Scuro,
denso, vischioso. Plic.
Inesorabile,
cadeva a terra goccia dopo goccia. Cadeva dalla punta del nastro di
seta rosso
che portava ancora stretto in quella mano; ero zuppo del suo sangue.
Si
trascinava i piedi storti ma ancora camminava, ripiegata su se stessa,
gobba
come non lo era stata mai. Il vestito strappato, i merletti presi a
morsi; la
manica destra portata via quasi come il braccio, tinto di rosso. Lei
ansimava,
ma ce l’aveva quasi fatta, non poteva mollare, non ora.
Plic. Un’altra
goccia rossa cadde a
terra e dal nastro se ne formò un’altra.
Voleva
gridare… gridare il suo nome, ma non poteva, non ne aveva le forze. Lo
sapeva
bene che stava morendo.
r e s t l e s s n e
s s
Anno
2499. Febbraio. Regno della Francia. Lione A, Villa Le Charme.
Socchiuse
la porta con delicatezza e poi le diede un piccolo tocco, per chiuderla
e far scattare
la serratura. La vestaglia rosa, lunga, terminava con qualche merletto,
proprio
ai suoi piedi scalzi. Camminò verso il paffuto tappeto dalle tinte
calde e tra
i grandi cuscini colorati, così prese un libro dalla spessa copertina
grigia;
le sue rosee labbra sorrisero mentre scorrevano le pagine fino al segno
lasciato la scorsa notte. Piegando la vestaglia alle gambe prese a
sedersi
delicatamente sull’immenso materasso del letto a baldacchino, per poi
coprirsi
e sistemare bene i cuscini dietro la nuca. Accese la sua abatjour e
seduta
comodamente cominciò a leggere, a bassa voce.
«Feeling that Peter was on his way back, the
Neverland had again-», la sua candida voce si bloccò
all’imprivviso. Avvertì
uno strano rumore fuori della sua finestra e spalancò gli occhi verdi;
infine
pensando potesse trattarsi solo del vento che sbatteva i rami
dell’albero in
giardino, riprese la sua lettura, verso quel mondo fantastico che le
piaceva
tanto. «Woke into
life».
Udì di nuovo
il rumore. Non poteva trattarsi di semplice suggestione: i rami
sbattevano
proprio contro la finestra ed era impossibile si fosse messo così tanto
vento
nel giro di pochi istanti, non sentiva altro a parte un unico ramo. Le
sue
labbra rosa sorrisero pensando potesse trattarsi di qualche scoiattolo.
Ripose
delicatamente il segnalibro in mezzo alle pagine e richiuse il libro,
prima di
scendere dal letto. Corse estasiata verso la finestra e spalancò le
lunghe
tende, ma quando aprì, affacciandosi, non fu uno scoiattolo ciò che
videro i
suoi grandi occhi: una macchia nera le saltò addosso dal nulla,
gettandola a
terra. La sua bocca fu tappata da una mano sporca che sapeva di sangue
e terra,
e i suoi occhi verdi, spalancati dal terrore, incontrarono quelli scuri
della
persona sopra il suo corpo, che le faceva segno di tacere. Il cuore
della
ragazza cominciò a rallentare i suoi battiti, per calmarsi, e così il
suo
respiro. Quando sembrò essersi calmata abbastanza, la mano sporca la
lasciò
andare e quella persona si rialzò, correndo ad affacciarsi alla
finestra per
controllare scrupolosamente da ogni lato e così chiuderla lentamente,
facendo
attenzione a non far il minimo rumore.
Lei
l’osservava impietrita, spaventata. Avrebbe voluto
gridare: qualcuno dei camerieri ancora sveglio di certo l’avrebbe
sentita, ma
non ne aveva la forza, doveva prima riprendersi dall’orribile shock
subito,
pensava. E ora che guardava meglio quella figura e riusciva a
distinguerne le
forme dalla soffusa luce della sua abatjour, capiva che si trattava
d’una
donna. Una donna dai capelli neri raccolti con dello spago, tutta
sporca e per
di più puzzolente: continuava ad esaminare. E senza dubbi, pensava,
doveva
provenire da Lione B, la parte povera e rozza della città. Cosa ci
faceva quella da quelle
parti e soprattutto
perché si era introdotta in casa sua?
Stava
per aprire bocca quando la donna scura si gettò
nuovamente su di lei, bloccandola a terra.
«Non
gridare, non chiamare aiuto, non fare niente», l’ammonì
con lo sguardo.
Il
suo pessimo alito le arrivava dritto alle narici,
disgustandola.
«Se
è venuta per derubarci, sappia che è finita nella villa sbagliata»,
sussurrò lei, tentando di respirare il meno possibile. «Mio padre è un
feroce
vampiro e quando lo saprà andrà su tutte le furie! Non ne rimarrà una
briciola
di lei, chiunque sia».
Alla
donna scappò un fine sorriso per poi prendere a ridere
di gusto, mantenendo bassa la sua voce. «Sì, sì, conosco tuo padre… Un
piccolo e
ricco signore che, avendo quasi paura della sua stessa ombra, ha una
guardia davanti
alla sua camera da letto ogni notte».
«Co…», si
sentì
infangata, «Come osa dire questo di mio padre?».
«Leggo
i giornali», disse semplicemente prima di rialzarsi
da terra e stendere una mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi a sua
volta. «Miss
Adeline Isis Lemaire. Io sono Julienne Faure, piacere di conoscerla».
«Non
posso dire lo stesso», lei strabuzzò gli occhi. «Non mi
terrò alla sua sporca mano per alzarmi dal pavimento, se lo scordi… Mi
ha già
toccato e sporcato abbastanza che non deve mai più azzardarsi a
toccarmi con un
solo dito, sono stata chiara?!». I suoi canini bianchi risplendevano
sotto le
sue rosee e delicate labbra.
