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22/06/09
Senza luce, il buio (2/?) by Mistress Lay
Capitolo 2 - Frammenti di vite spezzate
Ron era
rimasto per almeno un minuto buono a fissare a bocca aperta Draco Malfoy sulla
soglia di casa sua, con la mano ancora sul pomello della porta. Una scena del tutto
inaspettata: Malfoy doveva odiare Potter, doveva odiare anche lui e invece
eccolo lì di fronte a casa sua che gli diceva tranquillamente che aveva passato
tre anni alla ricerca di colui che più odiava.
La cosa era
di per sé semplicemente ridicola perché Ron era certo che le ricerche per
ritrovare Harry si erano ufficialmente concluse, persino lui ed Hermione
avevano mollato e lo avevano dato per morto.
Tre anni…
nessuna sua notizia, nessuna lettera, nessuna traccia del loro migliore amico.
Se davvero
Harry non fosse morto, di certo non desiderava essere ritrovato.
Ron e
Hermione pur non condividendo questa scelta, alla fine, dopo strenue ricerche,
si erano limitati ad accettarla e avevano proseguito con le loro vite.
C’era da
dire che non era facile come sembrava trovare un mago: l’unico strumento che
permetteva di rilevare la sua posizione era la sua bacchetta che, come avrebbe detto
Hermione, fungeva da ‘ricetrasmittente’, catalizzando le informazione
concernenti gli spostamenti e gli incantesimi usati dal proprietario.
Nessun mago
si separava mai dalla propria bacchetta e Harry non faceva di certo eccezione,
l’aveva con sè quando aveva lasciato il San Mungo, peccato che dopo quel giorno
non si era più riuscita a localizzarne l’ubicazione. Trovare una bacchetta
abbandonata o persa dal suo proprietario era quasi impossibile. O almeno così
aveva detto Olivander. E Olivander alle proprie bacchette teneva, soprattutto a
quelle speciali come quelle di Voldemort e Harry.
Harry era
fuggito cieco, disperato, non avrebbe potuto andare lontano. Non era abituato a
vedere tutto buio, a non aprire gli occhi, a non vedere la luce del sole,
eppure è riuscito a nascondersi per tre anni.
Dov’era
stato?
Nessuno lo
sapeva, eppure di lui non si era più saputo nulla.
Nessuna traccia
del Ragazzo-che-è-riuscito-a-sconfiggere-Voldemort.
E poco a
poco tutti avevano abbandonato le ricerche, prima il Ministero, poi l’Ordine,
Remus, poi Ron e Hermione.
Erano stati
gli ultimi, quelli che ancora avevano una speranza, ma alla fine l’avevano
lasciato anche loro. Nessuno lo aveva cercato quanto loro, e nessun altro continuò le sue ricerche, ma in un
giorno apparentemente normale, ecco arrivare Draco Malfoy.
Draco
Malfoy, che per colpa di Harry aveva perso ogni cosa: prima i genitori, rinchiusi
ad Azkaban, poi il suo Manor e tutta la rispettabilità della sua famiglia.
L’aveva
riconquistata, vero, perché i Malfoy non erano rispettati e temuti solo perché
probabili maghi oscuri.
E benché il
Ministero avesse requisito a lui il Manor e la fortuna della famiglia, non
c’era stato modo di incolparlo di qualche affare con il Lord Oscuro, quindi la
sua parte di ricchezza era rimasta alla Gringott, a suo uso e consumo.
E quell’oro
gli era servito per riconquistare la sua posizione, il suo Manor, fino a
divenire uno dei pochi maghi miliardari con azioni che, si diceva, erano al
limite della legalità.
A quanto
Ron sapesse, non lavorava, non ne aveva bisogno e non ne sentiva la necessità:
versava ingenti somme al San Mungo o organizzava altre occasioni per
beneficenza, ma, anche se una similitudine sorgeva spontanea, era molto diverso
dal padre.
Draco
Malfoy sembrava molto più schivo, dopo aver fatto riacquistare nomea al suo
titolo, si era chiuso a Malfoy Manor, dove a nessuno era concesso di entrare, nessuno
riceveva il piacere della sua presenza, non lo si vedeva quasi nemmeno alle
serate che lui stesso organizzava.
Persino al
ministero, dove spesso era possibile incrociare Lucius Malfoy a tessere le sue
trame politiche, era raro incontrarlo. Pareva davvero che Draco Malfoy, una
volta riconquistata la sua posizione in società, avesse semplicemente deciso di
lasciarsi scorrere tutto via, senza interferire nella vita politica del Mondo
Magico – cosa che effettivamente molti si aspettavano – o della vita mondana
dell’alta società magica. Non che esistesse ancora un’alta società, poiché in
seguito alla seconda guerra magica le famiglie Purosangue si erano decimate
ulteriormente lasciando spazio ai mezzosangue di occupare le posizioni un tempo
ritenute secolarmente retaggio dei purosangue, un po’ per tradizione un po’ per
denaro.
Nonostante
Ron sapesse tutte queste cose su Draco Malfoy, non gli era mai interessato che
cosa questi facesse rinchiuso nel suo maniero. Come diceva spesso suo padre, la
guerra era finita, e con la dipartita dei nemici di un tempo, la società nella
quale erano cresciuti era mutata profondamente.
