-I
Miss You-
Un
anno dopo....
Malgrado
fosse passato un lungo anno, per coprire l'onta subita, mio padre
decise di mandare Katerina in un altro paese chiamato Inghilterra
dove avrebbe vissuto almeno fino a quando le voci sul suo conto si
sarebbero placate.
Quindi
per moltissimo tempo.
Non
riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lei: era mia sorella e
allo stesso tempo era la mia migliore amica, l'unica che non mi
considerava un mostro insieme a mia madre.
Se mio
padre me l'avesse portata via, io sarei rimasta completamente sola.
Mentre
fissavo la carrozza su cui avrei visto mia sorella per l'ultima
volta, non riuscivo a trattenere le lacrime. Mia madre mi teneva
sottobraccio mentre mio padre e Ada aspettavano impassibili che
Katerina uscisse di casa.
La
cosa non mi stupiva: Ada, nonostante fosse la più grande di
noi tre, non era mai andata d'accordo con Katerina per cui provava
anche invidia, mentre mio padre non l'aveva mai considerata una
figlia modello.
Proprio
come me: la figlia del peccato a cui il diavolo aveva strappato la
lingua dalla nascita rendendola muta.
Purtroppo
sia io che mia sorella eravamo vittime del pregiudizio e della
superstizione.
“Stai
tranquilla piccola, non piangere” mi sussurrò
all'orecchio mia madre, la guardai: aveva gli stesso occhi scuri e
dolci di Katerina. Io ero l'unica ad avere gli occhi azzurri in
famiglia, ereditati probabilmente dalla nonna. Quando Katerina uscì
all'esterno, alzò la testa verso la fioca luce del sole come
se temesse di vederlo per l'ultima volta.
Lanciò
un occhiata gelida ad Ada a a nostro padre che sembravano non
vedessero l'ora di vederla salire sulla carrozza e sparire per
sempre.
Mia
sorella si voltò verso me e mamma e si sforzò di
sorridere. Ma era chiaro che stava soffrendo terribilmente e la sua
bellezza non poteva nascondere quel dolore.
“A
presto, madre” disse rivolgendosi a nostra madre a
abbracciandola forte, come se quella fosse l'ultima volta.
Abbassai
lo sguardo, giocherellando con i miei lunghi capelli raccolti in una
treccia : non riuscivo a trattenere le lacrime e in un baleno mi
ritrovai con gli occhi gonfi e bagnati.
Katerina
, quando si rivolse a me, scoppiò a ridere, anche se i suoi
occhi erano velati di tristezza “Irina, non far piovere sul tuo
viso, insomma!” ridacchiò, mi abbracciò forte e
in un attimo mi ritrovai con la testa invasa dai mille ricordi: i
nostri giochi, le nostre lunghe chiacchierate in cui io potevo solo
limitarmi ad ascoltare.... stava per finire tutto.
Quando
Katerina sarebbe salita su quella carrozza, l'avrei persa per sempre.
“Ti
amo più della mia vita, sorellina. Anche se sarò
lontana, ti starò sempre vicina con il cuore” sussurrò
al mio orecchio con voce tremante.
La
strinsi forte a me, non volevo lasciarla andare.
Ci
guardammo a lungo e Katerina mi prese una mano tra le sue mentre io,
con l'altra le accarezzavo i lunghi ricci scuri “Ricordati
quello che ti ho detto: anche se non hai voce,tu parli con il cuore
ed è questa la cosa più bella che un umano possa fare.
Non essere mai triste, perché la gente cercherà sempre
di schiacciare il bellissimo fiore che sei. Anche se non puoi
dirmelo, io so che mi vuoi bene. E te ne voglio anche io”
Tirai
su con il naso, perché non potevo dirle quanto mi sarebbe
mancata? Non era giusto che non potessi gridare al mondo che le
volevo bene.
Nostro
padre si avvicinò a noi rapidamente “Ora basta!”
disse, prese rudemente Katerina per il polso e la trascinò
verso la carrozza.
