SANTA CLAUS IS COMING TO TOWN
Finché siamo amati dagli altri
oserei dire che siamo indispensabili. (R.L.Stevenson)
Il naso del piccolo Harry era
completamente schiacciato contro la vetrina. Le sue mani coperte da due calde
manopole di lana rossa erano appoggiate ai lati della faccia e il suo fiato
aveva disegnato un bel cerchio sul cristallo tirato a lucido.
- Harry non appoggiarti a quel
modo, non è educato. E rischi di rompere gli occhiali. – la voce cupa del
professor Piton raggiunse le orecchie di Harry ma il bambino rimase fermo
com’era.
- Severus è quella! E’ proprio
quella, guarda anche tu! –
L’uomo si mosse appena, con la
mano guantata di nero prese Harry per una spalla e lo scostò leggermente dal
suo privilegiato punto di osservazione, facendolo indietreggiare di un passo e
avvicinandolo a sé. Guardò all’interno e la vide, in bella mostra, completa di
tutti gli accessori, la pista di automibiline radiocomandate più gettonata del
momento.
- E’ un gioco babbano Harry. -
- Lo so, ma è bella anzi è
strabellissima. –
- Non si dice strabellissima. Mi
auguro tu non lo abbia imparato a scuola. –
- Lo dice sempre anche Ron. – e
tornò a fissare il suo tesoro. – Pensi che Babbo Natale me la possa portare se
sarò bravo? –
Severus grugnì impercettibilmente:
avrebbe detto anzitutto ad Arthur di verificare il vocabolario del figlio. Poi
pensò a Babbo Natale e alla scelta fatta con Silente di mantenere viva col
giovane Potter questa credenza non propriamente magica: da poco più di un anno Harry viveva con il pozionista, a
metà tra il mondo babbano ed Hogwarts e non se l’erano sentita di tagliare
definitivamente i suoi legami il con
l’ambiente da cui proveniva e in cui aveva vissuto per i primi cinque anni di
vita. Nessuno prima di lui era mai stato accolto ad Hogwarts in così giovane
età.
- Scriverai a Babbo Natale come
faranno tutti i tuoi compagni e poi vedremo. Ma credo che esistano giochi
magici ber più divertenti Harry. -
Harry si voltò verso il suo
tutore con un espressione tra il broncio e la supplica: -A me piace quella.–
Ripresero a camminare in silenzio
lungo la via cittadina che brulicava di un andirivieni di passanti. Non mancava
molto a Natale, i negozi avevano esposto la loro merce insieme agli addobbi, al
vischio e alle lampadine intermittenti. La neve era arrivata puntuale, non
c’era nemmeno stato bisogno di crearla artificialmente sui vetri con spray o
cotone. La gente che incrociavano sembrava non far caso a quella coppia,
nonostante il lugubre abbigliamento di Piton. Ma a Londra fortunatamente
nessuno, se non qualche turista, sembra badare a questi particolari. Potevano
essere facilmente scambiati per un padre dall’aspetto un po’ arcigno insieme al
figlio mingherlino, infagottato nella giacca a vento, che gli trotterellava
tranquillamente al fianco. Erano diretti a Diagon Alley ma Harry aveva
letteralmente trascinato Severus verso il negozio di giocattoli: all’esterno un
enorme pupazzo di neve meccanico cantava motivetti natalizi invitando ad
entrare. In effetti non era poi così male, ma assolutamente troppo babbano per
il professore di pozioni più temuto di Hogwarts. Lui aveva lasciato quel mondo
anni prima e non amava tornarvi se non per stretta necessità. Raggiunsero
finalmente il quartiere celato dei maghi. Anche lì era tutto pronto per le
feste imminenti, ma era tutta un’altra storia: le decorazioni degli abeti erano
vive, l’aria sapeva di cose dolci, le vetrine cambiavano in continuazione.
Piton tirò un sospiro di sollievo e tenendo Harry per mano si avviò lungo la
via principale. Erano lì soprattutto per il solito rifornimento di ingredienti
per il laboratorio: alcune erbe e infiorescenze erano fuori stagione e
occorreva farle giungere dall’estero o da speciali coltivazioni in serra. Poi
c’era da comperare qualche indumento nuovo per il bambino. Non che fosse
cresciuto chissà quanto dalla prima volta che Severus se lo trovò di fronte: di
certo i parenti non lo avevano allevato in maniera sana ed equilibrata. Se poi Harry aveva preso da sua madre, come
Severus si augurava fortemente, di sicuro non sarebbe mai diventato un gigante.
