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Lui era il signore oscuro
Lui era il signore oscuro. Portatore di morte e
disperazione, nessuno osava pronunciare il suo nome.
Come l’araba fenice era risorto dalle sue ceneri a
nuova vita, riconquistandosi il potere perduto.
Ogni essere vivente ormai conosceva la superiorità di Lord
Voldemort, la sua smisurata potenza, la volontà infinità.
Era l’apoteosi del malvagio,Voldemort,
inarrestabile,imperscrutabile, imbattibile.
Eppure come ogni essere umano anche lui era stato sopraffatto da
dei problemi più grandi di lui.
Quali,vi chiederete. I ribelli?
Attentati alla sua persona? La mancanza di viveri per i suoi fedeli? O quella di alcool e sostanze non esattamente lecite?
Nulla di questo, purtroppo.
La catastrofe che incombevasulla potente pelata dell’oscuro signore era
molto peggio.
Era la sua famiglia.
Ma non
era orfano, mi chiederete? Solo, senza famigliari di alcuna
sorta?
Questo era la stessa cosa che pensava Lord Voldemort, prima
che gli cadesse tra capo e collo, la pesante, dura e gelida verità.
Quello che era una volta TomMarvolo Ridde, aveva un’ingombrante famiglia che superava
le cinque decine di componenti.
Lo aveva scoperto malauguratamente qualche mese dopo la sua
rinascita, quando un suo fedele servitore gli aveva portato la posta arretrata
degli ultimi quattordici anni.
Avrebbe preferito morire di infarto
in quel momento, quando ancora viveva felicemente la sua solitaria condizione.
Ma si
sa, le divinità sono crudeli...
In quel momento Lord Voldemort aveva appena finito di
compilare il ventisettesimo assegno per gli alimenti di una dei suoi tanti
discendenti.
Avete capito bene, l’oscuro signore
aveva una numerosa prole, sparsa in quasi
tutto il mondo.
Tre quarti di questi erano nati la notte di halloween, due terzi avevano la stessa età dello stupido
potter, e la quasi totalità era stata trasferita ad
hogwarts negli ultimi sei anni.
Voldemort sospirò.
Se fossero stati solo quelli i componenti
familiari non ne avrebbe fatto una tragedia...
In fondo i figli obbediscono ai padri,no?
E
quando non lo facevano non sarebbero stati una gran perdita per la comunità.
Almeno così la pensava lui.
Peccato che la sua nuova famiglia comprendesse sorelle,
zii, nipoti, cugini fino al quarantesimo grado, due prozii ed un trisavolo.
Come gli ultimi tre facessero
ancora a campare era un mistero. Lui sperava che schiattassero prima di subito,
ma quelli probabilmente avrebbero campato ancora anni.
Voldemort sospirò nuovamente.
-Che merda di vita.-
Il telefono sulla sua scrivania squillò. Lui alzò
lentamente la cornetta, sperando in un gioioso contrattempo.
Consigli sull’ultimo piano per tirar
fuori le budella di Potty. La richiesta della sua presenza ad un convegno sulle
torture moderne. L’invito all’anteprima di carneficina show.
-Pronto?-
-Tommino, Tommuccio! Non mi riconosci?
Sono la tua adorata zietta Mary! È da tanto tempo che
non ci vediamo, sarai cresciuto tanto immagino.
Dovresti arti vivo più spesso, adorato nipotuccio mio. La famiglia non va accantonata in questo
modo, e no, no, no! Mi raccomando di non mancare domani sera alla cena di famiglia.
Lo sai quanto io e le ragazze ci teniamo a vederti. Bacioni.-
CLACK. L’adorata zia Mary aveva riattaccato.
Voldemort fissava con disgusto la cornetta del telefono,
domandandosi perché non aveva ancora trovato come kedravizzare
chi stava dall’altra parte dell’apparecchio.
L’amata zia Mary si era appena spostata al
secondo posto della sua lista, dopo il moccioso con gli occhiali.
Come poteva aspettarsi che lui, l’uomo più potente ed
oscuro del mondo partecipasse ad un’inutilissimacena di famiglia. Se ci fosse
andato sarebbe stato solo per sterminare tutti i partecipanti.
Uh, che idea gustosa. Trucidare tutti quegli odiosi ed
ingombranti in un colpo solo.
Poi gli vennero in mente le ragazze di cui aveva parlato la
zia.
Betoneghe di cui la più giovane avrebbe avuto novantanni,
con la dentiera e l’orribile abitudine di volere dei baci dai nipoti.
Lord Voldemort fu scosso da tremiti di ribrezzo.
No, forse ripensandoci era meglio non farsi trovare a
quella cena l’indomani.
