Burbon,
luxury, a pill and you
L'energia mentale di Leon era mobilitata al cento per cento per
resistere alla tentazione di allentarsi la cravatta. Combatteva contro
quel desiderio impellente da quando aveva avvolto quella maledetta
striscia nera intorno al suo collo, due ore prima: come un serpente, si
era avvinghiata a lui con fare predatore, senza il minimo rispetto per
la sua trachea.
Odiava le cravatte, pensò lisciandosi la giacca con le mani
per tenerle occupate.
Le odiava almeno quanto quell' uniforme da becchino nella quale si era
murato: camicia bianca, giacca e pantaloni rigorosamente neri - il
tutto perfettamente stirato-, quell' orrido e
oblungo parassita di tela...
Sembrava che ognuno di quegli elementi facesse a pugni con gli altri
per stabilire chi lo avrebbe irritato di più.
Ovviamente, il suo viso non espimeva nulla del suo fastidio, mentre
oltrepassava la soglia della più lussuosa sala da pranzo che
avesse mai visto, con tanto di legno scuro sulle pareti, soprammobili
tanto antichi quanto delicati e quadri dal valore inestimabile. Senza
contare l'agglomerato brulicante di persone che odoravano di profumi di
marca, di champagne e di ricchezza, e che ridevano facendo scintillare
i denti bianchissimi, lanciavano saette dalle mani ornate di brillanti
e metalli rari portando una coppa alle labbra gonfiate al botulino,
poggiando il culo fasciato Gucci e Armani su graziose poltrone color
crema...
Leon si sentiva tremendamente fuori luogo, come una specie di vecchia
poltrona scassata in mezzo alla scena di un balletto russo:
confortevole, sì, accogliente, va bene, ma dannatamente
fuori posto.
Mentre schivava una vecchia mummia impiastrata di fondotinta desiderosa
di strusciarglisi accidentalmente
addosso, arrivò fino a pensare che in quel momento, perfino
El Pueblo sarebbe stato un posto più gradevole di quella
bolgia.
La tentazione di girare i tacchi e scappare correndo a perdifiato si
fece estremamente intensa.
"Leon!" Lo chiamò una voce eccitata
Fece appena in tempo a voltarsi prima che Ashley Graham gli saltasse
letteralmente addosso, stringendogli il collo in un abbraccio
infantile.
Dopotutto, una ragione per rimanere ce l' aveva.
"Ehi, dolcezza." mormorò Leon, prima di aggiungere con
una smorfia "Ti conviene mollarmi, o sarai responsabile della mia
morte: sto soffocando in questo sarcofago di stoffa."
La figlia del Presidente si allontanò ridendo e agitando i
corti capelli biondi.
"Io dico che stai benissimo." obbiettò con aria maliziosa
Leon osservò il suo viso dolce, un volto raggiante,
solare, che sprizzava felicità da tutti i pori. Era
così diversa da quando l' aveva conosciuta:non
più sporca, ferita, pallida e con gli occhi sgranati dal
terrore... Ora che osservava il suo sorriso a trentadue denti, non
poteva impedirsi di meravigliarsi della sua apparente
capacità a buttarsi tutto alle spalle. Era stata rapita da
un' organizzazione di pazzi dediti a un culto folle per il quale era
quasi stata sacrificata, infettata con un parassita millenario che
obnuvilava la sua volontà, chiusa per ore in celle buie e
fredde, trasportata in giro come un sacco da orde di morti viventi,
eppure... Dopo solo un paio di giorni era capace di sorridere con una
gioia che, seppur lievemente, riusciva a sciogliere il gelo che non
aveva fatto altro che crescere dentro di Leon. Certo, quel sole
scaldava solo la superficie dell' iceberg, ma era già
qualcosa.
Decisamente, non era venuto invano.
"Mio padre non ha potuto farcela." disse Ashley "Mi dispiace, ci
tenevo a fartelo conoscere. Ma sai, pare che il G8 non si possa
spostare..."
Afferrò il braccio di Leon e premette la guancia contro la
stoffa morbida della sua giacca.
L' agente si irriggidì a quel contatto.
"Non balzare così." protestò la ragazza " Mica
mordo."
"Ah no?" scherzò Leon
Uno sguardo ferito della bambina gli fece addolcire il tono.
"È che, lo sai..." iniziò a spiegare con voce
paziente " La gente potrebbe fraintendere."
"Non preoccuparti." lo interruppe lei alzando un dito "La festa
è privata al cento per cento. Zero telecamere e obbiettivi.
Gente di fiducia. Mio capriccio. "
"Tua la festa, tu la regina?"
"Esatto." sorrise lei stringendo la presa, come a provare la
veracità delle sue parole "Ma ho comunque passato l' inizio
della serata a stringere mani unticce e baciare guancie moscie."
