi guizzano a destra, fissano la libreria per tre
secondi
esatti, poi tornano sul dottore.
“
Lui odia
chi mi piace. Odiava anche Wendy.”
“
Wendy era
la sua ragazza?”
“
Wendy era
una ragazza… bellissima… mia.”
Osserva
il
dottore, sembra confuso.
“
Quindi lei
è attratto da Kenny?”
Stan
alza
gli occhi. Sembra che stia cercando di guardare dentro il proprio
cervello.
Apre
la
bocca per parlare, molto lentamente. Il medico si tende verso di lui,
aspettandosi l’ennesimo sussurro. Stan invece abbassa lo
sguardo di colpo e
esclama: “ Dio, no!”
Poi
si morde
il labbro. Cambia colorito, diventa pallidissimo, poi rosso come se
fosse
febbricitante.
“
Magari un
po’.” Aggiunge storcendo il naso.
“
Ma…” Alza
il dito come se stesse per fare una lezione “ Non
è questo il punto.”
Lo
psichiatra lo osserva a lungo, prima scribacchiare qualcosa.
“
E quale
sarebbe il punto? ” Chiede con calma. Stan si alza. Gironzola
un po’, poi
arriva alla macchina del caffè e inizia a prepararsene uno.
“
Non lo so,
lui è talmente complesso che… ” Pausa.
Non sa cosa dire. Poi mette insieme i
pensieri.
“
Proteggere
Kenny dai suoi demoni mi fa sentire normale. Quando… quando
sto con lui, quando
mi preoccupo per lui… la voce dentro di me parla molto
meno.”
“
E adesso
che non è con Kenny, lui le manca?”
Stan
prende
il caffè e torna a sedersi. È sempre rigido.
“
Molto.
Vorrei tornare da lui, se possibile. So che sta piangendo
adesso.”
“
E mi dica,
in questo momento la voce dentro di lei cosa le sta dicendo,
Stan?”
Il
ragazzo
ridacchia. “ Si smetterla di fare il frocio e di raccontarle
quattro balle
abbastanza realistiche da farmi dimettere.”
Il
dottore
alza un sopracciglio. “ Crede che non me ne accorgerei, che
sono bugie? ”
Stan
si
mette sulla difensiva, e lo scruta in modo aggressivo.
“
Non sono
io, quello.”
Il
dottore
sospira, guardandolo dritto negli occhi.
“
Ne è
sicuro?”
“
Sì.” Stan
sembra orgoglioso e sicuro adesso. “ è
qualcos’altro.”
“
Voglio
andarmene.”
Sono
stesi a
letto, vicini vicini, Kenny tiene il viso nascosto contro il petto di
Stan. C’è
profumo di sapone nell’aria, di sapone e talco. Hanno appena
fatto il bagno. Il
moro ancora si chiede come faccia Kenny a lavarsi. Suppone che lo
faccia con
gli occhi chiusi, ma non osa chiedere. Non vuole che Kenny pensi che
stia
sottolineando le sue stranezze.
Stan
è lì da
più di tre mesi. Ormai Kenny è diventato tutto il
suo mondo. Non può rischiare
di perderlo.
Passa
la
mano tra i morbidi capelli biondi e chiede: “ Che
intendi?”
Kenny
alza
lo sguardo su di lui. Ha gli occhi vispi, sembra incredibilmente bello
e
giovane. Come se fosse un bambino. “ Scappiamo, Stan.
Stanotte. Nessuno ci
vedrà se ci muoviamo in fretta e nell’ombra.
”
Stan
socchiude le labbra e… non sa cosa dire. Non crede che sia
una buona idea.
Crede che si cacceranno nei guai. La voce dentro di lui gli ripete che
quel
Kenny li rovinerà entrambi. Cerca di zittirla ma comincia a
temere che sia
vero. Non può davvero voler scappare.
“
Dove
vorresti andare, scusa?” Gli chiede perplesso.
Kenny
sorride e lo stringe.
“
Ovunque.
Sarà solo per un giorno. Poi torneremo. Ho voglia di
uscire.”