Pur non
avendo desiderio di conoscere le travagliate trame di Draco Malfoy, Ron dovette
ammettere che in quel momento, sulla soglia di casa sua, desiderava solo
bombardarlo di domande.
- Non mi
fai entrare, Weasley? – domandò con voce strascicata Draco, ripiegando gli
occhiali nella tasca interna del mantello.
Più per riflesso che per cortesia, Ron si scostò dalla
porta, lasciando che Malfoy entrasse in casa togliendosi i guanti di pelle nera
e lasciandosi richiudere òa porta d’ingresso alle spalle.
- Ti devo
parlare - soggiunse il biondo perfettamente a suo agio, in tono neutro.
Forse fu
quello a far sbloccare dalla sua immobilità Ron che si affrettò a riprendere
un’espressione normale: - A che proposito? -
- A
proposito di Potter, naturalmente - Draco lo guardò come se fosse un babbano,
cioè con un misto tra disprezzo e compassione - Ascolti e capisci quando ti si
parla? -
- Certo,
Malfoy ma se tu… - Ron non terminò la frase che un crack annunciò l’arrivo di
qualcuno tramite materializzazione. Si rivelò essere Hermione che gridò dalla
camera da letto - Ho dimenticato dov’è il mio registro! L’hai visto, Ron? - poi
si affacciò e rimase a bocca aperta - Malfoy?! Che diavolo ci fai qua? -
- Sempre
lieto di vederti, Granger - Malfoy storse la bocca.
Hermione
fece per ribattere ma Ron la prevenne, andando verso di lei e trascinandola in
camera mentre gridava a Malfoy di stare fermo lì: - Qualcuno ti ha insegnato
l’educazione, Weasley? - ma i due non lo sentirono.
- Ronald!
Spiegami! - ordinò subito Hermione.
- Non so
che dire, Hermione, ha solamente suonato al campanello e ha detto che mi deve
parlare su Harry -
- Su… Su Harry? Il nostro Harry? -
- Non credo
il suo vicino di casa! - ribattè Ron - Secondo te devo ascoltarlo? - domandò in
tono accorato.
Hermione lo
fissò un attimo prima di parlare: - Di certo non vuole fare nulla di male, Ron,
io penso che tu debba ascoltarlo… non saprei proprio che cosa voglia dirci –
sospirò – Io non gli credo già adesso -
- Ha detto
che lo sta cercando da tre anni -
- Ecco,
appunto - sospirò nuovamente la donna - Tutti hanno diritto di essere ascoltati
- risolse uscendo dalla camera e andando all’ingresso da Draco dopo aver preso
al volo un quaderno che doveva essere il suo registro da sopra il comò.
Ron sospirò
a sua volta, riflettendo sulla stranezza della situazione, e li raggiunse.
Li trovò in
cucina, Draco Malfoy era stato fatto accomodare nell’unica sedia libera della
cucina, visto che le altre erano occupate dalle macchie della pappa mattutina
di Lytton e Hermione gli stava chiedendo se volesse qualcosa da bere.
- No, sarò
breve e me ne andrò presto - tagliò corto Malfoy con tono distaccato.
Hermione si
appoggiò al tavolo e Ron le si affiancò: - Ron dice che vuoi parlarci riguardo
Harry -
- Sì,
Potter. - confermò Draco, passandosi una mano sulla fronte e ritirandola un
secondo dopo - Devo chiedervi delle cose sul suo conto -
- A quale
scopo? - Hermione socchiuse gli occhi, sospettosa.
- Per
cercarlo - ribattè Draco brevemente.
- E perché
mai vorresti cercarlo? Non eravate propriamente in buoni rapporti -
- Nemmeno
noi tre – le ritorse contro Draco. Sembrava cominciare a scaldarsi.
- Sì ma tu
non stai cercando noi, ma Harry - replicò ragionevolmente Hermione - Perché lo
cerchi? -
Ron si
sentì molto fiero della moglie: adorava quando metteva gente sotto torchio come
in un interrogatorio, era stimolante vederla all’opera con qualcuno che non
fosse lui. Già, il fatto che fosse suo marito non lo esonerava dal riservarsi
le ramanzine della donna. Forse ne riceveva il triplo di una persona qualsiasi.
Per un
attimo Draco ebbe un’esitazione ma si riprese in fretta: - Faccenda legale -
Hermione
strinse le labbra, profondamente irritata dalle remore di Malfoy: - Giochiamo a
carte scoperte, Malfoy, io e Ron siamo i suoi migliori amici, non abbiamo
segreti con Harry come Harry non ne ha con noi -
- Tranne
quello di non sapere dov’è lui - ghignò Malfoy. Un punto a favore della Granger,
sapeva come litigare ‘ragionevolmente’.
L’irritazione
sul viso di Hermione sparì, lasciando posto ad un sorriso triste: - Tranne
quello… - concesse a malincuore.
- Devo
consegnare a Potter un testamento - ripose allora Draco, notando il cedimento
della sua avversaria.
- Di chi? -
questa volta fu Ron a intervenire sospettoso.
- Black,
Sirius -
La coppia
si scambiò uno sguardo per poi ridere amaramente: - Non è possibile, Malfoy.