«Oh,
come volete, Miss. Effettivamente non sono molto
pulita-», si bloccò, voltandosi intorno ad osservare quella grande
stanza piena
di rosa e soffici tinte. «Non quanto te e la tua camera da riccona… Qui
i soldi
se ne vanno a puttane, vedo, la tua sola stanza è grande quanto lo era
casa mia
quando ero bambina». Prese d’occhio l’enorme letto e senza rivolgere
altro
sguardo alla ragazza cominciò ad avvicinarcisi.
Adeline
fece presto, sbraitando, ad alzarsi dal pavimento
per interrompere il suo cammino. «Non si avvicini al mio letto, per
carità», si
mise subito in mezzo ai due. «Là è dove dormo!», spalancò occhi e
bocca.
«Ma
non mi dire, ed io che pensavo che i vampiri dormissero
per terra come i cani», strabuzzò gli occhi scuri.
«Beh,
non mi stupirebbe se il suo livello intellettuale non
arrivasse a fare due più due, credo sia già troppo che sappia leggere».
«E
a proposito di leggere», vide il libro e spostando la
ragazza con un braccio saltò sul letto, per sdraiarsi e afferrarlo,
controllandone la copertina. «Peter Pan»,
lesse. «Mai sentito. Miss si diletta con strani racconti prima di
addormentarsi»,
rise, cominciando a sfogliarlo.
«Non
lo tocchi! Tolga subito le sue mani dal mio libro
preferito, finirà per sporcarlo», sbraitò, cominciando a rotolarsi sul
letto
per cercare di strapparglielo dalle mani, sembrando un’impresa fin
troppo
ardua: quella donna era scaltra e veloce, pensava, stringendo i denti.
La
donna continuò a ridere, divertita, fin quando non la
gettò da un lato del grande materasso e sopra di lei la tenne bloccata,
con una
mano sul libro, cercando di leggerlo lontano dalle sue mani, e l’altra
sulla
sua spalla, tenendola ferma con il braccio. «Miss è un po’ viziata, eh?
Succede
quando cresci in una villa e non nelle strade. Non romperò il tuo
libro. E non
lo sporcherò», lo poggiò infine sul materasso accanto a lei. «Tanto non
lo so
leggere».
«È
in inglese».
«Appunto,
non lo so leggere».
Si
zittirono entrambe per pochi minuti, il tempo di
risistemarsi sul letto, e darsi una breve occhiata.
«Cosa
fa qui, è una ladra?», chiese Adeline, riprendendo il
suo libro e poggiandolo sul comodino, dopo avergli dato con cura
un’occhiata,
quasi per paura glielo potesse riprendere.
«Sì»,
disse, «Sono una ladra, chi non lo è là fuori se si
vuole vivere?! Ma non sono entrata qui per derubarti, stai tranquilla,
Miss».
Fu quasi un sorriso quello che si intravide dalle sue labbra sporche di
fango. «Me
ne andrò a breve, quindi non aver paura», il suo sguardo volò verso la
finestra, incantata, ma entrambe si voltarono spaventate quando udirono
ad un certo
punto bussare alla porta. La donna scese e si nascose dietro al letto,
quando
la porta scattò e si aprì. Un uomo alto e robusto entrò per primo, e
dietro di
lui uno più piccolino, cicciotto e in vestaglia, un po’ pelato e coi
baffetti,
che scrutò a destra e sinistra prima di osservare sua figlia.
«Bambina
mia, Lucien dice di aver avvertito degli strani
brusii provenire dalla tua camera», diede un veloce sguardo alla sua
guardia
del corpo. «Va tutto bene?».
Adeline
restò come in attesa, senza sapere cosa dire,
scrutando la ragazza dietro al letto. «Sì», disse infine, «Solo non
riuscivo a
dormire e mi sono messa a leggere e… è tutto», scrollò le spalle.
L’uomo
annuì e dopo un’altra breve occhiata alla camera sussurrò
la buonanotte, ed entrambi uscirono, per poi richiudere la porta alle
loro
spalle.
«Non
hai detto niente…», bisbigliò Julienne, mettendosi
seduta. «Grazie».
«Non
so perché l’ho fatto», disse lei con sufficienza. «Quindi
non mi ringrazi. Come ha detto che si chiama?».
«Julienne
Faure».
«Ottimo,
Miss Julienne», sussurrò, facendo sorridere l’altra
ragazza. «Ora le consiglierei di andarsene, prima che cambi idea».
Deglutì poi,
quando vide lo sguardo dell’altra fisso sul suo, restando zitta. «Oh…
lei non è
un’assassina, vero?».
Julienne
fece per ridere divertita da quell’affermazione,
che la lasciò senza fiato. «No, no. Hai paura che ti uccida?».
«Beh,
spero di no».
«Sei
buffa, direi… adorabile»,
disse prima di darsi lo slancio e afferrarla dietro la nuca, per
arrivare alle
sue labbra rosee e calde e baciarla, sotto lo sguardo attonito di lei.
La
lasciò andare dopo poco, godendosi lo spettacolo di quella piccola Miss
rossa e
imbarazzata, quasi impaurita, che tremante si portava una mano alla
bocca, ad
occhi spalancati. Sembrava volesse dire qualcosa ma le parole le
morirono prima
di arrivare a destinazione.
«Non
ho resistito», le fece per un attimo la linguaccia. Si
alzò dal pavimento poco dopo, dirigendosi alla finestra.
«Lei…».
Julienne
si voltò, per vederla infuriata, arrivandole
addosso puntando un dito.
«Lei…
Lei è assolutamente la donna più spregevole che io
abbia mai conosciuto in tutta la mia vita».
«Si
vede che non ne hai conosciute abbastanza», rise
l’altra.
«Non
scherzo. Lei mi ha rubato il primo bacio, sa che vuol
dire? È una cosa importante per me, come ha potuto?! Ed io, gentile,
non ho
nemmeno avvertito mio padre della sua presenza qui», continuò a parlare
ininterrottamente, «Lei non ha un minimo di riconoscenza».
«Ehi,
devo darti un altro bacio per farti stare zitta?».
«Non
osereste?».