Quando
cercai di allungare la mano verso di lei, mia madre mi fermò:
sapeva che, se avessi provato a fermare mio padre, sarei stata
duramente punita da lui.
Katerina
continuò a guardarci, mentre si avvicinava sempre di più
alla carrozza.
Quando
salì, mio padre disse qualcosa al conducente e i cavalli
iniziarono a nitrire rumorosamente. La carrozza si mosse lentamente,
ma io dovevo far capire a mia sorella quanto le volevo bene: non
volevo che il silenzio fosse l'ultima cosa che ricordasse di me.
Prima che la carrozza prendesse velocità, strappai due fiori
dal piccolo giardino dietro casa mia, poi iniziai a correre verso la
carrozza.
“Irina,
torna subito qui!” gridò alle mie spalle mio padre.
Lo
ignorai, anche se sapevo che la mia disobbedienza sarebbe stata
severamente punita. Riuscii miracolosamente a raggiungere la carrozza
e lasciai i fiori dentro il finestrino da cui mia sorella si
affacciò. Le due margherite dovevano esserle cadute in grembo,
sperai che capisse che simboleggiavano noi due: la lontananza non ci
avrebbe mai separate.
Mi
fermai quando ormai la carrozza era più veloce di me e guardai
tristemente il volto di mia sorella, in lacrime, affacciarsi
un'ultima volta a guardarmi.
Poi
rimasi sola.
Passò
un altro lungo anno e la situazione non era cambiata.
Mio
padre e Ada non avevano alcuna intenzione di sentir anche solo
nominare Katerina e io ero come al solito sola ed emarginata. Passavo
molto tempo nella foresta, amavo la natura e sopratutto mi piaceva
coltivare erbe e fiori, per questo avevo un piccolo giardino dietro
casa, una gioia che mio padre mi avrebbe negato se mamma non gli
avesse detto che anche a lei piaceva.
Ma la
mia vita non era più la stessa senza Katerina: era con lei che
passavo ore e ore nella foresta, era lei che si congratulava con me
se un fiore cresceva bene ed era lei a consolarmi quando invece un
fiore appassiva.
Allora
ero sola, non avevo amici perché nessuno voleva avere nulla a
che fare con un “demonio” come venivo definita. Quando
ero piccola, le madri mettevano in guardia i figli da me e gli adulti
mi trattavano come se fossi un mostro. Tutto a causa del fatto che
ero muta, il diavolo mi aveva tolto la voce prima che nascessi,
perché ero malvagia.
Ero
sempre stata vittima di stupide superstizioni e pregiudizi, se non
fosse stato per Katerina e mia madre, probabilmente non sarei mai
arrivata ai quindici anni.
Ada mi
odiava, perché secondo lei ero solo una macchia sul suo futuro
e mio padre la pensava più o meno come lei. Non ricordo un
solo singolo abbraccio da parte sua. Katerina aveva sempre pagato il
fatto che mi voleva troppo bene e il fatto di aver avuto una bambina
illegittima non aveva fatto altro che peggiorare la situazione.
Mi
chinai a raccogliere delle erbe da un cespuglio e sospirai
malinconica, Katerina mi aveva mandato parecchie lettere in
quell'ultimo anno, ero felice che avesse imparato la scrittura in
quel lontano paese: sosteneva che l'Inghilterra era bellissima e che
l'uomo che la ospitava, un bellissimo nobiluomo, era gentilissimo con
lei.
Da
come ne parlava, ne sembrava innamorata.
Ada
una volta lesse una delle lettere e rise sprezzante, facendo commenti
poco carini e molto sboccati su nostra sorella ed ebbi la conferma
che Ada odiasse Katerina sopratutto per via della sua bellezza.
Sinceramente la invidiavo anche io un po' per via del suo soggiorno
in quella terra: io dovevo ogni giorno sopportare l'odio di mio padre
e le angherie di Ada, solo mia madre mi stava vicino e mi proteggeva
come meglio poteva.
“Irina?!”
Sentii una voce chiamare il mio nome, mi rizzai in piedi e vidi in
lontananza Ada che si guardava attorno con disgusto. A differenza mia
e di Katerina, lei odiava la foresta: per lei era solo un insieme di
schifosi insetti e terra con cui si sarebbe potuta sporcare.
