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One shot partecipante al
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multifandom)
Prompt scelto:
“Ovunque andremo”
«Me lo
prometti?»
Di tutte le cose che
mi hai detto, “Ovunque andremo” è una
di quelle che è incisa più a fondo in questo
cuore pulsante.
Mi va di ricordare
qualcosa. E a te? Facciamolo insieme…
Forse preferirei che
non fosse così, ma anche adesso
sicuramente ricorderai il male che ti ho fatto al liceo. Cercavo di
tarparti le
ali, fatina, per dimenticarmi di quelle che spuntavano dalla mia
schiena. E
nonostante in quel periodo rifiutassi i miei istinti, sono sicuro che
ti
spingevo contro il metallo freddo degli armadietti solo per poterti
toccare;
era l’unico modo in cui potevo farlo, a parte che
nell’universo evanescente dei
miei sogni. Non te l’ho mai detto in questi anni, anche dopo
tutto quello che
abbiamo vissuto ma… sì, io sognavo di te, di noi.
Ma niente roba porno, fatina.
O forse si? Io ricordo perfettamente solo quanto amore tu fossi in
grado di
darmi nel magico mondo che mi ero creato. Accettavo quel sentimento
perché lo
desideravo nel mio inconscio e mi faceva sentire felice, mi faceva
pensare a
qualcosa che potesse illuminare la mia intera esistenza, mi dava la
sensazione
di essere completo… Almeno finché non sorgeva il
sole e arrivava il momento di
dire addio al tuo dolce fantasma.
A scuola io e te
vivevamo su due pianeti diversi e
irraggiungibili. Tu non mi guardavi, e forse era anche questo che mi
faceva
incazzare.
Il bullo
più temuto della scuola, l’acclamato difensore dei
Titans, il “maschio alfa” del McKinley…
non potevo essere tutto questo e allo
stesso tempo un finocchio.
Pensavo che la colpa
fosse tua! Eri una femminuccia, per
quello mi scombussolavi! Ma che fosse colpa tua o no, io VOLEVO far
parte di te
e della tua vita. Ci entrai con prepotenza nell’unico modo
che allora potessi
concepire. Sarei diventato la tua ossessione come tu eri diventato da
tempo la
mia…
Un ricordo
più piacevole (per entrambi, lo so) è la volta in
cui mi sono scusato con te per come ti avevo reso la vita un inferno.
Eccolo
là, un BullyWhip in lacrime che si toglie il basco rosso e a
capo chino avrebbe
voluto dirti anche di più di quelle due parole.
Sì, parole con cui mi mettevo a
nudo come mai avevo fatto prima ma che ancora mi sembravano poche e
sicuramente
non sufficienti a risanare le ferite, mie e tue. Tu stavi vivendo la
tua favola
e io rimasi in disparte per lungo tempo, lanciandoti segnali che
speravo con
tutto me stesso tu arrivassi ad afferrare. Sapevo di poterti dare di
più di
quel damerino di Blaine, volevo che tu te ne accorgessi. Ho aspettato e
aspettato e aspettato. Era giusto che nel frattempo tu fossi felice, ma
io non
volevo una fatina qualsiasi, volevo la MIA fatina.
Ricorderai il nostro
primo vero bacio… Sì che ricordi.
Ripetizioni di matematica. Sì, certo, erano scuse, eh? Ti
eri alzato tutto
sulle punte e mi avevi baciato talmente in fretta che avevo pensato:
«Cos’è
‘sta roba?». Ma poi avevi quello
sguardo… Cosa c’era dentro? Acque scintillanti
di fiumi azzurri, sensuali raggi di sole, cascate eleganti e prati
verdi come
la speranza… dio mio… erano il Mondo! E anche
mille e mille volte meglio! Parlavano…
oh, sì, eccome se lo facevano, mi attiravano verso la tua
timida bocca con una
malia irresistibile. Bè, non ci pensai su molto, vero? Ti
baciai come ero
convinto tu volessi essere baciato. E come IO volevo baciarti da mesi,
diavolo!
Fu perfetto, nel silenzio totale, con i bagliori rossastri del tramonto
autunnale che entravano dalla finestra della tua camera… e
Finn Hudson che
ignaro guardava la TV nella stanza affianco!
Ricordi al ballo
dell’ultimo anno? Riparammo l’occasione
persa la volta precedente, dove io da bravo coglione mandai tutto
all’aria. La
scuola parlottava da mesi sulla nostra storia, ma ormai non ci
importava più.
