Sguardi
in metropolitana
Ascoltava
musica da quando aveva messo piede, mezzora prima, nella
metropolitana.
Lo
sguardo di Marco incontrava il suo ogni giorno in metropolitana.
Lo
guardava in modo schivo, fingendo assoluto disinteresse, sentendo
le guance avvampare ogni volta che i suoi occhi incontravano i suoi.
Lo
vedeva lì, seduto sempre allo stesso posto o in piedi
reggendosi
sempre allo stesso palo, mentre leggeva, scriveva, ascoltava musica, o
semplicemente fissava il vuoto o intravedeva il suo sguardo.
Quel
giorno leggeva le pagine di Les
Fleurs du Mal. Teneva il libro con una mano, mentre
l’altra era avvinghiata
al metallo del palo.
Aveva
lo sguardo stranamente vitreo, pensava Marco, fisso. Come se non
leggesse davvero.
Con un
sospiro sollevò lo sguardo dalle pagine ingiallite, e
studiò
con aria spenta la mappa delle fermate. Strizzò appena gli
occhi per
concentrarsi, e incontrò ancora una volta il suo sguardo.
Marco
era imbarazzatissimo, rosso di vergogna e con la fronte
imperlata da goccioline di sudore.
Lo
vide scendere dopo poche fermate. Si voltò per vederlo
attraverso
il finestrino, ma quello camminava vedendo davanti a sé,
muovendo nervosamente
la mano come se suonasse strumenti a percussione.
Il
treno riprese la sua marcia, e Marco ancora una volta lo perse di
vista.
Ancora
una volta sentì un pezzo, dentro di sé, cadere
con un tonfo.
Ancora
una volta si sentì abbattuto.
Ancora
una volta si sentì solo.
Ancora
una volta lo vide, però, e si sentì meglio.
Ancora
una volta lo vide e sentì il cuore scheggiare il torace con
i
suoi battiti feroci.
Ancora
una volta lo vide e non poté fare a meno di sorridere.
*****
Lo
sguardo di Mattia incontrava il suo ogni giorno in metropolitana.
Quando
il ragazzo non lo fissava, si permetteva di guardarlo con
insistenza, distogliendo gli occhi solo quando le loro iridi si
sfioravano.
Non
leggeva davvero, così come non scriveva o ascoltava la
musica:
faceva qualcosa solo per avere il gusto di non stare con le mani in
mano, e
finge di avere una vita completa, affannata come tutti i pendolari
della
metropolitana. Non fingeva solo quando non ricordava di prendere i suoi
diversivi, e l’allegra attività del fissare il
vuoto, allora, lo assorbiva
completamente.
Il suo
posto era occupato, ma il suo palo era libero: gli si
ancorò, e
prese a fingere di leggere la sua copia sdrucita di Les
Fleurs du Mal che gli dava tanto l’aria di
intellettuale decadente.
Hymne à la beauté
la sapeva
a memoria, come tutte le poesie del decadente.
Azzardò
ad alzare lo sguardo e lo vide lì, seduto qualche metro
più in
la, vedere tutto e tutti con assoluto disinteresse assorto nelle sue
cuffiette.
Non
volle vederlo, e tornò a fingere di leggere.
Alzò
di nuovo lo sguardo per vedere quanto mancasse alla sua fermata.
Come regalo della miopia dovette strizzare gli occhi per riuscire a
leggere più
o meno decentemente.
Lo
vide ancora una volta, per pochi istante, ma lui tornò a
farsi gli
affari suoi, anche se era diventato improvvisamente rosso.
Arrivato
a destinazione, Mattia scese dal treno, circondato dal
un’orda
di gente indaffarata e isterica.
Fece
qualche passo in avanti, tamburellando l’aria con la mano,
nervoso.
Il
treno aveva ripreso la sua corsa, lui si era voltato per vederlo,
ma era ormai troppo tardi.
Lo
fissò finché non venne inghiottito dal buio della
galleria.
Si
avvicinò al cartello delle fermate e con un pennarello rosso
scrisse, semplicemente: “Perché deve essere
così difficile? Perché ancora non
ci parliamo?”
Note
dell’autore:
Non so
cosa accidenti abbia scritto, so solo che mi andava di farlo,
per cui eccomi qui, con l’ennesimo scritto e
l’ennesimo tentativo di
trasmettervi qualcosa.
Spero
che vi sia piaciuta, anche se forse non è poi
così particolare.
Fatevi
sentire!
A
presto!
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