Adesso comunque godeva di buona salute, col beneplacito di Poppy, aveva un
colorito roseo e qualche chiletto in più addosso. E quindi aveva bisogno di rinnovare il guardaroba. Il professor
Piton non aveva certamente immaginato, diversi mesi addietro, che un giorno
sarebbe entrato in un negozio di abbigliamento per vestire qualcuno che non
fosse sé stesso. Voleva mandarci Poppy col bambino, o Minerva. Ma
sfortunatamente Harry aveva voluto andarci con lui. Si era legato al professore
in maniera seria, troppo, per il mago con l’aria da misantropo che fino ad
allora non si era mai preso cura di nessuno così da vicino. Silente, ovvio, se
la rideva. E a Severus si elettrizzavano i capelli dal nervoso perché lui non
ci trovava nulla di divertente a giocare un ruolo tanto delicato nella vita di
quel bambino. Nel negozio se la cavò anche troppo bene per uno alle prime armi.
Harry non sembrava amare lo shopping di vestiario: sbuffava e diceva che ogni
cosa gli piaceva solo per finire in fretta e tornare all’aperto in cerca di
vetrine più interessanti. Madama Malkins vendeva tutta merce di qualità. E
fortunatamente, in quei giorni un po’ affollati, aveva una ragazza sveglia e
capace di trattare coi bambini che le dava una mano. Severus fu un paio di
volte sul punto di rimproverare Harry ma si trattenne: non in pubblico. Di ritorno a casa però lo
avrebbe messo in castigo. – Non se la prenda troppo signore, qui ne vediamo di
tutti i colori mi creda. Il suo bambino non è minimamente vivace rispetto a
tanti piccoli teppisti che fanno visita al negozio. - La giovane commessa era
davvero un’esperta: aveva intuito l’ansia e il malumore di Piton solo
guardandolo.
- Non è mio figlio – precisò
Severus molto seriamente ma senza essere scortese.
- Oh mi scusi, ma vi somigliate e
l’avevo dato per scontato. – sorrise e tornò al bambino che stava litigando con
il collo troppo stretto di un maglione.
Somigliare ad Harry? Una zazzera
nera e una carnagione chiara non sono certo sufficienti a generare parentele!
Come da abitudine tolse mentalmente punti alla ragazza. Contemporaneamente non
potè evitare di sentire un piacevole senso di calore e osservò il piccolo: era
buffo in certi momenti, ancora impacciato col mondo che lo circondava. Un handicap
relazionale da recuperare a un’autostima completamente da costruire. Bel lavoro
gli era toccato. Ma a Severus non era la mole di lavoro a preoccupare,
tuttaltro. Ciò che temeva maggiormente erano i suoi sentimenti verso quel bambino. Sapeva già in cuor suo che sì,
alla fine avrebbe comprato quella
benedetta pista per automobiline. Poteva anche permettersi di viziarlo una
volta l’anno, in fin dei conti si riteneva un tutore intransigente e severo. In
realtà Harry lo adorava. Benché Severus si sforzasse di mantenere un certo
distacco, benché si limitasse a svolgere, con la sua consueta
professionalità, il solo ruolo di
educatore, il bambino non poteva non amarlo. Perché lui gli aveva dato una casa
(non di sua spontanea volontà, beninteso), lui gli aveva dato attenzione e
considerazione, lui lo aveva fatto finalmente sentire un bambino come gli
altri. Poco importava se appariva spesso burbero e se non si prodigava in
abbracci e carezze: nella scala dei valori di Harry Severus veniva prima di
qualsiasi cosa avesse mai avuto.
Terminati gli acquisti il professore diede indicazioni per la loro
consegna direttamente ad Hogwarts, pagò e poi si rituffò col bambino per le
strade che profumavano di zenzero e cannella. Presero una bevanda calda,
cioccolato per Harry, punch al rum per Severus, poi tornarono ad Hogwarts.