A
quel punto
Stan si scioglie in un sorriso.
Si
stupisce
quando la voce nella sua testa tace. Nessun consiglio acido. Nessun
sottolineare quanto sia una stronzata. Nulla. Vuole solo soddisfare i
piccoli
desideri di evasione di Kenny.
Sorride
più
apertamente e bacia la fronte di Kenny. “ Allora
facciamolo.”
Vede
un
guizzo biondo tra le sue braccia e sente un leggero tocco sulle sue
labbra. Non
capisce cosa sia, ma lo trova caldo e dolce. Deve ricordarsi di
indagare, più
tardi.
Il
pomeriggio promette noia, promette routine, e Stan non si preoccupa di
organizzarlo più di tanto.
Non
sa che
ha due visitatori, almeno finchè l’infermiere non
viene a chiamarlo, per poi
condurlo da loro.
I
due
visitatori hanno un’aria familiare, ma sa che non sono i suoi
genitori.
Si
concentra
sui loro volti, sui loro corpi, sui vestiti, vuole identificarli.
La
prima è
una ragazza. Una ragazza molto bella, dai lunghi capelli neri e dal
portamento
quasi marziale.
Veste
come
una nonna ed è un peccato, a giudicare dalle forme che
scorge sotto il grosso
maglione viola.
Ha
l’espressione commossa, addolorata, e si stropiccia le mani.
Gli ricorda Kenny,
anche lui si stropiccia sempre le mani.
“
Stan…”
Sussurra
il
suo nome, la ragazza sconosciuta, e una piccola lacrima le riga il
volto. C’è
un dolore profondo, quasi estremo, nel suo modo di serrare nervosamente
le
labbra.
Povera
dolce
creatura, perché la condizione di Stan la addolora
così tanto?
Il
ragazzo
invece è bizzarro. Sembra uscito da “The Big Bang
Theory”. La sua felpa
scolorita con Flash è patetica tanto quanto la chioma di
ricci fulvi,
probabilmente non pettinata da mesi.
Ha
un naso
troppo grande, e la sua magrezza eccessiva fa sembrare quella
sgradevole
protuberanza molto più pronunciata.
In
generale
direbbe che è sfigato e pure brutto.
Eppure
ha un
sorriso dolcissimo, meraviglioso, rassicurante…
Falso. Sorride per non farti leggere il suo
dolore. E tu sei un coglione, Stan. Sei un coglione perché
non li riconosci.
Stan
batte
le ciglia per tre volte.
Cerca
nella
sua labile memoria. Li trova. Li identifica.
Sono
Wendy e
Kyle.
Sono
la sua
ex ragazza e il suo migliore amico.
Improvvisamente
prova una gran rabbia per loro. Sono venuti soltanto adesso? Dopo tre
fottutissimi mesi?
Ricordi quel bambino? È stato il primo a
voler diventare tuo amico, quando sei arrivato a Londra.
Ti aveva promesso che sarebbe stato per
sempre il tuo Super Migliore Amico.
E tu l’avevi promesso a lui.
Kyle ti vuole bene.
E Wendy anche. Lo sappiamo entrambi quanto
tenga a te, nonostante tutto. Tanto che voleva cambiarti. È
per questo che non
mi piaceva per niente, eppure di certo non ti avrebbe abbandonato.
Nessuno di
loro ti avrebbe abbandonato.
Ora
abbracciali.
Questo
dice,
la voce nella sua testa, e Stan abbraccia i suoi ospiti, mentre
un’improvvisa,
dolorosa, nostalgia gli squarcia il petto.
Non
nota
nemmeno per un momento Kenny che lo fissa, dalla porta della loro
cameretta,
con gli occhi vuoti, come se avesse perso la propria anima.
Quando
la
notte cala, Stan decide di andare al bagno. È sveglio,
sicuro, pronto. Vuole
dare una scossa al proprio cervello. Vuole conficcarci le unghie,
spremerlo,
sbatterlo all’aria, e poi infilarlo nuovamente nella scatola
cranica. Si veste con
i vestiti migliori che ha e si dirige verso la camera. Deve prelevare Kenny, trascinarlo fuori.
