Il
tordo canterino
Guardò
distrattamente la maestra camminare lentamente tre le
due file di banchi, contrarre la bocca in una smorfia astiosa e
socchiudere gli
occhi, per poi raggiungere la cattedra e sedersi.
Si
rigirò tra le dita la matita, carezzandone la superficie
rovinata
e smangiucchiata, prima di fare un singulto e lasciarla cadere per
terra.
Si
portò una mano al fianco destro e si girò verso
il suo
compagno di banco, che gli sorrise mostrandogli la penna con cui
l’aveva appena
pungolato. Gli occhi chiari di Giovanni Cacciacani brillarono
divertiti, mentre
i suoi si inumidivano.
Digrignò
i denti riportando l’attenzione sulla maestra,
cercando di ignorare il compagno, impegnato a frugare
nell’astuccio, non
contento della sua reazione.
La
donna si era messa i vistosi occhiali con la montatura a
farfalla, che era solita indossare durante i colloqui con i genitori e
per le occasioni
importanti, e si osservava soddisfatta attraverso il vetro del piccolo
orologio
che portava al polso.
Infastidita
sollevò gli occhi e fulminò la classe. I bambini
si ristrassero, schiacciandosi contro le sedie e il mormorio
cessò di colpo.
Nell’inquietudine
e nel silenzio generale non passò
inosservato il suo secondo singulto. Cacciacani l’aveva
colpito di nuovo,
questa volta all’altezza della spalla e quando gli occhi
della donna si
posarono su di lui avvertì una dolorosa stretta allo
stomaco, poi afferrò la
prima penna che gli capitò sotto mano, si voltò e
la conficcò nella gamba del
bambino, Giovanni Cacciacani dilatò gli occhi e
cacciò uno strillo, poi si
accasciò sul banco, mentre la maestra , scandalizzata,
saltò quasi giù dalla
sedia e gli occhiali le scivolarono dal naso, atterrando sul registro.
Alessio
osservò sbigottito la punta della penna, che
stringeva nella mano destra. Aprì la bocca ed emise un suono
strozzato quando
si sentì sollevare di peso. Invano cercò di
aggrapparsi al banco, ma la maestra
lo trascinò dall’altra parte dell’aula
sbraitando.
Avvertì
le unghie della donna conficcarglisi nel braccio,
mentre lo stomaco gli si contorceva dolorosamente per la seconda volta.
Si
piegò in avanti, dibattendosi. Il tessuto scuro del
grembiule
si lacerò e Alessio quasi riuscì a liberarsi.
Tirò la gonna nera della maestra,
che strillò, contrasse le labbra e lo afferrò per
un orecchio torcendoglielo.
Alessio
si bloccò di colpo, più per l’aver
realizzato cosa
stesse facendo, che per l’effettivo dolore. Si
lasciò trascinare fino alla
porta, poi guardò la maestra, rossa in viso e con i capelli
arruffati, e si
vergognò. Abbassò gli occhi e si
osservò le scarpe, intente a seguire l’andatura della donna, troppo svelta
per impedirgli di
incespicare nei suoi stessi piedi.
Quasi
inciampò, ma la maestra non glielo permise,
trattenendolo per l’orecchio.
Aprì
la porta e lo
sbatté fuori dall’aula. Con la voce resa stridula
dal nervosismo gli intimò di
non muoversi e ritornò in classe.
Alessio
si strofinò il braccio e poi l’orecchio. Gli occhi
stretti, la bocca socchiusa e un rivolo di sudore che gli percorreva la
tempia.
Respirò
a fondo, cercando di scacciare la fastidiosa
sensazione alla bocca dello stomaco e si toccò lo strappo
del grembiule, all’altezza
del braccio destro. Sua madre non ne sarebbe stata contenta,
pensò stringendosi
nelle spalle.
Un
tordo si posò sul ramo dell’albero di castagne
situato al
centro del cortile e Alessio, attraverso la finestra del corridoio, lo
osservò
arruffarsi le piume, scuotere la testa e spalancare il becco in un muto
lamento.
Non
si spaventò quando lo vide cadere e accasciarsi al
suolo, tra le foglie secche che il guardiano aveva dimenticato di
raccogliere.
Si
passò una mano tra i capelli neri, per poi voltarsi e
avviarsi.
Camminava
svelto, battendo ritmicamente la suola consunta
delle scarpe contro la superficie liscia del corridoio, ripercorrendo
mentalmente la strada che glie era passata per la testa poco prima.
Arrivò
a metà del corridoio e, senza fermarsi, girò a
destra e poi
svoltò a sinistra. Salì una
rampa di scale e si ritrovò al piano superiore, nel quale
non era mai stato, poiché
era interdetto alle elementari, ma non ne se preoccupò:
sapeva esattamente cosa
fare. Sgusciò verso la parte più stretta del
piano, tenendo gli occhi fissi su
un punto imprecisato davanti a lui. Quando i suoi piedi si fermarono si
ritrovò
dinanzi a una porta completamente grigia. Di fianco allo stipite
c’era una
targhetta che riportava una parola di cui non conosceva il significato.
Alessio
socchiuse le labbra, lasciandosi sfuggire un ansito,
poi girò la maniglia e la serratura scattò.