Nonostante tutto non mi ero rammollito, la mia cattiva reputazione era
ancora
intatta e scintillante, e bastava a proteggere entrambi. Delle
battutacce di
qualche sfigato del club di hockey neanche mi curavo. E poi Santana e
Brittany
davano nell’occhio molto più di noi due. Che
esibizioniste, sembravano
divertirsi a spiattellare qua e là quanto fossero sexy e
amoreggianti. Eravamo
felici anche per loro, ovvio. Tutto andava esattamente come doveva
andare.
Se possibile, quella
sera eri anche più bello del solito,
con indosso qualcosa che io non metterei neanche se volessero
costringermi
sotto tortura, ma che su di te calzava a pennello. Ti guardavo e
bruciavo di…
desiderio, credimi…
Io portavo uno
smoking classico ma invece del papillon mi
facesti indossare una cravatta Alexander McQueen con una fantasia che
secondo
te era “assolutamente adorabile”. Pitonato. Ovvio,
me l’avevi regalata tu! Io
sapevo solo che McQueen era il tizio delle scarpe folli che portava
Gaga. Folli
veramente!
Tutto sommato, pur
non essendo propriamente nei miei panni,
ero un figurino anche io, ammettiamolo. Mi stavi sbavando addosso, non
credere
che dopo tutto questo tempo abbia rimosso… Temevo che
durante “Hello” di Lionel
Richie te ne saresti saltato fuori con qualche dichiarazione
imbarazzante
davanti a tutti.
Finita la festa
avevamo casa mia libera, non sapevo quale
buona stella dovessi ringraziare perché i miei fossero a NY
da zia Grace
proprio quella settimana. Ne avevamo parlato per molti giorni, io
volevo che tu
ti sentissi pronto, che non ti sentissi costretto. Non ero un orso
bruno delle
foreste del Kentucky! Sì, è vero, ti baciavo
sempre come un animale affamato
ma… non pretendevo nulla. Con te sarebbe stato diverso che
farmi una primina o
robe varie, e potevo attendere, TU dovevi volerlo pienamente.
Ripensarci, anche
adesso, mi dà i brividi. La prima volta
non è “fuochi d’artificio” per
tutti, ma mi azzardo a dire che noi ci andammo
vicini. Sfioravo la tua pelle con incertezza all’inizio, non
ancora abituato ad
aver a che fare con cosa tanto preziosa. E, Dio… Kurt,
cos’eri? Un gattino. Un
gattino completamente affidato alle mie mani. Ti fidavi di me, e questa
era la
cosa che più mi appagava. Mi appartenevi. Non che io volessi
possederti in
maniera soffocante… solo… era bello percepire
quanto mi amavi, sapere che ero
importante, che in quel momento non avresti desiderato altro
all’infuori di me.
Mi facesti sentire il ragazzo più fortunato sulla faccia
della Terra. Già
allora avevamo capito che la maggior parte della gente non
può competere con
noi.
Io ricordo ogni
istante di ciò che abbiamo vissuto, Kurt,
anche se a volte fingo indifferenza, come se quello portato per i
sentimentalismi dovessi essere solo tu. Non c’è
niente che non rifarei, anche
le mille cazzate.
Le granite (non
più in faccia) al Tutti Frutti Bar… menta,
lampone, pesca, ananas. Insistevi sempre per assaggiarne un
po’ della mia, e io
con la palettina ti imboccavo… mi piaceva, okay? Avevo
superato quella fase in
cui non mi sbilanciavo troppo in pubblico. Mi divertiva che le persone
intorno
ci guardassero, ammirate, sbigottite… quello che
è. Nel mio profondo speravo
sempre che m’invidiassero un po’. Insomma, io
dall’esterno mi sarei invidiato.
Aspetta, capisci? È un ragionamento un po’
contorto.
Nei pomeriggi
universitari distrarci era fin troppo facile…
tu mettevi su la musica quando vedevi la stanchezza che mi opprimeva, e
subito
mi sentivo meglio se cantavi per me “Stand by me”.
Dio… Dio… Dio… ho fatto
qualcosa di speciale in una vita precedente, forse. Come potevo meritare qualcosa di tanto
meraviglioso?