Vuole vivere la notte con lui. Vuole portarlo a casa sua, nel suo
quartiere.
Vuole che conosca Kyle. Vuole che conosca Wendy. Possono ricominciare
una vita
fuori dall’ospedale. Insieme.
La
voce
nella sua testa gli fa notare che non ci riuscirà mai, ma
lui la zittisce.
Sul
letto,
però, non c’è il suo Kenny. Lo osserva
a lungo e decide che quello è il
ragazzino arruffato con gli occhi sporgenti che ha incontrato il primo
giorno.
Si avvicina prudentemente. Vorrebbe chiedere che cosa gli sia successo.
Kenny
indossa il pigiama. Non è pronto. Non uscirà. Non
scapperanno insieme. Lo vede
alzarsi dal letto con estrema lentezza. Chiude la porta. Si avvicina
all’interruttore. Poi spegne la luce. Un piccolo gemito
raggiunge le orecchie
di Stan. Un piccolo gemito proveniente dall’angolo di
oscurità dove dovrebbe
trovarsi Kenny.
Poi
la voce
del ragazzo gli parla, dal buio.
“
Tu puoi
salvarti, Stan. Ti ho visto oggi, con loro. Io ti sto tenendo chiuso
qui. Vai
oltre. Guarisci e torna da loro.”
Sussurra.
Poi,
improvvisamente, un abbraccio. Un abbraccio nel buio. E una piccola
creatura
singhiozzante tra le sue braccia.
“
Io sono un
rifiuto, non uscirò mai da qui, ma tu… tu hai la
vita a portata di mano. Puoi
essere diverso, puoi essere libero.”
Le
mani di
Kenny gli accarezzano la schiena.
“
Lei ti
darà dei bambini bellissimi e Kyle sarà il loro
padrino… e tutti saranno
felici…”
È
allora che
Stan lo bacia. Gli alza il volto e lo bacia dolcemente sulle labbra.
Kenny
trema,
sorpreso da quel contatto, le lacrime che scendono ancora copiose dai
suoi
occhi.
Presto
però
si lasciano andare a un desiderio da troppo tempo latente in entrambi.
Si
stringono con troppa forza, mentre il loro bacio diventa più
intenso, e le loro
labbra ingaggiano una romantica battaglia.
È
Kenny ad
allontanarsi, poi, ancora immerso nell’oscurità.
Ha
bisogno
di parlare ancora.
Non
chiede
la ragione di quel bacio, la conoscono entrambi. Si limita a chiedere:
“ Sei
sicuro di preferire me?”
Stan
accende
la luce, per poter guardare il sorriso di Kenny, per poterlo
ricambiare, per
accertarsi che sia tutto vero.
Lo
vede più
bello che mai, con i chiarissimi capelli tutti scarmigliati e quelle
deliziose
lentiggini sul naso.
Vorrebbe
prenderlo in braccio e farlo girare tanto, tanto, finchè gli
occhi di entrambi
non rischierebbero di esplodere.
“
È così…
strano.”
Kenny
si
dondola sul divano. È la prima volta che sale su quel
divano, ha sempre
preferito la poltrona.
“
Lui mi abbraccia
così…” Mima l’abbraccio con
un gesto teatrale “ e io mi sento… libero. Come se
i problemi che hanno sempre assillato la mia mente non esistessero
più. Non ne
conosco il motivo, ma mi sento decisamente meglio.”
Il
medico è
preoccupato. Teme che questo improvviso benessere di Kenny, dovuto alla
sua
nuova relazione con Stan, sia del tutto artificiale. Ha paura di una
gravissima
ricaduta, nel caso i due venissero brutalmente allontanati.
Non
ha
ancora deciso, però, se esprimere i suoi dubbi al paziente.
Vuole aspettare.
Vuole vedere che succede.