"Prima il dovere..."
"...e poi il piacere!" gli lanciò un' occhiata furba,
squadrandolo dalla testa ai piedi con apprezzamento "E che piacere!"
"Ashley, credi non mi sia accorto che mi stai trascinando verso gli
alcolici?"
"Io ho ventun anni, e tu devi scioglierti un pò."
Parole
sante, pensò Leon
mentre un velo si poggiava sui suoi occhi.
Un uomo in uniforme si frappose fra loro e il bar. Leon si fece rigido
per riflesso, avendo riconosciuti i gradi e le medaglie che
scintillavano sul tessuto verde.
Ecco,
bravo. Sull' attenti, come quel bravo cagnolino che sei,
non potè impedirsi di appuntare mentalmente con amarezza.
"Colonnello Hopper." salutò Ashley, staccandosi da Leon con
una smorfia severa e imitando il saluto militare
"Miss Graham, sono felice di vederla in forma." sorrise l' uomo senza
scandalizzarsi di quella parodia
"Ci vuole ben altro per smontarmi, Colonnello, dovrebbe saperlo!"
rispose la ragazza gonfiando gli esili bicipidi senza disfarsi della
sua smorfia da soldato vissuto
"E il suo cavaliere è...?" Chiese l' ufficiale squadrando
Leon, rimasto rigido
Ashley sorrise e lisciò con la mano le pieghe della giacca
sulla spalla del biondo.
"Quest' uomo, Colonnello, è il prode principe azzurro che
mi ha salvato la vita: Leon Scott Kennedy."
"Comandi, signore." sgranò meccanicamente l' agente,
stringendo la mano ferma che gli era stata tesa
L' alto ufficiale lo guardò un attimo, prima di lasciare
andare la sua mano, distogliendo lo sguardo in silenzio e prendendo
Ashley da parte.
"Ehm, torno subito!" si scusò la ragazza mentre veniva
trascinata lontano
Leon ripiegò lentamente le dita e lasciò la mano
cadere lungo il suo fianco. Ora il Colonnello avrebbe fatto una
ramanzina ad Ashley, ricordandole che non doveva mai fare il suo nome
in pubblico. Già, l' identità del suo salvatore
doveva rimanere ignota. Il suo nome non doveva essere rivelato, o non
sarebbe più stato il pupazzo anonimo, il fantasma di cui il
governo aveva bisogno.
Strinse il pugno e s' incamminò verso il bar.
Ashley fremeva di rabbia.
Quel vecchio imbecille non gli avrebbe rovinato la festa coi suoi
brogli politici. Non doveva chiamare Leon per nome? Non doveva
ringraziare chi l'aveva salvata? Afferrò una coppa di
Champagne sul vassoio di un cameriere che passava e la mandò
giù tutta d' un fiato.
Non rimpianse di averlo -diplomaticamente, s' intende- mandato a
cagare.
S' incamminò a passi secchi verso il centro della stanza,
facendo risuonare nervosamente i tacchi sul marmo bianco e frugandone lo spazio con lo sguardo. La luce dei grandi lampadari di cristallo era
dorata, e si rifletteva sulle coppe di champagne, sui gioielli e sulle
paillettes di trucco che mettavano in risalto le rughe delle dame
presenti. Aveva organizzato tutto questo per Leon, gli altri invitati
erano un male necessario. Non voleva altro che rivederlo, chiedergli
scusa di essersi comportata in modo infantile, ringraziarlo ancora e
ancora, perché era grazie a lui se aveva potuto
riabbracciare suo padre, la sua sorellina, e le sue amiche. Da quando
era tornata, era stato il pensiero di Lui a farla andare avanti, a
permetterle di riaddormentarsi quando si svegliava urlando in preda
agli incubi. Il suo angelo custode, il suo Cavaliere...
Finalmente, Ashley vide Leon appoggiato con un gomito alla ringhiera
del balcone che dava sul giardino e sulla notte. Il sorriso che stava
affiorando alle sue labbra si rifugiò in una parte remota
del suo essere, mentre s' incamminava nella sua direzione.
Leon aveva ceduto, alla fine: si era allentato la cravatta,
aveva aperto due bottoni della camicia e si era sfilato la giacca
nera, che ora riposava sulla ringhiera di pietra. Accanto ad essa, un
bicchiere di qualcosa che sembrava forte riluceva, immobile. Nella
luce soffusa proveniente dalla sala, i capelli dell' agente gettavano
riflessi dorati. Al di fuori, invece, la luna li faceva apparire
argentati e più scuri di quanto fossero in
realtà. In questo modo il suo viso appariva diviso in
due: una metà illuminata dolcemente dai riflessi
ambrati del fasto proveniente dall’ interno, e
l’altra ombreggiata dal cinereo e liquido bagliore del
satellite. I suoi occhi erano persi nel vuoto, verso l'esterno,
attratti inesorabilmente dalla notte, dal buio al quale sembravano
abbeverarsi.