Quella sera Albus Silente si
informò sugli esiti dello shopping.
- La parola shopping è
gergalmente babbana Albus. -
Il Preside sorrise come era
solito fare: perché trovava sempre tutto quanto così allegro? Piton sbuffò e lo
guardò torvo.
- Hai ragione Severus, ma è come
dire… perfetta per esprimere tutto quello che vuole esprimere.- Ed emise una
risatina leggera ma Severus continuava a non
trovarlo divertente. In realtà sospettava che il Preside ridesse un po’
anche di lui, come per dire “te l’avevo detto che il ruolo di tutore alla fine
ti sarebbe piaciuto”. Ma a lui non piaceva, assolutamente non piaceva.
Maledizione, non era vero che non gli piaceva ma era quasi contronatura per lui
dire il contrario.
- Allora quale regalo ha scelto
il giovane Potter per Natale Severus? –
- Una pista per automobili
radiocomandate. –
- Oh ma è fantastico, un
giocattolo davvero azzeccato! –
- E’ un giocattolo babbano. –
- Oh quanta ostilità stasera
ragazzo mio. Sei un po’ babbano anche tu, non scordartelo. –
- Proprio per questo mi crea un
certo fastidio dovresti saperlo. Quel ramo della mia famiglia non ha certo
aiutato la propria causa quando ero bambino. – Sullo scarso senso paterno di
Tobias Piton e sulla sua crudeltà verso Eileen Prince il Preside era purtroppo
al corrente: Severus era stato adottato da Hogwarts trent’anni addietro e
sfortunatamente lì aveva conosciuto anche la perdita di un amore mai superata e
la tentazione del potere. Quando ripensava a questo, Albus si inteneriva: a
dispetto della scorza ruvida il suo miglior pozionista era un uomo dal grande
cuore.
- Il divertimento nei giochi
babbani sta proprio nel fatto che non sono magici… e quindi più intriganti no?
–
- No, sono più noiosi. Limitati e
facilmente soggetti a rottura. –
- Hai in mente qualcosa d’altro
allora per il bambino? –
- Veramente non ci ho ancora
pensato, ma provvederò. –
- Harry ha compiuto da poco sette
anni, non lo possiamo ancora considerare un mago a tutti gli effetti. E poi
valuta il fatto, Severus, che vorrà parlarne con i compagni di scuola. Come
giustificherebbe un giocattolo magico? –
- Non credo che Ronald Weasley
riceva giocattoli babbani. –
- Oh ti sbagli, Arthur Weasley
adora le babbanerie…-
- Ovvio… - Severus era
disgustato. – Non potrò far leva nemmeno su questo perché, guarda caso, la
volta che la vicinanza di un Weasley potrebbe tornarmi utile si rivela invece
deleteria. -
- Harry ha già scritto la sua
letterina? – Albus continuava ad avere sulla faccia quella stupida espressione
allegra.
- La scriveremo dopo insieme. Il
bambino è ancora molto incerto con la scrittura, grazie allo stato selvatico in
cui l’hanno tenuto i Dursley per quattro anni. – L’espressione allegra di Albus
si spense. Bruciava ancora la scoperta
dei maltrattamenti che il piccolo Potter aveva dovuto sopportare.
- Sono certo che col tuo aiuto
Severus la lettera sarà perfetta. – E i due si congedarono.
Harry era fiero di sé: Severus lo
stava aiutando a scrivere la lettera per Babbo Natale e così l’avrebbe spedita anche lui, come i suoi
amici. L’anno precedente non l’aveva fatto, aveva appena iniziato la scuola e
si era trasferito da poco ad Hogwarts: il Natale era trascorso un po’
confusamente fra tutti quei cambiamenti.
- Allora, hai deciso cosa
chiedere? -
- Beh, sì, la pista. – Piton borbottò ma senza farsi sentire.
- Sei proprio deciso allora… -
- Ho solo un dubbio … Dobbiamo
dire a Babbo Natale che ho cambiato indirizzo. Non vorrei andasse a Privet
Drive. – Fece una pausa perplesso. - Anche se lui veramente non sapeva che
abitavo là, non è mai venuto. – E guardò Piton con un sorriso.