Kenny
guarda
il vetro della sala comune. Lo osserva attentamente. Gli altri, tutti
attorno,
se ne stanno in guardia. Si aspettano una crisi da un momento
all’altro. Si
aspettano urla, pianti, il solito Kenny. Ma lui sorride. È
la prima volta, dopo
anni, che vede se stesso.
Si
trova
pallido, dimagrito, con gli occhi troppo grandi, eppure carino. Si
rimira per
alcuni minuti, facendo qualche giravolta.
In
silenzio,
poi, corre in camera. Stan è in terapia, non può
condividere con lui la sua
nuova scoperta, per il momento.
Il suo cuore gli suggerisce di correre nell’ufficio
dell’analista per dare
subito la buona notizia al suo Stan, eppure infine opta per preparargli una sorpresa.
Toglie la carta da
pacchi dalle finestre e dal grande specchio sopra il letto di Stan. La
toglie
anche dagli specchi dentro l’armadio.
Si
riflette,
infine, in quegli stessi specchi. Specchi veri, non semplice vetro.
Cerca di
pettinarsi meglio – i suoi capelli sono spettinatissimi
– e di darsi una
sistemata. È incredibile. Non credeva che questo giorno
sarebbe mai arrivato.
Quando
Stan
torna in camera, e nota l’assenza delle varie
“Protezioni” che Kenny aveva
sparso un po’ per tutta la stanza, rimane perplesso. Osserva
il suo compagno
con aria interrogativa e riceve, come risposta, un sorriso raggiante.
Vede
il suo
piccolo, dolce fiore – così aveva iniziato a
chiamarlo – alzarsi e
abbracciarlo, per poi trascinarlo davanti allo specchio.
Così, ancora stretti
l’uno all’altro, si specchiano insieme. Kenny si
sente forte, si sente libero,
e vorrebbe gridare la sua gioia talmente forte da rompere tutte le
finestre
dell’ospedale.
Osserva
il
riflesso di Stan, accanto al suo, e sussurra: “ Siamo una
coppia bellissima,
vero?”
“
Siamo
meravigliosi…”
Dice
Stan.
Lo dice ad alta voce, ed è chiaramente leggibile, nei suoi
occhi, una gioia che
nessuno dei due ricordava di poter provare.
Circondati
dai nuovi giochi di luce che gli specchi creano, quella notte, Stan
decide di
donare tutto il suo cuore a un nuovo, raggiante Kenny.
Improvvisamente
i loro baci non bastano più a nessuno dei due.
Presto
i
loro pigiami finiscono a terra, mentre un calore sempre crescente
riempie
l’aria.
C’è
l’amore
di due giovani anime, in quella stanza e i loro corpi si uniscono in
una fluida
magia, un monumento alla distruzione di quel bisogno che aveva condotto
entrambi alla follia.
Mentre
la
dolce frenesia dell’amplesso si fa più intensa,
Kenny lancia uno sguardo allo
specchio accanto a loro e nei suoi occhi non vi è
più alcun mostro, solo lui e
Stan che fanno l’amore.
È
uscito da
una settimana. Ufficialmente guarito, ora Stan Marsh è un
uomo libero.
Ora,
con un
sacchetto pieno di cioccolatini, sta andando a trovare la ragione della
sua salvezza,
il suo piccolo, dolce fiore.
Appena
arriva alla casa di cura, il medico che l’aveva curato lo
accoglie gentilmente,
gli chiede com’è stato reinserirsi nel mondo, lo
fa accomodare sui divani della
sala comune che tanto bene conosceva. Si guarda attorno, e gli altri
ragazzi lo
salutano; ce ne sono alcuni di nuovi, che non conosce, ma non riesce a
vedere
Kenny. Forse è in camera sua. Ha sempre preferito stare
nella propria stanza…
nella loro stanza.
Chiede
al
dottore dove sia. Il medico sospira.
D’un
tratto
il suo sguardo si fa cupo.
“
Stan… deve
sapere che Kenny non ha resistito a lungo, dopo la sua
partenza.”
Gli
mette
una mano sulla spalla.