I suoi
unici interessi erano sparlare e trovarsi un marito, ma dubito che lo
avrebbe trovato se fosse rimasta così acida.
Appena
mi vide,Ada sbuffò “Oh eccoti, nostro padre ti vuole
urgentemente parlare” disse, storcendo le strette labbra.
Doveva
essere davvero importante se nostro padre mi voleva di nuovo tra i
piedi.
“Perché?”
le chiesi nel mio linguaggio.
Ada
fece spallucce “Non lo so, un uomo è venuto a casa oggi
pomeriggio e ti vuole incontrare” disse “Chissà
perché vuole vedere un mostro come te...”
Ignorai
la parte finale e la seguì, notai subito la carrozza lasciata
di fronte alla nostra casa. Doveva trattarsi di qualcuno di nobile e
di sicuro non di un falegname umile come nostro padre.
Appena
entrammo, percepii l'odore di tè che mamma era solita
preparare solo in presenza di ospiti. E se era alla tisana, l'ospite
doveva essere davvero importante.
Infatti,i
nostri genitori non erano soli e con loro c'era un uomo,
probabilmente sui quarant'anni: non molto alto, con lunghi capelli
neri, occhi scuri e un naso aquilino. Indossava abiti eleganti, forse
un po' troppo per entrare in una casa come la nostra.
“Ecco,
lei è Irina” disse Ada sorridendo calorosamente
all'uomo, come non aveva mai fatto con me.
La
guardai stupita mentre l'uomo si alzava lentamente, mi sorrideva
eppure mi sembrava che fosse un sorriso di circostanza “Irina”
disse come se fosse un piacere “Piacere di conoscervi. Io sono
Vladimir”
Fece
un mezzo inchino ,come se avesse di fronte a sé non una
contadinella del villaggio ma una principessa. Quando mi prese la
mano e la baciò sul dorso, lanciai un occhiata confusa ai miei
genitori: mio padre sorrideva come se fosse Natale mentre mia madre
evitava deliberatamente il mio sguardo.
“Siete
davvero bella come ti hanno descritta” aggiunse Vladimir quando
le sue labbra si separarono dalla mia mano. Non ero mai stata
trattata così da un uomo e sospettai subito che sotto ci fosse
qualcosa, non era una sensazione piacevole.
Inoltre
Ada si era parecchio incupita, quando quell'uomo mi aveva definita
“bella”.
“Che
succede?” chiesi rivolta a mamma, mio padre si alzò
in piedi e mi lanciò un occhiata di disapprovazione. Temetti
che volesse schiaffeggiarmi, ma poi rammentai la presenza di
quell'ospite dall'accento russo che avevo di fronte.
“Irina,
quest'uomo è un mio caro amico russo” disse guardando
Vladimir con un sorriso complice “Ed è venuto fin qui
dalla Russia per chiedere la tua mano”
Mi
ritrovai con gli occhi sgranati per la sorpresa e notai Ada
mordicchiarsi le labbra nervosamente: voleva essere lei la prima e
sposarsi e ad avere un figlio, ma a quanto sembrava sia io che
Katerina l'avevamo anticipata.
Anche
se non avevo alcuna intenzione di sposarmi con uno sconosciuto.
“A
lui non importa del tuo...problema” aggiunse mio padre “Ed
è disposto a portarti con sé in Russia”
Allora,
era quello il problema? Mio padre voleva liberarsi di me, perché
aveva trovato un anima pia disposta a sopportare la mia “condanna”?
Mi ero sentita dire parecchie volte, da Ada, da mio padre e da altre
persone, che non avrei mai trovato un uomo che mi avrebbe amata,
perché ero diversa. E Vladimir doveva essere stato spinto da
una mano dal cielo, secondo mio padre, per aver deciso di sposare un
mostro come me.