- Non è mai venuto a portare
regali a Privet Drive? – Piton voleva sperare che fosse così, che non fosse
stata una voluta esclusione del solo Harry. Fu ovviamente smentito.
- No, lui veniva da Dudley. E gli
portava sempre un sacco di cose. Mi dicevano che a me non lasciava nulla perché
non ero bravo. Ma secondo me era perché non sapeva che ero lì. Non avevo
nemmeno una stanza! - E alzando le spalle come avesse detto una cosa per lui
scontata tornò a concentrarsi sul foglio ancora bianco. Non vide lo sguardo di
Piton confuso tra l’indignazione e la pena. Come avevano potuto comportarsi
così con un bambino tanto piccolo? Anche lui, pur nella sua infelice infanzia,
aveva goduto almeno di questi semplici piaceri . Severus osservava con grande
attenzione le smofiette di soddisfazione che Harry si lasciava sfuggire: una
volta che lettera venne ultimata, la mise in cartella come fosse un tesoro
inestimabile e andò a letto perfino prima dell’ora stabilita al dolce pensiero
che il mattino dopo l’avrebbe impostata nella cassetta preparata a scuola.
La sera della vigilia di Natale,
quando ad Hogwarts i pochi abitanti rimasti erano già rinchiusi nei propri alloggi
a godersi l’attesa davanti al fuoco scoppiettante del camino, Harry raggiunse
il suo tutore. Si era fatto il bagno (e aveva giocato con le bolle di sapone,
una delle sue scoperte da quando viveva con il professor Piton), si era lavato
i denti, il pigiama era quello pulito. Trovò Severus al suo consueto posto:
accomodato nella sua poltrona di velluto verde leggeva, come tutte le sere.
-Sono pronto per andare a letto.
–
Il mago sollevò lo sguardo dal
libro: - Bene Harry, buonanotte. Dopo passo a spegnere il lume. – Quello era il
loro rito serale: Severus non era di molte parole ma prima di ritirarsi dava
sempre un’ultima occhiata al bambino. La luce accesa nella cameretta era stata
una sua intuizione: per una creatura cresciuta al buio di uno sgabuzzino la
luce era rassicurazione e compagnia. Questa volta però Harry non sparì
all’istante. Rimase immobile davanti a lui, la testa bassa e gli occhi fissi al
pavimento.
-Qualcosa non va Harry?- Nessuna
risposta. Piton sbuffò: perché si era ritrovato a fare da balia ad un bambino
del genere? Ma si era accorto di provare tenerezza in fondo per quella creatura
di cui fino a qualche mese prima non avrebbe mai voluto nemmeno fare la
conoscenza.
- Harry ti ho ripetuto mille
volte che non devi avere paura di dirmi le cose. Non ti punirò come facevano
quei degenerati dei tuoi zii. – Piton sentì una voce piccolina giungere da quel
mento nascosto: - E se Babbo Natale non passa? –
Tutto qua? Era questo il
problema? Maledizione, Potter lo faceva preoccupare per niente. Da un bambino
maltrattato non sai mai cosa aspettarti: credi di fare bene e magari invece hai
commesso qualche passo falso. Cercando di rendere la propria voce più pacata
possibile Severus disse ad Harry che aveva messo una candela fuori dalla
finestra così Babbo Natale non avrebbe fatto fatica a trovarli. Lo rincuorò anche sul fatto che se anche Harry non
fosse stato proprio bravissimo in quell’anno, Babbo Natale sarebbe di sicuro
venuto fin lì perché lui conosce bene i bambini e sa che a quell’età può scappare di essere disobbedienti o di
combinare qualche disastro. Così, trascinandosi nel pigiama un po’ grandino,
Harry si infilò sotto le coperte e nel giro di qualche minuto prese sonno.
Quando Piton passò a spegnere il lume, Harry sembrava il bambino più sereno del
mondo.
La mattina successiva Severus
venne buttato giù dal letto. Harry era entrato nella sua camera ignorando tutto
quello che aveva imparato sulle buone maniere.
- E’ passato, è passato! – i suoi
gridolini erano incontenibili inni alla gioia. Severus non ebbe nemmeno il
tempo di reagire travolto dall’entusiasmo del piccolo.