“
Dopo solo
due giorni ha ricominciato ad avere allucinazioni e… Stan si
calmi, ora la
porto da lui, ma prima mi lasci spiegare… ecco…
Kenny ha dato una testata allo
specchio. L’ha rotto, e i frammenti gli si sono conficcati
negli occhi. Ha
perso quasi completamente la vista.”
Stan
è
sconvolto. Si sente orribilmente in colpa, tutto ciò che
desidera è correre da
lui.
Lascia
il
medico da solo e corre verso quella che era stata anche la sua stanza,
per poi
spalancare la porta, gridando il nome del suo amore.
Kenny
è a
letto, sotto le coperte. Ha delle garze quadrate sopra gli occhi e
delle bende
per tenerle ferme.
Lo
riconosce
però, dalla voce, e scatta a sedere come risvegliandosi
all’improvviso.
“
Stan.. sei
tu…”
Stan
si
avvicina e lo abbraccia forte, scoppiando a piangere
“
Ehi… ci
speravo proprio, che tornassi…” sussurra Kenny. Lo
bacia dolcemente, con una
calma strana, come se non fosse successo niente.
“
Kenny… i
tuoi occhi…”
Il
suo
adorato biondino accenna un sorriso, e cerca la sua mano a tentoni, fra
le
coperte.
“
Avevo
paura Stan… avevo paura che mi avresti
dimenticato…”
La
stretta
di mano più dolorosa della sua vita, così la vive
Stan, mentre si lascia andare
a un pianto sconvolgente.
Bacia
le
labbra di Kenny, ancora e ancora. Vuole portarlo via con sé.
Gli promette che
lo farà
Quando
esce
dalla stanza, si sente sicuro. Sa che sarà lui a prendersi
cura di Kenny per
tutta la vita.
Sono
passati
tre anni, da quando Stan ha firmato dei documenti che l’hanno
reso
ufficialmente responsabile della vita di Kenny.
Da
quel
momento hanno sempre vissuto insieme, in una nuova casa soltanto per
loro.
Kenny
non ha
più recuperato la vista, ma ha imparato a camminare con
l’aiuto del bastone.
Non
ha più
paura dei mostri. Anche se non può vedere, sa che se ne sono
andati per sempre.
I
suoi
capelli non sono più spettinati, ora ha qualcuno che lo
aiuta a pettinarsi. Ha
guadagnato peso, riesce a
sentirlo,
toccandosi la pancia. È sempre così, gli hanno
detto: quando qualcuno è davvero
sereno, finisce per ingrassare un poco. Forse questo significa che il
passato è
veramente lontano.
Si
vergogna
ancora, però, della sua follia. Ancora non riesce a
spiegarsela. Quando l’hanno
affidato alle cure di Stan, i medici lo davano ancora per spacciato.
È stato
orribile, orribile davvero, sentirsi dire che non sarebbe mai stato
sano.
Non
vuole
ricordare quell’orrendo periodo, eppure è
così felice aver trovato Stan. Il suo
adorato Stan.
Il
loro
amore sembra crescere ogni giorno di più.
A
volte ha
temuto che un amore iniziato nella malattia potesse finire
drammaticamente,
invece è cresciuto sempre di più, regalando a
entrambi un nido a cui poter
sempre tornare.
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Questa
storia è stata un parto lunghissimo. Ci sono voluti mesi,
per terminarla, e
ancora non è questo granchè (o almeno non lo
è il finale. Pochissima epicità,
lo so, ma io sono per gli happy ending).
È
passato
talmente tanto tempo, da quando l’ho iniziata, che non so
davvero che cosa
dire.
So
solo che
voglio pubblicarla presto, dare vita a questa creatura che amo
follemente
quanto amo follemente la coppia di cui parla.
Spero
che vi
lascerà qualche emozione, e vorrete lasciarmi un commento
per farvi sapere come
vi è parsa.
Grazie
a
tutti.
Un
bacio.
PS:
avevo
fretta di postare, perciò non è betata. La
rileggerò/correggerò nei prossimi
giorni. :3
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