«Tu
dici?», rise Julienne. Aprì la finestra, guardando con
attenzione fuori, prima di ansimare. Lo fece appena, ma i sensi
sviluppati
della natura da vampiro di Adeline lo avvertirono immediatamente:
quella donna
era preoccupata, qualcosa la turbava molto. Con il silenzio che si era
creato,
la ragazza poté sentire il flusso sanguigno di quella donna scorrere
molto più
veloce del normale e il cuore batterle ad un ritmo crescente.
«Da
cosa scappava, Miss Julienne?», sussurrò poi, facendosi
seria.
L’altra
socchiuse per un attimo la finestra, per guardare
lei dritta negli occhi. «Da alcune persone», rispose.
«Le
vogliono fare del male?».
«Adesso
vado», disse poi, senza rispondere. Spalancò la
finestra e, acchiappando il ramo nel quale si era arrampicata, tentò un
salto. «Riguardati,
Miss», sorrise.
Adeline
restò affacciata alla finestra e le due si
scambiarono un lungo sguardo. «Torni…», sussurrò poi, come se non
potesse farne
a meno. «Torni. Se ha bisogno, dico… può sempre tornare qui».
Julienne
per tutta risposta sorrise e scese dall’albero.
Adeline restò affacciata alla finestra finché non la vide scomparire
dietro al
cancello e lungo la strada buia. Quello era stato uno strano incontro
del
destino.
I
giorni passarono e Miss Adeline, ogni notte, come
aspettasse il suo arrivo, lasciava aperta la finestra prima di andare a
letto. Entrava
un po’ di freddo ma non si poteva lamentare con la sua casa calda e le
soffici
coperte.
Aspettava
il ritorno di Julienne, quella ragazza che,
proprio come fece Peter Pan, entrò una notte dalla finestra e le portò
via il
primo bacio, anche se non proprio come descritto nel libro.
E
infine tornò, un giorno della settimana seguente, stanca e
ancora più sporca di allora, e non le mancò di regalarle un sorriso,
scendendo
dalla finestra trovata già aperta, a lei che la guardava posando giù il
libro,
seduta sul suo grande letto.
«Peter
Pan... io penso», disse Adeline, con il libro tra le
mani, «fosse uno dei primi vampiri».
Julienne
rise di gusto, sistemandosi meglio il cuscino sulla
testa. Era bello per lei stare sopra quelle coperte morbide e fresche,
come mai
aveva toccato con mano prima di intrufolarsi in quella villa. «Uno dei
primi
vampiri?».
«Sì,
a pensarci bene… Non c’è scritto da nessuna parte, forse
è un’idea solo mia, però…», portò in alto i suoi occhi verdi, pensando.
«Lui
resta bambino per sempre, non invecchia… anche se forse è solo il
potere
dell’Isola Che Non C’è, e infine sa volare. Ho letto molti libri e
scorrono
delle voci che dicono che i primi vampiri non potessero invecchiare e
che
potessero volare. Ho letto di uno che si trasformava addirittura in
pipistrello!», fece stupita. «Ma questo, Peter non lo sa fare».
Julienne
sorrise. «Parlami di questo Peter».
«Se
vuole le leggo il libro, Miss Julienne. Lo so a memoria tante
volte che l’ho letto; è bellissimo». Mosse un po’ le gambe che teneva
incrociate, che cominciavano a far male. «Pensi che la storia comincia
con
Peter che entra nella finestra di tre fratelli, e Wendy, la sorella
maggiore,
lo vede e si scambiano il primo bacio, anche se non è proprio un bacio,
quello
nel libro».
«Oh,
un po’ come è successo qui, eh, Miss?».
«Ma
Peter è un ragazzo».
«Ma
le donne sono meglio», sorrise Julienne.
Adeline
non rispose e aprì il libro, nascondendo il suo viso
tra le pagine.
Quello
fu il primo dei tanti giorni a seguire che cominciò a
narrare le avventure di Peter Pan a Julienne; e alla ragazza sembrava
davvero
che cominciasse a piacerle, o forse non era solo quel racconto a
interessarla,
ma l’ambiente, la sicurezza che provava stando lì ogni notte, e Adeline
stessa,
che candida e pura le infondeva una certa armonia.
Cominciò
col venirla a trovare ogni giorno, e ogni giorno di
ogni mese. Adeline iniziava veramente a fidarsi di Julienne e questa
sedeva nel
suo letto ogni notte, fino a coricarsi con lei per vederla
addormentarsi
leggendo quel libro, in una delle tante avventure. Julienne si era a
suo modo
affezionata a lei. Quella notte, le baciò la fronte e le rimboccò le
coperte,
per poi uscire dalla sua finestra come Peter Pan.
«Perché
non resta ad abitare con me?».
Julienne
la fissò con gli occhi scuri spalancati, per poi
storcere il naso, in quella calda notte di Luglio. «Cosa, Miss?».
Adeline
era una creatura innocente e pura, tuttavia non era
nella sua natura passare per sciocca. I giorni passavano, i mesi
passavano, e
Julienne non volle mai parlare da ciò cui scappava, ma Adeline lo
sapeva che
man mano il tempo passava la sua paura cresceva. Le persone da cui si
nascondeva la stavano mettendo alle strette, pensava. Miss Adeline non
si
lasciava sfuggire nulla ai suoi sensi sviluppati: Julienne era un’umana
e il
suo corpo non mentiva, quando il sudore le scorreva freddo sulla pelle,
quando
il cuore pompava nuovo sangue a ritmi pericolosamente forti, agitata,
tentava
di fingere con un sorriso. Ma non era un sorriso sincero, poiché i lati
della
sua bocca mentivano; Adeline aveva intuito che più il tempo passava e
più
quella forte ansia aumentava, quel turbamento. Era forse una data
precisa
quella che le faceva paura? Si chiese.
«Mi
domandavo… se lei non potesse restare ad abitare qui con
me, Miss Julienne… Non le piacerebbe? Parlerò con mio padre e la farò
entrare
nella mia famiglia».