"A cosa stai pensando?"
Leon non alzò lo sguardo, continuando a fissare il
giardino assopito. Rigirava tra le dita una pillola rossa e bianca.
Come un ricordo agitato nella sua mente, l’ oggettino
lucido si sbalzava da un dito all’ altro, saltellando a un
ritmo irregolare.
Sospirò e girò il viso verso la ragazza che si
era avvicinata.
In controluce, i capelli biondi di Ashley brillavano della luce dorata
che veniva dalla sala, ma i suoi occhi erano preoccupati, pieni di una
luce triste come le pietre che cingevano il suo collo sottile.
"A Luis." ammise Leon
Ashley abbassò lo sguardo. Il biondo proseguì:
"Se c'è una persona che merita di essere ricompensata, non
sono di certo io, ma quell' idiota. Senza di lui, non saremmo mai
tornati vivi da quel posto. Non ti avrei mai riportata indietro, senza
il suo aiuto. Eppure io sono vivo..." un tono di amarezza gli
arrochì la voce "...e lui è morto."
Si raddrizzò, facendo sparire la pillola nel pugno chiuso
e alzando lo sguardo verso la superficie irregolare dell' astro
lunare.
"Questa festa non è per me."
Le sue ultime parole si persero in un sussurro. Dio, quanto suonava
banale quello che stava dicendo... Ma come esprimere altrimenti
l’ intollerabile sentimento di ingiustizia che provava
restando fermo a sorseggiare Burbon in mezzo a tutta questa gente
ricca mentre il corpo del madrileno viaggiava ancora sotto forma di
cenere nell' aria del villaggio che conosceva così bene?
Leon socchiuse gli occhi per scacciare quel pensiero nauseante.
"È l'alcool?" Chiese Ashley appoggiandosi a sua volta alla
ringhiera
Leon aggrottò le sopracciglia e tornò a
guardarla, perplesso.
"Mi hai parlato solo due volte di quello che provavi."
Spiegò la ragazza
Il ricordo della loro discussione sulla moto d'acqua balenò
nelle loro menti, e Leon ringraziò ancora il cielo di
avergli permesso di nascondere il suo sguardo ferito e il tremore delle
sue mani mentre evocava il ricordo di Ada.
"Da qui la mia domanda: è l'alcool a scioglierti
la lingua, stavolta?"
Lentamente, avvicinò il viso al suo, socchiudendo le labbra
e gli occhi. Li chiuse completamente quando lo sentì
ritrarsi e poggiare la schiena contro il balcone. Sospirò e
lo imitò.
"Proprio non ti piaccio, eh?" chiese con voce atona
Allungò la mano, afferrò il suo bicchiere e ne
bevette un lungo sorso, sentendo la bevanda lasciargli una scia
infuocata lungo l'esofago. Cavoli, se era forte.
"Sai che non è questo." sospirò lui lasciandola
fare
Ashley sbuffò. Certo che lo sapeva, ma non per quello era
più facile.
Osservò il profilo deciso di Leon mentre questi fissava la
gente che beveva e parlava. Una luce strana balenava nei suoi occhi
mentre questi saettavano da un volto all' altro. Ashley non ebbe
difficoltà a capire cosa gli passasse per la testa: aveva
avuto lo stesso pensiero tante di quelle volte...
I volti si scomponevano, le pelli si afflosciavano perdendo tono e
colore, la luce si indeboliva, le labbra si socchiudevano su denti
gialli, gli occhi si mettevano a riflettere bagliori rossastri. Era
come essere circondata di nuovo da quegli esseri, era come se non
avesse mai lasciato quel villaggio, quell' incubo.
"Cosa farai adesso?" Chiese la figlia del presidente per tirare lei e
il suo salvatore dal loro torpore
Leon si stiracchiò le spalle e sospirò.
"Quello che mi viene ordinato di fare." rispose con voce neutra "In
altre parole: non ne ho idea."
"Me lo dirai, un giorno?"
"Cosa?"
"Perché non sei libero."
Un corto silenzio seguì la sua domanda. Poi, Leon rispose:
"Lo spero."
Riaprì il pugno, che aveva tenuto stretto per tutto quel
tempo intorno alla pillola rossa e bianca. La medicina per la quale
Luis era morto...
Si voltò verso Ashley, lasciando il suo sguardo accarezzare
quel volto che gli era diventato familiare: i suoi capelli biondi,
corti, le rotondità infantili del suo viso, l' innocenza che
rimaneva nei suoi occhi malgrado gli orrori che vi si erano riflessi...
La sua visione si sdoppiò, un altro viso si
accostò a quello della ragazza.
Sherry...
"Lo spero tanto."
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