La prossima
Hanno preso il treno sbagliato e ora stanno andando nella direzione
opposta rispetto a tutti gli altri. Ron ha detto di usare la
Metropolvere, come sempre, ma a Hermione mancavano i treni e Harry ha
sempre preferito i comuni mezzi di trasporto. Con quelli magici, è
sempre finito nei guai.
“Pare che la tua fortuna abbia colpito anche stavolta.” dice
Hermione dopo aver chiuso la telefonata con Ron (“Scendete alla
prima fermata e cercate un treno per raggiungerci!” “Ti richiamo
appena ci rimettiamo in viaggio.” “A dopo.” “Ciao.”) e
Harry ha l'espressione di chi non sta passando per niente un cattivo
momento, ma è così impenetrabile che sembra volersi tenere tutto
per sé, come chi si sente in colpa. Quando Hermione ha alzato lo
sguardo, dopo aver rimesso il cellulare in borsa, le è sembrato di
rivedere quell'Harry che guardava fuori dal finestrino mentre
andavano a Hogwarts. Per un attimo, ha creduto che fossero diretti
proprio lì. Sarebbe stato bello.
“Non sarebbe la mia giornata tipo, altrimenti.” sghignazza Harry.
I suoi occhi verdi la cercano e abbandonano il paesaggio là fuori:
Hermione non ricorda sguardi del genere durante i viaggi a Hogwarts.
Harry prima la cercava con gli occhi, e adesso la trova. Quando sia
successo la prima volta, Hermione non lo ricorda: è successo.
Il cuore fa una capriola e, proprio mentre non sa cosa dire, il treno
comincia a rallentare.
“E' la prima fermata.” annuncia.
Harry annuisce, ma non dice niente e continua a guardare fuori dal
finestrino, mentre i contorni della campagna diventano sempre più
definiti.
Il treno è fermo, loro sono fermi, distratti, troppo attenti. E non
scendono. Ci sono tante fermate. Scenderanno a quella giusta.
“La prossima.” dice Hermione.
Harry risponde con un “mmh mmh” e poi sembra trattenere il
respiro. Hermione lo sta trattenendo da quando sono partiti.
La seconda fermata arriva senza che se ne rendano conto – non
davvero – perché Harry sta sonnecchiando con la testa poggiata
allo schienale ed Hermione sta leggendo un libro in silenzio, mentre
le loro ginocchia, le une di fronte alle altre, si sfiorano.
La terza fermata annuncia l'arrivo della pioggia. Harry apre gli
occhi e soffoca uno sbadiglio ed Hermione chiude il libro, una mano a
tenere il segno tra le pagine; si guardano e non battono ciglio
finché il treno non riparte. Stavolta non trattengono il respiro e,
quando Harry torna a volgere lo sguardo al vetro, quello si appanna.
La condensa sparisce e sono di nuovo in viaggio.
La prossima.
Alla quarta fermata il treno è pieno e Harry si ricorda di comprare
a bordo i biglietti, perché gli altri non saranno validi.
Loro sono ancora lì, con tutta quella gente diretta verso la meta
giusta. Harry ed Hermione vanno dalla parte sbagliata. Ma ogni volta
che Harry si volta a guardarla sembra che tutte le direzioni
svaniscano e quando lei gli parla il treno è il mezzo che le
impedirà di smettere. Harry non vuole che smetta, perché lei ha
quella voce che conosce da sempre, ha quella voce alla “Oculus
Reparo” che rimbomba nei suoi ricordi insieme a una massa di
capelli crespi. Ha quel modo di raccontargli le cose che sembra un
abbraccio protettivo e, al tempo stesso, un abbraccio a se stessa.
Hermione si stringe le braccia intorno alla vita, e poi, con quelle
stesse braccia piene del suo calore, lo stringe a sé. E' così
quando Hermione gli parla.
La prossima: l'abbraccio di Hermione è troppo stretto.
Alla quinta fermata Hermione sussulta ed Harry si fa sfuggire un
sorriso divertito.
Il bambino seduto dietro di lei le ha appena tirato una ciocca di
capelli, che è sfuggita al nastro che li lega in una treccia già di
per sé arruffata e terribile. Sua madre si è appena scusata,
dicendole che non l'ha fatto a posta, che i bambini sono così: non
stanno mai fermi e l'immobilità degli altri gli è d'ostacolo.
