Ti insegnerò a vedere 1
Ti insegnerò a vedere
1942.
L'ospedale strabordava di gemiti, di lacrime e bende e medicazioni.
L'ospedale urlava, vedeva entrare maree coperte di sangue, vedeva
uscire i soldati nelle bare bianche. Guardava il mondo che soffriva,
veniva lacerato e ancora piangeva.
Ma le preoccupazioni, quelle che nascevano e cambiavano, rimanevano seppellite lì; fra l'odore acre delle medicine.
Ciò che era dell'ospedale, rimaneva dell'ospedale.
E anche se il mondo sprofondava per metà nell'abisso, ci sarebbe
sempre stato un piccolo universo a parte dove vivere la propria agonia
personale.
12 Novembre 1942, ospedale di frontiera: Dresda.
Aveva in mano quel referto medico da qualche minuto.
Lo rigirò inquieto, fissa con una strana intensità il nome,
l'occhio sviava sul grado e l'indisponenza del malato. E ancora,
ancora; sfogliava le pagine, continuava al alzare ed abbassare i fogli
ormai consunti.
Non badava agli altri infermieri, nemmeno alle barelle che gli
sfrecciavano a fianco e lo sorpassavano; l'attenzione che serbava
per ciò che aveva in mano lo inghiottiva totalmente.
Come era possibile, che gli avessero affidato un ufficiale? Lui, che
era un semplice infermiere, si occupava della massa e sedava più
che curare. Probabilmente avevano commesso un grave errore, e nemmeno
si erano accorti a chi avevano consegnato quelle schede.
Eppure gli pareva strana persino l'optata soluzione.
Riguardò quelle informazioni così discrete e stampate, corrucciò la fronte di nuovo; per più volte.
"Ludwig Beilschmidt, ufficiale." Ripetè, spaventandosi da solo.
Se avesse osato sbagliare qualcosa con quel paziente che era appunto
sotto la sua responsabilità, l'avrebbero fucilato; se non
peggio.
Ma no, era impossibile.
Quel "Beilschmidt" non era suo, assolutamente. Avevano sbagliato qualcosa, oppure lo volevano morto.
Si guarda intorno spaesato, con un'espressione sofferente; nemmeno l'avessero appena preso a botte, e
lento si dirige alla camera contrassegnata con numero 35. Si trovava al secondo piano,
dunque.
Respira profondamente l'italiano, mentre sale le scale ed incrocia i
suoi colleghi intenti a tranquillizzare pazienti che strepitavano
addolorati; che si tenevano gambe e braccia, ranicchiavano la testa
traumefatta e biascicavano un tedesco frammentato. Li guarda
distrattamente, preso com'è da quella sua nuova disgrazia - non
si poteva certo definire fortuna il ritrovarsi sulle spalle una
responsabilità simile- e sale le scale con un'ansia lievemente
trattenuta.
Nemmeno desidera vederlo, il numero "35" stampato su quella porta
biancastra; vorrebbe tanto impedire alla sua mano di alzarsi e bussare
educatamente. E invece gira la maniglia, passa il referto sottobraccio
ed entra.
C'era buio.
Le tapparelle abbassate, quella poca luce che trovava il coraggio di
filtrare e delineava solamente due figure. Una in piedi, pareva
la sua esatta copia di qualche minuto fa: sfogliava e risfogliava
scartoffie, corrucciava il volto confuso.
Poi ovviamente, il paziente. Non riusciva a scorgere molto, se non la
lunga figura coperta dalle lenzuola, delle inconsuete bende calate
sugli occhi di un'apparente biondo.
Feliciano trattiene il fiato, si sente nel posto sbagliato al momento
sbagliato. E gli piacerebbe tanto fuggire, magari affibiare
quell'incarico ad altri.
-Lei è?-
Una voce prenentoria, l'uomo in piedi che posa distrattamente
ciò che teneva in mano. Lo guarda, è una persona che non
vuole perdere tempo; e nemmeno parlando glielo fa intendere. Gonfia il
petto, gli rivolge un'occhiata così amichevole che potrebbe
essere scambiata per una dichiarazione di guerra. Ma Feliciano deve
rispondere ad una qualche maniera, almeno per non essere preso come
stupido o inetto.