«No»,
scosse subito la testa. «Lascia perdere, Miss».
«Perché
no?». Dispiaciuta chinò la testa, per poi scrutarla
con quelli immensi occhi verdi. «A me non importa se è la classe… È
vero che
lei viene da Lione B ma non mi interessa più, anzi non mi è mai
importato».
Julienne
la fissò in brevi attimi di silenzio, prima di
accostarsi, alzandole il viso roseo con una mano sul mento, per
fissarsi negli
occhi. «Lo so», sussurrò, «E so anche cosa stai tentando di fare, Miss.
Ma non
ti devi preoccupare per me, so badare a me stessa», sorrise appena.
Anche
quello era un sorriso che attraversava una pallida
luce nei suoi occhi, si disse Adeline. E quel cuore… il suo cuore
minacciava di
scoppiarle nel petto, lo sentiva battere sulle sue orecchie come
martelli, ma
non glielo disse. Adeline non le disse tante cose. Non le disse di aver
capito
i suoi sentimenti per lei… ma forse Julienne lo sapeva, per un vampiro
dotato
di buona padronanza dei suoi sensi certe cose sono di facile
intuizione, e lei
sapeva che Adeline lo era.
Quella
notte fu difficile per Miss Adeline vederla andare
via.
Era
una notte di freddo ottobre per Lione A. Questa volta, Julienne
scavalcò con fatica il cancello di Villa Le Charme e ancora con più
fatica
riuscì ad arrampicarsi all’albero per poter arrivare a quella finestra.
Si
gettò con enorme difficoltà sul pavimento una volta oltrepassata la
finestra
già aperta, spaventando la povera Adeline che si era addormentata da
poco,
facendola sussultare. Credeva non venisse quest’oggi, era in ritardo.
«Miss
Julienne!», esclamò. «Tutto bene?». Presto si liberò dalle
pesanti coperte e corse coi piedi nudi verso la ragazza a terra.
«Sì,
tutto a posto». Si rimise su con fatica: le gambe e le
braccia le vibravano e Adeline notò lo sforzo.
«Tutto
a posto un accidente, se permette», disse infuriata. «Cosa
le è successo?».
«Sono
solo un po’ stanca», rise Julienne. Notava con piacere
che Miss Adeline arrabbiata era sempre molto buffa; faceva scaturire
qualcosa
in lei.
Adeline
chiuse la finestra e l’aiuto a sdraiarsi sul
materasso; veloce prese a coricarsi al suo fianco, sistemando le
coperte
addosso ad entrambe. Julienne chiuse gli occhi, tentando di riposarsi.
Il
cuore di Julienne sembrò essersi calmato e Adeline tirò
un sospiro di sollievo. Si mise su un fianco, per osservarla come
meglio
poteva. Era meno sporca del solito e notava con felicità che era sempre
meno sporca:
doveva lavarsi più spesso da quando andava a
trovarla, forse per fare bella figura. Il suo viso era più sereno ora,
prima
provato da un grande sforzo. Le curve del suo viso riflesse dalla luce
della
Luna che penetravano dalla finestra le davano una certa nobiltà che
fino a quel
momento non aveva mai notato.
«Miss
Julienne», la chiamò, «Ha lottato contro dei pirati, quest’oggi?».
Rise
appena, aprendo gli occhi. Ora si sentiva molto meglio,
le forze le tornavano rigogliose… ora che era al sicuro. «Sì, mia
Wendy», si
voltò a lei. «Ho lottato contro molti pirati, ma sono riuscita a
sfuggirgli».
«Sfugge
da tanto, Miss Julienne», replicò, cominciando a
passare un dito lungo il braccio della donna, fino a bloccarsi in un
punto, un
graffio, e Adeline spalancò per un attimo gli occhi verdi.
Julienne
a quel punto si rimise seduta, spostando le coperte,
allontanando il suo braccio.
Adeline
lo risentiva, quel sangue scorrere a ritmi troppo veloci,
il cuore agitato, il respiro affannoso: paura.
«Miss
Julienne».
«L’hai
visto?».
«Sangue
argento…», sussurrò Adeline, «Miss Julienne, lei è
una delle rare umane col sangue argento?».
Julienne
sperava di aver totalmente tolto il sangue sulla
sua ferita. Non doveva vederlo. Lei e nessuno doveva. Quel sangue…
«Il
sangue argento, ho letto, dona vita immortale a chi se
ne nutre… ed è un’ottima cura». I loro occhi restarono a fissarsi a
lungo prima
che Adeline si muovesse per prima, alzando la sua mano destra e poi
l’altra. Di
netto cominciò a tagliarsi il palmo della mano destra con l’unghia del
pollice
sinistro e il sangue denso, di un rosso scurissimo, cominciò ad
affluire, sotto
lo sguardo terrorizzato di Julienne e quello provato dal dolore di
Adeline. «Vede,
Miss Julienne», tentò un sorriso, dopotutto, «non è poi così diverso…
Solo…
risplende di un altro colore alla luce».
Aveva
capito quanto Julienne avesse paura del suo sangue
argento, e quanta paura le avesse fatto farle scoprire questo segreto.
Era un
segreto che le portava solo guai da quando era nata. Il sangue argento
era una
disgrazia. Adeline voleva tranquillizzarla e Julienne deglutì,
osservando quel
sangue di un altro colore.
Si
voltò indietro, senza proferire parola, seguita dallo
sguardo interrogatorio di Miss Adeline. Vide le tende alla finestra e
corse ad
afferrare il nastro rosso che le teneva legate. Tornando indietro,
prese la
mano sanguinante e, dopo un bacio alla ferita che sapeva di sangue, le
passò intorno
il nastro, finendo con un bel fiocco, tenendo la mano stretta alla sua.
«Non
fare… mai più una cosa del genere», la fissò ai grandi occhi verdi, «Tu
sei una
ragazza pura e delicata, non devi mai più sporcarti le mani per me.
