Cosa
sarebbe il mondo
senza Capitan Uncino?
Di
Davide si potevano dire molte cose, vedendolo per la prima volta: alto,
moro,
fisico a posto – bicipiti niente male – e
incredibili occhi azzurri. Carisma da
vendere.
A
un livello di conoscenza più alto, ma pur sempre
superficiale, di lui erano
noti i trentuno anni, la piccola cicatrice sul polso dovuta al morso
del suo
cane e che esibiva con orgoglio, la risata contenuta.
Passando
del tempo con lui, Davide appariva meno maturo di quanto volesse
sembrare, il tipico
dongiovanni che si diverte a passare da una donna all’altra,
mantenendo però
ben nascosto il carattere da bambino che si emozionava guardando i film
della
Disney, per poi rivelare questo suo lato solo alle persone con cui
entrava
realmente in confidenza. O forse anche quella era una delle sue mosse
migliori.
Nel
complesso, dopo averlo frequentato per più di un anno da
amica come stava
facendo Silvia, c’era una cosa che si poteva dire senza
ulteriori riflessioni:
Davide era un bastardo.
♫
Silvia,
ventiquattro anni da compiere a breve e cinque esami che ostacolavano
il suo
cammino verso la laurea magistrale, corti capelli dal colore naturale
indefinito che andava dal castano chiaro al rosso, occhi scuri privi di
profondità o mistero e corporatura minuta, aveva conosciuto
Davide un giorno di
fine settembre, accompagnando l’amica Aurora alle prove del
suo gruppo, i
Lilim.
Aveva
incontrato Aurora al primo anno di università e sapeva ogni
dettaglio riguardo
la formazione dei Lilim: la ragazza era stata la cantante dei Moonlight
Sonada,
band composta da ben quattro membri del nuovo gruppo; il motivo per cui
la
prima formazione si era sciolta era stata proprio lei, fidanzata per
qualche
mese del chitarrista e poi del batterista, Ettore. Marco, fedele
compagno
tradito, aveva lasciato i Moonlight Sonada, giurando di non tornare mai
più a
suonare con loro; così qualche settimana dopo Manuel,
l’attuale chitarrista del
gruppo, aveva messo insieme i Lilim, chiamando a suonare al suo posto
al
migliore amico di Ettore, Davide. Alla batteria continuava a sedere il
nuovo
ragazzo di Aurora, mentre la chitarra ritmica rimaneva di Simona.
Silvia
si era presentata con un giacchetto verde e forse fu anche quello a
procurarle
il soprannome di “Peter” conferitole dal bassista.
Dopo le prove erano andati
tutti al locale di alcuni amici per festeggiare la nuova formazione e
lì
Davide, su di giri per via di cinque bicchieri di birra, aveva
cominciato a
prendere in giro Silvia per il cappello che portava.
-
Credimi, ragazza mia, quel coso ti toglie almeno
dieci anni! Non
scherzo, eh. Per non parlare dei capelli… Perché
li hai tagliati così corti? Ti
danno un’aria da maschietto impertinente.
-
Vogliamo parlare del tuo atteggiamento? – aveva replicato
Silvia con un sorriso.
– Ti senti veramente il ragazzo più attraente
sulla Terra, non è vero?
-
Lo sono. Ehi, mi porti un bicchiere di rhum?
A
quelle parole Silvia era scoppiata a ridere, rovesciando la Sprite che
teneva
in mano.
-
Che ci sarebbe di tanto strano? – le aveva chiesto Davide,
aggrottando la
fronte.
-
Ma non riesci mai a smettere di bere?
-
Non provare a farmi la ramanzina… Ho
l’età giusta! E tu, allora, che non hai
preso neanche una birra?
-
Devo guidare.
-
Sì, sì… In realtà non puoi
bere alcolici perché sei una bambina, ci ho
azzeccato? Anzi, un bambino, a giudicare dal tuo aspetto. E poi il rhum
mi dà
l’aria di grande… - Si era interrotto, spostando
lo sguardo dal bicchiere che
gli avevano appena lasciato sul bancone all’abbigliamento di
Silvia. – Sono un
pirata! – aveva esclamato infine.
-
Raccontane un’altra.
-
Sul serio, guardaci: sei una ragazzina irritante che sembra non voler
cedere al
mio incredibile fascino, mentre io bevo rhum e cerco di resistere alle
tue
frecciatine. Siamo Peter Pan e Capitan Uncino!
Silvia
era stata colta da un nuovo attacco di risa, considerando il paragone
fatto dal
ragazzo la cosa più stupida uscita dalla sua bocca di quella
sera, ma non aveva
previsto ciò che sarebbe accaduto: Davide avrebbe ricordato
tutto, nonostante
la sbornia, e dal giorno seguente “Peter Pan”
sarebbe diventato il nuovo
soprannome della ragazza.