- Herr. ; sono Feliciano Vargas, infermiere. Credo ci sia stato un
errore nell'assegnazione delle cartelle.- Abbassa la voce, gli pare
persino di disturbare l'ammalato.
-No, non c'è stato nessun errore, posso assicurarglielo.- Si
avvicina alle tapparelle, le alza un poco e sospira, nemmeno fosse un
gesto usuale, quotidiano. Poi l'occhio clinico dell'uomo si posa sul
paziente, forse addormentato.
E Feliciano, dopo quella sua uscita, non può far altro che
preoccuparsi ulteriormente. Se davvero non v'era errore, lo volevano
morto. Punto.
-Veramente, signore, io...-
-Come dice? No, non ribatta. Sono stato io stesso a darle questo
incarico. Non crede forse nelle sue capacità? O nei miei criteri
di scelta?- L'espressione restava immutata, la fretta dell'altro si
faceva sentire chiara e forte. E Feliciano non doveva nemmeno
provarci, a ribattere.
L'uomo si avvicina, dà
malamente in braccio all'infermniere l'ennesima scheda clinica. In quel
momento era meglio non parlare, star zitti e magari prendere un poco di
tempo analizzando ciò che si aveva in mano.
- Un Ufficiale. Momentaneamente
cieco, incidente sul campo.- Una brevissima pausa, dove l'italiano
pensò come, dove e in che modo quell'uomo si ritrovasse ora
steso su un lettino, non vedente. Il dottore aveva inserito un
"momentaneamente", quindi poteva certo recuperare la vista. Ergo,
nessun intaccamento al cristallino, nessuna infiltrazione grave di
detriti o metalli. Nel caso contrario, nemmeno sarebbe stato lì,
con delle bende sul viso - probabilmente dritto in sala operatoria, o
estrazione dei bulbi oculari addirittura sul campo.
In ogni caso, una piccola speranza che tornasse a vedere c'era.
- Lei non chieda dell'incidente,
non s'impicci, tratti questo paziente con i guanti. Sulla scheda,
c'è quello che deve sapere. - Ed un'ultima fulminata, che stava
ad intendere più cose di quelle che Feliciano potesse percepire.
Un soldato non vedente, non era soldato. Un Ufficiale, era da buttare, quindi.
I militari
del grado di quel "Ludwig", se ne stavano in licenza a vita, perdevano
orgoglio e prestigio. Il caso del paziente e ciò che sarebbe
venuto fuori dalla sua indisponenza, erano drastici, sarebbe stato
complicato e difficile aiutarlo.
E nel caso fosse morto, la colpa ricadeva interamente su di lui.
Perchè
era un infermniere, perchè lui, Feliciano, rappresentava
semplicemente un vecchio soldato infermo che a "Beilschmidt" poteva
ritornare utile solo come tappetino.
Vargas deglutisce, si
sentì lievemente morire mentre l'altro medico gli passa
velocemente in fianco; ed il camice lo sfiorava maligno. La porta
si chiuse con un tono secco, ed poi buio, silenzio.
L'infermiere abbassò lo
sguardo sulla scheda, respirava profondamente per non farsi prendere da
uno sconforto attanagliante, e pregò che la disperzione resti
semplicemente un anello stretto allo stomaco.
"[...] Potrebbero essere presenti disturbi psicologici o nevrosi dovute dallo schock nel paziente."
Bello. Insomma, quello era
l'ultimo tassello, l'ultima goccia che faceva traboccare il vaso. Si
passò una mano sul viso stanco, strizzò gli occhi
cercando inutilmente una soluzione.
Era un militare, in pericolo di vita, pure mezzo matto.
Evidentemente Dio non aveva
vegliato sulla sua povera anima, mentre lui stesso andava ogni domenica
a messa e si inginocchiava, pregava constantemente per quel mondo tanto
storto.
