Itacest
Questa fic non so sinceramente da dove sia venuta fuori e non
è nemmeno un granchè, ma è dedicata a
quel meraviglioso essere che è la mia migliore amica.
Perché lei
è il Veneziano del mio Lovino.
Perché è speciale
e sa di esserlo; solo che a volte ha bisogno di sentirselo dire.
Perché nessuno potrà mai prendere il suo posto.
Perché lei è unica. Perché lei
è lei.
Perché anche se sembra che preferisca altri a lei, non
sarà mai così.
Perché non importa ciò che succede, non importa
se non ci sentiamo o se sono concentrata su altro o se abbiamo da fare
e non possiamo vederci. Io e lei siamo una cosa sola, e un cuore solo
non potrà mai essere diviso, anche se batte in due corpi
diversi.
Perché è la persona più stupenda,
meravigliosa e perfetta che mi abbia regalato il caso.
Perché lei è la mia casa, il mio rifugio, il mio
luogo sicuro.
Perché se non ci fosse lei... Il mio mondo non
avrebbe senso.
«Romano, allora esco!»
Veneziano attese, con la mano già pronta sulla maniglia
della porta, una risposta da parte di suo fratello.
Risposta che non arrivò.
Perplesso attraversò il salone e salì qualche
gradino della larga rampa di scale, cercando di allungare il collo come
se potesse servire ad avvicinarlo al fratello.
«Romano?», chiamò ancora, un po'
più forte, «sto uscendo!». Ma ancora una
volta, gli rispose solo il silenzio.
"Che si sia addormentato?", pensò, salendo al piano
superiore e aprendo con delicatezza la porta della camera da letto di
Romano, dove quest'ultimo si era rifugiato qualche ora prima, quando
gli avrebbe detto che sarebbe andato a casa di Germania.
Romano stava lì, sul pavimento, la musica a palla nelle
orecchie e lo sguardo perso tra le diverse sfumature del soffitto, le
mani strette a pugno e le labbra che mimavano le parole di una canzone
che Feliciano riusciva vagamente a sentire, anche da quella distanza.
«Lovi!», gridò per farsi sentire,
avvicinandosi al fratello maggiore con il solito sorriso splendente.
Romano sussultò dalla sorpresa, ma non si tirò a
sedere; si tolse le cuffie dalle orecchie e non lo guardò
neanche in faccia, mentre gli rispondeva, «Che
vuoi?», chiese, secco, con il tono di voce colorato da una
vena di acidità.
Veneziano non si lasciò scoraggiare dalla risposta
scorbutica dell'altro. «Sono venuto a dirti che
esco!» esclamò, con un grande sorriso, giungendo
le mani dietro la schiena, e cominciando a spostare il peso da un piede
all'altro. Lovino sbuffò, alzando un braccio verso
il cielo e osservando la propria mano controluce. «E che ci
devo fare?»
Feliciano sospirò, la fronte che si corrugava in
un'espressione preoccupata. «Lovi, sei ancora
arrabbiato?», domandò, cercando di introdurre il
discorso, il tono velato da una leggera supplica.
«No. Che mi frega, se e con chi esci? Fai quello che ti pare.
Tanto di sicuro il crucco è una compagnia migliore della
mia.»
Disse l'ultima frase in un sussurro, più rivolto a se stesso
che a Feliciano.
Ma, con una piccola stretta al cuore, l'italiano aveva udito quelle
parole amare come se gliele avesse gridate in faccia.
Romano avrebbe voluto assumere un tono indifferente e noncurante, ma si
rese perfettamente conto del fatto che Feliciano si era accorto che la
sua voce si era incrinata nel dire tali cose; e se non fosse bastato,
lo sguardo amareggiato e colpevole del fratello minore costituivano una
conferma abbastanza certa. Gli lanciò uno sguardo rapido,
cercando di non cedere all'incanto degli occhi del fratellino, che
grandi, innocenti e sinceri, facevano crollare tutte le sue difese e
tutta la sua forza di volontà. Continuava ad osservare la
propria mano, cercando di perdere la propria coscienza tra le minuscole
pieghe della propria pelle, e non concentrarsi sulla gelosia che
sembrava lacerargli il petto dall'interno.
Spalancò gli occhi, quando trovò Feliciano
inginocchiato accanto a sé, le dita intrecciate a quella
della mano che teneva ancora rivolta verso il cielo. Veneziano gli
strinse la mano, accennando un sorriso gentile piegando appena gli
angoli delle labbra. «Lovi, puoi alzarti, per
piacere?», chiese, guardandolo fisso. Romano
arrossì, non riuscendo a sostenere lo sguardo del fratellino
e girando la testa dall'altra parte. Facendo leva sull'altro braccio si
tirò a sedere, tenendo ancora lo sguardo basso.
«Lovi, ascoltami, non devi pensare preferisca Doitsu a te.