-Vieni a vedere Severus, vieni…
-: gli aveva afferrato una mano pescandola da sotto il piumone e adesso lo
tirava con una forza sorprendente per
un bambino che pesava quanto un cesto di mele. Piton finalmente riuscì ad
aprire bocca ribellandosi:
- Potter, da quando si irrompe
nella mia stanza in questo modo! –Harry interruppe momentaneamente la sua
piccola crociata: l’aveva chiamato per cognome, non era un buon segno. Fissò il professore con gli occhi
dispiaciuti. E, senza saperlo, vinse la guerra. Severus non aveva speranza di
fronte a quello sguardo.
- E sia… vediamo cosa ha lasciato
Babbo Natale.- mise i piedi a terra, raccolse dalla sedia la veste da camera
, si passò una mano fra i capelli e
seguì docilmente il bambino che ancora lo teneva per mano guidandolo nel
soggiorno con rinnovato entusiasmo.
Davanti al camino, ai piedi di un
albero di Natale che, contro ogni convinzione, il pozionista aveva finito con
l’addobbare, un grande pacco regalo: i disegni sulla carta si muovevano e se si
ascoltava attentamente era possibile udire un lieve scampanellio. Carta magica,
almeno quella… Harry si voltò verso Piton: gli occhi non potevano essere più
verdi di così. Improvvisamente sembrò ricordarsi le buone maniere, o forse
temeva solo che ciò che stava accadendo non fosse reale. Non aveva mai, in vita
sua, ricevuto un regalo il giorno di Natale. Era la gioia della scoperta e la
realizzazione che lui, Harry, esisteva. Perché Babbo Natale si era fermato lì
per lui.
-Avanti, aprilo, cosa aspetti…non
hai più fretta? – Severus lo canzonava un pochino, non voleva che le
insicurezze del bambino si trasformassero in compiacimento. L’esitazione di
Harry svanì. Piton, in piedi e braccia incrociate sul petto, osservava non
senza soddisfazione, il “ranocchietto” inginocchiato davanti al regalo; lo
scartò quasi con adorazione, senza dire una parola. Quando ebbe fra le mani la
scatola che conteneva la pista per automobiline ebbe un piccolo sussulto:
- E’.. è davvero per me? -
- Di sicuro non è per me. –
- E’ proprio lei… quella della
vetrina… ma dobbiamo costruirla però! – e si mise ad armeggiare per aprire la
scatola. Severus trovava tutta quella spontaneità sincera commovente. Ma non lo
avrebbe ammesso mai.
- Harry prima facciamo colazione
e ci vestiamo poi costruiremo la pista. –
- Costruiamola ora… per favore….
–
- Avrai tutto il tempo per
giocarci. –
-Per favore…. – Maledizione, come
si faceva a dirgli di no quando implorava così?
Un tocco alla porta mise fine
alla disputa. Albus Silente si introdusse nel soggiorno deliziandosi del
profumo di pino e di ceppo crepitante. Le stanze di Severus adesso erano
decisamente più accoglienti.
- Buongiorno miei cari, e buon
Natale! – Harry lo fissava a bocca aperta. Albus portava un abito rosso scuro
stampato a rameggi dorati. Ai piedi un paio di pantofole di velluto color
carminio con un grosso pon pon in punta. Gli mancavano solo il berretto e il
classico “oh oh oh”.
- Harry quello è il Preside.-
Severus pose fine al dubbio che sicuramente frullava nella testa al giovane
Potter. Harry sembrò per un attimo deluso, ma si riprese immediatamente.
- Signor Silente guardi…! –
- Oh per tutti gli avvincini… una
pista di automobiline radiocomandate…. Babbo Natale ha esaurito il tuo
desiderio Harry? – e lanciò al suo insegnante di pozioni uno sguardo complice e
giocoso che venne invece ricambiato con un’occhiataccia. Si chinò accanto ad
Harry per guardare da vicino ciò che rappresentava una vittoria delle sue
previsioni: Piton si stava rivelando esattamente il tipo di persona che Albus
sapeva che fosse e, in questo caso particolare, il tutore più adatto che Potter
potesse trovare.
-Adesso dovrete costruirla
insieme, se no che gusto c’è, vero Harry? –
- Dopo colazione. – fu il
commento secco di Severus.