Oppure era il contrario, la
Provvidenza necessitava della sua anima in paradiso, ed era per quello
che ora era in camera con Ludwig. E dire che quello era il pensiero
più ottimista che riusciva a cavar fuori.
Feliciano si avvicinò alle
veneziane, le alzò di poco donando un altro po' di luce a quella
camera tanto tetra. Si voltò, cercava sostegno nella sedia
appostata davanti al letto e si siedette, scrutando il paziente.
Guardò i capelli biondi,
corti, i tratti marcati del viso. Riescì a scorgere appena il
collo nudo, ed un paio di spalle larghe e ben piazzate.
Perchè un ragazzo del
genere -così giovane, pareva così giovane!- doveva
dedicarsi a quel modo alla guerra? Feliciano riusciva a malapena a
comprendere il patriottismo; che portava una persona a scendere in
campo nel nome della nazione e di chi ci viveva, ma...
Ma Ludwig in quel momento sarebbe
potuto essere in una casa accogliente, magari già sposato o con
un piccolo pargoletto accanto.
Sospirò, voltò il
capo verso il comodino, dove l'occhio aveva catturato una piccola
luminescenza. Sulla superfice legnosa, riposava fiera una croce di
ferro, probabilmente appartenente al ragazzo malato. Anche gli effetti
personali, avevano un nesso stretto con l'esercito.
All'improvviso, le coperte
iniziarono a tirare, a muoversi. L'italiano balzò in piedi di
soprassalto, capì che l'effetto dell'anestetico usato prima per
sedare il paziente era scemato.
Sente uno, due mugolii, comprese
che Ludwig in quel momento aveva constatato di non potersi muovere come
desiderava e da lì a qualche minuto avrebbe saputo anche di non
vedere. Si munì di tranquillante, sperò che quell'omone
non avrebbe riversato la abbia contro di lui magari alzandosi e
mandando all'aria tutte le medicazioni applicate su torace e gambe.
Lo vide stringere il lenzuolo con
una mano, e come se riemergesse dall'acqua prese un grande respiro.
L'ampio torace si alza, e appena prende un poco di fiato il militare scoppiò.
Appena 2, 3 secondi di
smarrimento, un balbettio sconnesso; poi saltò a sedere,
allungando le mani al vuoto. Respirava affannosamente, non aveva nulla
sotto controllo.
Si ritrovava nudo, ceco, ferito ed in un posto a lui sconosciuto.
-C-cosa- Dove..?!?!- Alza la
voce, le coperte ricaddero in grembo a Ludwig. Cominciò a
tastare le bende intorno agli occhi; Feliciano temette che le
tolgliesse o peggio: riesca a non migliorare la situazione.
- Signore? Stia calmo, si trova in un os..- Niente, non fece in tempo a finire la frase.
Appena il militare sentì
la sua voce, ricevette un altro innesto di allarme; riuscì a
visualizzare la posizione dell'italiano, che un poco si era avvicinato
per accorrere in soccorso, e allungandosi poco sul letto lo
afferrò con una presa salda.
Feliciano sussultò,
sgranò gli occhi ma trattenne più saldamente la siringa
contenente il tranquillante; non forzò nemmeno il paziente a
liberarlo e cercò di parlare piano, deciso.
-Signore, si calmi, si trova in
ospedale!- Le domande di Ludwig però avevano un timbro
più forte e potente, dettato dalla disperazione, e forse persino
dal dolore.
Quindi l'italiano si mosse di
poco, conficcò la siginga nella gamba del paziente, premeva e si
limitava ad attendere che la sua presa diventasse molle e la guardia si
abbassasse fino a che una specie di torpore prendesse il sopravvento
sulla sua persona.
Difatti si era bloccato, le urla
smisero. Le braccia scivolarono giù, dando la possibilità
all'italiano di vedere bene il paziente, con calma.