♫
-
Ehilà, Peter! Puntuale anche oggi?
Silvia
fece una smorfia divertita, salutando con un cenno del capo il ragazzo
che le
aveva parlato.
-
Salve, Uncino. Sono venuta a prendere anche l’altra mano.
Si
sedette in disparte e aspettò che le prove cominciassero,
mentre il bassista
dei Lilim rideva alla sua battuta.
Dopo
la famosa serata del cappello e del rhum, Silvia aveva cominciato a
presentarsi
ogni martedì alle prove del gruppo, accompagnando Aurora con
la scusa che non
aveva niente di meglio da fare; in realtà Silvia aspettava
quel giorno per
tutta la settimana con il solo scopo di vedere Davide. Erano diventati
amici
nel corso del tempo e lei aveva imparato a conoscere quando fingeva o
quando
invece parlava sul serio, quando rivolgeva alle ragazze del suo
pubblico
sorrisi ammiccanti unicamente per finire la serata nel loro letto o
quando era
davvero interessato a ciò che la persona davanti a lui
avesse da dire. Aveva
capito che era un dongiovanni, ma si ripeteva che, in fondo, le bastava
osservarlo più da vicino rispetto alle altre ragazze, pronte
ad accorrere come
cagnolini al primo fischio. Aurora si era accorta della cotta della sua
amica,
così aveva iniziato ad organizzare uscite e cene con il
gruppo, invitando anche
lei, che aveva in tal modo un ulteriore pretesto per passare il tempo
con
Davide.
Mentre
rifletteva sull’ultima chiacchierata che avevano avuto,
Davide le rivolse un
sorriso beffardo.
Già,
sospirò mentalmente Silvia, le cose sarebbero rimaste sempre
così tra loro, ma
le andava bene.
Fino
a quel giorno.
♫
Quel
sabato di agosto i Lilim avrebbero avuto la loro prima
opportunità di mostrare
quanto valessero: un talent scout aveva contattato Ettore, leader della
band, e
aveva chiesto quando avrebbe potuto assistere ad un loro concerto, dal
momento
che il nastro che gli avevano inviato l’aveva lasciato
piacevolmente sorpreso.
-
Davide? – chiese Silvia non appena scese dalla macchina,
guardandosi intorno:
aveva portato un libro per il suo amico, era certa di fargli una
sorpresa e non
vedeva l’ora di vedere l’espressione da bambino
emozionato sul suo viso.
Manuel
si alzò in punta di piedi per guardare meglio. –
Laggiù! – esclamò infine.
Silvia
seguì il suo sguardo e lo individuò anche lei.
Corse in direzione del ragazzo,
entusiasta, facendosi largo tra le folla, ma appena gli fu vicina si
bloccò.
Davide
aveva afferrato la vita di una ragazza e la stava stringendo a
sé. Silvia avvertì
un brivido freddo percorrerle il corpo: solitamente il bassista
adescava le sue
prede durante il concerto per poi portarsele a casa a fine serata, e
allora
perché ora teneva tra le braccia quella ragazza?
Osservandola meglio, si rese
conto di averla già vista da qualche parte.
Respirò
profondamente e riprese a camminare verso Davide. Quando lui si
voltò, si trovò
di fronte al volto della ragazza illuminato da un sorriso.
-
Ehi, Peter! – esclamò. – Sei
già arrivata?
-
Sì, abbiamo parcheggiato adesso. Ti ho portato il libro di
cui ti avevo
parlato.
-
Fantastico! - Davide spalancò gli occhi davanti al libro che
Silvia gli stava
porgendo, poi parve ricordarsi della ragazza che era con lui.
– Oh, scusa, sto
facendo la figura del maleducato. Daniela, lei è Silvia;
Peter, Daniela, la mia
ragazza.
Di
nuovo il gelo nel sangue: Silvia strinse la mano di Daniela facendo
più
pressione del dovuto, sorridendo forzatamente. Sperò che lei
non se ne fosse
accorta.
-
Era al nostro concerto sabato scorso, – spiegò
Davide, e in quel momento Silvia
la ricordò perfettamente: indossava, come quella sera, un
vestito un po’ troppo
corto sopra gambe un po’ troppo lunghe; aveva lucidi capelli
neri dai ricci ben
definiti ed esibiva un sorriso ammiccante da passerella. Era la tipica
Mary Sue
delle peggiori storie. – Abbiamo parlato un po’
e… Beh, abbiamo scoperto che
andiamo d’accordo su molte cose.
Come
no.
♫
-
Mi spieghi che cavolo ci trovi, in Daniela?
