1. Il Libro
Quand’ero piccola odiavo l’estate.
Odiavo
quella calda e umida stagione perché mio padre mi portava lontano da
dove vivevamo, quasi cercasse di scappare.
Mi
sentivo in colpa quando osservavo gli altri bambini essere felici di andare in
vacanza invece che a scuola, eppure tutte le mie pene sparivano
quando vedevo mio padre caricare le valigie sulla macchina. Non mi
piaceva lasciare la mia casa, credevo fosse come lasciare mia madre o
addirittura dimenticarmi di lei.
Ivoene
Fox era morta pochi giorni dopo la mia nascita, lasciandomi alle cure
di mio padre, Nathaniel Fox, uno dei pochi abitanti di Heyl.
Heyl era
un’isolata cittadina della contea di Sedgwick contornata solo da campi
di grano che si estendevano per chilometri e chilometri. Insomma
circondata da un anonimo e abituale paesaggio del Kansas. Essendo una
piccola città contava circa cinquemila abitanti che conoscevano tutto e
tutti.
Era lì
che ero cresciuta. In una piccola villetta ai margini della città dove
mio padre lavorava come medico del piccolo ospedale.
Per
convincermi a lasciare la mia casa papà mi faceva credere che stavamo
per partire per una fantastica avventura in cui io sarei stata l’eroina
della situazione e lui il mio fido aiutante. Magari quando avevo cinque
anni non riusciva a convincermi facilmente ma adesso che ero una comune
ragazza diciassettenne dalla media statura, gli occhi grigi e i capelli
biondo-castano che rispondeva al nome di Allie Fox, sapere che la
nostra meta delle vacanze era la California bastava e avanzava.
Anzi a
dirla tutta adesso era il ritorno che risultava difficile!
<<
Allie! >> esclamò vicino a me una voce eccitata.
Mi
riscossi dal dormiveglia in cui ero sprofondata per ritrovarmi in
macchina insieme a mio padre che, mentre stava guidando, indicava
davanti a noi un cartello giallo con una scritta rossa, la quale, illuminata
dai fari, recitava:
Benvenuti a Heyl,
luminosa città della
contea di Sedgwick,
paese dei Cereali,
Kansas
…E tanti
saluti allo splendido e caldo mare della California!
Mi sporsi
in avanti per guardare le case sfrecciare lungo la strada che
percorrevamo. Avevano ben poco di luminoso, dato che in quel momento
stava piovendo ed era anche buio.
L’orologio
sul cruscotto segnava le undici, il che stava a significare che eravamo
finalmente arrivati dopo ben tre giorni di viaggio, giusto in tempo per
cominciare la scuola il giorno successivo.
Il mio
arrivo in quell’atmosfera grigia di pioggia mi faceva sognare, per il
nuovo anno scolastico che stava per iniziare, un’avventura alla
Twilight. Sì avrei incontrato anch’io nel mio liceo un misterioso e
affascinante vampiro…
<<
Bentornata a casa, Al! >> disse Nathaniel svoltando nell’ultima
via della strada principale e indicando una casa a due piani dalla
verniciatura bianca un po’ rovinata e dal tetto rosso a spiovente con
un piccolo giardino nel retro.
<<
Già, bentornato a casa papà >> ripetei sorridendo.
Parcheggiò
nel vialetto davanti e dopo aver spento il motore scese veloce dalla
macchina per rifugiarsi sotto il tetto, vicino la porta. <<
Allie, potresti prendere lo scatolone sul sedile posteriore? Al resto
delle valigie ci penso io dopo >> mi disse poi mentre apriva
l’ingresso.
Lo
raggiunsi velocemente, portando con me quello scatolone che avevamo
scoperto essere nel bagagliaio della macchina da molto tempo in cui
dentro c’erano dei vecchi libri di papà.
<<
Contenta di essere a casa? >> domandò Nathaniel tenendomi aperta
la porta.
<<
Mmm… mi ero affezionata al mare californiano >> borbottai solo
per accontentarlo.
Mio padre
scoppiò a ridere.
Entrai e
fui subito accolta da una calda e familiare atmosfera: rivedere gli stessi mobili e oggetti con cui avevo sempre vissuto mi fece sentire davvero a casa.
Casa dolce casa.
Poggiai a
terra lo scatolone di libri pesanti, sia nel senso fisico che quello
letterale.
Mi
diressi per il corridoio dove per i muri c’erano attaccate tutte le
foto della nostra famiglia, specialmente quelle di me e papà insieme.
Osservai le nostre espressioni buffe, sorridenti, imbronciate… no,
d’imbronciata c’era solo la mia. E ricorreva anche molto spesso.
Santissimo
Nathaniel! Aveva dovuto sopportare tutto da solo una bambinetta ossuta,
con le treccine e l’apparecchio, fastidiosamente rompiscatole.