- Va bene, sei tu che decidi
adesso per Harry… - e si rimise in piedi.
– Caro Severus, vi aspetto da me per il pranzo. E visto che è una
splendida giornata di sole, mi offro volontario per fare un giretto col bambino
nel parco verso le 11. –
- Ovvio che non posso dire di no…
- rispose Piton, piegando l’angolo della bocca in una smorfia di scherno.
- Ho sempre saputo di poter
contare su di te… e a proposito, ti do un consiglio…. Costruiscila senza
l’ausilio della bacchetta.. sarà più coinvolgente vedrai… - e fatta una carezza
sulla testa ad Harry guadagnò il corridoio dei sotterranei canticchiando Jingle
Bells.
- E’ davvero un omino buffo il
Preside vero Severus? –
- Sei troppo gentile Harry. – fu
la risposta di Piton mentre si dirigeva nella stanza da letto. – Vado a
cambiarmi, poi tocca a te. – e sparì dietro alla porta di frassino.
Terminate le sacrosante cerimonie
del mattino, mentre Harry fremeva per mettere le mani sul suo giocattolo,
Severus cercava di mantenere la calma. L’ansia del bambino lo innervosiva da
morire: possibile che non sapesse aspettare qualche minuto? L’aveva già
rimproverato tre volte e non erano ancora le nove del mattino. Era così che
accadeva in tutte le famiglie? E quando realizzò tale pensiero sentì qualcosa
premergli sullo stomaco. I ricordi dei suoi Natali in famiglia erano lontani e
sbiaditi. Benché Harry non fosse suo figlio (Merlino non lo volesse!) lui non
avrebbe mai agito come Tobias. Raggiunse Harry che aveva già sparpagliato sul
tappeto i pezzi della pista.
- Dovrò scrivere un’altra lettera
a Babbo Natale sai Severus? –
- E perché mai? –
- Per ringraziarlo! –
L’ innocenza e la bontà d’animo
di Harry lo stordivano. Andò a prendere la bacchetta. Quando fu sul punto di lanciare
l’incantesimo esitò. Posò la bacchetta e si inginocchiò a terra. Harry lo
guardava interrogativo. Poi capì: Severus era davvero un grande tutore!
Costruirono insieme la pista,
alla maniera babbana, leggendo le istruzioni e andando un po’ a naso. Severus
chiedeva i pezzi ad Harry che glieli passava orgoglioso del suo contributo.
Alla fine, dopo qualche sbuffo e un paio di imprecazioni dette sottovoce, la
pista fu pronta. Ma ormai erano le 11 e l’ora della passeggiata con Albus.
Imbacuccò bene Harry (c’era il sole ma aveva nevicato), dicendo a sé stesso che
quella non era premura ma solo previdenza. Albus arrivò puntuale, senza
babbucce con pompon stavolta, e i due uscirono all’aria aperta. Poi venne l’ora
del pranzo che si svolse in un clima festoso in un non meno festoso
appartamento del Preside. Erano presenti anche Minerva, Poppy, la professoressa
Sprite, Hagrid e il professor Vitious, gli unici che sapessero del piccolo
inquilino ospitato nei sotterranei. E per Harry fu davvero un pranzo di delizie,
non soltanto culinarie: coccolato da tutti (tranne da Severus ovviamente, che
non trovava affatto salutare per il carattere del bambino tutta
quell’attenzione in una volta sola) Harry visse così il suo primo vero Natale.
- Sei arrabbiato Severus? – Harry
guardava dal basso in alto il suo tutore mentre scendevano le scale del
sotterraneo. –
- No. – Ma era una risposta che
ad Harry non bastava. Non voleva che Severus fosse arrabbiato o triste, invece
l’aveva visto triste tante da volte da quando vivevano insieme e temeva sempre
di esserne la causa.
- Perché non hai voluto giocare
alla tombola salterina? –
- Non mi piace giocare. –
- Ma tu giocavi quando eri
piccolo come me? –
Severus si chiese se fosse stato
poco educativo mettergli un cerotto magico sulla bocca. Potter aveva la
capacità di scovare proprio i punti più dolenti dei suoi ricordi.