Sirius non ha mai scritto un testamento e certamente se l’avesse fatto non
l’avrebbe di certo consegnato a te - disse Ron.
Malfoy
scosse le spalle, indifferente alla rabbia trattenuta nella voce di Weasley: -
Sono l’ultimo Black in vita. Quando la Gringott mi ha dato le chiavi delle
cassaforti di famiglia, mi è stato dato anche il testamento di Sirius Black.
Era indirizzato a Potter. Mi sono impegnato a consegnarglielo, per questo lo
sto cercando -
Hermione
occhieggiò Malfoy, osservandolo attentamente: era certa che l’indifferenza che
mostrava fosse in parte dissimulata. Non disse nulla a proposito ma si
ripromise di indagare il prima possibile su quello strano comportamento.
- E perché?
-
- Senso del
dovere. Un Malfoy mantiene le promesse -
Perché il testamento di Sirius spuntava fuori dopo quasi
cinque anni dalla sua morte?
Hermione non aveva mai creduto che Sirius fosse una persona
previdente, invece questi lo era stato abbastanza da scrivere un testamento
nell’eventualità della sua morte prematura. Probabilmente non era stato
abbastanza accorto da predisporre un legale per la lettura del testamento a
Harry, in caso della sua dipartita, e dunque il testamento era rimasto alla
Gringott, il luogo dove, forse, Sirius l’aveva redatto.
Anche considerando i precedenti, la Gringott si era forse
sentita in dovere di consegnare all’ultimo Black in vita, Draco Malfoy, anche
il testamento di Sirius Black.
Facendo due più due, a Hermione veniva in mente un’altra
domanda: Draco Malfoy era ritornato in possesso delle sue proprietà e beni di
famiglia solamente due anni prima, quando aveva raggiunto la maggiore età.
Harry era sparito da tre anni. C’era ben un anno di discrepanza.
L’orologio
nell’ingresso battè le ore e sbraitò con voce falsamente musicale: - Ronald
Weasley al ministero, sfaticato! -
Ron arrossì
per la figuraccia e lanciò un’occhiata a Hermione che significava ‘Dovrei
andare ma…’ l’altea, per contro, annuì sorridendogli e Ron uscì dalla cucina
dopo averle dato un bacio sulla guancia e grugnito in direzione di Malfoy.
Malfoy
distolse lo sguardo quando la coppia si scambiò il gesto d’affetto e fece
distrattamente un cenno del capo di saluto per poi riprendere a fissare
Hermione. La donna seguì Ron con lo sguardo mentre questi raccattava la sua
roba, tornò a focalizzare la sua attenzione sull’ospite solamente quando il
marito si era smaterializzato.
Pulì una
sedia con un veloce ‘Gratta e netta’ e si sedette: - Lo stai cercando solo per
questo? -
- Non sono
come voi Grifondoro che mi struggo dal desiderio di riabbracciare un camerata -
Draco ebbe una smorfia che doveva essere di disprezzo ma lo sguardo sfuggente
lo tradì, facendo capire a Hermione che c’era qualcosa sotto.
- Da quando
lo cerchi? -
- Tre anni
-
Hermione
sorrise trionfante: - Devi aver avuto la chiave della cassaforte di Sirius solo
due anni fa -
Malfoy non
tradì minimamente il suo disagio se non per il suo sguardo sfuggente e il
tamburellare delle dita sul tavolo. Quando aprì la bocca per parlare Hermione
lo prevenne, il sorriso e il tono paziente del tutto scomparsi: - Perché lo
cerchi? A parte per senso del dovere? -
*
Draco si
materializzò nella sala d’ingresso di Malfoy Manor e subito un elfo domestico
gli corse incontro, tendendo le mani per ricevere dal padrone il mantello.
Draco glielo diede senza nemmeno ricambiare l’accenno di benvenuto dell’elfo e
dirigendosi subito nel suo studio al piano superiore.
Si sedette
dietro la sua scrivania e sbuffò impaziente.
Dannata
Granger.
Non aveva
ancora perso la sua abitudine ad averla vinta su tutti!
Draco si
appoggiò stancamente allo schienale della sua poltrona e, impugnata la
bacchetta, la puntò su uno dei cassetti della sua scrivania ordinando
seccamente: - Apri –
Il cassetto
si aprì docilmente al suono della voce del suo padrone, rivelando il suo
contenuto, pile di carte e documenti che Malfoy estrasse e sparpagliò con
ordine sulla scrivania. C’era il testamento di Sirius Black, una pagina di
calendario risalente a tre anni prima, e poi un’infinità di documenti che
testimoniavano quanto Draco avesse cercato Harry nell’ultimo periodo. C’era
anche una piccola agendina nella quale Draco aveva appuntato i suoi progressi
nella ricerca.
Tutti
infruttuosi per altro.
Il ritardo
con cui si era mosso era stato fatale per la buonariuscita della sua indagine.
Draco ebbe
un moto di impazienza e si passò distrattamente una mano tra i fini capelli
biondi. Maledizione, come poteva Harry esser scomparso nel nulla?!
Harry…
Ormai erano
anni che Draco pensava a ‘Harry’ e non a ‘Potter’, tre anni che aveva capito
quello che per sei anni di scuola aveva taciuto a sé stesso. O forse era meno.
Ormai il senso del tempo lo aveva perso.