Questo
nastro è ciò che ti si addice: perfetto e candido come lo sei tu», ci
passò
sopra le dita della mano sinistra, mentre la destra si accostava al suo
viso, che
delicata le carezzò una guancia. Il viso di Julienne si stava
avvicinando al
suo quando Adeline si scostò un poco, timidamente, e lei tornò
indietro; gli occhi
verdi fissarono i suoi e stavolta fu Adeline ad accostarsi, Julienne
non mancò
di socchiudere i suoi occhi scuri e baciarla.
Questo, pensava
Adeline, era il suo primo bacio d’amore.
Si
fissarono per un lungo istante ancora vicine l’una all’altra,
quando Julienne spostò la mano destra dall’accarezzarle il viso su una
spalla e
delicatamente spingerla al materasso. Le loro labbra s’incontrarono
anche
allora; le loro mani ancora strette, con in mezzo quel nastro rosso.
Adeline
allungò la mano sinistra libera ai capelli scuri di
Julienne e tirando lo spago che li teneva legati li sciolse, lunghi e
crespi le
scendevano alle spalle, come poche altre volte li aveva visti.
«Ricordo»,
disse Julienne, «di mesi fa, quando ci
incontrammo la prima volta: mi dicesti che non ti avrei mai più dovuta
toccare
con un solo dito», sorrise, continuando a carezzarle una guancia con
l'indice
destro, leggera.
Adeline
deglutì. Talmente era agitata in quel momento, non
riusciva più a sentir le vibrazioni che emanava il corpo dell’altra.
Non le era
mai successo di esser tanto tesa. Le sue rosee labbra si spalancarono
per poi
richiudersi e stringersi. Julienne non si lasciava sfuggire un solo
particolare
della tenerezza emanata dalla ragazza. Le guance di Miss Adeline ben
presto si
colorarono a vista d’occhio. «No…», cominciò sussurrando, presa
dall’imbarazzo;
tentando di scostare i suoi occhi verdi dal viso della donna. «Adesso
le cose
sono cambiate, Miss Julienne». L’altra sorrise. «Io… desidero essere
toccata da
lei. Lo desidero… più d’ogni altra cosa».
L’indice
della mano destra delineò ancora una volta quel
viso delicato per poi scendere al collo, con la stessa dolcezza,
facendo scorrere
dei brividi lungo la schiena della ragazza. Julienne lì si fermò, per
cominciare
a sbottonarle la vestaglia. Dovette lasciare la stretta alla mano
ferita per
concentrarsi sui bottoni e Adeline al contempo cominciò a tirare su la
maglia
stracciata che portava indosso Julienne. Sbottonata, intravedendo il
sodo seno
nudo di Adeline, Julienne si mise seduta facendo in modo di finire di
togliere
la sua maglia e gettarla da un lato del letto, mostrando il seno tenuto
stretto
da alcune bende, prendendo poi a baciarle il petto con delicatezza,
lungo linee
immaginarie. Adeline ansimò appena per quel contatto ma l’altra non si
fermò, anzi
andò più a fondo, cominciando a succhiare.
«Mi-Miss
Julienne».
«Miss?».
«I-Io…»,
si nascose il viso con la mano destra, per un
attimo, con il nastro che le scendeva lungo il naso. «Non so… ma credo
di amarla,
Miss Julienne».
Julienne
sorrise, finendo per baciarla con delicatezza al
centro del petto, per poi sussurrarle con le labbra poggiate «Anch’io…
credo di
amarti. Credo di averlo sempre fatto».
Julienne
finì per toglierle con delicatezza la vestaglia e si
sfilò lei stessa le bende dal suo seno, lasciandolo nudo. Adeline si
mise
seduta davanti a lei e cominciò a leccarle il petto, mentre Julienne la
teneva
stretta a sé: il profumo di quei capelli freschi e puliti era
inebriante,
l’avrebbe voluto sentire per sempre. Ma ancora più eccitante era il
profumo di
pesca che emanava il corpo della giovane vampira. Ed era così morbida,
delicata
e pura proprio come aveva sempre saputo; avrebbe voluto tenerla stretta
a sé
così ogni notte della sua vita.
Julienne
la invitò a sdraiarsi di nuovo sul materasso caldo
mentre lei finiva di togliersi i pantaloni divenuti ingombranti, e le
scarpe
rotte. Le loro labbra s’incontrarono
ancora e ancora. Adeline toccava il corpo della donna con cautela,
tastandone le
forme e carezzandole con le unghie.
Le
mani di Julienne sfilarono le mutandine in pizzo di
Adeline e quest’ultima allungò le mani per sfilare le sue.
Completamente nude
si accarezzavano e baciavano lungo i corpi, abbracciate, ne gustavano i
sapori.
«E
anche io… sai», bisbigliò Julienne sulle sue labbra. «Anche
io lo desidero, e davvero tanto».
Con
le labbra scese lungo il suo corpo, continuando a
baciarla ed accarezzarla, e con le mani seguendo linee immaginarie ne
disegnava
quello stesso desiderio. Sistemandosi tra le gambe di Adeline continuò
a
baciare e la ragazza, tesa, cominciò a stringere le lenzuola e ad
ansimare. La
mano destra di Julienne seguì la sua bocca e lentamente le entrò
dentro,
assaporando quel momento.
Quella
notte fu la più lunga per entrambe, e non ci fu Peter
Pan a far loro compagnia. Il loro gesto d’amore durò per ore, fin
quando l’alba
minacciava di giungere e Julienne recuperò veloce i suoi vestiti,
baciando
appassionatamente Adeline prima di andare via. Miss Adeline sapeva che
non
sarebbe riuscita a fermarla neanche implorando.
«Vorrei
che restasse con me sempre». Quei suoi occhi verdi
la fissarono attentamente, seri, dopo essersi scambiate un lungo bacio.
Julienne
sembrò sbuffare appena. «No. Pensavo di aver già
toccato l’argomento».