Con un sibilo richiamò l’unica di cui si fidasse
ciecamente, mentre sparpagliava a terra le lettere sulla scrivania, in cerca di
un foglietto di carta ancora intonso.
Un serpentone di otto metri
comparve sulla soglia della stanza, con un bavaglione
rosacon i topolini bianchi legato al collo.
-Nagini, io parto. Prepara le valigie.-
Il serpentone chinò la testa di quarantacinque gradi,
guardando sfottente il suo padrone.
-Si, non ci vado a quella cena. È inutile che insisti con
le tue cazzate sulla famiglia. Quelle sono serpi
buone solo da morte.-
Nagini sibilò quello che sembrava una promessa di morte,
poi si voltò,e strisciò fuori dalla stanza.
-Oh andiamo, non intendevo in quel senso... Nagini non fare
l’offesa con me, capito!?- sbottò un Voldemort
abbastanza nervoso.
Ricevette un sibilo come risposta, e la caduta di un vaso di orribile fattura causata dallacodata di uscita
del serpentone.
Lord Voldemort osservò i cocci del vaso
dondolare sul pavimento, poi alzò le spalle.
-Oh, bhè, non importa. Tanto era
un regalo di zia Sue.-
Un rumore di passi concitati, frettolosi si faceva sempre
più forte. Si stava avvicinando pericolosamente allo studio del signore oscuro.
La porta sbattè violentemente contro il muro e tre
figure fecero il loro ingresso nella stanza.
La prima, nero vestita, stringeva convulsamente una
pergamenanella mano destra, mentre era
impegnata con il braccio sinistro a trattenere le altre due.
-Papi!- cinguettò quella con i capelli violetti trattenuti
in una coda di cavallo. Indossava un completino lilla
succinto canotta-minigonna, e agitava insulsamente la
borsetta formato portachiavi.
-Tom Ridde!- sbottò con voce cavernosa la seconda, una donna di ottantanni più larga che alta,
dagli occhi infidi.
-Signore calmatevi.- la figura in nero si
inchinò velocemente verso la scrivania-Mio signore, chiedo perdono. Non
sono riuscito a fermarle.
- Giovanotto scapestrato, con chi stai parlando. Qui non
c’è nessuno!- osservò l’anziana signora, spintonando a
terra il mangiamorte sorpreso dalla rivelazione.
La ragazza iniziò a punzecchiarlo con i tacchi delle
scarpe, due micidiali aghi di venti centimetri.
-Allora, dov’è il mio papi? Deve
portarmi fuori a fare spese. Dimmi dov’è!-
-Signorina... la prego... non so dove sia l’oscuro
signore...-balbettò il giovane mangiamorte,
terrorizzato dalla vicinanza dei micidiali tacchi alle sue parti basse.
-Catherin, lascia stare quel disgraziato, buono a
nulla li per terra, e vieni a leggere questo biglietto.- ringhiò la
vecchietta.
Catherin si avvicinò sculettando all’anziana donna e preso il biglietto
cinguettò un ‘Oh’ di
delusione.
-È di papi, prozia Sue. Dice che
esce per uccidere Potter e che bisogna riprovare più tardi. Riprovare che cosa?-
La prozia Sue alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché doveva avere
nipoti e pronipoti idioti.
Poi il suo sguardò oltrepassò Catherin, ancora intenta a capire il misterioso significato
del biglietto di suo padre per andarsi a posare sull’oggetto bianco che stava a terra.
Una breve analisi e riconobbe il bellissimo vaso della sua
famiglia che aveva regalato al nipote degenere.
In due passi raggiunse il giovane mangiamorte ancora
sorpreso per l’assenza del suo superiore, e lo sollevò da terra prendendolo per
il bavero della tunica.
-Dimmi dov’è mio nipote!-
Il mangiamorte deglutì faticosamente –Non lo so signora....- gli occhi che lo vissavano
erano diventati se possibile ancora più infidi. Aveva di fronte due piccoli
pozzi di malvagità pura, incastrati in una faccia raggrinzita. In quel momento
era sicuro che la sua esistenza sarebbe cessata per mano di una vecchia.
Per sua fortuna questa lo lasciò andare ed acchialappata la ragazza per i capelli uscì dalla stanza.
Il mangiamorte tirò un profondo sospiro
di sollievo.
-Che morte del cazzo
sarebbe stata...-
E dopo
quest’illuminante commento si addentrò per i corridoi della base in ricerca dei
colleghi.
Dalla scrivania provenì una
risata rauca, e la figura dell’Oscuro signore comparve poco dopo.
Ce l’aveva fatta, era riuscito a sfuggire contemporaneamente
alle scemenze di una figlia e agli acidi commenti della zia Sue.