-Signore, si trova in soperdale. Si calmi, ora le spiego tutto.-
Mise una mano dietro alla nuca
dell'uffciale, lo aiutò a stendersi piano prendendo tutto il
peso di Ludwig fra le braccia. Respirava con più calma ora;
riuscì a sedarsi in poco tempo grazie al tranquillante.
Finalmente pacato, silenzioso.
Si trovava ancora in una situazione abbastanza disperata, ma i muscoli molli gl impedivano di scatenarsi, per lo meno.
-Mi ascolti.-
Disse a voce bassa, reclinando il
capo mentre alzava le coperte a coprire di nuovo (doveva ammetterlo,
su) quel bel fisico scolpito da allenamenti e traumefatto da
lacerazioni di vario tipo. Cercò di emettere una qualche scusa,
ma l'ufficiale troncò di netto quel suo primo approccio.
-Lei, è un infermiere, un dottore? Sa dove sono i miei uom-...dov'è la mia croce?-
Feliciano a quel punto, cedette
un poco della sua professionalità. Non poteva star davanti ad un
grande uomo d'armi, ridotto a quello stato pietoso. Afferrò la
mano di lui, la trovò grande e calda.
-I suoi uomini stanno bene.-
Bugia. lui non sapeva nè chi erano, nè dove fossero.
Magari li aveva incrociati nella camera mortuaria, o all'ingresso. - La
croce di ferro, è accanto a lei, sul comodino.-
Beilschmidt respirò, non
mosse la mano avvolta da quella dell'infermiere. Poteva apparire
inconsueto che uno del personale si comportasse a quel modo, ma il
pensiero non sfiorò nemmeno la mente del tedesco.
-Me la metta.-
La croce? Voleva la croce?
-Veramen..-
-Per favore.-
Feliciano prese il ciondolo, poi
le estremità della catenella. Con un lieve sospiro,
lasciò al mano di Ludwig e si avvicinò passando le abili
dita sotto il collo di lui, agganciando le due parti.
-Ora mi ascolti lei. Un incidente
le ha provocato cecità apparentemente momentanea, ma potrebbe
anche esserci l'eventualità che non riesca più a vedere.-
Non doveva terminare la frase in quel punto. Non voleva vedere le
sopracciglia bionde che s'incurvavano in un'espressione sofferente.
- Io mi occuperò di lei, sono un infermniere. Mi chiami
per qualsiasi cosa. Ah, sono Feliciano.-
Normalmente avrebbe sorriso dopo
quell'affermazione, ma in quel caso il paziente non si sarebbe accorto
della differenza, e aveva solo voglia di vedere la sua reazione.
-Ah...i-i...beh..- Il tedesco
puntellò un palmo sulla propria fronte, nemmeno tentò di
parlare ancora. La notizia, dunque, era stata data, e aveva colpito
forte come previsto.
Ma che voleva fare Veneziano,
lasciarlo solo in quelle condizioni? Le persone bisognava curarle sia
dentro che fuori, secondo il suo parere.
- Senta...ci sono buone
probabilità che ritorni a vedere di nuovo, Signor Ludwig. Deve
solo seguire la nostra cura, e ristabilirsi.- Da bravo soldatino
l'altro annuì, ma era più che evidente la confusione che
regnava nella sue testa.
- Chi di dovere è già stato avvisato. Mi raccomando, ora riposi.-
No, non l'avrebbe fatto. Non ci sarebbe riuscito. Era inutile che
sputava quelle frasi fatte ad un qualcuno che nemmeno le avrebbe
ascoltate.
Restarono in silenzio per qualche
minuto, il respro pesante dell'infortunato a tenere il tempo.
L'italiano poi iniziò a parlare, cambiando leggermente opinione
nei confronti della situazione stessa.
-Non so se l'ha capito, ma non ho
intenzione di andarmene da questa stanza finchè non la
vedrò rasserenarsi almeno un poco.- Sorrise, probabilmente per
entrambi.