“Sapete
Irina, io e vostro padre eravamo molto amici tempo fa. Ma per
divergenze lavorative, ci siamo separati” iniziò a
raccontare Vladimir “Per me è quindi un onore, poter
sposare una delle sue figlie”
Strinsi
i pugni, quell'uomo mi parlava come se desse per scontato che avrei
accettato la sua proposta. Perché era l'unico uomo che avrebbe
mai potuto accettarmi.
Ma non
avevo lo stesso alcuna intenzione di accettare: preferivo rimanere da
sola per sempre, che sposare uno sconosciuto in abiti eleganti che
provava solo pietà per me.
“Mi
farò andare giù tutte le tue difficoltà e
sopporterò con pazienza la vostra malformazione”
aggiunse Vladimir, prendendomi le mani tra le sue e sorridendomi
calorosamente.
Malformazione?
Mi trattenni dal colpirlo in volto con uno schiaffo: io ero
normalissima, non avevo alcun problema e non avevo bisogno della
compassione di un poveraccio vestito da nobiluomo per sentirmi amata.
Avrei trovato l'amore, prima o poi, e se non lo avessi trovato,
allora sarei rimasta sola, ma era meglio così.
Katerina
diceva sempre che la vita era crudele e che senza l'amore non saremmo
mai riusciti a viverla. Io la pensavo come lei: volevo anche io
l'amore e non mi importava se mio padre mi avrebbe punito a vita, in
caso di rifiuto.
Ritirai
le mani bruscamente e guardai mia madre, che era in pena per me.
“Da
quanto tempo va avanti?” chiesi gesticolando velocemente.
Notai
con la coda dell'occhio mio padre: mi stava fulminando con lo
sguardo, mentre dall'altra parte Ada, sembrava quasi compiaciuta che
mi stessi in qualche modo “ribellando”. Era la prima e
ultima volta in cui la vidi dalla mia parte.
“Sono
mesi che lo progettiamo, Irina” rispose mio padre, impedendo
alla moglie di proferire parola. “Sono tuo padre e non voglio
che tu resti sola”
Bugiardo.
Lui
voleva solo liberarsi di me, come aveva fatto con Katerina.
Così
si sarebbe liberato dell'altro disonore vivente della famiglia
Petrova. Non voleva rischiare di ritrovarsi una zitella in casa a
vita.
Cercai
di trovare il coraggio di dirgli che non volevo sposarmi, ma lui non
me ne diede l'opportunità “Il matrimonio si celebrerà
tra un mese” concluse, con un tono che mi fece comprendere che
non avrebbe accettato repliche “Tutto è già stato
deciso. E non si torna indietro.”
Mia
madre non poteva aiutarmi in alcun modo, la donna era proprietà
del marito e se avesse, anche solo provato a far cambiare idea a
nostro padre, sarebbe stata punita.
Non
volevo che ci rimettesse lei a causa mia, già pagava
abbastanza per il bene che mi voleva.
Scrissi
così una lettera a Katerina, usando le poche parole che avevo
imparato a scrivere. Le parlai di tutto quello che stava accadendo,
con Vladimir e con i preparativi: il mio ipotetico futuro marito era
tutto preso da essi e non mi rivolse più la parola per due
ovvi motivi: ormai ero sua, mio padre gli aveva ceduto la mia mano, e
poi sapeva che non avrei potuto rispondergli.
La
risposta di mia sorella arrivò dieci giorni prima della
cerimonia: era una lettera che all'inizio mi sembrò folle ma,
rileggendola diverse volte, mi sembrò tutt'altro.
“Ne
ho parlato con lord Niklaus, il nobiluomo che mi ospita, e lui ha
acconsentito ad ospitarti qui per tutto il tempo che vuoi. Non per
sempre, ovviamente, ma il tempo necessario per sfuggire a questo
matrimonio indesiderato. Fidati Irina, l'Inghilterra è un
mondo completamente diverso, qui ti sentirai amata e accettata. La
tua vita cambierà come è cambiata la mia”
Rilessi
la lettera ancora un ultima volta e un sorriso apparve sul mio viso:
volevo anche io cambiare la mia vita.
Sarei
fuggita in Inghilterra.
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