Davide
aggrottò la fronte, voltandosi verso Silvia: era strano
vedere la sua amica
così schietta, forse era colpa dell’alcol.
-
È una bella ragazza, – rispose, mettendo altro
vino nei bicchieri di entrambi.
-
Non lo metto in dubbio.
-
E allora perché mi chiedi cosa ci trovo?
Silvia
sbuffò, incredula. – Vuoi dire che per
conquistarti basta essere belle?
-
No, non intendevo questo: era solo un punto in più a suo
favore. È anche
intelligente, si è laureata da poco.
-
Considerando che ha quasi trent’anni…
Questa
volta Davide sollevò un sopracciglio, cogliendo la critica
nella sua voce. – Tu
sei sulla strada giusta.
-
Ehi, che vorresti dire? Mi mancano solo due esami ora!
Il
ragazzo si strinse nelle spalle. - Avrà fatto altro nel
frattempo, magari ha
anche lavorato a tempo pieno, oppure si era già laureata in
un’altra facoltà.
Silvia
sgranò gli occhi. – “Magari”?
Non sai nemmeno cos’ha fatto Daniele prima di
incontrarti? Ormai è più di un mese che uscite
insieme.
-
Non parliamo tanto, è più un tipo fisico -.
Davide le rivolse un sorrisetto. –
Colta la citazione?
-
Non credo che Hermione si facesse Krum, – rispose Silvia,
rabbuiandosi. –
Quindi è bella e “potenzialmente
intelligente”… Wow, hai ottimi parametri di
valutazione.
Davide
scattò in piedi. – Saranno anche affari miei, no?
-
Non lo metto in dubbio, è la tua ragazza.
-
Già, è la mia ragazza, quindi
smetti di chiederti cosa ci trovi in lei!
-
Lo chiedevo a te, a me non interessa… Era giusto per sapere:
non mi sembra che
abbiate cose in comune.
-
Forse non le piace Harry Potter, forse non ne ha mai nemmeno sentito
parlare,
ma è adulta, sexy e non si comporta come una ragazzina!
La
lasciò nella stanza, uscendo di casa senza neanche salutare
gli amici.
♫
Qualche
giorno dopo, la compagna fissa di Davide non rispondeva più
al nome di Daniela,
ma di Virginia, un’attraente ventisettenne di Milano, a Roma
per chissà quale
motivo.
-
Lavora nella moda, – aveva spiegato Davide mentre la
presentava ai suoi amici.
Manuel non aveva nemmeno alzato lo sguardo, certo che avrebbe comunque
dovuto
dimenticare il volto della ragazza entro poche settimane. –
Ha partecipato a
diverse sfilate e ora è in contatto con un famoso stilista
per aiutarlo nella
sua prossima collezione…
Continuò
a lodare la sua nuova fiamma anche quando i suoi amici smisero di
ascoltarlo,
lanciandole sempre più frequenti sguardi densi di
significato.
-
Mi viene da vomitare – esclamò Silvia una volta
concluse le prove, a cui Davide
si era portato dietro Virginia. – Come mai ultimamente non
scarica le sue prede
il giorno seguente?
-
Sembra che voglia mettere la testa a posto, – aveva
commentato Ettore riponendo
i piatti nella loro custodia.
-
E sta cercando proprio la ragazza giusta, – sputò
Silvia. – Vuole veramente
passare tutta la vita con quelle là?
-
Perché non ti fai avanti? – intervenne Aurora.
La
sua amica sbuffò, infilandosi le mani nelle tasche.
– Figuriamoci! Se quello è
il genere di ragazze che cerca, posso anche mettermi l’anima
in pace.
-
Ehi, belle, di cosa si sta parlando? - Davide comparve alle loro
spalle,
passando le braccia attorno alla vita di Silvia, che avvampò
vistosamente. Le
sollevò una ciocca dei capelli per scrutarla attentamente.
– Ti stai facendo
crescere i capelli, Peter?
-
Così almeno smetterai di prendermi in giro.
-
Ma stai molto bene con i capelli corti!
Silvia
gli rivolse un’espressione diffidente. – Non casco
nei tuoi falsi complimenti.
-
Va bene, va bene, – rise Davide, alzando le mani in segno di
resa. – È solo che
così non somiglierai più a Peter e io non voglio
perdere il mio acerrimo nemico
-. Passò un dito sulle sue guance, avvicinando la bocca alle
orecchie ormai tinte
di rosso. – E cosa sarebbe Capitan Uncino senza il suo Peter?
La
lasciò ad interrogarsi su quelle parole, correndo da
Virginia per baciarla con
passione.
-
Che bastardo, – commentò Aurora. – Vuole
tenerti sotto il suo controllo ad ogni
costo.