Non aveva
perso la speranza di ritrovarlo, però. Mai.
E così,
quando tutti invece piangevano per la scomparsa definitiva di un eroe e di un
caro amico, quando tutti avevano deciso che Harry James Potter era morto per
loro,Draco aveva cominciato le ricerche lì dove tutti avevano abbandonato, lì,
dove anche gli amici più cari avevano fallato nel sperare di rivedere Harry
vivo.
Per anni si
era parlata della scomparsa di Potter: si diceva che Silente lo aveva fatto
trasferire in un luogo sicuro e lì conduceva la sua vita lontano dalla stampa e
dalla fama, c’era chi sosteneva che Potter fosse fuggito e fosse divenuto un
eremita mistico e che intratteneva i babbani, c’era chi diceva che per il
dolore di aver scoperto di essere cieco si fosse buttato da qualche anonimo
ponte.
Harry
Potter era una leggenda ormai. E la sua scomparsa non aveva fatto altro che
incrementare il ‘mito’ creatosi attorno al Salvatore del Mondo.
Draco prese
un quaderno foderato in pelle e cominciò a sfogliarlo, leggendo attentamente i
titoli a caratteri cubitali degli articoli: foto mobili dalla ‘Gazzetta del
Profeta’, foto immobili di babbani. Articoli. Ogni minima notizia sulla
scomparsa di Potter. Tutto ciò che era stato scritto sulla sua dipartita. Anche
la più piccola notizia.
Tre anni di
articoli.
Tre anni di
vita che Draco aveva impiegato alla ricerca di una persona perduta.
Draco non
aveva mai capito esattamente cosa lo avesse spinto a cominciare le ricerche
quel lontano giorno di tre anni prima.
Ricordava
esattamente quel giorno, il giorno in cui si era diffusa la notizia che Potter
aveva sconfitto Voldemort.
Draco prese
l’agenda e la aprì. Immediatamente i fogli bianchi si riempirono di parole di
inchiostro nero scritti in una calligrafia piccola, meticolosa, ordinata.
La
scrittura di Draco Malfoy adolescente.
Sfogliò il
diario fino a raggiungere la data cercata: 2 ottobre di tre anni fa.
“Potter
ha sconfitto il Lord Oscuro. Questa sera si è svolta la battaglia decisiva:
Voldemort è morto, Potter lo ha ucciso. Mio padre è morto credo, non ho ben
capito la lettera di mia madre, era illeggibile da quanto era stropicciata.
Ora
Potter è al San Mungo, sembra che stia diventando cieco”
Draco girò
la pagina che portava la data del giorno seguente.
“Potter
è cieco. Sembra che un incantesimo
oscuro che Voldemort gli ha lanciato lo abbia centrato negli occhi facendolo
diventare così cieco a vita. Nessun incantesimo lo farà ritornare come prima,
nessuna di quelle operazioni babbane lo aiuterà.
Ho
cercato nella biblioteca nella sezione babbana: ho sfogliato inutilmente libri
e libri sulla medicina e l’oculistica. Non ho capito metà delle parole scritte
così ho rinunciato e ho chiesto distrattamente a Silente se non ci fossero
speranze per Potter.
- Non ce
ne sono, Draco - ha detto laconicamente. Quasi sembrava che non gli
interessasse o forse stava pensando a qualcosa - Abbiamo controllato: nessuna
medicina o operazione babbana e nessun incantesimo - si è preso il viso con le
mani - Dio, che cos’ho fatto -
Ha detto
proprio così. Ha detto ‘Dio, che cos’ho fatto’.
Non era
una domanda, sapeva perfettamente che cosa aveva fatto, ma non ha voluto
parlarmene e dubito che ne parlerà con qualcuno fino a quando non morirà e il
segreto morirà con lui.
Ho
chiesto se non c’era nessun incantesimo per aiutare Potter. Silente non ha
fatto nemmeno caso alla situazione ridicola che si era venuta a creare e ha
risposto solamente che se ci fosse anche solo un incantesimo lui lo avrebbe
ritrovato.
Ho
sentito, passando per i corridoi, due Grifondoro parlare fra loro dicendo che
Potter non voleva incontrare, parlare, o semplicemente vedere nessuno, nemmeno
la Granger e Weasley, nemmeno Lupin. Aveva gridato spesso che lo dovevano
lasciare in pace da quando ha saputo che non c’era speranza che gli tornasse la
vista.
Sta
tutto il giorno a fissare il vuoto con le sue pupille cieche nel disperato
tentativo di vedere.
E io che
cosa voglio vedere? Lui. Lo voglio vedere.
E se
forse lo vedo la smetterò di sfogliare libri su libri alla ricerca disperata di
qualcosa che lo possa aiutare e potrò tornare a sentirmi come prima e non
provare, nel pensare a lui, l’inspiegabile voglia di uccidere per una seconda
volta Voldemort.
Il
perché non lo so nemmeno io. So solo che voglio vederlo. E aiutarlo.”
Draco
scosse la testa, come ogni volta che leggeva quelle parole. Com’era stato
semplice per lui rintanarsi nella sua consueta freddezza e indifferenza! Quando
era adolescente tutto quello era così rassicurante, così sicuro e così bello.