When
the night has
come
And
the land is dark
And
the moon is the
only light we'll see
No
I won't be afraid,
no I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me
La canzone finiva,
le ultime parole me le sussurravi
dolcemente all’orecchio. Ci godevi a vedermi rabbrividire, ti
conosco. Ed era
così ovvio: perché continuare a perdere la testa
sui libri quando potevamo far
cigolare le molle del letto? Cristo, fatina… non so come tu
abbia fatto, ma
ricordi quella volta in cui mi misi a piangere? Avevamo appena fatto
l’amore,
buttando giù dal letto i libri con i piedi… e io
mi ero ritrovato a bagnare la
tua spalla di lacrime… lacrime di gioia, di soddisfazione,
anche di paura,
probabilmente. Era tutto talmente perfetto in quei momenti, che temevo
di
perdere tutto senza motivo, che la favola andasse a finire male.
E venire a prenderti
alla “Juilliard”? Mi rendeva così
orgoglioso…! Ti tenevo stretta la mano e fulminavo con lo
sguardo quel tuo
“collega” capellone che suonava il sax…
«Non essere geloso» mi ripetevi «Non ti
cambierei mai con lui. Né con
nessun’altro…». Al che Hudson mi
prendeva in giro
per la mia gelosia, e ogni volta mi faceva ripromettere a me stesso che
non
sarei mai più andato fino a Lima a prenderlo per portarlo
alla “Juilliard” e
fargli passare più tempo con la sua Rachel. Proposito che
puntualmente
dimenticavo. E la storia si ripeteva: io ero geloso, tu mi acquietavi,
e Hudson
sempre presente se la rideva con Rachel aggrappata al suo
braccio…
Saremmo ipocriti se
affermassimo che non abbiamo avuto le
nostre difficoltà, non c’è mai stato un
momento troppo duraturo di calma,
forse. La discussione è sempre stata dietro
l’angolo. Quante volte non ci siamo
capiti e testardamente ci siamo scontrati dietro i fortini che ci
costruivamo
da soli… Altrettante volte abbiamo imparato a riprendere
coscienza di noi,
delle nostre scemenze e del nostro legame indissolubile.
E ora siamo qui.
Fallo per Allie. La
bimba non può stare senza papino Kurt.
Cosa credi, che non capisca che qualcosa non va? È sveglia
come lo era anche
zia Santana a tre anni.
Zietto Hudson mi
dà una mano con lei in questi giorni, ma
nemmeno lui riesce a farla ridere come quando è con te, che
agita le manine e
splende di luce riflessa…
Ancora. Ricordi il
momento in cui la prendemmo con noi? Era
piccina piccina fra le mie braccia enormi, aveva bisogno di essere
coccolata,
di conoscere il significato della parola
“famiglia”. Era compito nostro, Kurt…
compito nostro farla crescere, trattarla come una principessa e far
sì che non
perdesse mai il sorriso. Fu allora che mi dicesti quelle due parole che
porto
incise nel cuore.
«Promettimi
una cosa.»
«Cosa?»
chissà con quale fantasticheria te ne saresti uscito
fuori. Io guardavo nostra figlia e mi chiedevo come facessi a vivere
prima
senza di lei, ti ascoltavo distrattamente…
«Ovunque andremo
porteremo amore e gioia. La gente si deve voltare a guardarci, li
abbaglieremo
tutti. Ovunque andremo, non
smetteremo mai di amarci e di amarla. Siamo una famiglia ormai. Me lo
prometti,
Dave? Ovunque andremo…
»
Io rimasi spiazzato,
stordito, con gli angeli vestiti Marc
Jacobs, come te, che nella mia testa ripetevano ossessivamente quanto
fossi
fortunato, una volta di più. E di nuovo ebbi la conferma di
quanto ti amavo, di
quanto non poteva che andare in quel modo la nostra vita…
proprio come volevi
tu. «Sì, Kurt… te lo prometto. Ovunque
andremo…»
Fallo per noi.
Perdere ciò che abbiamo sarebbe uno spreco
d’amore per questo universo che va già abbastanza
allo sfascio.
Lo sai che non puoi
lasciarmi solo, non puoi, non puoi…
Amore mio, ti
prego… facciamoglielo vedere a quel bastardo
che può andare a schiantarsi contro un muro con la sua bella
macchina, ma tu
invece ce la farai. Kurt Hummel non si spezza per una bottarella.
Il nostro
“ovunque andremo” non è ancora finito.
Ci sono
posti che non abbiamo visitato e… ci andremo… ci
andremo presto… quest’estate…
con Allie. Ti porto a Graceland, ci vestiamo come Elvis. E alle cascate
del
Niagara…? O in Oregon, a Crater Lake… in
campeggio… appena la bambina sarà
abbastanza grande!
Stringimi la mano,
Kurt.
Stringimi la mano.
Sono passati due
giorni. Posso aspettare ogni notte qui, non
smetterò di farlo. Devi solo stringermi la mano…