-
Già, – annuì Silvia, toccandosi
delicatamente il punto in cui lui l’aveva
sfiorata con le labbra.
♫
La
festa a casa di Davide aveva avuto inizio, ma Silvia non aveva nessuna
voglia
di partecipare all’allegria generale. Aveva esultato quando
aveva notato
l’assenza di Virginia, ma poi aveva subito messo a tacere la
momentanea
felicità: così come lei era venuta dopo Daniela,
a Virginia ne sarebbe
succeduta un’altra – probabilmente una
trentacinquenne rossa con gambe da urlo
e una quarta abbondante. Davide sembrava avere un talento naturale per
circondarsi
di quel tipo di ragazze; lei non aveva la minima possibilità
di successo.
Avvistò
Manuel e Simona chiudersi in cucina, troppo impegnati a mangiarsi le
labbra per
accorgersi che qualcuno potesse vederli, e con un moto di tristezza
crescente
si rintanò anche lei in una stanza. Si sedette sul letto
della camera di
Davide, dopo avere accuratamente chiuso la porta per impedire che
qualcuno la
disturbasse, anche se le possibilità erano minime con una
cassa di birra nel
salotto e la musica ad alto volume; fortunatamente lì il
suono arrivava
attutito, così le fu possibile immergersi con
tranquillità nei propri pensieri.
L’Ibanez
di Davide era sulla poltrona, incustodito forse per la prima volta
nella sua vita.
Silvia allungò un braccio, afferrandola con delicatezza, e
se la pose sulle
ginocchia, improvvisando qualche melodia stonata che facesse da
accompagnamento
alla sua malinconia.
♫
Quando
Davide uscì dal bagno, invece di tornare nel salotto rimase
per qualche secondo
in corridoio, rendendosi conto solo allora della strana assenza di
Silvia:
aveva pensato fosse al bagno, ma aveva appena constatato che non era
così. In
quel momento, qualche nota raggiunse il suo orecchio, ben udibile sopra
la
musica dello stereo che si era temporaneamente interrotta per il cambio
di
canzone. Seguendo la melodia, si accorse che proveniva dalla stanza
alla sua
destra; aprì leggermente la porta, spiando al suo interno.
Silvia
era seduta sul letto e imbracciava il suo Ibanez, che aveva appoggiato
sopra le
gambe accavallate; la frangetta castana le copriva il volto chino, ma
Davide immaginò
la sua espressione tipicamente concentrata.
-
Eri qui, – esclamò, sorridendole.
Silvia
sollevò la testa e incontrò gli occhi azzurri di
Davide: era bello,
incredibilmente bello, più affascinante di come non fosse
mai stato; forse si
trattava dei capelli arruffati, o dell’assenza di una ragazza
al suo fianco, o
ancora della maglietta di Yattaman. Probabilmente, però, il
motivo della sua
bellezza quella sera era l’apparizione inaspettata dopo che
lei lo aveva
pensato con maggiore intensità del solito.
-
Sono sempre stata qui.
Si
vergognò immediatamente di quelle parole, ma per fortuna lui
parve non
accorgersi del vero significato della sua risposta.
-
Ma come, mi hai lasciato solo per rintanarti qua dentro? –
scherzò Davide,
avvicinandosi a lei. – Sai che mi annoio se non ci sei,
rischio perfino di trovare
divertenti le battute di Manuel!
Bugiardo, pensò Silvia. Se
avessi sentito la mia mancanza, mi avresti cercata, eppure è
più di mezzora che
sono qui.
Non
importava, però: Davide era fatto così, amava
inventare bugie su bugie solo per
farsi bello agli occhi degli altri, e in fondo le piaceva anche questo
lato di
lui, purtroppo.
Davide
si sedette accanto a lei, poi la alzò e se la mise in
braccio insieme
all’Ibanez.
-
Come si vede che non hai mai toccato un basso! – la prese in
giro. Appoggiò le
proprie mani su quelle di Silvia per farle capire come muovere bene le
dita;
non sembrò accorgersi dell’imbarazzo che
provocò nella ragazza con quel gesto.
– Spero che i Within Temptation ti piacciano, –
aggiunse, suonando con le sue
dita le prime note di Somewhere.
-
Sharon den Adel è un mito – approvò
Silvia.
-
Sharon den Adel è… Non farmelo dire! –
precisò Davide, scoppiando a ridere.
Silvia
si lasciò sfuggire un sorriso: come si vedeva quando Davide
non rideva per
conquistare una ragazza! In quei momenti solo chi lo conosceva
abbastanza
sapeva distinguere la risata finta da quella spontanea che coinvolgeva
tutto il
suo volto.
Con
lei non rideva in quel modo falso, si lasciava andare. Significava
forse che
sapeva di averla già sotto il suo controllo? O, peggio, che
non la riteneva
nemmeno lontanamente una preda?