Aveva
scritto quei due giorni con calma, senza nessun trasporto emotivo, con
analitico stile e ordinata calligrafia.
Voltò la
pagina. Ecco, qui cominciavano i guai.
“L’ho
visto. Alla fine l’ho visto.
Sono stato tre quarti d’ora di fronte a quella maniglia
della stanza. No, forse non erano tre quarti d’ora, forse era semplicemente un
minuto, ma non ho mai tentennato in tutta la mia vita e ora… non riesco a
riordinare coerentemente le cose che voglio scrivere perché…il perché non lo
so, dannazione!
Alla fine
sono entrato e l’ho visto, questo è l’importante.
Inizialmente
ho fatto fatica ad individuarlo perché la stanza era completamente invasa da
fiori e dal loro profumo e da mille doni di qualsiasi fattezza.
Potter
era seduto a letto, appoggiato ai cuscini, con gli occhi aperti.
I suoi
occhi erano sempre stati decantati per la perfezione del loro colore da
praticamente chiunque - e anche da me, lo ammetto - ora sono occhi vuoti,
ciechi, occhi che sono aperti alla ricerca di vedere.
- Non so
chi lei sia - mi ha detto un po’ aspramente - Ma per favore porti via tutti
questi maledetti fiori e dica a chiunque che non voglio ricevere più niente -
mi aveva scambiato per un’infermiera. O forse per un guaritore.
Il
profumo dei gigli era ipnotizzante. Un mazzo di girasoli era in un vaso proprio
accanto a Harry, lui ha allungato la mano tentennante fino a che non ha toccato
i soffici petali di quei fiori del sole.
Ha
stretto con violenza il fiore stropicciando i dorati petali.
- A che
mi servono i fiori se non li posso vedere? - ha sussurrato un po’ troppo ad
alta voce. O forse sono io ad averlo sentito quasi come un urlo nella mia mente
- A che mi serve la vita se non ho una vita da vivere? -
Ha
stretto il fiore con più violenza e poi l’ha strattonato. L’intero vaso è caduto
a terra, frantumandosi in mille schegge di vetro sul pavimento, l’acqua che si
spargeva come una macchia, i fiori a terra, i petali sparsi… il frantumarsi del
vaso l’ho sentito come un partire di uno sparo.
Non sono
stato capace di dire alcunchè. Mi sono avvicinato a lui calpestando petali e
vetro fino a raggiungerlo. Ho allungato la mano per accarezzare il suo volto
liscio.
Harry ha
cambiato espressione, è svanita la rabbia, è diventata sorpresa, sono svanite
le lacrime intrappolate nelle ciglia, sono state trattenute.
Mi sono
avvicinato a lui. Non so nemmeno io perché l’ho fatto… so che volevo togliere
dal suo viso quel dolore e quella rabbia, cancellare quelle parole piene di
sofferenza e portarvi un qualcosa di dolce, un qualcosa che lo aiutasse.
- Chi
sei? - ha chiesto. Non ho risposto, non lo avrei fatto per nulla al mondo, non
mi sarei fatto mandare via. Mai. Non ora almeno.
Gli ho
preso il viso con la coppa delle mani, il suo viso così caldo e le mie mani
così fredde…
Harry ha
coperto le mie mani con le sue, alla ricerca di un qualche particolare che lo
aiutasse a riconoscermi. Il suo tocco…
Il suo
tocco sulle mie mani, lungo le braccia, sul collo, sul viso, sulle labbra, nel
contorno degli occhi, sul naso, intorno alle orecchie, attraverso i miei
capelli…
Improvvisamente
mi sono sentito così… così come mai prima e mi sono morso il labbro inferiore
per non permettermi di dire nulla e per non singhiozzare perché le lacrime
stavano arrivando, le sentivo.
E le sue
dita mi hanno sfiorato di nuovo le labbra.
Hanno
captato un cambiamento e si sono ritratte per tornare alle mie mani.
- Mi
dirai ora ‘La vita va avanti comunque’? Mi dirai ‘Sei vivo, vivi’? O mi farai
una lunga ramanzina sul valore della vita? - la voce era sferzante, esasperata,
sofferente. I suoi occhi si sono chiusi per un istante, poi si sono riaperti -
Oppure non dirai nulla? Preferisco così, non dire nulla. Ma solo allontanati,
non ho bisogno della tua pietà, non mi serve la tua compassione -
Ha fatto
per allontanarmi ma prima che ci riuscisse io gli ho messo un girasole tra le
mani, di quelli che aveva fatto cadere, e me ne sono andato, lasciando che le
lacrime potessero scorrere silenziose e libere nelle mie guance.
E ora
sono qui nella mia stanza a capire e a comprendere. Perché? Perché mi sento
così?”
La
calligrafia era molto più concitata, più emotiva. Draco chiuse gli occhi per un
secondo e li riaprì. Ricordava quel giorno e pensò che non c’era stato giorno
più triste nella sua vita.
O forse no.
Forse c’era stato un altro giorno.
Sfogliò
alcune pagine più avanti. Eccolo. Portava la data di due settimane dopo.
“Mi ero
deciso a tornare.
Ero
quasi entrato nel San Mungo quando l’ho visto.
Un
foglio di giornale svolazzante portato dal vento e posato ai miei piedi.