Hermione ha sollevato un sopracciglio e, solo perché Harry ha
strabuzzato gli occhi come per dirle “dai, non è niente, non
roviniamoci questo viaggio”, ha sorriso con le labbra strette e due
rughe le si sono formate sulle guance rigide. Di solito non si
innervosisce per così poco: non decide di stregare bambini troppo
movimentati per via di una treccia rovinata. Né ha bisogno che Harry
la calmi in quel modo così ragionevole; di solito, appunto, è il
contrario. E' sempre stata lei a dover calmare gli spiriti indomiti
dei suoi migliori amici, riportare l'ordine. E' un'esplosione di
irrequietezza post-adolescenza, quella che ti fa ricordare che magari
avresti fatto meglio a concedertela qualche anno prima. Forse finirà
come quelle vecchie zitelle inacidite, che perdono il loro tempo a
mugugnare nei loro salotti puzzolenti sulla nuova generazione
corrotta, malvagia e così trasgressiva. O forse finirà come
quella mamma seduta dietro di lei.
Hermione rabbrividisce, perché non ha mai considerato il suo futuro
partendo da un modello pre-impostato e di sicuro non vuole cominciare
ora: è solo nervosismo. Il suo futuro è a un secondo da lei. E' lì,
in quel treno, in Harry che le agita una mano di fronte al viso per
riportarla alla realtà, nella ciocca che sfugge al nastro e che
finirà intorno al suo dito presto, in un gesto di impazienza. E nel
cellulare che probabilmente squilla silenzioso nella borsa e che lei
non ha ancora avuto il coraggio di guardare. Il futuro è quello che
sarà e di certo non ha bisogno di specchiarsi in qualcun altro per
vederlo. O credere di vederlo. Il futuro è alla prossima fermata.
Quella a cui scenderanno.
“Non è male, quella ciocca ribelle.” commenta Harry, e i suoi
pensieri scivolano via come le gocce di pioggia sul vetro del
finestrino.
Ora sono solo una scia che presto verrà riassorbita da una risata.
L'irrequietezza diventa un gatto acciambellato su un cuscino e si
addormenta per un po'. Forse è lo sguardo di Harry, che le dice che
esiste una marea di motivi per scatenare quell'inquietudine, quel
senso di irrequietezza, che una volta sveglio somiglia più a una
Manticora che a un gatto che soffia arrabbiato. Non è davvero Harry
a ricordarglielo, sono solo i suoi occhi e il modo in cui gli
occhiali tondi gli scendono dal naso, come tanto tempo prima. Solo
che adesso Harry non fingerà di sistemarli solo per toccare una
cicatrice che brucia e comunica guai. Ora Harry sistema gli occhiali
perché sono davvero scivolati, e questo la riporta su rive
tranquille e non ha bisogno di arrabbiarsi per rendersi conto di non
essere più nel passato in cui tante volte aveva pensato che fosse
tardi.
“Tu dovresti saperlo quanto me.” Hermione accenna a un sorriso e
il suo sguardo finisce sui capelli scuri e disordinati del suo
migliore amico. Hanno sempre avuto quel tratto in comune, ma lo nota
raramente. E' una cosa sciocca, superficiale – sono solo capelli.
In quel momento, però, quella similarità la fa sorridere un po',
mentre il bambino dietro di lei dondola sul sedile.
Stai calma, è solo un bambino agitato.
“Non per niente, è il segreto del mio successo.” le fa un
sorriso da attore consumato ed Hermione esplode in una risata
cristallina, di puro divertimento. Se le ricorda quelle risate e
ognuna di loro è un tesoro che ricorda e conserva con cura.
La gente ride per dimenticare il dolore, ride per dimostrare gioia,
ride per fingere serenità, ride per uno spavento appena passato,
ride istericamente, ride quando le lacrime sembrano inutili e il
mondo folle. La gente ride, ovunque, ed Hermione sa che quella risata
rappresenta un po' la somma di tutti quei motivi. Il gatto si agita
appena, il sonno disturbato da quell'interferenza nella risata che
riempie il treno. Hermione gli gratta la testa, dietro le orecchie, e
mette tutto a tacere.
Il petto di Harry si gonfia, respira per ridere in quel momento.
Ridere insieme a lei, dei loro capelli, di loro. Da dietro le ciocche
disordinate di capelli che gli ricoprono la fronte, Hermione scorge
la cicatrice a forma di saetta. E' sempre lì, meno presente di
prima, perché silenziosa e normale, come quelle cicatrici che ti
restano dopo qualche stupidaggine con gli amici. E' lì, a ricordare
che certe cose non possono passare, mentre altre sono perdute per
sempre. Probabilmente non è lei a riportarla continuamente nel
passato, a proiettarla in un futuro che teme e attende al tempo
stesso. E' qualcosa che si nasconde abilmente nella loro risata, che
si armonizza in un intreccio di voci e a cui, per ora, non sfugge
nessuna nota. Non è come la sua treccia a cui è sfuggita una
ciocca, è perfetta. Vuole godersela così com'è, nonostante nella
sua trama intricata si nascondano cose che potrebbero distruggerla da
un momento all'altro.