Canticchiava
tra sé, cercando di scacciare i pensieri che le tenevano la
testa occupata
dall’inizio della serata.
Never stop
hoping,
need to know where you are,
but one thing's for sure:
you're always in my heart.
-
No, l’accordo giusto era questo, – la corresse
Davide, premendo di più sulle
dita ormai tremanti di Silvia. – No, hai sbagliato ancora.
Su, piccola, non è
difficile…
-
Non chiamarmi “piccola”.
-
E va bene, ti chiamerò “nanetta”, lo
preferisci? Basta che impari come… Che
hai?
Finalmente
spostò lo sguardo dal basso a Silvia e notò che i
suoi occhi si stavano
riempiendo di lacrime. Lasciò immediatamente andare
l’Ibanez e passò un braccio
intorno alle spalle della ragazza, facendola rabbrividire.
-
Che ti succede? – le chiese quasi in un sussurro.
-
Non sono bella, – piagnucolò lei, sentendosi
immensamente ridicola. Si strofinò
gli occhi con i pugni e singhiozzò.
-
Ma piantala! – esclamò Davide e azzardò
una risata per sdrammatizzare; le prese
il mento tra le dita, costringendolo a guardarlo. – Sei una
ragazza carina, te
lo dico io: quando sorridi coinvolgi anche me, e inoltre sei
intelligente, che
importanza ha la bellezza?
-
Allora perché non ti piaccio?
La
stretta sul mento di Silvia si allentò, mentre il cuore
della ragazza batteva
sempre più velocemente.
Davide
accennò un’altra risata, questa volta per
alleggerire il proprio disagio. – Non
ho mai detto che non mi piaci.
-
Dimmelo ora.
Sospirò,
poggiando la fronte su quella di Silvia. – Sei una buona
amica e, in questo
caso, mi piaci molto.
-
Ma, – lo incalzò lei.
-
Mi dispiace.
-
Non importa –. Si alzò dalle sue gambe, dandogli
le spalle senza trovare il
coraggio di guardarlo negli occhi. – Volevo solo cogliere
l’occasione fra una
fidanzata e l’altra, un po’ come Rhett con
Rossella; ma purtroppo io non sono
Rhett, non riesco a farti una dichiarazione seria e mi limito a
piagnucolare
come una ragazzina. E non sono nemmeno Peter, non sto facendo niente
per
combatterti -. Sbuffò, rimanendo per qualche attimo in
silenzio. - Io torno a
casa, ci vediamo al prossimo concerto.
-
Perché vuoi farmi questo?
La
mano di Silvia si bloccò sulla maniglia. Ora Davide se la
prendeva con lei, che
non era capace di reprimere i propri sentimenti?
-
Senti, Da…
Si
voltò di scatto, infastidita, e si ritrovò
inaspettatamente di fronte il suo
viso.
Davide
aveva poggiato una mano sopra la sua spalla per impedirle di aprire la
porta.
-
Perché proprio tu? – ripeté, facendo
toccare di nuovo le loro fronti. – Non
potevi startene zitta?
Senza
aspettare risposta, sollevò il volto e la baciò.
Silvia si aggrappò a lui,
circondandogli il collo con le braccia; lo stringeva a sé,
non riusciva a
credere a ciò che stava accadendo. Davide la
sollevò da terra, trascinandola
fino al letto.
Si
sdraiò sopra di lei, puntellandosi sui gomiti.
Cominciò a baciarle il collo,
facendola sussultare, poi le alzò la maglietta e le
baciò il ventre. Lei lo
lasciò fare, decise che avrebbe assecondato ogni sua mossa:
non le andava di
riflettere sui litigi che avevano avuto, sulle sue parole di quella
sera, sulla
facilità con cui cambiava regolarmente ragazza,
dimenticandola sempre per
strada. Lasciò che la baciasse, lasciò che la
toccasse, non le importava altro.
Davide
era lì.
♫
Davide
strinse Silvia tra le braccia per qualche momento, lo sguardo rivolto
al soffitto;
infine scacciò con i piedi le coperte e si alzò
dal letto, afferrando i propri
abiti e rivestendosi in fretta. Silvia, senza trovare il coraggio di
muoversi o
di dire qualcosa, lo osservò infilarsi i jeans e
abbottonarsi la camicia.
-
Non raccontarlo a nessuno, – esclamò Davide,
mostrandole la schiena mentre si
sistemava il colletto della camicia, ma Silvia poteva immaginare
benissimo il
suo volto completamente rosso per la vergogna di ciò che era
appena successo. –
E sparisci dalla mia vita, per favore, - concluse con la voce
leggermente
tremante, come se a lui stesso costasse molto dire quelle parole.