Notizia in copertina ‘POTTER È FUGGITO’.
Sinceramente non ricordo cosa pensai ma sono tornato
a Hogwarts subito e ho saputo la verità: Harry era fuggito dal San Mungo e
nessuno lo trovava.
Il che è ridicolo: l’intero mondo magico e mondo
babbano lo sta cercando - ho sentito da un Tassorosso che la scomparsa di
Potter è stata oggetto di telegiornali e volantini babbani - e Harry è ancora
in convalescenza ed è cieco.
Ha la
bacchetta con sé ma sembra che non avesse operato nessun incantesimo se non uno
nei pressi di Londra.
Harry
fuggito… Harry solo, cieco, in fuga…
E io non
l’ho potuto aiutare”
La cronaca
continuava per un po’ poi Draco lesse l’annotazione del giorno seguente a
quello.
“Harry.
L’ho chiamato Harry per sette intere pagine, ieri. E sfogliando indietro mi
sono accorto di averlo chiamato Harry per altre trenta pagine… perché lo sto
chiamando così? Perché ora è Harry e non Potter?”
Draco
chiuse il diario e per magia si cancellò ogni pagina vergata dalla sua
calligrafia, tornando un diario vuoto dalle pagine bianche e il profumo di
nuovo.
Due giorni
dopo la scomparsa di Potter aveva cominciato a rendersi conto di una cosa: non
poteva evitarsi di pensare a lui e al suo senso di colpa per non essere
riuscito nell’aiutarlo o confortarlo.
Di cosa si
incolpava in fondo? Lui era Draco Malfoy, niente e nessuno si sarebbe mai
atteso una parola gentile da parte sua.
Eppure
improvvisamente a Draco sembrò che ogni cosa fosse ingigantita, che ogni volta
che sentisse il nome Potter cominciasse a sobbalzare, che a colazione leggeva
avidamente la Gazzetta del Profeta alla ricerca di una parvenza di notizia
riguardo a Potter, che ogni volta che vedeva la Granger piangere il cuore gli
sprofondasse, timoroso di qualche notizia negativa, che ogni volta che vedeva
Silente il desiderio di andare da lui a chiedergli di Potter era impellente,
che ogni volta che dormiva sognava Potter, che ogni mattina si chiedeva la
stessa cosa ‘Harry starà bene?’.
E da lì era
cominciata la sua personale ricerca.
Ministero e
babbani cercavano Potter? Ebbene anche Draco avrebbe cominciato a cercare.
Quando avrebbe trovato quell’idiota gliene avrebbe dette quattro. Gli avrebbe
detto che era stato un debole.
Era stato
lì che aveva cominciato a annotare in un agenda i suoi progressi, a raccogliere
articoli di giornale, a cercare lui per primo, ad indagare.
Dove poteva
essere andato Potter?
Nessuno dei
suoi amici pareva saperlo, il loro dolore sembrava genuino e disinteressato,
gli zii babbani erano da escluderli a priori, si odiavano, e quindi chi altro
rimaneva?
I
mangiamorte.
Draco aveva
parlato con suo padre, nel caso potesse dirgli qualcosa sull’incantesimo che
Voldemort aveva scagliato al moro, ma suo padre non era in grado di parlare,
fantasma dell’uomo che era un tempo, e probabilmente non avrebbe detto nulla se
avesse voluto, e una settimana dopo i Dissennatori si erano presi la sua anima,
come quella di molti altri mangiamorte per volontà del popolo, alla ricerca di
vendetta e giustizia.
Draco, una
volta diventato maggiorenne, aveva scoperto il testamento di Black, e quello
gli parve un segno del destino. Ora aveva una scusa in più per cercare Potter,
aveva una scusa dietro cui nascondersi, a parte il senso di colpa e quella
strana stretta al cuore che sentiva ogniqualvolta pensava a lui.
Dopo anni di
ricerca infruttuosa, quando ormai tutte le risorse erano terminate, non aveva
trovato altra soluzione che rivolgersi agli amici di sempre di Potter: Weasley
e Granger.
Aveva
riflettuto a lungo su quella scelta umiliante - mai detto che un Malfoy dovesse
chiedere aiuto ad altri e che fallisse in qualsiasi cosa! - ma alla fine aveva
deciso di chiedere: ma che cosa aveva detto la Granger, a parte capire che
Draco non stava cercando Potter solo per il testamento?
Nulla che
Draco non sapesse.
Solamente
qualche nota sul passato di Harry che Draco aveva già saputo… ed era di nuovo
al punto di partenza.
Draco fece
apparire un bicchiere di vetro e prese da sotto il tavolo una bottiglia di
brandy. Se ne versò un bicchiere e lo bevve tutto d’un sorso.
Poteva aver
riconquistato il prestigio di sempre, poteva riaver avuto casa sua ma Malfoy
Manor era ancora più fredda e distaccata di sempre. Era casa solo nella carta,
solo perché l’aveva visto crescere, ma quando Draco pensava a ‘casa’ non si
immaginava il calore di un focolare domestico.
Ora più che
mai.
Ora era
rimasto solo in quel palazzo, senza madre, senza padre. Non aveva altri
contatti se non quelli con alcuni dei suoi vecchi amici, così lontani da parere
evanescenti.
La
spiegazione era Potter.
Potter.