Esplorai
per un attimo con lo sguardo la cucina dove c’era il familiare tavolo
quadrato di legno scuro, e il salone con la televisione, la libreria
stracolma, pericolosamente traballante, e il divano su cui
mio padre si sdraiava mangiando pop corn in occasione della partita
della sua squadra preferita di football. Poi salii al piano di sopra
dove c’era la camera di mio padre, due bagni (in precedenza ce n’era
solo uno, ma quando papà aveva capito che divederlo con
un’adolescente era impossibile, aveva fatto rimpicciolire la sua camera
e aveva ricavato un altro bagno) e la mia camera dove c’era il
letto, la scrivania con sopra il computer e il resto delle cose erano disseminate sul pavimento come le avevo lasciare prima di
partire.
Le
guardai affranta. L’ordine non era mai stato il mio forte.
<<
Che cosa mi avevi promesso? >> mi domandò mio padre comparendo
dietro di me con la stessa voce che usava per redarguirmi quando, da
bambina, facevo dei capricci << E’ tardi e domani è il tuo primo
giorno di scuola, quindi tutti a nanna >>.
<<
Ma… va bene >> feci per protestare ma poi mi zittii.
Gli avevo fatto
una promessa e io, Allie Sam Fox mantenevo tutte le promesse che
facevo, anche quelle che includevano di non restare sveglia fino a
tardi.
Però
sapevo che, anche se sarei andata subito a letto, non sarei riuscita a dormire
per l'eccitazione di iniziare il mio penultimo anno di liceo.
La
mattina dopo mi svegliai prestissimo, così presto che riuscii a
guardare il sole sorgere dai campi coltivati di grano dorato che
facevano da panorama per la vista dalla finestra della mia stanza.
Mi lavai
e mi vestii leggera poiché a Heyl l’aria era ancora piuttosto calda,
anche se stava iniziando l’autunno. Indossai una maglietta verde con le
maniche a tre quarti, un paio di comodi Jeans e rinunciai a sistemarmi i
capelli che quella mattina erano davvero indomabili, cioè più del
solito.
I miei
capelli erano un vero disastro! Né lisci né ricci, e quando mi era
venuta in mente la fantastica idea di farmi la frangetta erano
diventati anche più gonfi.
Mancava
ancora un’ora all’inizio delle lezioni del primo giorno del nuovo anno
scolastico così iniziai a disfare la valigia, posando alla rinfusa i
miei oggetti nella stanza che in poco tempo assunse un aspetto ancor
più colorato e disordinato… sottolineerei soprattutto quest’ultimo.
Poggiai
la cornice argentata con dentro la foto di mia madre sulla scrivania e
rimasi per un attimo a guardarla. Osservai il suo volto a forma di
cuore circondato da una massa di riccissimi capelli biondi, così biondi
che le loro punte sembravano bianche. I suoi occhi grigi sorridevano insieme alle labbra e le sue mani affusolate erano poggiate con dolcezza sul
ventre gonfio.
Quella
foto era stata scattata da mio padre qualche giorno prima della mia
nascita.
Cercando
di non fare rumore scesi al piano di sotto e raggiunsi lo scatolone di
fronte all’ingresso, dove lo avevo lasciato la sera prima. Curiosa, lo
aprii e vidi dei libri dalle copertine un po’ sgualcite che dovevano
essere appartenuti a papà. Ne afferrai uno dalla copertina rossa
scolorita e dalla rilegatura dorata. Sembrava fosse il più vecchio dei
libri nello scatolone. Non lo avevo mai visto prima. Chissà perché si
trovava nella macchina…
Il titolo
“Grimorio”
era scritto a grandi lettere nere in rilievo e sotto di esso c’erano
uno strano simbolo che sembrava essere l’unione di due ali: una piumata
come quelle degli angeli e una a forma di pipistrello come quelle dei diavoli.
Forte!
Sapevo
che i Grimori erano dei libri scritti nel medioevo contenenti formule
magiche e ricette di pozioni per maghi e streghe. Magari questo era un
libro sulla storia di qualche stregone.
Mentre
risalivo in camera lo aprii curiosa, ma rimasi delusa quando mi accorsi
che le pagine incartapecorite al suo interno erano vuote, senza neanche
una scritta. Possibile che l’inchiostro si fosse scolorito così tanto
da svanire del tutto?
Notai che
la prima pagina era un po’ rovinata ai bordi e che sul suo fondo a
sinistra, scritto a penna, con una scrittura piccola e contorta, c’era
un nome.
Nat… iel Fox.
Tutte le
pagine, che erano pure tante, erano bianche e l’unica scritta era
quella firma quasi cancellata di mio padre.
Bah, che
stranezza!
Calcai
con una penna presa dalla scrivania il cognome e al posto di quello di
mio padre scrissi il mio nome.
Allie Samantha Fox.
Sentii un
brivido percorrermi la schiena. In quel momento non gli diedi
importanza ma in futuro ripensai che avrei dovuto ascoltare quello strano presentimento che mi
aveva colpito: annunciava la tempesta di eventi che avrebbe cambiato la
mia vita.
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