Lei
mugugnò un “va bene” e lo
guardò uscire della stanza per tornare dagli amici;
non le rivolse nemmeno un sorriso.
♫
Di
Davide si potevano dire molte cose, ma solo una era vera per qualsiasi
livello
di conoscenza: Davide era un bastardo.
Quella
sera Silvia non aveva lasciato andare nemmeno una lacrima; al
contrario, si era
rivestita con calma, si era rimessa il trucco ed era tornata in
salotto,
deliziando i presenti con il migliore dei sorrisi da circostanza. Non
si era
trattata di dignità, non aveva richiamato a sé
tutte le forze che non sapeva
neanche di avere per mostrarsi tranquilla, ma semplicemente le lacrime
non
avevano voluto saperne, di uscire. Aveva osservato la porta da cui era
scomparso
Davide per alcuni minuti, incapace di riflettere: ripensava solamente
alle mani
sudate sul suo corpo, al respiro affannato, a ogni piccolo istante
passato
insieme in quella stanza.
Come
avrebbe potuto immaginare chiunque, Davide era scomparso da diverse
settimane, gettandola
nell’abisso insopportabile del dubbio. Le domande si
susseguivano rapidamente:
perché le aveva rivolto quelle parole? Aveva fatto bene a
darsi completamente a
lui – certo che no? Si
era già
trovato un’altra ragazza?
Si
sentiva come Uncino quando cercava di scoprire la tana dei Bimbi
Sperduti. Ogni
volta che nella sua mente si affacciava quel pensiero, Silvia scuoteva
la testa,
infastidita: non era possibile che ora anche lei ragionasse secondo
quello
stupido paragone inventato da Davide! E poi era lui Uncino, lui
avrebbe
dovuto cercarla, ma a quanto sembrava aveva rinunciato. Che Uncino da
quattro
soldi!
La
domanda più assillante e impertinente, però,
riguarda se stessa: perché ci
teneva così tanto? Davide era un bel ragazzo, era riuscita
ad andare a letto
con lui, e allora doveva smettere di pensarci. Tuttavia, purtroppo si
rendeva
conto che quel ricordo non le bastava; non che Davide fosse stato
incredibile,
lei non poteva dirlo con assoluta parzialità, in quel
momento era emozionata
solo per la presenza del ragazzo tra le sue braccia… Silvia
temeva la risposta
a quella domanda, aveva il terrore di averla già in suo
possesso.
-
Dillo, – la spronava Aurora ogni volta che la vedeva
affondare il volto tra le
mani.
-
Non ci penso proprio.
-
Peggio per te. Ora posso andare ad ucciderlo?
Come
poteva replicare? Aurora aveva ragione, l’unica cosa da fare
con Davide era
presentarsi alle prove per prenderlo a pugni.
♫
L’incontro
avvenne per puro caso in una fredda giornata di febbraio
Silvia
era appena uscita dall’università, quasi sommersa
da un’improvvisa tempesta di
neve, e correva tra la folla di Roma per cercare di non perdere il
treno;
appena raggiunse la stazione, però, il treno le
sfrecciò davanti fischiando
impertinente. Silvia sospirò, controllando la tabella degli
orari, ma il
seguente sarebbe passato dopo un’ora.
Demoralizzata,
pur di non attenderlo sotto la neve si rintanò in un bar
affollato; trovò un
posto vuoto accanto all’entrata e appoggiò la
testa sul tavolo, distrutta dalla
stanchezza. Quando qualcuno uscendo la urtò, lei
sobbalzò sulla difensiva: si
era addormentata, dimenticandosi di dove si trovasse e di come ci fosse
arrivata. La prima cosa che vide non l’aiutò ad
orientarsi, ma la riportò
indietro a una sera di metà novembre.
Gli
occhi azzurri di Davide era di fronte ai suoi, confusi, sorpresi e
desiderosi
solo di fuggire il più lontano possibile. Vide il ragazzo
fare un passo verso
l’uscita, sperando di non essere stato riconosciuto.
-
Uncino non scappa, – mormorò Silvia strofinandosi
gli occhi, ancora intontita.
A
quelle parole Davide si immobilizzò, trasse un profondo
respiro e tornò a
guardarla.
-
Non immaginavo di trovarti qui, – le disse. Nuovo livello di
conoscenza: Davide
sembrava imbarazzato.
-
È sempre così, – commentò
Silvia, reprimendo uno sbadiglio. – Cerchi il
nascondiglio dei Bimbi Sperduti da tutte le parti e poi ti accorgi di
averlo
sotto i tuoi occhi.
Davide
aggrottò le sopracciglia. – Cosa?
-
Peter, Uncino, i Bimbi Sperduti… Quel nostro giochetto.