Adeline
questa volta sembrò portare un’espressione sul volto
mai vista prima, e stringendo i suoi occhi e spalancando le narici si
scostò
dalla donna, afferrando il libro e mettendosi a leggere per conto
proprio
dall’altro lato del letto, con la mente e non a voce com’era abituata a
fare. Julienne
la fissò senza proferire parola, finché sbuffando ancora e storcendo la
bocca
si avvicinò a lei. «Cosa c’è che non va?».
A
quelle parole, Adeline le alzò lo sguardo infuriato, poggiando
con violenza il libro sul materasso. «Non mi permette di aiutarla».
Sbraitò,
tentando ad ogni modo di mantenere la calma per non far allarmare
Lucien, la
guardia di suo padre. «E non faccia finta di non capire, Miss Julienne,
adesso
basta! Io non conto nulla per lei? Il suo sangue argento: è per questo
che la cercano?
E chi, mi domando? Vorrei aiutarla».
Julienne
abbassò lo sguardo, afflitta, e lentamente poggiò
la sua testa fra le gambe della ragazza, osservandola dritta negli
occhi. «Mi
dispiace…», sorrise, «Miss ha ragione… Io volevo solo evitare di
crearti
inutili guai», le passò la mano sul viso, in una carezza. «Io non ho
famiglia,
ho perso mia madre quando ero ancora bambina. Mi sono facilmente
affezionata a
te, mi sono innamorata… non voglio perderti a causa del mio sangue».
«Neanche
io voglio perderla, però, Miss Julienne… E così mi
fa stare in pena… Ogni mattina quando se ne va dalla mia finestra,
io-».
«Ho
capito, ti chiedo perdono». Le prese la mano destra
nelle sue, carezzando ancora quel nastro che la legava, per poi
baciarlo. Non
l’aveva ancora tolto da allora. «È davvero passato tanto tempo da
quando
l’ultima persona si è preoccupata per me, che non sapevo più come
comportarmi.
Sì, è colpa del mio sangue che un gruppo di persone malvagie mi
insegue,
dall’inizio di quest’anno tento di sfuggirgli, ma sanno dove rientro,
non ho
più una casa», finalmente cominciò a raccontare e Adeline sentiva il
cuore
della donna di nuovo frenetico. «Vogliono… mangiarmi», disse. Il cuore
ancora
più forte. «Ho paura…», ammise, «Uno di loro mi scoprì, una notte di
fine
febbraio, mentre scappai da un negozio di alimentari a Lione B: avevo
appena
rubato qualcosa da mangiare ma uno dei negozianti mi ferì di striscio a
una
mano con un rastrello. Mi nascosi in un angolo della città, credevo di
essere
sola, tentavo di ripulirmi la ferita, ma quello passò per di lì e mi
vide. Vide
il mio sangue argento. Da quel giorno mi danno la caccia. Pensavo che
rifugiandomi a Lione A avrebbe fatto perdere le mie tracce, invece mi
trovano
ovunque… Probabilmente hanno spie un po’ dappertutto», prese fiato.
Adeline la
guardava immobile, ascoltando la paura che provava anche solo a
parlarne
attraverso il suo corpo. «Hanno deciso», riprese, continuando ad
accarezzare la
mano con il nastro rosso, «di portarmi viva al loro rifugio, ad est di
qui, verso
le fabbriche. Hanno una cella frigorifera, dove sperano di mettermi
fino al
giorno giusto. Il giorno giusto è capodanno. A mezzanotte hanno deciso
che mi
mangeranno e otterranno vita eterna». Si bloccò. Si mise da un lato e
Adeline
cominciò ad accarezzarle la testa, in segno di protezione. «Mi hanno
già portata
laggiù, la volta che mi hanno ferita. Sono scappata ancora non so come…
Ho
paura».
«Tutto
questo non accadrà», sussurrò Miss Adeline, seria. I
suoi occhi verdi si fecero di ghiaccio. «Lasci che mi prenda cura di
lei, la
prego».
«Cosa
pensi di fare, Miss? Sono solo una poveraccia nata e
cresciuta a Lione B, nessuno si prenderebbe la briga di farmi entrare
in
famiglia, nemmeno tuo padre, e appena scopriranno che posseggo il
sangue
argento mi venderanno o mangeranno loro stessi».
«Non
lo dica neanche per scherzo!», alzò il tono di voce,
infuriata. «Mio padre non oserebbe fare una cosa del genere. Lui ed io
la
proteggeremo, Miss Julienne. A costo della nostra vita».
Julienne
osservò per un attimo gli occhi verdi colmi di
determinazione e sorrise fiera. «Peter Pan è così che farebbe?».
«Sì»,
annuì, «Lui non lascia indietro nessuno, aiuta tutti,
anche se a volte ha paura e non lo ammette».
Era
una scura sera di fine novembre, il giorno dopo
dell’avvenuta discussione. Adeline si era messa indosso uno degli abiti
più
eleganti che possedeva, sui toni del rosso, pieno di merletti e teneri
pizzi, e
si era legata indietro i capelli con un fine nastrino. Le sue delicate
labbra
rosa sorrisero risistemandosi meglio il nastro di seta rosso sulla mano
destra,
sopra quello che era ormai un piccolo graffio. Ci teneva ad essere il
più elegante
possibile quest’oggi, poiché avrebbero avuto un ospite a cena: Julienne
Faure. Aveva
chiesto a suo padre di riceverla, di invitarla a cenare in famiglia in
modo che
potessero conoscersi, per chiedergli espressamente il favore di farla
entrare
nel loro cerchio famigliare. Non era un vampiro, glielo aveva detto, ma
un’umana di gran cuore e pura quanto loro. Si specchiò ancora per
qualche
attimo e poi uscì dalla sua stanza, scendendo le scale per ritrovarsi
nel gran
salone di villa Le Charme. Suo padre seduto sul divano centrale
sfogliava un
giornale, mentre Lucien, che non lo abbandonava mai, ne sfogliava un
altro su
di una poltrona.
