INOSTRIANNI
One shot – I nostri anni
One shot – I nostri anni
Era una sensazione sottile, quella che la paura stava trasmettendo a
Watson, accucciato dietro ad Holmes, tra frasche lussureggianti ed un
ruscello, nel quale erano scivolati almeno un paio di volte, sino alle
ginocchia, percorrendo un sentiero troppo stretto, per raggiungere quel
magazzino, dove probabilmente si stava nascondendo la banda dei
francesi.
Il soldato sfiorava con lo sguardo, la linea delle spalle di Holmes,
costrette in una giacca, che gli apparteneva e di cui l’investigatore
aveva voluto appropriarsi a tutti i costi.
Era così infantile in certi momenti, talmente possessivo da fare sorridere e persino commuovere l’amico.
Il giorno precedente a quell’assurda missione avevano litigato sui rischi della stessa.
In quell’edificio abbandonato, erano almeno una ventina i delinquenti,
riunitisi per spartirsi il bottino di numerose rapine in quel di Londra.
La contessa Wallace aveva ingaggiato Holmes per recuperare un prezioso
gioiello, dono di un amante segreto: se fosse arrivato nelle mani della
polizia, in via ufficiale, rischiava il divorzio dal ricco marito, dal
quale non poteva separarsi per intricate ragioni familiari.
Watson protestò con veemenza, vista la natura poco ortodossa delle
motivazioni, in base alle quali era stato offerto quell’incarico, ma
Holmes fu irremovibile.
“Non dobbiamo giudicare, ma solo agire!”
C’era in lui una rabbia, molto simile ad una protesta recondita verso
altri argomenti, che nessuno dei due aveva il coraggio di affrontare,
non dopo quella notte di dieci giorni prima, durante la quale caddero
l’uno nelle braccia dell’altro.
Avevano corso l’ennesimo rischio, avventurandosi in un cantiere navale,
dove operai e carpentieri chiassosi, stavano assemblando un vascello
enorme: durante un inseguimento, era successo un tale parapiglia, che
gli ormeggi vennero demoliti, mettendo in serio pericolo la vita di
Holmes, incastrato tra lamiere e catene.
Watson lo salvò per miracolo.
Il terrore di perderlo fu atroce e lui non esitò a dirglielo, una volta
che si calmò, dopo avere pianto sul cuore di Holmes, che gli accarezzava
i capelli, emozionato e stordito da quell’improvvisa dimostrazione
esplicita di affetto e devozione, da parte dell’unica persona che egli
per primo amava: il suo John.
Lo aveva spogliato timidamente, mentre si baciavano ed anche quel contatto fu inaspettato e magnifico.
Il sapore di John lo stava come narcotizzando, nei pensieri e nel suo
desiderio di esprimergli quanto fosse importante per lui: i loro corpi
erano percorsi da un’eccitazione devastante e fu semplicemente armonioso
e spontaneo congiungersi, tra le lenzuola candide del letto del medico.
“Ti … ti faccio male Sherlock …?” – domandò, sentendosi terribilmente stupido.
Il volto di Holmes era come pervaso dall’estasi ed i suoi ripetuti baci,
distribuiti sul petto di Watson, che incombeva su di lui, muovendosi
ormai convulsamente, in preda ad orgasmi continui, rappresentava tutto
il compiacimento del suo uomo.
“Tu sei il mio compagno … ti amo … ti amo Sherlock …” – ripeteva in
affanno, sporgendosi tra lo stipite e la porta, che Holmes stava per
chiudere, costringendolo a salutarlo, per non destare sospetti nella
padrona di casa, abituata a svegliarli separatamente, portando la
colazione ogni mattina.
Così fu strano ed incomprensibile quel gelo che Watson frappose tra
loro, quando si ritrovarono da soli nella camera di Holmes e questi
provò a baciarlo.
“John io credevo …” – mormorò con la morte nel cuore.
“Mi scusi Holmes, ho trasceso e … e lei ha frainteso …”
“Frainteso? Trasceso??” – esclamò divorando l’aria intorno e lo stesso
Watson, che retrocesse di un passo, intimorito da tale veemenza.
“E’ stato un momento di debolezza Holmes … Lo ammetto, la colpa è
soltanto mia, lei … lei non doveva assecondarmi, certo e …” – ma un
fragoroso schiaffo si infranse sul suo zigomo sinistro, ponendo fine
alla conversazione ed al dialogo, sino a quell’ennesimo scontro, per il
caso Wallace.
Adesso Watson era lì, ad una distanza minima da Holmes, poteva persino
coglierne il battito agitato, ammirando quell’adorabile arteria, che
segnava un percorso nitido lungo quel collo, dove lo aveva tempestato di
baci, succhiando la pelle pallida, ma compatta, assaporandolo in ogni
sfumatura.
“Mi dispiace …” – disse flebile.
Holmes ebbe un tremito, poi si voltò con aria sbigottita – “Watson
faccia silenzio, potrebbero scoprir …” – un bacio lo interruppe.
Watson lo investì con le proprie labbra calde e morbide, in quella notte
di fine estate, con l’aroma del dopo barba che usava prima di uscire a
cena con la fidanzata, che Holmes non gradiva affatto, ma che stava
metabolizzando per amore del suo amico più caro.
Le dita del dottore, flessuose e febbrili, si stavano ramificando
intorno alla nuca di Sherlock, che perse numerosi battiti in quello
scambio di attenzioni appassionate.
Sembrava non finire mai, quando uno sparo non li fece trasalire: come da
copione, qualcuno aveva fatto il furbo, sottraendo parte della
refurtiva alla distribuzione comune.
“Andiamocene John.”
“Ma il collier …?”
“Non mi importa niente, non posso esporti a questo stupido gioco, miss
Wallace dovrà assumersi le proprie responsabilità. Non ci riguarda …” – e
sorrise, prendendolo per mano, trascinandolo oltre quella radura, dove
avrebbero ripreso la loro carrozza.
Iniziò a piovere: “C’è una locanda Sherlock, fermiamoci, il temporale sta peggiorando.”
“Sei sicuro?” – disse tra il baccano dei tuoni.
Watson lo guardò, annuendo con un sorriso.
“Voglio soltanto accarezzarti …”
Nel riverbero di una vecchia abat jour, le parole di Holmes scivolarono
insieme alle sue dita sulle guance di Watson, che socchiuse le palpebre,
inspirando un istante dopo l’essenza dell’altro, che non osava
baciarlo.
Si erano fatti un lungo bagno, tenendosi stretti, senza dire nulla.
Tra quelle lenzuola, color cenere, adesso si sentivano come esuli in quel mondo, che non li avrebbe accettati.
Watson baciò il palmo di quella mano, che gli stava donando una gioia
immensa, così forte da strappargli il cuore in brandelli, per poi
ricomporlo più solido e convinto di prima, su quel sentimento al quale
non avrebbe mai rinunciato, ne era certo.
“Fammi ciò che vuoi Sherlock … Tranne lasciarmi …”
“Come potrei?” – sospirò, lasciandosi andare nel suo abbraccio, avvolgente e puro.
Si addormentarono, consegnando a quell’alba ed a quegli anni, il loro
destino, segnato da una storia d’amore incredibile, quanto immortale.
THE END
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