Entrò nell’aula e la porta si
richiuse dietro si lui.
Quando
l’ultima campanella suonò, ponendo fine alle
lezioni,
posò l’ultimo foglio sull’alta pila di
compiti che era alla sua destra e tirò
un sospiro di sollievo. Con calma radunò le sue cose e le
infilò nella valigetta
di pelle, regalatagli da una collega il Natale precedente, mentre
ascoltava il
vociare concitato della scolaresca inetenta ad abbandonare
l’istituto. Strinse le
labbra ritrovandosi tra le mani il fascicolo di uno degli studenti
della scuola
primaria. Gli occhi grigi del bambino, ritratto nella foto tenuta ferma
da una
graffetta insieme agli altri fogli, ricambiarono la sua occhiata
perplessa.
Tentennò
per qualche secondo, indeciso, poi infilò anche il
fascicolo nella valigetta e uscì dall’ufficio.
Dopo essersi assicurato che
tutti i bottoni del suo cappotto si trovassero nelle rispettive asole,
fece l’usuale
controllo del piano. Era un’abitudine che aveva conservato
fin dall’adolescenza,
gli piaceva girare per la scuola quando era sicuro di non incontrare
nessuno o
al massimo il vecchio bidello. Per quanto fosse conscio che non ce ne fosse alcun bisogno,
prolungava giorno dopo
giorno il giro, non avendo alcuna fretta di ritornare in una casa vuota.
Lanciò
un’occhiata distratta al castagno nel cortile e vide
l’ultimo studente ritardatario accingersi a varcare il
cancello e correre verso
casa. Sorrise, beata gioventù, pensò
dirigendosi
verso l’ultima porta del piano.
Quando
si trovò davanti al laboratorio di chimica posò
una
mano sulla maniglie e la fece girare, certo che questa opponesse
resistenza, ma
non fu così. La serratura scattò e la porta si
aprì.
L’uomo
si accigliò e scosse la testa, prima di infilare una
mano dalla tasca e tirarne fuori un mazzo di chiavi.
Stava
per infilarle nella toppa quando un odore pungente lo
costrinse ad arricciare il grosso naso.
Allarmato
entrò nell’aula e impallidì vedendo
tutta una
lunga fila di provette lasciate incustodite sulla cattedra, con ancora
al loro
interno il contenuto. Un rumore attirò la sua attenzione,
mentre l’odore si
faceva sempre più pungente. Si voltò e si
bloccò, incontrando un paio di piccoli
occhi grigi.
-Che
cosa ci fai qui?- esclamò atteggiando il viso rugoso
nella sua migliore espressione seria.
Il
bambino gli sorrise, alzando le spalle. Il grembiule sporco
e le mani impiastricciate. Ne allungò una verso un punto
davanti a sé e il
professore la seguì. Impallidì, vedendo la luce
rossa del fuoco allungarsi
verso il soffitto, annerendo la parete e bruciando la vecchia tavola
periodica.
Scattò
verso il bambino, cercando di afferrarlo per la vita,
ma questo si dimenò e sfuggì alla sua presa.
Incredibilmente rapido, il fuoco
si propagò per tutta la parte destra dell’aula,
arrivando quasi alla porta.
L’uomo
urlò indietreggiando, poi riuscì ad afferrare il
bambino
per una delle maniche del grembiule. Lo strattonò e questa
cedette
definitivamente e lui se la ritrovò in mano.
Gli
occhi di Alessio si accesero e, con una forza non sua,
spintonò l’uomo. Il professore sorpreso, perse
l’equilibrio e cadde all’indietro.
Si ritrovò poggiato alla superficie piana della cattedra,
mentre il fuoco vi si
arrampicava per una delle gambe.
L’uomo
non ebbe il tempo di scostarsi, che una delle
provette esplose per il troppo calore, seguita subito dopo dalle altre.
Si ritrovò
sbalzato in avanti, mentre le schegge di vetro gli si conficcavano
dolorosamente nella carne e lui batteva la testa.
Prima
che Alessio riuscisse a raggiungere la porta, questa
fu inghiottita dalle fiamme e poi ci fu solo una nuvola di fumo.
Con
fatica riaprì gli occhi, ma subito fu costretto a
richiuderli. La luce troppo forte della lampadina gli illuminava il
viso tondo,
mentre una mano callosa lo scuoteva dicendo parole che gli arrivavano
come una
confusa cantilena.
Sospirò
e riaprì gli occhi, incontrando la piega pronunciata
della bocca di un vecchio. La pelle cadente delle guance tremolava e si
intravedeva un filo di barba.
Alessio
si mise a sedere e l’uomo smise di scuoterlo. Si mise
una mano su una guancia, strofinando una macchia nera di fuliggine,
mentre
osservava l’uomo articolare a fatica una frase.
-C’hai
fatto?- latrò, sfilandosi un fazzoletto di panno da
una delle tasche posteriori del camice per poi strofinarglielo con
forza sul
naso.
Alessio
scosse la testa, mentre la sua attenzione veniva
catturata dalla porta annerita del laboratorio.
-Niente.-
rispose con la semplicità che caratterizzava
l’infanzia,
prima di sorridere al bidello.
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