Potter. E ancora Potter.
Aveva
lasciato la sua vita per inseguire quella di Harry e ora si ritrovava così,
senza nessuno ad accoglierlo in una casa vuota, senza nessuno a cui rivolgersi
per chiedere compagnia.
Tutte le
sue forze, le sue energie in quell’ambizioso quanto impalpabile scopo.
Quando
finalmente, vincendo remore e ingoiando l’orgoglio, era andato a casa
Weasley-Granger non aveva scoperto nulla.
La Granger
gli aveva parlato della vita di Harry, della sua infanzia con gli zii, delle
sue passioni, delle persone che amava, dei suoi ricordi con lui. Di tutto e
niente, perché Draco quelle cose già le conosceva, ma non aveva cercato di
zittire la Granger, l’aveva lasciata parlare, perché sembrava che lei stessa ne
avesse avuto bisogno. Bisogno di ricercare il suo amico nel labirinto dei
ricordi, di richiamarlo alla memoria così come vi era impresso.
- Dove
cercarlo? - domandò Draco a alta voce.
Dove,
davvero.
Ormai non
restava nessun altro luogo se non la tomba profonda.
E quella
prospettiva non aveva nulla di allettante.
*
Harold
Black salutò i suoi studenti mentre riordinava gli appunti nella cartellina e
recuperava il libro 'Folletti: dove trovarli, come sfuggirvi' per riporlo
assieme alle altre cose.
"Tre
passi, gradino... dieci passi, porta... ecco, sono fuori. Ora devo andare in
refettorio"
Harold si
fermò, sorridendo lievemente: - Mitchell. Vuoi chiedermi qualcosa? - Mitchell
Kuttler. Harold poteva immaginare i capelli come sabbia e gli occhi castani,
poteva immaginare i suoi jeans scoloriti e la felpa sobria, il suo studente del
secondo anno.
- Professor
Black... come faceva a sapere che ero io? -
Domanda
retorica, il professor Black apparentemente non poteva esser preso di sorpresa.
Non era mai successo. Era come se con la mancanza di vista gli fosse giunto in
dono il poter prevedere le mosse delle persone, o, meglio ancora, 'sentire' i
loro movimenti e proiettarli nella mente, facendoli prendere forma.
- Domanda
retorica, Mitchell. Su dimmi, non mangio mica - scherzò riprendendo a camminare
verso la destra del muro. Il vociare era diffuso, alcuni saluti si levarono al
passaggio del professore di Folklore, il fiume di ragazzi si riversò verso il
refettorio per il pranzo.
- Si tratta
della mia tesi, professore - spiegò imbarazzato Mitchell - Il professor Kramer
ha chiesto un approfondimento sull'uso della magia come scienza... non è che
potrebbe darmi una mano? -
Harold
aveva l'insensato desiderio di ridere. Fermarsi in mezzo al corridoio e ridere.
Magia...
Harold non
sapeva quando era stata l’ultima volta che l’aveva usata, si era quasi scordato
della sensazione di impugnare una bacchetta mentre si scagliava un incantesimo,
il modo in cui vibrava mentre era all’opera, la sua superficie lignea…
L’ultimo
sortilegio che aveva scagliato era stato uno di Confusione per confondere la
sua figura agli occhi esterni, a Londra, mentre fuggiva. Non sapeva nemmeno
dove aveva buttato la sua bacchetta e sinceramente a Harry la cosa non
interessava minimamente.
Non voleva
ricordare niente della sua ‘vita precedente’, non voleva ricordare il dolore di
essersi lasciato alle spalle i suoi amici e tutti affetti che avevano
costellato la sua vita e mitigato la solitudine della sua adolescenza, ma
nonostante ciò aveva preso una decisione e non sarebbe tornato indietro. No,
quello mai. Ormai la vita di Harold Black, professore universitario cieco, era
la sua vita, ormai i panni di Harry Potter, Salvatore del Mondo non gli
calzavano più e nemmeno lui voleva che gli calzassero.
- Professor
Black? - la voce di Mitchell giunse lievemente preoccupata - Si sente bene? -
Harold
sorrise lievemente: - Tutto a posto, Mitchell. Su cosa in particolare volevi
una mano? -
- Allora è
disposto a darmi una mano? Sul serio? Grazie! - Harold poteva sentire quasi
l’irradiare grato del sorriso del ragazzo e il sollievo che trapelava dalla sua
voce - Però… ecco… - si fermò. Ora c’era titubanza, timore.
- Non sei
il solo, vero? - chiese Harold. Ecco, ora Mitchell si era fermato, non c’era
più il rumore dei suoi passi cadenzati e veloci come un qualsiasi giovane pieno
di vita. Era sorpreso certamente.
- Come
faceva a… - si bloccò con la sua domanda. Ma certo, come aveva fatto a
dimenticarsi che il professor Black sembrava sapere tutto? - Solo io, Jess,
Lois e Sara - il suo gruppo di sempre, quindi.
- Passa nel
mio ufficio più tardi, Mitchell, ci metteremo d’accordo -
- Grazie! - e Harold lo salutò.
Qualcuno gli afferrò il braccio con una presa forte e
istantaneamente Harold capì che si trattava di Bob. I suoi passi erano
particolarmente sonori alle sue orecchie, inconfondibile la cadenza quasi
danzante di un ex ballerino, la stretta forte e il profumo eau di cologne.
