In viaggio verso il futuro
In viaggio verso il futuro
La barca ondeggiava
sull’acqua torbida di quel mattino nuvoloso. Eravamo in
viaggio
da due giorni ormai e non c’era ancora alcuna traccia
dell’Italia, la mamma continuava a rassicurarmi dicendo che
saremmo arrivati presto, ma, secondo me, mancava ancora almeno una
settimana all’arrivo. Scesi in coperta per andarla a trovare.
Non
voleva mai salire sul ponte; non mi aveva detto perché, ma
potevo capirlo: dal ponte il panorama era deprimente, sempre la stessa,
monotona distesa d’acqua marina. Solo all’alba e al
tramonto il paesaggio variava un po’, il sole scendeva di
poco al
di sotto della spessa coperta di nuvole e illuminava di riflessi
rossastri la superficie del mare.
Ero partita
da un paesino di mare sulla costa africana; mio padre e i miei fratelli
maggiori erano rimasti a casa nostra, mentre io e la mamma eravamo
partite alla volta di quel nuovo mondo.
Anche quella
sera il sole se n’era andato senza che si fosse avvistata la
penisola o un’isola italiana. Nella stiva c’era
buio a
qualunque ora del giorno e la sera, quando era calata la notte, si
riempiva di gente che cercava di trovare una posizione comoda per
dormire e, allo stesso tempo, di scaldarsi un po’ in quelle
notti
d’autunno.
Io non
riuscivo mai ad addormentarmi, mi dava fastidio tutta quella gente
sconosciuta e, per di più, la mamma da quella sera aveva
cominciato a tossire tutta la notte; si stava ammalando, ma non avevamo
medicine su quel barcone, avremmo dovuto aspettare fino a quando
fossimo arrivati in Italia; speravo resistesse fino a quel momento.
La tosse
della mamma era peggiorata, non riusciva più a smettere; io
cercavo di aiutarla e di starle vicino, ma lei mi cacciava via,
perché non voleva mi ammalassi anche io. Salii,
perciò,
sul ponte, era deserto. Per cercare di distrarmi guardai il cielo; era
scuro, anche se in pieno giorno, perché coperto da una
grande
massa di nuvole nere, stava per mettersi a piovere. Una minuscola
gocciolina d’acqua mi bagnò la fronte e fu subito
seguita
un’altra e un’altra ancora finché non
cominciò a piovere a dirotto. Mi riparai nella stiva insieme
agli altri passeggeri. Un tuono rimbombò nel cielo e un
lampo
illuminò tutt’intorno per un secondo.
I temporali
non mi facevano più paura da quando avevo sette anni, prima
mi
terrorizzavano: sembrava sempre che il cielo stesse per crollare; ma
adesso ero cresciuta e non avevo più paura.
Quella sera,
però, su quella barca, in mezzo al mare, mi sembrava di
essere
tornata bambina; i tuoni mi facevano di nuovo paura, il mare si era
ingrossato e faceva ondeggiare pericolosamente il barcone, il mio
stomaco stava facendo le capriole all’interno della mia
pancia,
la mamma continuava a tossire, i bambini più piccoli
urlavano e
piangevano, i lamenti incessanti degli adulti…e tutto questo
rumore si aggiungeva al frastuono provocato dal temporale. Sembrava
fosse scoppiato il finimondo; non vedevo l’ora finisse tutto
quanto e tornasse la calma…
Passammo
quella notte d’inferno nella stiva e nessuno osò
uscire
allo scoperto, prima che tutto non si fosse calmato: il mare, il cielo,
i bambini…
Quando il
rumore cessò, i più coraggiosi, o forse i
più
disperati, uscirono e salirono sul ponte. Anche io fui una delle prime
a salire; avevo assoluto bisogno di ossigeno, stare chiusa in coperta
per una notte con tutta quella gente era soffocante.
All’esterno
il cielo era azzurro e limpido e non c’era traccia della
tempesta
de giorno precedente.
Verso
l’ora di pranzo un cumulo di gente si accalcò
sulla punta
della barca; li raggiunsi anch’io, curiosa di sapere
cos’era successo.
Poi capii:
lontano, sulla linea dell’orizzonte, si intravedeva una
striscia
di terra; si trattava di un’isola, perché quella
striscia
aveva un inizio e una fine ben delimitati, ma eravamo troppo lontani
per riuscire a distinguere qualcos’altro.
Un urlo di gioia si sprigionò dalla
barca: eravamo quasi arrivati!
Corsi in
coperta per dirlo alla mamma, che con la tosse non poteva uscire allo
scoperto. Quando lo venne a sapere, un sorriso le si allargò
sul
viso stanco e malato, era così tanto tempo che non la vedevo
sorridere che scoppiai a ridere.
Ero
così eccitata per l’arrivo in Italia che non
riuscivo a
stare ferma; passavo da una parte all’altra del ponte, dal
ponte
alla stiva e viceversa. La maggior parte delle persone era accalcata
sul ponte, verso la punta, per vedere il più da vicino
possibile
quella terra tanto sperata e sognata.
L’euforia
di quella mattina, però, fu smorzata leggermente dalle urla
del
capitano, che diceva che saremmo arrivati soltanto il giorno dopo
all’isola.
Quella notte
riuscii finalmente ad addormentarmi, nonostante alcuni rumori e la
gente intorno; sognai, perfino; la mattina seguente, però,
avevo
già dimenticato il sogno. Ma non importava,
perché quel
giorno saremmo arrivati in Italia!
Salii di corsa sul ponte e raggiunsi il gruppo
di persone; chissà da quanto tempo erano lì fuori
ad aspettare!
Guardai verso
quella che fino al giorno prima era solo una striscia di terra e mi
accorsi che l’isola era ormai vicinissima. Attraccammo al
molo
mentre il sole si spostava verso ovest; una volta arrivati, intorno a
noi si formò un muro di gente curiosa. C’erano
anche
alcuni uomini vestiti con delle divise scure che dovevano essere
poliziotti. Parlavano una strana lingua, diversa dalla nostra; mi
sentivo un po’ spaesata. I poliziotti ci aiutarono a scendere
dall’imbarcazione e furono molto gentili con noi; ci
offrirono da
bere e da mangiare e anche delle coperte.
Ero felice di
essere arrivata in quel posto, anche se un po’ mi faceva
paura, e
speravo di riuscire a cominciare una nuova vita in quel nuovo paese.
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