L’uomo
si voltò e sorrise, per poi concentrarsi sul suo
orologio da tasca. «Bellissima come sempre, bambina mia», disse
orgoglioso. «Tua
madre e tua sorella arriveranno a momenti… L’ospite invece, a che ora
hai detto
che sarebbe arrivata?».
Adeline
si voltò ad osservare il grande orologio a pendolo
accanto ad un tavolino, e a sua volta sorrise al gentile padre. «Tra
una decina
di minuti dovrebbe essere qui».
Si
diresse alla tavola già apparecchiata dove i camerieri e
le cameriere finivano di sistemare i fiori e gli addobbi e lei stessa
si
assicurò che tutto fosse perfetto, a cominciare dai tovagliolini. Poi
afferrò
un giornale e si accomodò accanto al padre, scambiandosi una breve
occhiata
sorridente, per mettersi a leggere al suo fianco. Le prime pagine
riguardavano
solo cene di gala e sfarzosi ricevimenti, solo le ultime parlavano
degli orrori
che ogni giorno si commettevano a Lione B o nelle altre parti del
mondo. Persone
ricche e famose stavano in prima pagina, la gente che moriva si poteva
trovare
negli ultimi trafiletti, quella povera, quella cui a Lione A nessuno
importa. I
suoi occhi verdi si spostarono velocemente all’orologio a pendolo:
ancora
cinque minuti all’appuntamento. Turbata, ripose il giornale nel
tavolino al
centro e, tra gli altri, si mise a cercarne uno di suo gradimento; ben
presto
si accorse che erano tutti uguali se non per una faccia diversa in
copertina.
«Tieni,
Adeline», disse suo padre, «Prendi il mio se non ne
trovi un altro che ti interessi, ho appena finito di leggerlo».
«Grazie,
padre», sorrise, afferrando il giornale.
L’uomo
ne prese un altro e la ragazza si risedette sul
divano, dando una nuova occhiata all’orologio a pendolo: quattro minuti
all’appuntamento. Era passato appena un minuto, Adeline non riusciva a
distrarsi, si sentiva sulle spine. Il suo cuore batteva forte: era
troppo
agitata. Cosa le prendeva? Presto Julienne sarebbe arrivata e sarebbe
entrata a
far parte della sua famiglia, così avrebbe potuto proteggerla.
Avrebbero abitato
insieme, per sempre. Lei l’amava; avrebbe fatto qualunque cosa per
proteggere
Julienne.
I
suoi occhi verdi restarono immobili a quella copertina,
uguale alle tante altre, senza guardarla davvero. Non si era neppure
resa conto
di essersi completamente isolata nei suoi pensieri. I suoi occhi si
mossero e guardò
il nastro rosso sulla sua mano destra: il nodo si era allentato, così
lo
sistemò. All’improvviso si alzò in piedi: c’era qualcosa che non
andava. Rimise
il giornale sul tavolino e sia suo padre che Lucien le diedero appena
uno
sguardo.
«Bambina
mia, tutto a posto? Qualcosa ti turba, forse?», l’uomo
posò il giornale sulle sue ginocchia, fissando quello strano
comportamento.
Miss
Adeline fissò di nuovo l’orologio. Le lancette avevano
appena segnato le otto e mezza, l’ora dell’appuntamento, e come un
lampo a
cielo sereno le ritornò alla testa il sorriso di Julienne. I suoi occhi
verdi
si spalancarono e presto si mise a correre verso la porta di casa.
«Adeline!»,
suo padre gridò, alzandosi dal divano seguito da
Lucien, che fissando prima l’uno e poi l’altra non sapeva come doveva
comportarsi, aspettando ordini. «Dove stai andando?».
Ma
Adeline tacque, non sapeva nemmeno lei cosa dire, e
corse, corse e basta. Aprì il portone, ritrovandosi ad un palmo dal
naso dell’autista
di famiglia e dietro di lui sua madre e sua sorella maggiore, che
stavano
rientrando a casa. Inutili furono i tentativi della donna di fermare
sua
figlia, che aprì il cancello di villa Le Charme e corse ancora.
Ancora
e ancora, la sua folle corsa verso quel presentimento
di un qualcosa di terribile. Gettò via le sue scarpette quando ancora
era
vicina alla villa, per poter correre più veloce. Non c’era tempo da
perdere,
verso est, verso le fabbriche. La strada buia non le faceva paura. Il
cielo
buio non le faceva paura. Quelli che avrebbero cercato di ucciderla,
una volta
arrivata là, non le facevano paura. Strinse i denti, mostrando i canini
bianchi
alla luce dei lampioni. E strinse gli occhi, colando le prima lacrime.
Miss
Adeline in quel momento pensò proprio che Peter Pan mentisse: non era
che non volesse
ammettere di aver paura, orgoglioso e imprudente, tentava solo di
convincere se
stesso, o non avrebbe mai affrontato i pirati.
Arrivata
alle fabbriche cominciò a cercare quella giusta: il
suo olfatto sentiva una traccia di sangue, anzi erano varie, capì, e
questo la
turbava un po’. Camminò lungo quell’unica scia di sangue di più persone
e la
portò dietro ad una fabbrica ancora in costruzione, in un piccolo
edificio
giallo e la porta bianca. Ora sentiva chiaramente il profumo della
pelle di Julienne:
era stata qui poco tempo fa; il suo presentimento era infine giusto.
Strinse i
denti, ringhiando.
Quattro
uomini erano intorno ad un tavolino, giocavano a
carte e tracannavano direttamente da grandi bottiglie; sembravano in
fermento,
festosi, che nessuno si accorse minimamente dell’ombra che stava
davanti alla
loro porta bianca, davanti al vetro, finché un uomo, arrivando dietro
ad una
porta, non la indicò e prese l’attenzione del gruppo. Tutti si alzarono
improvvisamente
dalle loro sedie, poggiando sigarette, birre e carte, mentre uno di
loro si
avvicinava ad aprire.