- Vai a
pranzo? -
- Sai, Bob,
- Harold sospirò divertito - in genere la gente è portata a nutrirsi -
Bob rise:
- Vieni, andiamo fuori, mia sorella mi
ha preparato il pranzo ma come al solito ha abbondato quindi che ne dici se mi
aiuti a finirlo? - mentre diceva quello lo trascinò per il braccio. Harold
sentì i tiepidi raggi del sole quindi doveva essere all’aria aperta, infatti un
violento soffio di vento lo colpì e Bob gli mise sulle spalle il suo cappotto.
- Avevi
previsto tutto, eh? - Harold si infilò il cappotto e si lasciò condurre
dall’amico in uno dei tanti tavoli lignei all’aperto nel cortile del polo
universitario. Era una grande distesa nel verde del cortile che portavano ai
tre bungalow degli studenti. Harold poteva immaginarsi gli studenti pranzare e
fare un mucchio di quelle cose che qualsiasi studente avrebbe fatto e che
Harold non farebbe mai.
- Per una
volta, concedimi la parte dell’onnisciente! - Bob fece pressione sul braccio
dell’amico per fargli evitare una buca nel terreno e lo fece sedere.
Tirò fuori
il cibo, chiacchierando allegramente con Harold e così trascorsero una buona
mezz’ora.
Improvvisamente
Bob disse: - Da quanto ti conosco, Harold? Qualche anno ormai. Ieri stavo riflettendo che non so quasi
nulla della tua vita -
Harold si
irrigidì all’istante.
Non disse
nulla, solo ascoltò il dolce sussurro del vento per un tempo che gli parve
infinito.
Quando
infine prese la parola lo fece per dire: - Io ho cominciato a vivere quando
sono arrivato qui - e si richiuse nel suo silenzio.
*
Il giovane
uomo distolse lo sguardo metallico dal foglietto che teneva in mano e lo posò
sulla facciata bianca della tipica casa babbana con il prato ben curato e
l’aria distinta.
Era
finalmente arrivato, rifletteva tra sé e sé, controllando l’indirizzo scritto
nel foglietto con la targhetta dorata vergata da due cognomi scritti in
corsivo.
Una casa
babbana.
Il giovane uomo non poteva credere di essere capitato così
in basso da essere di fronte ad una casa babbana e essere sull’atto di suonare
un campanello, eppure adesso proprio non poteva tirarsi indietro.
Gli era
venuta in mente quell’idea perché non ne aveva altre e era andato nell’unico
posto in cui non avrebbe mai immaginato di trovarsi per sperare di trovarvi la
sua ultima speranza.
Era stata
la Granger, quella mattina stessa, a scrivergli quell’indirizzo nel foglietto e
Draco aveva deciso che valeva la pena di provare, almeno per mettersi l’anima
in pace.
Premette il
campanello.
La porta si
aprì pochi secondi dopo.
-
Buonasera, sono Draco Malfoy e vorrei parlarle. Riguarda Harry Potter - disse
con voce decisa.
Petunia
Dursley sorrise, senza essere sorpresa: - Mi stavo chiedendo quando sarebbe
venuto, Draco Malfoy -
Continua…
Mistress
Lay (01/04/06 18.43)
Grazie Elanor! Accidenti anche tu a piangere? ma che,
faccio piangere metà delle persone che legge con il primo cap? Insomma dovevo
catapultarmi, prima o poi, in una fic dallo sfondo triste-drammatico, no? Era
da ujn po' che ci giravo intorno... nn sai quante indecisioni! (sì che lo so...
ndElly) (... ndLay) No, nessun mistero, no preoccupa, o almeno non troppo
criptici, nn è sulla stessa lunghezza d'onda di PdT! XD Ma è più sentimentale...
dopotutto l'ho scritta proprio mentre ero nella mia sfera emotiva... ç____ç Tu
nn sai quanto mi diverto a trovare nomi che nessuno si sognerebbe mai di
mettere ai suoi personaggi delle fic... XP E' troppo divertente! In realtà il
nome di Harry doveva essere il nome completo: Harrison, ma faceva troppo azione
e Harry di azione nn ne faceva molta quindi... qual'è l'unico (?) nome che si
avvicinava a Harry? ^^ Sinceramente nn so molto delle persone cieche dalla
nascita, ma conosco una persona che lo è da poco ed effettivamente 'conta', il
mettere tutto in ordine era qualcosa che avevo letto anche in un libro: chi è
cieco sviluppa gli altri quattro sensi e la memoria. ^^ (fammi indovinare...
hai fatto ricerche in proposito? ndElly) (ma come hai fatto ad indovinare... ^^
ndLay) Anche il tatto sarà importante, lo vedrai nei prox cap... e anche il
fatto che voglia tenere gli occhi chiusi! Anche se parlando di scienza
comportamentale alcuni ciechi fanno questa scelta... vabbè, magari te ne
parlerò quando affronterò la domanda tra due cap! ^^ Comunque spero sempre di
nn fare gaffe e cadere nei luoghi comuni… ho cercato di ‘informarmi’ per
renderla più naturale e vera possibile… oddio, spero di aver fatto bene… O.ò