-Ma com...- lei è ancora qui?!-
Feliciano non ridacchiò
solo per rispetto nei confronti dell'altro. -Sono così
silenzioso? Eppure mi hanno sempre detto il contrario. Soprattutto
quando rimango fermo in un punto; faccio rumori incomprensibili.-
Ludwig questa volta si
rilassò un poco, voltò però il capo dall'altra
parte. Prese a parlare solo dopo- forse dopo aver mandato giù
quell'amara consapevolezza, giù nello stomaco. -Quando
verrà qui di nuovo, si annunci.-
-Si ricorderà la mia voce?-
-La ricorderò.-
Bhè, almeno la risposta
era incoraggiante. Chissà se nei giorni seguenti,
si sarebbe aperto di più, con lui. Aveva la capacità
di far amicizia con i paznienti, riuscire a farli svagare un poco e
spostare i soliti pensieri neri. Ma quella volta l'impresa si
prospettava una vera epopea, l'ardua avventura che si sarebbe ricordato
a vita se fosse riuscita.
-Se non parlassi, invece?- il tedesco ora lo aveva degnato dell'attenzione dovuta, ma etichettandolo probabilmente come pazzo.
-Come, scusi? Che ha detto?
Senta, io ho già i miei problemi, se lei...- Accidenti. Tono
altero, di chi è abituato a comandare. Forse poteva rigirare la
frittata.
-Mi perdoni, ho spiegato male
ciò che volevo intendere. Se una persona entrasse nella stanza e
lei non lo sapesse? - Ora, meglio.
Ce l'aveva fatta. Ludwig era
silenzioso, attendeva probabilmente una sua risposta. All'infermiere
piaceva guardare il suo viso, vedere come cambiava espressione, anche
se di poco.
-Lei potrebbe imparare a vedere
senza l'ausilio degli occhi. Infatti è risaputo che con la
mancanza di un senso...- E qui snocciolò un paio di nozioni
mediche, proprio per far colpo e ottenere credibilità.- In
sostanza, lei potrebbe destreggiarsi anche senza vedere.-
L'espressione mutò ancora:
era interessato. Un bel traguardo, doveva ammetterlo. Quindi stette
zitto, e lasciò il tedesco commentare.
-E...come...? Come dovrei fare?-
Lì, steso sul lettino, a guardare probabilmente il nulla,
impotente o peggio. Perchè non avrebbe dovuto aiutarlo?
- Le insegnerò io, a vedere.-
Ludwig dopotutto era un ragazzo così misterioso, interessante. Pure bello, se doveva essere sincero.
Chissà di che colore erano i suoi occhi. Chissà.
Inoltre, lo incuriosiva quella
corazza d'acciaio che si era costruito addosso, gli interessava
improvvisamente sapere cosa gli fosse accaduto, se aveva famiglia o
meno.
-Inizieremo da domani mattina, le
va? Non parlerò, ma forse udirà i miei passi.
Capirà invece che sono io perchè...- pensò ad un
qualcosa che di solito i medici non facevano, pensò ad un gesto
abbastanza inconsueto. -Perchè le darò un bacio in
fronte. Se non sarà sveglio, pace.- Un altro sorrisino
soddisfatto, e tutta la determinazione che man mano cominciava a salire
e farsi potente.
Lo guardò di nuovo, così contento, mentre Ludwig se ne stava zitto, e arrossiva un poco.
Si, quel ragazzo aveva molto da dare.
Non si sarebbe fermato lì. Gli avrebbe insegnato a vedere.
Blacket's Time:
Okay.
Faccio veloce
(?). Fiction di massimo 3 capitoli, un pensiero che avevo in mente da
un po'. Dato che non è troppo lunga, ditemi voi se continuare,
se vi interessa; o supplicatemi di troncare qui la FF. Nel caso il
vostro pollice punti all'insù, avviso che gli aggiornamenti
potrebbero arrivare un poco in ritardo, ma non l'abbandonerò
assolutamente.
Inoltre, potrei aggiungere un avvertimento o alzare il raiting. Non credo succederà, ma nel mentre avverto.
A voi il giudizio, lettori!
Detto questo, detto tutto.
Baci, Blacket.
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