Non devi pensarlo mai e poi mai. Certo, a Doitsu voglio tantissimo
bene, ma tu... tu sei il mio preziosissimo fratellone, e senza di te la
mia vita non avrebbe senso. Non devi paragonarti agli altri, Lovi,
perchè tu sei diverso e speciale e occupi un posto nel mio
cuore che nessun altro può prendere. Lo capisci,
questo?»
Romano ancora teneva il viso basso, senza cercare il contatto visivo.
Le sue spalle erano scosse da singhiozzi leggeri, e piccole lacrime si
infrangevano contro il tappeto su cui entrambi erano seduti, creando
minuscoli disegni umidi. Feliciano abbassò la voce fino a
farla diventare un sussurro.
«Lovi, ti prego, guardami.»
Il maggiore alzò il viso, rivelando occhi già
rossi e gonfi e guance rigate di lacrime. Veneziano avvicinò
il viso fino a far toccare le loro fronti, e sorrise, guardandolo
fisso.
Questa volta, Romano non abbassò lo sguardo.
«Dimmi, cosa siamo noi?», chiese, con tono delicato.
«L'Italia.», affermò l'altro con poca
sicurezza. Avevano già fatto altre volte questo tipo di
discorso, eppure ogni volta, ogni signola volta tornava ad essere
assalito e roso da quegli orribili dubbi.
Dopotutto Feli passava così tanto tempo con quel crucco, ed
era evidente che gli volesse tanto, tantissimo bene. Romano non avrebbe
potuto reggere il confronto. Romano era semplicemente il fratellone
scorbutico che non sapeva fare altro che arrendersi, fare brutte figure
e lamentarsi.
Romano non era nessuno.
«Esatto, Lovi: l'Italia. Io e te, insieme. Non possiamo
esistere l'uno senza l'altro, lo sai. Siamo una cosa sola, Lovino, una
stessa nazione, un'anima distinta in due corpi diversi. Io sono dentro
di te e tu sei dentro di me, per questo nessuno può
dividerci. Nessuno può farlo e, soprattutto, io non voglio farlo. Siamo
un solo popolo, Lovi, ti prego non dimenticarlo mai. Per piacere, fallo
per me.»
«Passi più tempo con quell'altro che con
me...» borbottò Romano, prima di riuscire a
bloccare la propria voce. Si diede mentalmente dello stupido da solo, e
sperò che Veneziano non avesse sentito.
Invano.
«E invece no, Lovi. Certo, passo tanto tempo con Lud, ma...
io e te viviamo insieme. E non intendo nella stessa casa, fratellone,
intendo che io e te siamo nati insieme e insieme cresciamo. Insieme
respiriamo, insieme esistiamo.» Feliciano avvicinò
il petto a quello del fratello, frapponendo tra loro le loro mani
ancora intrecciate. Romano seguì con lo sguardo quei gesti,
già sapendo in cuor suo dove il minore sarebbe andato a
parare; «Li senti, Lovi? Battono all'unisono. Insieme. Sono
lo stesso cuore, Lovino, è solo stato diviso in due persone
diverse, e sono grato che sia così, perchè grazie
a questo so che non sarò mai solo, e neanche tu lo sei o lo
sarai mai. Non dubitare di questo cuore, Lovino, d'accordo?»
Romano non tentò nemmeno di asciugare le lacrime che ormai
stavano scorrendo a fiotti lungo le sue guance. Si limitò a
un piccolo cenno del capo, leggendo negli occhi del fratello la
verità.
Perchè Feliciano aveva ragione.
Erano una cosa sola, e in un modo o nell'altro sarebbero stati insieme
per l'eternità. Il resto non contava.
«Sì.»
«Bravo, fratellone!», esclamò Veneziano
sorridendo dal profondo dell'anima. Poi si separò dal
fratello, e gli poggiò un lieve bacio sulla fronte, le loro
dita ancora intrecciate.
Il Sud Italia accennò un sorriso.
Il Nord Italia gli asciugò le lacrime.
Entrambi strinsero la stretta delle loro mani.
Dopo qualche istante Feliciano si alzò, tirando con
sé Lovino. Diede un'occhiata all'orologio che aveva al
polso, con uno sguardo preoccupato. «Sono in
ritardo!» esclamò, «Allora, vado,
ok?»
Lovino sospirò, ed annuì. «Magari vado
a fare un salto a casa del bastardo, giusto per tenermi
occupato.»
«Mi sembra un'ottima idea! Salutami il fratellone
Spagna!» Veneziano batté le mani, entusiasta,
prima di saltare addosso al fratello per stringerlo in un abbraccio
mozzafiato. «Ci vediamo stasera!»
esclamò, felice come sempre, prima di correre fuori dalla
stanza.
«Ci vediamo stasera. Ti voglio bene.»
Romano era cosciente del fatto che il fratello non avrebbe potuto
sentirlo.
Ma non importava, suo fratello l'avrebbe saputo.
Perché loro erano una cosa sola, pensò, mentre si
stringeva una mano sul cuore.
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