- Giocavo pochissimo. Non avevo
amici, tranne una bambina. –
- E dov’è adesso la tua amica? –
Meno male che erano arrivati. Piton aveva la mano stretta stretta attorno alla
bacchetta. Non rispose. Era tutto, troppo, paradossalmente doloroso.
Per fortuna che una volta entrati
nel salotto Harry lasciò cadere il discorso, catturato nuovamente dalla pista
che giaceva immobile sul tappeto di fronte al camino.
- Giochi? –
- Credevo di essere stato chiaro.
–
Ad Harry dispiacque, ma era abituato al tono burbero e
alla severità dell’uomo: non era come da zio Vernon, Severus, lui ne era certo,
gli voleva bene. Si sedette a terra e iniziò a far correre le automobili sul circuito.
Piton si sistemò sulla poltrona, un bicchiere di whisky incendiario sul
tavolino e un libro sulla magia spontanea fra le mani. Lo attendeva finalmente
un pomeriggio rilassante. Ma come poteva pensare di rilassarsi con un bambino
di sette anni sdraiato sul pavimento che faceva gareggiare rumorosamente due
bolidi accompagnandoli con incitazioni, versi, borbottii e discorsetti fatti a
sé stesso, come se si rivolgesse ad un compagno di giochi immaginario accanto a
lui? Dopo soli venti minuti la pazienza iniziò a sfuggirgli di mano. Ma la sua
reazione non fu esattamente quella immaginata, come le relative conseguenze.
Tra tutti gli incantesimi che avrebbe potuto utilizzare solo uno gli venne spontaneo: con la bacchetta
fece cambiare improvvisamente percorso ad una delle due auto da corsa
deviandola dalla sua sede. Harry si fermò per qualche attimo sorpreso del
fuoripista, poi gattonò fino all’automobile per rimetterla al suo posto. Ma
Severus non seppe resistere alla tentazione: appena Harry si avvicinò, fece
ripartire il modellino. Lo rifece altre due volte: Harry non faceva in tempo a
toccare l’auto da corsa che questa sfrecciava in una nuova direzione, con
testacoda e inversioni di marcia imprevedibili. Dopo un primo momento di stizza
Harry ci prese gusto, proprio come ci stava prendendo gusto Severus. Il bambino
aveva capito quello che stava accadendo e iniziò a ridere: quelle stanze non
avevano mai risuonato di gioia come in quel momento. Sorrise anche il mago.
- Non vale, tu stai usando la
magia! –
- Io sono grande e posso farlo. –
- Sei un imbroglione! – e gli si
gettò in grembo, spiaccicando il muso contro il suo stomaco. Severus attutì il
colpo con una smorfia di dolore, ma non allontanò Harry: lo sentì mugugnare
“scusa non volevo dirlo” e allora se lo prese in braccio. Non l’aveva mai fatto
da quando il moccioso era arrivato. Pensava che non sarebbe mai potuto
accadere, non erano gesti che gli appartenevano. Possibile che stesse davvero
entrando tanto bene nella parte? Harry dal canto suo non se lo aspettava: si
era ritrovato improvvisamente sollevato e poi seduto cavalcioni sulle gambe di
Severus. Ancora sorpreso il piccolo guardò per un attimo l’uomo in nero quasi a
voler chiedergli il permesso, poi gli si accoccolò contro il petto circondandolo
come poteva con le braccia. Severus chiuse le sue attorno al bambino: gli parve
che il suo sangue iniziasse di nuovo a circolare dopo lunghi anni. Come quando
Lily era accanto a lui. La lieve pressione che sentiva su di sé, il profumo di
bambino che in quel momento respirava, la sensazione di essere importante per
qualcuno indipendentemente da chi era o da chi era stato gli diede un gran
senso di pace. Harry, inconsapevole delle onde che aveva provocato su un mare
da troppo tempo senza vento, si sentiva felice. Non credeva che si potesse
essere più felici di così: non era stato respinto, era stato accolto. Il suo
piccolo mondo girava tutto intorno a quell’uomo per tanti aspetti oscuro. Senza
staccare la guancia dalla veste del suo tutore, con un soffio disse: - Severus,
facciamo finta che sia Natale anche domani? – Come se anche il cielo avesse
udito la richiesta, fuori ricominciò a nevicare.