Eppure, il piacere ricerca sempre qualcosa che si avvicini un po' al
dolore, per ottenere quel sapore dolceamaro, che ricordiamo con il
cuore che batte e le mani che si stringono nelle tasche del cappotto
in un istante in cui, spaventati, temiamo che finisca tutto troppo
presto.
Nel piacere di quel suono, Hermione affonda lo sguardo in quello di
Harry. Gli occhi sono assottigliati dalla risata, non ci sono rughe
di espressione che denotino una gioia falsa. Le labbra si schiudono
per mostrare un sorriso aperto e naturale, che ha bisogno d'aria per
sopravvivere. Le guance si tingono di rosso e il petto fa, piano, su
e giù. Le sembra di vedere tutto al rallentatore. Anche il suo
sorriso tramonta lentamente e si trasforma in un'eco già lontana,
che vibra sulle sue labbra.
Harry la guarda: ora sorride in modo strano, come se la stesse
osservando per stamparsi il suo viso nella mente, magari per
conservare quel ricordo precisamente, così com'è. Perché passerà,
come le macchie di colore che sfrecciano fuori dal treno, risucchiate
dalla velocità di un mondo che non aspetta. Non sarà sufficiente
far ripartire il treno ancora una volta, alla fine si fermerà
davvero e loro dovranno scendere. Non basterà allontanarsi dal mondo
in cui quelle risate non possono nascere così. E loro non sanno
scappare, non davvero.
Hermione, come il mondo, non ha aspettato, e ora può solo nutrirsi
di ricordi e di momenti fortuiti: un treno preso per sbaglio, Harry
che bussa alla porta e lei che gli apre mentre Ron è di sopra,
sguardi che sono sempre esistiti e che adesso vivono. Sono su due
binari diversi, che non si uniranno. Sono una ciocca ribelle che, una
volta a casa, tornerà nell'omogeneità dei suoi capelli, uguale a
tutte le altre. Torneranno l'ordine e l'ordinarietà.
E poi aspetteranno un bambino dispettoso, a cui l'immobilità degli
altri dà fastidio, per strappare la staticità che li avvolge e
sfrecciare su quei binari, almeno per un po'.
“Scendiamo?”
Il treno si sta fermando per la sesta volta.
Harry si alza, non aspetta che lei risponda per farlo. La mano di
Hermione, rimasta tra le pagine del libro, viene sfilata. La prossima
è arrivata.
“Sì.”
Nell'aria fredda che li colpisce, mentre nuovi treni arrivano e
partono, mentre la gente corre e trascina bagagli, Harry le stringe
la mano per non perderla nella folla. La trova per non perderla, ora
che non potrebbe più esserne capace.
Hermione gli stringe la mano lo segue per raggiungere qualcosa di
diverso, ora che non può più fare altro.
E si allontanano, anche se quella non è la fermata giusta, con un
pensiero comune.
Magari, se avessimo aspettato la prossima...
Note di un'autrice confusa: Yay, sì, è una
Harmony/Auror/H-Hr o come si chiama quella che avete finito di
leggere. Di quelle fluff, angst, introspettive, tenere, malinconiche,
dolci, amare... No, non mi chiederò come mi sia venuta in mente una
Harmony (a me, a me!), perché tutto sommato è stato bella
scriverla. Partendo dal presupposto che non sono capace di scriverle,
poi... Be', le Auror più agguerrite potranno tirarmi i capelli, se
vorranno, nel caso in cui non siano soddisfatte, ecco.
Parlando della storia...
In realtà, l'indizio me l'ha dato quel mostro di bambino che in
treno, l'altro giorno, non ha fatto che tormentare me e tutto il
vagone. Appunto, mi ha tirato i capelli e io a momenti gli tiravo un
scappellotto. In un certo senso gli devo l'ispirazione.
Il lieto fine non mi è venuto, devo sempre troncare le speranza dei
miei personaggi, io. O al massimo dargliene delle false. L'happy
ending è difficile che arrivi. Magari, la prossima. (lol).
Grazie mille ai lettori: spero di avervi fatto cosa gradita postando
questa fanfiction.
Baci,
Alexiel.
|