Scoppiarono
tutti in una fragorosa risata quando videro che
alla loro porta era una signorina ben vestita e di buona famiglia, che
li aveva
fatti spaventare per niente. Adeline si accostò ed entrò nella camera,
osservando tutti, sentendo vari odori tra i quali fumo, piscio e
sangue, vide
che due di loro portavano delle bende. Sentiva l’odore del corpo di
Julienne, e
del suo sangue argento ancora fresco nell’aria. I suoi occhi verdi si
fecero
piccoli e i suoi canini più lunghi, ricominciando a ringhiare.
L’uomo
più vicino le vide i denti e continuando a ridere le
portò su il labbro superiore con un dito, esclamando divertito agli
amici. «Guardate,
è una vampira! Una bella, piccola vampira di buona famiglia…», si
rivolse poi a
lei. «Cosa ti porta fin qui, piccolina?».
Il
sangue argento di Julienne… I suoi occhi verdi divennero
piccoli come fessure. Lui
l’aveva
addosso. Con un
ringhio gli saltò addosso, furente, e con un morso gli
strappò via il braccio, per poi morderlo al collo e sgozzarlo. Si voltò
agli
altri con il sangue e la pelle che gli colavano dalla bocca e loro,
terrorizzati, si armarono subito di fucili e pale, pronti per colpirla.
Adeline
spalancò la bocca e saltò, mentre uno di loro diede fuoco al suo
fucile.
L’ultimo
uomo teneva il suo collo con entrambe le mani, e
stringeva sempre più forte. Di Miss Adeline non ne restava più niente:
il
vestito era uno straccio di sangue, tra il suo e quello degli uomini
che aveva
ucciso uno dopo l’altro senza pietà, e non aveva quasi più forze. Si
sarebbe
lasciata morire lì, sarebbe stato più facile, ma non senza aver
protetto
Julienne come aveva giurato di fare. Alzò le sue braccia penzolanti di
sangue e
strinse quelle dell’uomo con la forza che ormai non aveva più,
perforando le
carni con le sue unghie, costringendolo a lasciare la presa. Cadde a
terra come
un pesante sacco ma si rialzò con i piedi storti e, balzandogli
addosso, l’uomo
non fece in tempo a gridare ancora che i suoi canini gli arrivarono in
gola e
gliela strappò con forza, sputando a terra in una tosse sofferente.
Si
guardò per un attimo la mano destra, risistemandosi il
fiocco zuppo di sangue, aprendo e chiudendo la mano. Si accorse di
vedere
doppio. Le sue labbra non più rosee sorrisero, prima di sputare sangue
sul
pavimento. Si rialzò con fatica, dondolando, prendendo a camminare. Plic. Il suo
sangue colava inesorabile.
Dopo un’estenuante camminata trovò il portone della cella frigorifera e
ci mise
tutte le forze che non aveva più per aprirlo. Infine, la rivide.
Julienne
era accovacciata a terra, semiaddormentata; la sua
ferita al braccio pullulava di tante piccole perle di ghiaccio
argenteo. Si
voltò e la vide, in un bagno di sangue, mentre tentava di sorriderle.
Miss Adeline
era felice: l’aveva trovata; l’aveva salvata. Cadde a terra in un
pesante tonfo
e Julienne subito la soccorse, voltandola verso di lei. Non sapeva cosa
dire,
ma le lacrime che le scendevano lungo il viso parlavano per lei.
«Le
chiedo scusa… Miss Julienne», sussurrò con fatica la
ragazza. «Mi sono di nuovo… sporcata le mani… per lei…», si fissò per
un attimo
la mano con il nastro di seta rosso, ricoperto del suo sangue. «Come se
non bastasse»,
riprese fiato, guardandola dritta negli occhi, «non potremmo abitare
insieme…
Mi sarebbe piaciuto tanto». Adeline sorrise.
Non
si riuscirono ad intuire bene i pensieri che potevano
passare per la testa di Julienne in quel preciso istante. Una
moltitudine, o
forse uno solo, ma pesante. La
ragazza che amava le stava morendo tra le braccia e fin quando quegli
occhi
verdi non si chiusero davanti ai suoi spalancati e ricoperti di
lacrime,
Julienne non pensò più e agì e basta. Lasciò andare Adeline e
osservando il suo
polso destro vide affluire il sangue, il sangue argento che ogni ferita
poteva
guarire e che immortale faceva diventare chi se ne nutriva. Chiuse gli
occhi e
lo fece, lasciando da parte la paura e il dolore, quando si morse con
violenza e
il sangue argento cominciò a colare denso. Gridò come mai aveva fatto
ma
proseguì nella sua opera, stringendolo per farne cadere quanto più ne
poteva
alla bocca di Adeline. Glielo mise infine davanti alle labbra, in
supplica. «Bevi…
Bevi il sangue, adesso! Ingoia».
Gli
occhi della ragazza si spalancarono all’improvviso ma
divennero piccoli e rossi, e con foga cominciò a bere quel nettare
argento di
un sapore sublime, tenendo stretto quel polso con le mani in prossimità
della
sua bocca.
Julienne
gridava dal dolore ma non arrivava alle orecchie di
Adeline, non era più in lei, come quando uccise quegli uomini, era solo
la
bestia vampiro in lei che si era risvegliata. Ma non succhiò ancora a
lungo:
gli occhi di Adeline si richiusero poco dopo e a Julienne restò solo il
pianto,
finché non vide che quelle mani ricoperte di sangue afferrarono di
nuovo il suo
polso.
Adeline,
con i suoi occhi meravigliosamente verdi, la
fissava ancora una volta, e leccò la ferita al polso. Julienne strinse
i denti,
ma passò in fretta.
Quel
dramma era finito.
Julienne
le passò una mano al viso candido, anche se
ricoperto di sangue, ed entrambe sorrisero. «Ehi, Wendy… Benvenuta
all’Isola
Che Non C’è».
Adeline
era immortale ora: proprio come Peter Pan, sarebbe
rimasta ragazza per sempre. La sua dolce e candida creatura così per
l’eternità.
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Rivista e corretta il 19/01/2015
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