-
Non pensavo ti andasse ancora di scherzare con me.
-
Infatti no, sono incazzata nera.
Silvia
sospirò, svegliandosi completamente. Sbatté
più volte le palpebre per mettere a
fuoco il ragazzo che aveva davanti, poi si alzò dal tavolo,
lasciando il posto
ad un giovane punk che volò sulla sedia ora libera.
-
Ci mancava solo Rufio, – sorrise Davide.
Silvia
sollevò lo sguardo su di lui. – Non ti manca il
tempo che passavamo insieme? Le
battute, i discorsi, i pomeriggi passati a parlare di Harry Potter?
-
Era per questo motivo che non volevo fare sesso con te.
- Non ti avevo chiesto di fare
sesso, di avevo
detto che mi piacevi, che è una cosa ben diversa -.
Uscì dal bar, pronta ad
affrontare la tempesta di neve o qualsiasi altro cataclisma pur di
allontanarsi
da Davide, dimenticandosi che era stato lui a cercare di andarsene per
primo;
fortunatamente, però, aveva smesso di nevicare.
-
Avvisiamo i signori passeggeri che il
servizio sarà sospeso a tempo indeterminato a causa delle
condizioni dei
binari…
-
Ah, perfetto, – esclamò, parlando da sola.
– E adesso come torno a casa?
-
Posso accompagnarti io, – propose Davide, ancora vicino a lei.
-
Non ci penso proprio, preferisco restare qui.
-
E allora fa’ così. Hai almeno qualcuno da cui
andare? - Interpretò il silenzio
di Silvia come un “no”. – Dai, ti porto a
casa.
-
È a due ore da qui, troppo lontano, non mi va di restare in
tua compagnia per
così tanto tempo. Accompagnami da Aurora ed Ettore,
starò da loro stanotte.
♫
Nessuno
dei due aprì bocca per venti minuti; Davide guidava in
silenzio, mentre Silvia
osservava la neve fuori dal finestrino.
-
Maledizione! – esclamò improvvisamente Davide,
indicando la coda di macchine
che li precedeva. – Non arriveremo prima di un’ora
con questo traffico.
-
Dovrei essere io a lamentarmi, – sbuffò Silvia.
– Sei tu che mi hai detto di
sparire dalla tua vita, che gentile.
-
Appunto, ti ho detto di sparire, ma a quanto sembra sei sempre qua!
Silvia
rimase a bocca aperta. – È stato un caso se ci
siamo incontrati!
-
Potevamo fingere di non esserci visti, e invece tu te ne sei uscita con
“Uncino
non scappa”: dovevo dimostrarti che non era così.
-
Ah, la solita tiritera del maschio macho!
-
Ma quale maschio macho? È una questione d’orgoglio.
-
Chiamala un po’ come ti pare.
Davide
inchiodò, fece retromarcia, ignorando le lamentale degli
automobilisti intorno,
e imboccò una strada secondaria.
-
Dove stiamo andando?
-
Sta’ zitta una volta tanto, Peter. Irritante come al solito.
Fermò
l’auto in un parcheggio isolato e si voltò verso
Silvia.
-
Ora scendi e parliamo.
-
Fa freddo!
-
Non quanto farà freddo nel mio cuore se non ti
avrò detto quello che provo, –
scherzò Davide, regalandole un sorriso ammiccante.
Silvia
sentì il cuore batterle con forza nel petto, ma mantenne
un’espressione seccata
e scese dalla macchina.
-
Sentiamo cos’hai da dire, allora.
Davide
temporeggiò, battendo i piedi in terra per scaldarsi, o
forse per trovare
coraggio.
-
Silvia, io non sono un principe azzurro.
Silvia
sgranò gli occhi, incredula: aveva sentito bene? Stava per
farle la ramanzina
su quanto fosse stata stupida a perdere la testa per un bastardo come
lui?
-
Passo da una ragazza all’altra, –
continuò Davide, tenendo gli occhi azzurri
ben fissi su quelli scuri di lei. – Adoro svegliarmi sempre
con una persona
diversa al mio fianco, adoro conquistare il cuore di donne che cercano
solo il
sesso di una notte. Tu non eri una di quelle, per quello dovevi starne
fuori:
mi piacevi, e parecchio, però se ti avessi avuta tra le mani
ti avrei svilita;
ed è andata esattamente così. Tu non sei
l’amante di una notte, ma io non sono
capace di stare con te senza farti del male. Sono un pirata, sono
Giacomo
Uncino, se vuoi vederla sotto l’ottica del nostro giochetto:
Peter è solo un
bambino, non può capire le dinamiche della vita.
-
Ma io non sono Peter! – strillò Silvia, ferita da
quelle parole allo stesso
tempo dolci e crudeli; le sentiva pungere come aghi nel suo collo,
spingere in
profondità per farle perdere il fiato. Doveva gridare
finché poteva. – Mi
chiamo Silvia, ho sei anni meno di te e sto per laurearmi! Che altro
vuoi
sapere? - Afferrò un rametto da terra, l’unica
cosa che trovò, e lo tirò
addosso a Davide. – Pensi che prima di te non mi avessero mai
toccata? Beh,
sbagli, perché il tuo corpo non è stato il primo
che ho visto nudo! - Fece con
la mano una palla di neve e ripeté il lancio. –
Piantala, con la storia del
pirata: non siamo Peter e Uncino, siamo Silvia e Davide, che ci piaccia
o meno!
Oooh, non posso credere di star perdendo tempo con te! Dovrei uscire,
cercare
ragazzi con un minimo di cervello, ma no, dovevo proprio innamorarmi di
un
cretino come te!
Davide
scansò la seconda palla di neve. – Che cosa hai
detto?
-
Che sono stufa di sentire le tue belle parole! Sii pure meno poetico,
evita di
fare metafore, mostrati meno affascinante di come sei davanti a tutti,
ma per
una volta sii te stesso!
Silvia
afferrò una terza manciata di neve, ma rimase immobile,
sorpresa dalla reazione
di Davide, che era scoppiato a ridere e si teneva la pancia. Non aveva
mai
sentito quella risata e solo allora si accorse che anche quella che
aveva usato
fino a quel momento con lei era falsa, che invece solo la risata che
stava
riempiendo l’aria fredda intorno a loro era autentica. Vide
il vero Davide in
quegli occhi che lacrimavano, lo riconobbe nella bocca spalancata, lo
sentì su
di sé quando si lanciò sopra di lei, facendola
cadere a terra con la palla di
neve ancora in mano.
-
Sei incredibile! – esclamò Davide, continuando a
ridere. – Alla fine non
riuscirei mai a stare senza di te, non ci sono riuscito per tre mesi e
non
credo che potrei farlo ora.
La
baciò delicatamente sulle labbra screpolate dal freddo, ma
Silvia non sentì
dolore: una sensazione di calore le attraversò il volto,
facendola sorridere
nonostante la rabbia.
-
Beata te, – sussurrò Davide, abbassandole la
sciarpa per baciarle il collo.
-
Perché?
-
Ti sta baciando un figo del genere, – rise Davide.
– Ti capisco, sai: cosa
sarebbe il mondo senza Capitan Uncino?
-
Ma vuoi piantarla? – lo sgridò Silvia divertita,
facendo cadere sulla sua testa
la palla di neve che teneva ancora in
mano.
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Prima di tutto, ringrazio chiunque sia riuscito ad arrivare fin qui,
senza lasciarsi vincere dalla lunghezza della storia o dall'odio per
Davide.
Questa storia, come scritto nell'introduzione, è uno
spin-off di "Sulle note di Cat Stevens", ambientata durante quei cinque
anni di "silenzio" tra la rottura di Aurora e Marco e il matrimonio
della ragazza.
Mi rendo conto che, ultimamente, sto mettendo da parte il fandom di
Harry Potter per scrivere storie originali a sfondo musicale: forse il
motivo è che sto rileggendo "Nana", o che mi piace scrivere
ascoltando canzoni, o ancora che ho fatto la conoscenza da pochi mesi
con un gruppo; in ogni caso, vorrei fosse chiaro che nessuno dei miei
personaggi (delle tre storie "musicali" che finora ho scritto, e quindi
questa, "Sulle note di Cat Stevens" e "Resta ad un passo") si ispira a
persone reali e, in particolar modo in questo racconto, a personaggi di
"Nana". No, Davide non è Takumi, voglio sottolinearlo: va
bene, mi sono resa conto solo dopo avere scritto la storia che anche
Davide suona il basso, inoltre è un bastardo patentato... Ma
non è Takumi, non lo sarà mai, in positivo e in
negativo.
Come in "Resta ad un passo", il protagonista maschile si chiama Davide
(e infatti credo che cambierò il suo nome in quella storia).
Perché Davide? Non lo so, forse perché mi piace,
perché lo ritengo adatto ai miei personaggi maschili...
Chiedere "perché Davide?" è superfluo, e
sicuramente c'è qualcuno tra i lettori che sa cosa voglio
dire :3
Grazie per essere arrivati fin qui ♥ Una recensione
è sempre gradita, soprattutto perché mi aiuta a
migliorare (quindi non sto cercando solo quelle positive: ditemi cosa
vi è piaciuto, cosa vi è sembrato paradossale,
tutto ciò che vi è saltato in mente durante la
lettura)!
Medusa
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